Venerdì santo a Terranova [Olbia]
di Francesco De Rosa
In questo giorno i sacerdoti fanno le Stazioni della Passione e Morte di Gesù, movendo di buon mattino dalla parrocchia e facendo il giro attorno al paese, fermandosi ad ogni crocicchio delle vie, per ritornare quindi alla parrocchia. Ben poca è la gente che segue una tale cerimonia, forse per esser lunga e molto noiosa. La sera, cantato il vespro, si fa il discendimento dalla croce.
Il quaresimalista monta sul pulpito: ai piedi della croce si prostra la Maddalena inondando di lacrime i piedi del Redentore, poi asciugandoli coi suoi capelli e baciandoli amorosamente; alla destra si vede la Vergine, vestita a gramaglia con la bianca pezzuola fra le mani, assorta nel suo dolore, senza più la forza di volgere lo sguardo al suo figlio divino già irriconoscibile per le tante ferite ed i lividi che gli coprono interamente la persona; a sinistra ecco l’evangelista Giovanni, il discepolo diletto di Gesù, quasi in attesa degli ordini del divino maestro o intento a raccogliere le sue ultime volontà; e di fronte Maria Cleofe e Maria Salomè, sospiranti e lacrimose non volendo darsi pace di dover perdere il Maestro […].
Discepolo e discepole si vedono vestiti nei loro costumi orientali e con in capo una parrucca, imitante la tradizionale loro capigliatura.
Il quaresimalista addita al popolo il Redentore […] rimprovera gli uomini della loro ingratitudine, e fra tutti trova meno crudeli i due discepoli Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo, che invitano a calare dalla infame croce il preziosissimo corpo di Gesù.
Alla sua chiamata, escono dalla sacristia due uomini, riccamente vestiti (calze e calzoncini di seta, una larga fascia di seta alla cintura, un ampio cappotto («zimarra») di damasco rosso a grandi disegni floreali, in testa una tuba di cartone coperta di seta, alla fronte largo turbante e ai piedi calzari di bulgaro, che si fanno avanti e si fermano ai piedi delle due scale che poggiano sui bracci della croce infissa in un basamento («timele»).
Il quaresimalista fa il loro elogio, decantandone la pietà, la fermezza nella nuova religione ed il vivo attaccamento al loro buon maestro: e rivoltosi a loro, li prega di salire in fretta le scale, raffiguranti l’erta china del Golgota, per liberar subito il corpo del loro Maestro dalla vergogna dell’ignominioso legno.
I discepoli salgono, Nicodemo a destra e d’Arimatea a sinistra, ed il quaresimalista supplica il primo di togliere della fronte di Gesù la corona di spine, che fa mostrare al popolo, invitandolo a contemplare di quali spine venne trapassata la bella fronte del Dio incarnato.
Fa togliere i due chiodi dalle mani e poi, da Arimatea, quelli dei piedi, e facendoli mostrare ai fedeli, ne descrive i dolori e i danni alle articolazioni che infersero a Gesù e perciò al genere umano, declamando ad uno ad uno quegli strumenti di tortura santificati e illuminati dal contatto e dal sangue dell’Uomo-Dio, perché impetrino dall’Eterno Genitore il perdono dei suoi figli ingrati.
Fa calare dolcemente il corpo di Gesù sorretto da Nicodemo con una fascia che gli passa sotto le ascelle e lo fa presentare da Giuseppe al popolo esclamando Ecce homo e descrivendo lo stato nel quale lo hanno ridotto i peccati umani: quindi lo fa presentare all’afflittissima ed inconsolabile madre, cui rivolge una patetica preghiera perché non voglia, nella sua inesauribile bontà, farne carico alla fragilità di tutte le creature umane, ma anzi voglia supplicare il loro perdono ed il ravvedimento.
In ultimo fa deporre nella bara (nel cui fondo si vede uno strato soffice di vinca minore[1]) il Corpo del Redentore che viene portato – coperto da un bellissimo mantello di damasco rabescato[2] in oro con meravigliosi disegni, in mezzo al quale si vede una colomba con le ali spiegate, sotto cui si rifugiano chiedendo l’imbeccata sei piccioncini – in processione attorno al paese e condotto all’Oratorio di Santa Croce per dargli onorata sepoltura.
Durante il discendimento regna il massimo silenzio: tutti gli occhi sono volti al predicatore che dà gli ordini, ai discepoli che eseguono, all’apostolo prediletto e alle pietose donne che versano singhiozzando copiose lacrime, e a questa dolorosa e mistica scena non vi è ciglio che resti asciutto.
Molti, specialmente le donne, versano amare lacrime, ed ai tre colpi che i discepoli danno sulla croce per estrarre dalle membra traforate ciascun chiodo, esse si picchiano il petto inginocchiate chiedendo il perdono delle loro colpe.
Prima della sepoltura viene in Santa Croce cantato il Miserere, durante il quale viene distribuita al popolo la vinca, che servì come fresco e soffice materasso al corpo di Gesù: rinnovando così la scena della Domenica delle palme col gettito di queste dal pulpito. La vinca, impermeata dalle spoglie del Redentore, si crede porti la benedizione nelle case in cui viene conservata.
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[1] Nome comune (oggi peraltro poco usato) di piante del genere omonimo (lat. scient. Vinca), della famiglia apocinacee, più note come pervinca.
[2] Rabesco: tipo di ornamentazione costituita da motivi geometrici o vegetali stilizzati e ripetuti.