VI.8 – Pranzo funebre
di Maria Azara
Poiché per il lutto non si accende il fuoco nella casa del defunto, pensano parenti ed amici a inviare alla famiglia afflitta ogni sorta di pietanze e in tale abbondanza che il consumo non potrebbe essere fatto dalla sola famiglia.
Ma a questo pensano i non pochi parenti e amici che partecipano al pranzo funebre. Durante il quale, poi, è anche consumata una parte della carne proveniente dalla bestia vaccina, uccisa per ordine del capo della famiglia del defunto. Quel che rimane del pranzo è distribuito ai poveri. Ma questo pranzo è caratteristico. È compiuto in silenzio come una cerimonia, ma chi più può più mangia finché tutti siano sazi (213).
(213). Cfr. circa l’abbondanza di questi pasti la nota (200). A conferma di quanto è stato detto nella nota stessa mi è stato riferito che ad un giovane il quale dichiarava di essere ormai sazio, il padrone di casa diceva, incitandolo a prendere ancora cibo: «Magna, Ciccheddu e si t’intèndi pienu, pesatinni, datti una sacculata e tòrra a magnà». (Mangia Cecchino e se ti senti sazio, alzati, datti una insaccata e mangia di nuovo).
Il pranzo presso i pastori si chiama multasgia o multoggju (214) e quanto più ricco di pietanze diverse e abbondanti tanto maggiore si considera l’onore reso all’estinto.
(214). Con la stessa parola, in senso traslato, si indica la carogna di qualche bestia, sulla quale i corvi e gli altri uccelli carnivori fanno il loro lugubre pasto.
Nell’anniversario della morte si ripete per qualche anno il regalo di carne ai poveri.