IL TOURING IN SARDEGNA
GITA CICLISTICA
di Attilio Brunialti ⇒
in
Rivista mensile del TOURING CLUB ITALIANO ⇒
Anno VII. N. 8
Agosto 1901
La prima idea di una escursione in Sardegna mi fu suggerita dal bisogno che avevo di visitare l’isola per rifarne la descrizione nella Geografia Universale di E. Reclus, e perché mi vergognavo di non conoscerla. In occasione dell’inaugurazione del Rifugio Lamarmora sul Gennargentu mi sorrideva l’idea d’una corsa su quelle montagne; ma la bicicletta mi avrebbe servito assai meglio a percorrere tutta l’isola. Esposi ad alcuni amici del Consolato di Roma l’idea di una escursione ciclistica nell’isola e venne accolta con entusiasmo. Fu ben chi ci affacciò ogni sorta di difficoltà: strade impraticabili, alloggi da lupi, cucina da selvaggi, e poi i banditi, il caldo…. Se non abbiamo riso prima, lo sanno i compagni miei; per dire quello che ne pensiamo dopo, bisognerebbe scrivere un volume od almeno possedere la vena poetica di Pindaro e di Giosuè Carducci, se anche questa mia prosaica e sommaria relazione da ragioniere, la sola cha mi è qui consentita, sarà tutto un inno alla Sardegna bella, forte, ospitale.
Avevamo scelto per l’escursione il bel maggio fiorito. Ma il signor Carlo Festa, che si era formalmente impegnato ad accompagnarci con una vettura automobile, dichiarò che sarebbe stato libero solo col 1° giugno, e per riguardo a lui fu scelta questa data. Vero è che con grande delusione dei Sardi, i quali specie nelle campagne, aspettavano con immensa curiosità «la vetturetta» la vettura «do foggu», ecc, il sig. Festa ci mancò.
Da principio mi ero proposto di arruolare non più di 15 compagni. Ma abbiamo dovuto accettarne altri; così fummo prima 20, poi 25, e dopo che il nostro progetto fu annunciato al Congresso Ciclistico di Bologna ed accolto con plauso augurale, avremmo trovato, solo ad accettarle, anche cento inscrizioni!
Primi furono i Consoli, fidi ed intrepidi compagni di tutte le nostre belle escursioni, Roma-Milano, Roma-Torino, gli Abruzzi – il cav. Arturo Magagnini, il ragioniere Ferdinando Trasatti, Enrico Righetti, il sig. Gioachino Lega, redattore del Messaggiero, il sig. Riccardo Guglielmetti. A questi si aggiunsero per ordine di iscrizione, i signori Carlo Klugkist pittore (russo), саv. colonnello G. B. Luciano, Antonio Medeyaki, scultore (polacco), Otto Carlo, pittore tedesco, Rocchi Giacomo, Adolfo Tomei, Antonio Balata, segr. al Min. P e T., Francesco Radi, id., Augusto Berini, Lorenzo Venti, Mario Pescetti, avv. Eugenin Valan, Giuseppe Brookes (inglese), Ermanno Durat (tedesco), Gregorio Orazi, Adriano Frattini, Giovanni Avanzi.
Il 31 maggio alle 14,40 partimmo colla ferrovia da Roma per Civitavecchia.
Con l’incomodissimo trasbordo delle barche che ci davano una prima prova del non debito conto in cui è tenuta la Sardegna, salimmo con le nostre macchine a bordo del Candia, dove trovammo tutta la famiglia Garibaldi e valorosi compagni e reduci garibaldini che si recavano a Caprera.
Il Capitano signor Belsito ci fu largo di tante cortesie, che anche i pochi sofferenti dimenticarono presto di essere in mare, e si passò allegramente la sera e una parte non breve della notte. A una certa ora la banda levò di peso dal letto il sottoscritto, lo portò su, e a pressione di bicchieri gli strappò il primo discorso. Si cominciava molto male…
Alle 4 del 1 giugno arrivò al Golfo Aranci, che sarebbe meglio chiamare dei Granchi, dove ci attendevano due torpediniere, messe con grande cortesia a nostra disposizione dal ministro della Marina, onorevole Morin. Si filò rapidamente verso Maddalena. Alle cortesie infinite, gli uffiziali, il console del Touring per Maddalena, signor Carlo Maraciani ed altri amici, unirono anche il vantaggio di esserci illustratori competentissimi del litorale e delle isole. Alle 8 eravamo già sbarcati, ma fu la prima volta e l’unica che arrivammo troppo presto.
Una bicchierata mattutina nel locale della Società Operaia Venti Settembre con presentazione della notabilità dell’isola e di quei carissimi soci, poi via, con un rimorchiatore per Caprera, con numerosa compagnia. Accolti da Menotti Garibaldi, da Stefano Canzio, dalle famiglie loro e dai garibaldini, visitammo la tomba e la memoria dell’isola sacra, e deponemmo uno scudo simbolico del Touring sul granito che chiude le ceneri dell’Eroe immortale. Parlai a nome di tutti, ma così commosso che ricordo due cose sole: l’abbraccio affettuoso di Menotti Garibaldi e la convinzione che buoni ciclisti saprebbero essere all’uopo tutti i garibaldinı.
Si ritornò a Maddalena e inforcate la biciclette, traversammo la piccola città (2000 abitanti secondo i dati ufficiali, ma sono molto più) sotto una pioggia di fiori. Ci fu data una sontuosa colazione nella bella sala della Società Operaia Elena di Montenegro (che si inaugurava l’indomani); in fine ci salutarono con affettuose parole il console Marsciani, il presidente Pietro Ornano, il sindaco cav. Lantieri, l’avv. Culiole, il sig. Volpe, il contabile Musco e il simpatico dott. Falconi. Risposi per tutti.
Alle 13 un rimorchiatore ci condusse a Palau, dove ci lasciarono a malincuore i cari amici dell’isola indimenticabili. Ci innalzammo per una strada nazionale assai comoda e bella, attraverso la montuosa e deserta Gallura (47 chilometri); ai vari casali, alla cantoniera c’era folla, convenuta anche da lontano; al Palude [Padulo] molti fiori e cittadini, col console di Tempio, Pietro Azara, il console di Calangianus sig. Corda e oltre cento cavalieri, con un infinito numero di vetture e di carri.
Dopo un altro rinfresco, entrammo a Tempio (376 m.; 12.000), bene ordinati, verso le 19.
Incominciavano così quegli indimenticabili spettacoli etnografici, quelle inesauribili cortesie, quelle scene imponenti che ci dovevano accogliere in ogni città, in ogni paese dell’isola.
Il nostro console Pietro Azara aveva preparato proprio le cose con regale munificenza; tutte le autorità civili o militari, centinaia di cittadini a cavallo, la piazza affollata ed applausi senza fine a Roma, ai Romani, al Touring, al sottoscritto. Ad una bicchierata al Municipio parlò il sindaco avv. Luigi Stazza, io ringraziai. Si andò a cena alla trattoria Lamarmora, un po’ tardi, come tardi dovevano andarvi tutte le sere per l’uso locale, pel desiderio degli amici di stare a lungo con noi, perché le ore passavano in modo da dimenticare anche la stanchezza ed il sonno.
Parlarono Asara e Magagnini; i mandolinisti ci accompagnarono a lungo con gentili serenate.
La mattina del 2, alle ore 5, lasciammo Tempio, accompagnati dagli amici del luogo a da altri che ci erano venuti incontro da Sassari. Percorremmo quasi senza avvedercene i 22 chilometri sino a Perfugas (65 m.) affacciandoci alla fertile Anglona.
A Perfugas ci furono offerti latte, vino, acque gazose, liquori, dolci, con cortesie senza fine, da tutte la autorità civili, militari, ecclesiastiche, mentre l’intera popolazione del villaggio (1500 ab.) ci applaudiva festante. Il segretario comunale Marras Revel ci salutò affettuosamente, io gli risposi; ma il sole era assai caldo e cominciammo a strapparci di là con una violenza, che doveva crescere nei giorni seguenti, in ragione delle cortesie affettuose e degli entusiasmi di quella buona gente.
Alle 9 le stesse accoglienze a Laerru (159 m.. 830 abitanti), dove parlarono il Sindaco Manca e il Segretario, e così alle 10 Martis (302 m., 937 abitanti), in una feracissima regione, di cui tutti gustiamo gli ottimi vini, gli amaretti squisiti, le frutta.
La salita a Nulvi, traverso le campagne fiorenti e le molte rovine di nuraghi, è faticosa; io ne compio un breve tratto a cavallo come un buon sardo, con i notabili e molti cittadini del paese.
A Nulvi – da Tempio più di 50 chilometri – abbracciamo l’operoso simpatico console di Sassari V. Michela, il prof. Domenico Mazzotta, ed altri ciclisti venuti da quella città; nel locale ampio della Scuola d’Agricoltura, tolta a questo centro agricolo da Sassari, ci è imbandita una colazione inaffiata dei migliori vini dell’Anglona ed abbiamo a commensali tutte le autorità. Alla fine parlano il dottor Talu, consigliere provinciale ed altri; io rispondo, ed usciamo dal villaggio gentile ed amenissimo (3171 abitanti), come vi eravamo entrati, sotto una pioggia di fiori.
Alle 17 a qualche chilometro da Osilo (565 m), ci viene incontro una numerosa cavalcata di duecento e più abitanti, nei loro splendidi costumi, sui cavalli svelti e focosi, recandoci applausi, saluti e fiori. Si entra in Osilo (5352 abitanti), affollata, pittoresca, una apparizione fantastica delle mille e una notte. Si sale su alla scuola, e nella gran sala ci è apprestato un ricevimento sontuoso. Parlano il dott. [Fonsa?], il direttore didattico Marcialis, il dottor Vincenzo Piga; io rispondo non brevemente. Poi, via tra i fiori offerti dalle signore, nel costume ricchissimo, dalle bimbe delle scuole, gittati dalle finestre, sparsi sulla strada tra applausi interminabili.
Alle 19 entriamo a Sassari (32.000 abitanti, da Nulvi 35.6 chil.). preceduti dal prof. Mazzotta colla sua gentile bimba in bicicletta e da altri ciclisti piccoli e grandi, tra due fitte ali di popolo, che dalle prime case del sobborgo si estende sino all’acquedotto, dove ci è preparato un rinfresco traverso la Piazza d’Armi. A palazzo della Prefettura deponiamo le macchine. Alla sera ricevimento sontuoso in questo palazzo che non ristiamo d’ammirare, con discorsi del sindaco cav. Mariotti, del prefetto Gandini, e del presidente delle Deputazione provinciale, avv. Vincentelli, ai quali rispondo.
Il giorno 3 alle ore 6 scendiamo, sempre però attraverso non poche «montagne russe» sino al mare (37 chilometri), accompagnati da parecchi ciclisti di Sassari.
Dopo aver visitato la colonia agraria di Surigheddu, alle 9 entriamo ad Alghero (10.117 abitanti). Per via siamo costretti ad esser proprio scortesi coi gentili messaggeri degli abitanti di Usini, di Uri e d’altri villaggi, che ci vorrebbero deviare per averci con loro un’ora, ora che non abbiamo. Si fa colazione poi cogli amici di Sassari, e coi notabili di Alghero, visitiamo con un rimorchiatore il golfo incantevole, Porto Conte, la grotta di Nettuno; nel ritorno si brinda all’isola, alle sue bellezze, ai suoi abitanti, al Ministro della marina, al comandante.
Una bicchierata al municipio è occasione di nuovi ringraziamenti e discorsi col sindaco cav. F. Carboni, e di altri, ai quali rispondo.
Alle 17, con un treno facoltativo, che ci fanno provvisoriamente pagare per speciale, si ritorna a Sassari, dove l’instancabile console Vittorio Michels, col collega Ugo Costa Queirolo, ci preparò un banchetto al San Martino, offerto dal fior fiore della cittadinanza. Il console avv. B. Bontà vorrebbe sedurci alla sua Portotorres, dove si fa domani una gran mattanza del tonno; ma come trovare un giorno di più? Dopo il banchetto nel quale brindarono il console Michels, l’avvocato Bontà ed io risposi, si ebbe uno splendido ricevimento al Municipio.
Alle 5 del giorno 4 scendiamo i pericolosi meandri della Scala di Giocca, passiamo tra Codrongianus e Florinas che invano, con le popolazioni festanti sulla via, ci chiamano alle alture dove sono appollaiati, e per gli altipiani più pittoreschi del Logudoro, arriviamo alle 9 a Torralba (36 chil., 1410 ab.) ai piedi del Sa Mura (437 m.).
Il sindaco D. Fiori cortesissimo ci riceve in sua casa e ci rivolge un discorso pieno d’affetto; parlano altri del luogo, ed il console di Ozieri dott. cav. Antonio Carta Tola coi ciclisti di quella città, ci rimprovera ed a ragione, d’averla dimenticata. Ci vorrebbe un altro giorno… I compagni mi guardano torvi…. io già ho deciso. Intanto tutti al nurago di Cugurronero, uno dei più belli grandi e ben conservati dell’isola, dove si fanno parecchie fotografie.
Da Torralba a Bonorva (182 chil.) si vola. L’arrivo è una festa come dovunque, fiori e applausi, autorità e signore e folla immensa. Ci è imbandita una colazione di cento coperti, all’uso sardo, un gran bell’uso, solo a pensare alle trote prelibate, alla porchetta squisitissima, ai dolci ghiotti e ai vini che condivano cotesto succulento banchetto. Ai brindisi il cortesissimo sindaco avv. Antonio Mura ci rivolge un vero discorso; parlano Marinucci; Dettori di Semestene e Ballero, l’organizzatore del banchetto tanto apprezzato: a tutti rispondo. Poi si riposa un’ora, ché davvero eravamo ormai ridotti a non dormire quattr’ore sulle 24!
Si parte alle 17; la strada prima in forte salita, poi polverosa e infossata, riesce faticosa, tuttavia alle 19 arriviamo in bell’ordine a Macomer (224 chil). Ricevimento al municipio, bicchierata, discorsi del sindaco dott. Raffaele Uras, del segretario De Giovannis, di Silvio Gutierres, infaticabile capo del comitato, ai quali io rispondo. Ma intanto cade la notte, e si improvvisa una fiaccolata, che ci fa vedere sotto un aspetto fantastico la città, la popolazione affollata, le case basse. Pranziamo tra noi, all’Hotel della Ferrovia, uno dei migliori dell’isola, e alle undici, gran ventura, siamo a letto.
Il 4 si parte avanti le 5. L’ora mattutina non impedisce all’ottimo sindaco di Sindia (175 ab., 528 m) F. Zedda, di attenderci, colle autorità civili ed ecclesiastiche, davanti alla chiesa e offrirci un rinfresco. Così a Suni (1319 ab., 507 m.) dove ammiriamo molti nuraghi, e ai nostri piedi tutta la Planargia, Bosa, l’azzurro mare.
Qui ci muovono incontro il console Vincenzo Meloni, che ci ha procurato un’accoglienza da sovrani: il dottor Redaccio ed altri; noi tutti giù a precipizio su Bosa (7000 ab.), dove ci accoglie una festa eccezionale, tutta la popolazione, società operaie con le bandiere, autorità, clero, seminario, scuole. Il vescovo mons. Cano ci fa sapere che sta preparando la colazione Cuglieri.
Al Municipio un rinfresco: io devo parlare dal balcone al popolo affollato; poi sei barche. risalendo il Temo, ci portano alla villa di Calameda del dottor A. Fara, dove ci attende un secondo rinfresco, in una verdura idillica, con altri brindisi del sig. Gavino Poddighe, e del prof. Meliconi; per rispondere devo evocare la Grecia, Orazio e Tibullo e il Meliconi per sopraffarmi stampa il suo discorso in elegante latino.
Ma l’ora preme, e dobbiamo salire a Tresnuraghes (250 m.). Alla bicicletta non pensiamo: la ferrovia ci sfugge, e saliamo a piedi per l’erto sentiero (33 chilometri da Macomer).
A Tresnuraghes (1800 ab.), fiori, applausi, un rinfresco interminabile, discorsi affettuosi e gentili del sindaco cav. F. Zedda Arpene, d’altri eloquenti oratori, ai quali rispondo.
A Sennariolo (400 h., 400 m.) si accontentano di offrirci un vermouth in una elegante baracca sulla strada, e così alle 13 arriviamo a Cuglieri (409 m. con 4500 ab.), entusiasti della magnifica veduta e delle accoglienze indescrivibili.
Il vescovo di Bosa mons. A. Cano, il sindaco cav. Raffaele Passino Enna sempre affabile, il conte Carta-Mameli ci salutano. La colazione dataci dal Municipio è eccellente, ed ha luogo nello stesso palazzo del vescovo. Brindisi eloquenti ci rivolgono il sindaco, mons. Cano, il pretore Tamponi, l’avv. Passino a nome della cooperativa agraria, discorsi affettuosi ed eloquenti, sì che debbo rispondere con un altro discorso.
E bisogna strapparci alle cortesie infinite, ripassare sotto una pioggia di fiori e… ringraziar Dio che i 43 chilometri che ci dividono da Oristano, lungo gli stagni ed il mare, siano deserti di villaggi sino a Riola. Qui arriviamo alle 18 (1124 ab., a 31 metri) e troviamo il console d’Oristano Leandro Floris, il cap. Deidda, l’avv. Meloni ed altri ciclisti Oristanesi. Siamo proprio costretti a fermarci brevi istanti, bevendo e ringraziando in poche parole.
Nei vicini villaggi di Nurachi (1800 ab.), Donigala Fenughedu (460 ab.), passiamo anche più rapidamente, ben dolenti di non poter visitare Cabras, le rovine di Cornus e dell’antica Tharros, tante altre bellezze e tante altre rovine.
A Nurachi fra uno scoppio d’applausi stringiamo la mano all’amico Casotti, l’infaticabile capo console della Sardegna che lavorava da un mese con vero accanimento pel successo della escursione e tutti eravamo desiderosissimi di abbracciare.
Arriviamo ad Oristano (88 chil. da Macomer) verso le 20 (7020 ab.) e tra una festa indescrivibile, ammirando confusi i ricordi della storia, le bellezza della natura e dell’arte, la gioia degli abitanti, siamo tratti a un ricevimento fastosissimo al Municipio. Vi parlano il sindaco Sanna, l’amico senatore Parpaglia, che abbraccio affettuosamente, il maestro Corrias, il corrispondente dell’Unione Sarda, io rispondo, e pоi a сеnа, a visitare la città, ad un’altra bicchierata al Circolo operaio….. Quando Dio e la cortesia sarda la consentono, molto dopo la mezzanotte, si va a letto.
Alle sei del 6 siamo in marcia. Ma ci arresta quasi subito la monumentale basilica di Santa Giusta (1211 ab.) ed un rinfresco offerto nelle stessa sacristia dal sindaco E Corrias e dal prelato, di cui profittiamo alla spicciola. «La va lunga ne sospinge», e lungo la via i non pochi comuni, con relative bicchierate e discorsi.
A Marrubiu (1265 ab.) pochi si fermano, a Terralba (4500 ab., 8 m.) cerco di raccogliere le squadre un po’ sbandato dal pensiero dei 30 chilometri di palustre Campidano da attraversare sotto un torrido sole. Il sindaco avv. F. Porcella ci rivolge tuttavia cortesissime parole, cui rispondo; ma a San Nicolò d’Arcidano passiamo oltre, e quel sindaco R. Montixi se n’ha a male… Ma a che ora saremo arrivati la sera ad Iglesias (88 chil. da Oristano) senza coteste nostre fughe poco cortesi?
Infatti arriviamo a Guspini (6500 ab., 114 m.) e non possiamo visitare ora il nurago di Saurecci, forse il più bello dei duemila di cui è sparsa l’isola, né tanto meno le miniere di Montevecchio. La colazione à eccellente, i vini squisiti. I brindisi non pochi e tutti cordiali e veramente entusiastici: io saluto tutti, rispondo a tutti. Applausi interminabili facciamo a Gasco, il brigadiere valoroso che ebbe strapazzato il collo in un conflitto coi banditi, e le medaglie d’oro al valore e al coraggio. Egli ci vuole tutti in caserma e ci aspettano 54 chilometri con le altimetrie di cui danno una pallida idea questa cifre: 137 metri, 381, 311, 462, 42, 408, 600, 110 che vogliono quasi dire la metà della strada a piedi. Tuttavia bisogna fermarsi alle bicchierate sontuose, agli applausi, ai fiori, alle cortesie infinite di Arbus e di Fluminimaggiore.
Ad Arbus (5000 abitanti, 323 m.) nella sala comunale, parlarono il cav. Caucedda, che mi ricorda la vita universitaria ed i miei discorsi di Torino, il segretario comunale ed altri; rispondo e via per Fluminimaggiore (5000 ab, 81 m.) imponentissimo centro minerario, affollato, imbandierato, festante. Parlano il segretario comunale Francesco Rocca, il Sindaco G. Lepori, ed io rispondo; ma Iglesias è lontana, la via faticosissima e alle 18 ci strappiamo ai tanti cortesi.
Infatti si arriva a Iglesias verso le 21, tardi, perdendo in parte la festosissime accoglienze preparate, con bandiere, musiche, fiori…. le nostre macchine sono d’acciajo, siamo quasi d’acciajo anche noi, ma alla cortesia sarda neanche l’acciajo resiste. Si rimanda la bicchierata; ma si va ad una sontuosa cena di 200 coperti al Politeama, con tutte le autorità, colle società operaje, con un immenso entusiasmo. Più d’uno casca assonnato sulla tavola! ma il Sindaco cav. Fontana sveglierebbe anche i dormienti dell’ultimo giudizio, con la voce squillante e le parole affettuose; gli tengono dietro il sottoprefetto Dalce, il Console Martinazzi, il nob. don R. Rodriguez, il prof. Girolamo Pinna, l’avvocato Mascia, presidente del circolo Sport: la mezzanotte è passata, ed io rispondo a tutti; alfine lentamente ci ritiriamo.
La mattina del 7 col signor Lodovico Martinazzi, infaticabile ed operoso console di Iglesias, col suo collega Giovanni Crotta e col console di Carloforte, Giuseppe dottor Masra [?] – un altro seduttore per le tonnare – accompagnati da amici e cittadini di Iglesias, andiamo a visitare le miniere di Monteponi. Il commendatore Ferraris e tutti i suoi impiegati si mutano per noi in guide cortesissime. Si sale su allo scavo Congiaus, si scende nei pozzi, si visitano le laverie, la macchine, si seguono tutte le operazioni. Un rinfresco, pare impossibile, senza discorsi: poi ad Iglesias, colazione al Leon d’Oro, bicchierata al Municipio, dove parlano ancora il Sindaco cav. Fontana, Ispettore Pinna: per tutti noi risponde eloquentemente il cav. Magagnini… io mi nascondo dietro, ma è inutile, devo cedere…. e…. fare un altro discorso.
A Domusnovas (2607 ab.) il Sindaco, il parroco, i notabili, la popolazione festante, attendono noi e gli amici, che da Iglesias cі accompagnarono in bicicletta, in vettura, a cavallo, sino all’ingresso delle grotte di S. Giovanni o De l’acqua rutta (162 m. lunga 750). Un altro spettacolo scenico indescrivibile, un altro ricevimento indimenticabile, come il vino freddo, i dolci prelibati. Anche qui nessuno parla, di fronte al muto, solenne linguaggio della montagna: il silenzio è rotto però continuamente dagli spari di mortaretti, e dagli evviva interminabili.
A Siliqua (2546 ab.), altro ricevimento con vini prelibati: ammiriamo su in alto le rovine del castello del conte Ugolino; parlano i consiglieri Ghisu e Piroddi, che hanno da me una breve risposta, perché Cagliari, la capitale, attende, e guai a non arrivare all’ora convenuta!
Bisogna poi recarsi a Decimomanuu (1500 ab.), dove la compagnia di barracelli schierata ci saluta con salve d’onore; il Sindaco, le autorità, con una profusissima bicchierata nell’ampio locale del Monte granatico.
Ad Assemini passiamo ordinati, ma decisi a proseguire, fra due file di popolo festante; già il Sindaco di Cagliari ci aveva mandato il suo saluto a mezzo del sig. Emilio Magnini; già ci erano venuti incontro il Capo Console Casotti ed altri ciclisti valorosi.
Ad Elmas aumentano; molti ciclisti di Cagliari, le due squadre belle, ordinate, di grande effetto, dell’Amsicora e dell’Eleonora d’Arborea. Tutti ci ordiniamo presso la casa ospitalissima del sig. Suello, e dopo un’ultima bicchierata, si parte; siamo più di cento, con lungo seguito di carrozze e cavalieri; tutti gli ufficiali superiori, tutte le autorità, e ciò che la città ha di più elegante; il resto della popolazione è schierata lungo le vie, affacciata ai balconi per gettar fiori, o sulla piazza magnifica tenuta sgombra. All’Arborea deponiamo le macchine e salutiamo il sindaco cav. Picinelli e le altre autorità. Dopo il pranzo… un’altra bicchierata ai canottieri Icnusa – dove si erano raccolte anche le altre due società ginnastiche Amsicora ed Eleonora d’Arborea che ci avevano incontrati, accompagnati, colmati di cortesie – pone termine alla giornata indimenticabile.
Il giorno 8 fu consacrato a Cagliari. La mattina visita alla città e ai suoi monumenti. Alle 10 un giro nel golfo su due vaporetti, con quella guida squisitamente gentile e superlativamente intelligente che fu per noi il conte Saint Just di Teulada, ingegnere capo del genio civile. Alle 14 il lunedì, veramente splendido, ai giardini pubblici, fra il rezzo delle piante e i concerti musicali, con oltre 300 invitati, come dire tutto ciò che Cagliari ha di notevole… nel nostro sesso. Brindarono il sindaco cav. Picinelli, ed io, con un discorso non breve, risposi per tutti, ma tutti parlavano meglio colle strette di mano, coi ringraziamenti infiniti. Seguirono poi discorsi eloquenti e commossi, l’avv. Efisio Tionet, il cav. Zara, un reduce di Crimea, il dott. Casotti, fatto segno a una imponente dimostrazione; il console Forlanini, operosissimo, fece distribuire una sua bella ed elegante composizione fotografica. Alle 18 gita nel Campidano di Cagliari col treno speciale messo con squisita cortesia a nostra disposizione gratuitamente dal comm. Merello.
Ci attendevano Pirri, Monserrato, Selargius, Quartuccio, ma facciamo capo a Quartu Sant’Elena, ad una bicchierata… che valeva davvero per cinque, con tutto il paese (6700 ab.), festante, con vini d’una memorabile squisitezza. Ci salutò commosso il sindaco cav. Fadda: parlarono il capo console Casotti e l’avv. Ventaglio; io ringrazio tutti, ricordando Quarto al mare e l’amatissima Regina nostra, e… via per Cagliari.
I colleghi e gli amici, auspice sempre il nostro Briarco-Casotti, ci diedero un banchetto, ma… fu lasciato a metà per assistere allo spettacolo dato pure in nostro onore al Politeama Margherita, per riprenderlo a mezzanotte. Al teatro, dove tra le signore belle ed eleganti e la eletta cittadinanza non avrebbe trovato posto uno di più, cantarono un «Coro a Verdi» trecento fanciulli; io presentato con troppe lusinghiere parole dal presidente del ricovero cav. Nobilioni, lessi e dissi una conferenza «sull’espansione degli italiani e sulla conquista della terra»; le società ginnastiche diedero prova dell’abilità loro. Il Ricovero di mendicità ne trasse qualche profitto e noi altri applausi interminabili e ricordi di affetto, di cortesia, di bellezze incancellabili.
La mattina dell’8… appena tre furono in grado d’inforcare il cavallo d’acciaio. Visto che neanche le trombe di Gerico sarebbero bastate a svegliare le squadre dopo… appena due o tre ore di sonno, ordinai la partenza in ferrovia sino a Gesico, spiacentissimi di lasciar così da parte Monastir, Senorbì e Suelli, dove ci attendevano le ormai consuete accoglienze: erano 49 chilometri risparmiati alle gambe e consacrati a Morfeo, ormai tanto sdegnato con noi da non lasciarci reggere in piedi.
I 7 chil. da Gesico a Mandas (2022, a 481 m) furono coperti in pochi minuti, all’idea della colazione servita dalle fanciulle nei bei costumi dal paese, dei vini gustosissimi e d’una ripetizione delle pietanze paesane di Bonorva. Ai brindisi parlarono eloquentissimi e cortesi il sindaco Francesco Gessa, il pretore Falchi, Vaquer, presidente del circolo, Santa Cruz, lo studente Locci, ed io risposi. Ma la sera bisognava arrivare alle 18 a Laconi, traversando parecchi comuni, dove stavano in agguato con infinite bottiglie, con feste e cortesie, chi sa quanti… banditi! Laonde si partì in fretta alle 14. Ad Isili (234 ab., 445 m.), archi di trionfo, bandiere, cavalcate con scene di costumi e di volteggio e una folla straordinaria. Alla bicchierata parlarono il sindaco Giovannelli e qualche altro.
A Nurallao altra fermata (1000 ab., 553 m.) sotto la solita pioggia di fiori, e ci vorrebbero trattenere a lungo, tanto che io mi levo a ringraziare, prima che si dia la stura ai discorsi, e via per Laconi (2000 ab., 534 m.). Arriviamo infatti alle 19 e i notabili col sindaco, il gentilissimo marchese G. Aymerich di Laconi, ci accolgono con squisita cortesia, ci conducono ai nostri alloggi, poi a visitare il castello in ruina, la cascata e una foresta meravigliosa. La sera, al banchetto copiosissimo e squisitissimo, datoci dal Municipio nell’ampia sala del Monte Granatico, parlarono l’avv. Trivero, il segretario Presta ed altri; io ringraziai, e ringrazio in romanesco anche l’amico Tomei…. che è dolente d’esser già sulla via del ritorno.
Il 10 giugno avremmo dovuto percorrere 107 kilometri, ma con difficoltà tali e con tali accoglienze che saremmo arrivati… la mattina dopo.
Avevamo già deliberato di prolungare d’un giorno la nostra gita per visitare Ozieri e seppi che se non l’avessi proposto io, la mia truppa avrebbe fatto un pronunciamento contro il direttore, e frattanto dormire a Fonni anziché a Nuoro. Infatti sebbene partiti alle 5 ci dobbiamo fermare non poco a Meana Sardo, sotto gli archi di trionfo, le frecciate degli occhi delle belle e i loro fiori, le cortesie infinite del Sindaco dott. Giovanni Mura Agus e di tutte le autorità civili ed ecclesiastiche (1807 abitanti, a 520 m.).
Partiamo a malincuore, passiamo da Atzara quasi di soppiatto, e alle 12 siamo a Sorgono, dove ci attende la colazione, poi discorsi affettuosi vibrati il sindaco cav. Antonio Costa, e qualche altro gentile commensale; io rispondo. Si visita il bell’asilo fondato dal cav. Doeno [?], dove i bimbi offrono canti e fiori, e dopo aver dormicchiato un po’ sotto gli alberi, alle 15 via per Fonni.
E’ un percorso amenissimo, fresco, dilettoso, di 38 chilometri con brevi fermate a Tiana (614 ab, a 478 m.), Ovodda (1112 ab., 722 m.) e al ponte del bivio Gavoi-Fonni dove ci attendono i sindaci, notabili e gli abitanti di vari comuni per i quali non possiamo passare.
Ai piedi della lunga salita di Fonni il giorno vien meno e ci aspetta l’intera popolazione coi pittoreschi costumi, ci aspettano le scuole schierate da più ore…. i forti affrettano la marcia; io monto a cavallo avendo a destra il sindaco Giuseppe Moro, e il segretario comunale, a sinistra il parroco e il padre guardiano del convento, dietro una stuolo infinito di cavalieri. Si beve sulla staffa all’uso sardo, e via…. di carriera, poi più lenti fino al paese, che già cala la notte. Ma quanti ci avevano aspettati, ci applaudono, ci augurano la buona notte: io ringrazio dal balcone, e si cena in fretta… non ci reggevamo più in piedi.
La mattina dell’11, mille metri sul livello del mare (3500 ab.) visitiamo la chiesa dell’ex convento dei francescani, un tesoro artistico che, se ancora non è, dev’essere monumento nazionale; ammiriamo la montagna, i costumi della gente vestita a festa per noi, dei fanciulli delle scuole nuovamente raccolti a salutarci. Alle 7 bicchierata in casa del signor Meloni Stefano, dove parlò applauditissimo il sindaco Moro ed io rispondo, poi via, scendendo come freccie a Mamojada (2043 ab. a 250 m.) in meno che non si dica.
Ма qui ci aspetta un altro ricevimento sontuoso e ci rivolgono saluti cortesissimi il sindaco del paese Don Cosimo Meloni, il prevosto mons. Scano ed altri. Io rispondo, i compagni guardano intorno e m’avvedo che più d’uno sta per cadere vittima delle fucilate… che sparano gli occhi di tanta belle quante ne vantano poche città del continente.
Via subito a Nuoro. Arriviamo alla 11, visitiamo la città (6212 abitanti, 501 metri), i dintorni incantevoli, andiamo alla colazione imbandita dall’ospitalissimo Municipio. Il collega on. Pinna ci saluta a nome di tutti, io ringrazio e si esce all’aperto. Ma il caldo è opprimente, l’afa insopportabile e bisogna scendere nella valle del Tirso. Sento una minaccia di sedizione dai ventri pieni di porchetta e di vernaccia e dò licenza di andare a Bono in ferrovia.
La metà ne approfitta: gli altri scendono la valle del Tirso ricambiando come possono le cortesie imbandite a Bottida e tutti siamo a Bono alle 17. Il paese si raduna intorno a noi (3166 ab., 580 m), ci ammira, ci applaude: vengono le Società operaje con la bandiere, che saluto in nome di Roma e del Touring, rispondendo al discorso del rappresentante del sindaco, il consigliere provinciale Sanciu Edoardo e al saluto cordiale del loro presidente per gli operai del Goceano.
Ed ecco l’ultimo giorno, non so se più temuto o desiderato, certo piombatoci addosso che nessuno se ne avvede. Si parte alle 5 e alle 8 siamo a Pattada per una via scabrosa di 30 chilometri, ma ci divertiamo a rincorrere il treno-lumaca delle ferrovie secondarie ed a superarlo. A Pattada (4000 ab. 760 m.) un’altra festa indescrivibile di costumi, di mortaretti, di cortesie, di offerte di ogni sorta; si beve, si canta, si brinda e parlano il sindaco colon. cav. Antonio Virdis Campus e due o tre altri.
Rispondo, e via per Ozieri, dove arriviamo in bell’ordine alle 11 dopo una breve fermata alla villa ospitale del cav. Tola. Quivi ci vengono incontro il Console Costa Tola e altri ciclisti di Ozieri, con cavalieri, e vetture [carrozze], e poi altri.
Siamo scesi da 1000 metri a 760: con infiniti dislivelli scendiamo a 450 e già dominiamo la città dalle falde del Monserrato cento metri più sotto, che discendiamo in un attimo, tra una folla festante di popolo.
Un ultimo banchetto con tutti i notabili, il più gaio, il più cordiale, il vero banchetto dell’arrivederci, con discorsi numerosi del console Carta Tola, del sottoprefetto cav. Scamone, del ff. di Sindaco Tola Grixoni, del prof. Reggiani direttore del ginnasio, del colon. Bertolotti, del can. mons. Appeddu, del maestro Gorla, del farmacista Sisini, ai quali rispondo, naturalmente con un discorso inspirato a tutte le belle cose vedute e a tutte le cortesie avute. Usciamo e piove a dirotto. Ma siamo, purtroppo, alla fine. La pioggia cessa e scendiamo alla stazione di Freigas (6 chil.) ad attendervi il treno.
La cortesia delle ferrovie sarde ci rende facile ad agevole il percorso di 89 chilometri, che non avremmo avuto più il tempo di fare in bicicletta, ed arresta il treno a Terranova, tanto che noi possiamo bere gli ultimi bicchierini di malvasia e di vernaccia, essere ancora una volta coperti di fiori, rispondere al saluto del Presidente del Comitato Signor Mureddu, con un ultimo saluto che è un vero strazio del cuore.
L’Amerigo Vespucci, non attende, e con una traversata piacevolissima, la mattina del 4 siano tutti a Roma, agli uffici, alle opere, alle cure nostre.
Da Ozieri, l’ultima nostra tappa importante, avevo telegrafato alla Direzione del Touring: «La carovana ciclistica ha compiuto in dodici giorni il giro della Sardegna percorrendo ottocento chilometri. Lasciando l’Isola, entusiasta delle bellezze indescrivibili della sua natura, delle cortesie insuperabili dei suoi abitanti, manda un saluto affettuoso alla Direzione del Touring, il quale anche in questa occasione si rivelò elemento prezioso pell’unità nazionale e pel progresso civile. – Brunialti».
Da Civitavecchia, appena sbarcati, telegrafammo ai giornali di Sardegna: «Appena posto piede continente, nostro primo pensiero si rivolge isola bella, ospitale, dove abbiamo passato dodici indimenticabili giorni. Tutti siamo entusiasti nostra escursione. Incapaci degnamente ringraziarvi, preghiamovi farvi interprete nostra affettuosa riconoscenza, coi sindaci, coi consoli del Touring, colle autorità tutte, colle signore che ci colmarоno di fiori, coi cittadini di tutte le classi che ci furono larghi d’ogni specie di cortesie, da Cagliari a Sassari ai più remoti villaggi. Possano tutti gli Italiani apprezzare ed amare la carissima isola, come faremo noi: possano arridere ad essa la felicità e la fortuna, che meritano le sue tradizioni gloriose, il carattere dei suoi forti abitanti, e possano questi trarre da un maggior ricambio d’affetti, la fiducia immancabile nel miglioramento delle loro presenti condizioni. – Brunialti».
L’escursione era durata 13 giorni invece di 12. Il mutato itinerario per la visita di Ozieri ci aveva indotto a tenere da Nuoro la via di Bono, anziché quella di Bitti, Buddusò, Alà.
Del mutamento telegrafai fin dai primi giorni ad Alà, dove ci si doveva preparare la colazione; non reputai necessario telegrafare a Bitti e a Buddusò, dove non avevamo prevenuto del nostro arrivo. I giornali dell’isola annunciarono il mutamento e nondimeno in quei due comuni ci attesero indarno. E indarno, tarde e fredde, riuscirono le nostre scuse. Poveri e cari fratelli di Bitti e Buddusò, che col dispiacere che derivò a noi dell’inutile attesa vostra avete messo due spine in questa magnifica rosa che fu la nostra gita, ma acceso anche in noi un debito maggiore di riconoscenza per l’infinita bontà vostra. Così a voi, come a tutti, una sola cosa diremo: che non potremmo mai esservi abbastanza riconoscenti, né ricambiarvi coll’affetto e colla stima che meritate.
Attilio Brunialti
Capo Console del T.C.I in Roma. [QUI e QUI]
Sulla grandiosa riuscitissima gita dei turisti romani in Sardegna abbiamo ricevuto, dalle varie località per le quali passò la comitiva, numerose corrispondenze. Siamo, con nostro dispiacere, costretti a sopprimerne la pubblicazione perché i fatti in esse narrati sono tutti sinteticamente riassunti nell’articolo del direttore della gita, on. Brunialti.
Diremo soltanto che tutte quelle lettere riboccano di frasi gentili dei colleghi sardi per i colleghi del continente.
– L’Unione Sarda, l’importante giornale di Cagliari, diede giornaliere, ampie, cordiali, entusiastiche relazioni della gita turistica.
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