MISSIONE DI UN PADRE VALDESE A TEMPIO PAUSANIA
di Giuseppe Quattrini
1884
Rivista cristiana e bollettino della Missione della Chiesa Valdese
Firenze, Tipografia Claudiana
Anno XII, Ottobre 1884 ⇒
Il Bollettino d’Agosto, a pag. 272, ha di già fatto cenno d’un viaggio dal signor Quattrini mesi fa compiuto nell’Isola di Sardegna. Crediamo far cosa grata ai lettori pubblicandone l’interessantissima relazione, un tantino però abbreviata. Ed eccola.
«La mia gita missionaria in Sardegna ha durato un mese, dal 29 Aprile al 29 Maggio. Quando le scrissi che stavo per partire, Ella, signor Presidente, mi rispose: “Parta ed il Signore l’accompagni”. Il suo voto è stato esaudito: il Signore è sempre stato meco; mi ha accompagnato, guardato e protetto. Se qualche cosa mi è stata data di fare, a Lui, al Signore solo, ch’è stato meco, sia la gloria e l’onore, perchè fuor di Lui non possiamo far nulla.
Ebbi fin da T.[empio], per compagno il colportore P. Z. che il sig. A. Μ. avea messo a mia disposizione. Egli m’è stato di giovamento nel mio viaggio, essendo per me un caro amico ed un buon consigliere.
A Tempio Pausania mi trattengo un giorno e mezzo, un po’ per il tempo cattivo ed un po’ per stare coi miei amici, i fratelli C. di Rio, e membri della Chiesa di Livorno. Essi hanno in Sardegna un’importantissima lavorazione di carbone che i loro bastimenti trasportano in Ispagna.
Trovo a Tempio Pausania una lettera raccomandata proveniente da Tempio; è così concepita:
Tempio, 20 Aprile 1884
«Caro signor Q. M.E. Lo scopo di questa nostra, cioè di noi sottoscritti, è che desideriamo grandemente di essere evangelizzati da un ministro evangelico, onde potere conoscere più appieno la Verità Evangelica, e così speriamo che potremo molto più presto spastoiarci dalla menzogna che fin qui ci ha legati, e camminare con franchezza nella pura Verità che ci guida, la Parola di Dio. Lo preghiamo di venire, chè speriamo si troverà contento anche Lei con noi. Nella certezza di essere esauditi, anticipiamo i dovuti ringraziamenti, e lo salutiamo di cuore, nella speranza di poterlo vedere presto fra noi.
Seguono le firme.
«P.S. Le ripetiamo, venga, chè tutta la popolazione lo aspetta. Riguardo alla sala per tenervi conferenze può rivolgere una domanda per lettera all’ on. pres. della Società di M.S. che probabilmente glie la cederà, e forse più che volentieri.
Questa lettera era firmata da ventun uomini.
Il colportore a sua volta scriveva: «Io ho gran fiducia che il Signore benedirà le nostre fatiche in questo luogo».
Dietro tutto ciò, io raccolsi per certo che il Signore mi chiamava colà per evangelizzare a quei popoli.
Tempio è capo luogo di quell’estremo lembo della Sardegna settentrionale che porta il nome di Gallura. Trovasi in amena posizione, a 500 e più metri sul livello del mare. La sua popolazione è di undici mila abitanti, compresi i pastori che formano una popolazione di 3000 persone. La maggior parte della medesima è sparsa per la estesa campagna in gruppi di due, tre o quattro case, cui si dà il nome di Stazzo, specie di ovile isolato, dove vive un’intiera famiglia di pastori.
Gli abitanti di questa parte dell’Isola, dice uno scrittore, hanno un tipo speciale, caratteristico. La loro immaginazione è fervida, il loro carattere energico, la loro tempra d’acciaio. Hanno una naturale tendenza alla poesia, ed i loro canti sono improntati o di un affetto melanconico o di un umorismo satirico. Теnaci nell’amore quanto nell’ odio, una sola parola basta per intenerirli, una sola parola per eccitarli all’ira. Risentono molto del carattere dei Corsi, dei quali hanno lo slancio, la temerità, il coraggio …
Fin da’ tempi remoti la Gallura fu teatro di odi atroci e di tremende vendette. Di generazione in generazione veniva trasmessa la vendetta, nè rari erano le madri che mostravano ai teneri figli la camicia insanguinata del padre, per mantenere vivo nei loro petti l’odio al nemico, perchè potessero freddarlo divenuti adulti. Ond’è che scene di sangue funestarono assai spesso quella poetica terra, dove i cantici dell’amore venivano alternati, o confusi, coi canti dell’odio e della vendetta.
A Tempio, ove arrivo alle 3, trovo una grande aspettazione. Molti vengono a salutarmi, a stringermi la mano, a passeggiare meco, a mostrarmi il paese, come se fossi un vecchio amico. Mi si consegna intanto una lettera della Società di M. S., cui mi era rivolto per avere la sala, in cui mi si dice che la società convocata in seduta straordinaria ha deliberato non potere aderire alla mia domanda, tanto più che la sala è piccola…
Il vice presidente di questa società, uno di quelli che mi hanno chiamato, viene ad esprimermi il suo dispiacere per il voto della Società; dice che bisogna trovare assolutamente il locale, e mi assicura che per quanta gente vi sia, non mi sarà torto un capello. Egli ed altri amici prendono impegno desiderosi di udire e di far udire al paese la predicazione dell’Evangelo.
Per tre giorni cercano invano; domandano prima il teatrino, che può capire 500 persone, ma non l’ottengono. Un giorno trovano una sala; si va a vederla, piace, si accetta: due ore dopo il padrone non la vuol più dare! Un altro giorno fissano un’altra sala; si sgombra, si comincia a ripulire: la sera il padrone non ne vuol sapere! Queste difficoltà le avea prevedute.
Il vescovo Campus, informato di tutto, cercava in tutti i modi d’impedire la predicazione della verità. La Domenica era salito lui stesso in pulpito a predicare contro di me, chiamandomi emissario di Satana e lanciando la scomunica contro tutti quelli che m’avessero affittato un locale o che mi avessero albergato o che avessero avuto, in qualche maniera, rapporti con me.
A quelli che erano disposti a dare il locale, egli avea offerto danaro, ed a taluni andava dicendo che farebbero a me come si fece ad un tale a O., che, andato a predicare, fu scacciato a fischiate ed a torsi di cavolo. Ei crede di nuocermi, ed invece mi favorisce. E difatti v’è nella popolazione tale una curiosità che, per le botteghe, per le strade, nell’albergo, dappertutto mi si domanda da tutti: quando terrà la Conferenza? Mi rivolgo alla società degli ex-militari il cui presidente mi aveva dato buona speranza di ottenere la sala.
Egli convocò straordinariamente la società, ed il vescovo, saputa la cosa, vi fece intervenire quelli che sapeva a lui favorevoli, chiamandoli anche dalla campagna: per due voti, la sala mi fu negata, e nel darmi per iscritto partecipazione della cosa, il presidente diceva: «Con mio sommo rincrescimento le significo … есс.»
Dietro consiglio degli amici, scrivo alla Giunta Municipale onde avere l’atrio di un ex convento ed anche la Giunta mi risponde essere dolente di non potere aderire alla mia richiesta…
Tutto il paese è sommamente interessato. La sola presenza di un povero evangelista mette sottosopra una città… Eppure non ho ancora parlato in pubblico!
Dovunque passo sento a dire: è chillu! è chillu! mai un fischio però, mai un insulto. Gli amici temono che me ne voglia andare. Uno viene da me e mi propone di andare in aperta campagna. Viene un altro e mi dice: «se va via tutto è perduto: non deve partire! Noi paghiamo una sala 25 lire; è una vasta cucina: è sudicia, ma la faremo ripulire; non è decente, ma parli…». Accetto; ma anche questa cucina sulla sera ci è rifiutata.
Sin qui la nostra evangelizzazione non è stata che privata, per le case, per le vie ed anche in campagna.
La sera stessa del mio arrivo in Tempio fui condotto in una famiglia composta del padre, della madre e di otto figli, tutti giovani, tutti ben disposti per l’Evangelo. Viene una donna amica della famiglia; è bigotta. Si parla di religione. La donna parla sempre di Nostra Signora e dice che se Dio è potente per natura, essa è potente per grazia. Si parla di messa, di purgatorio, di preghiere pei morti ecc. ecc.
Poi essa dice:
– Dicono che devono venire due protestanti a predicare.
– E sapete che cosa predica questa gente?
– Predicano contro la legge di Dio.
– E sapete come sono fatti questi protestanti?
– No, ma andrò a vederli, andrò a sentirli.
– Ebbene, io che vi parlo sono quel Protestante ch’è venuto a predicare in Tempio.
Non credo che quella donna abbia provato in vita sua più grande meraviglia.
Un tale che fu già frate e che ora fa il muratore, mi viene a trovare all’albergo. Legge da molto tempo la Bibbia; vuole dei trattati: ei non è lontano dal Regno di Dio.
Un altro era sagrestano; ma datosi con amore alla lettura della Bibbia, lascia chiesa, impiego ed ogni cosa, e vive da cristiano.
Un artista viene anche all’albergo a parlarmi; si dichiara ateo; pensa di trovare appoggio in me. Si dice ateo però perchè non crede nei preti. Gli fa senso quando gli dico che noi non miriamo a distruggere, ma ad edificare.
Evangelizzo una guardia daziaria, uomo serio, religioso. Egli vorrebbe che Gesù prendesse ognuno all’età di sette anni e gli facesse vedere l’Inferno e quanto vi si soffre, poi lo portasse sulle porte del Paradiso e gli facesse vedere quanto vi si gode; quindi gli dicesse: “Ora va e scegli”. “Una bella cosa, gli risposi; ma Gesù Cristo ci ha fatto vedere Inferno e Paradiso. La sua Parola è vivente: si prenda, si legga ed ognuno si attenga a questa Parola”.
Un giorno mi trovo in una casa ove è una bambina malata d’angina. Il padre è amico dell’Evangelo; vi sono alcune donne. Leggo il fatto della figliuola di Iairo e parlo di G. Cristo, a cui bisogna andare nelle nostre afflizioni. Quelle donne sono sommamente interessate; ma quando propongo di pregare, esse non vogliono: ritengono che non si possa pregare che in chiesa… Un prete, fratello dell’amico nostro, venne l’indomani ad esorcizzare la casa.
L’evangelizzazione di privata doveva però divenire pubblica: era la volontà del Signore, quantunque io avessi un momento pensato che il Signore mi chiamava altrove.
Il vescovo, per tre giorni di seguito, predica contro di me, e durante una notte vengono affissi per la città manifesti sediziosi che i carabinieri distruggono prima del giorno.
Una mattina, esposti in piazza i libri, un canonico manda a sfidarmi ad una discussione sulla confessione auricolare. Accetto subito, a condizione che la discussione sia pubblica. Il canonico non si fa più vivo.
Un signore, certo sig. T., volteriano, di cui avea fatta la conoscenza e col quale aveva avuto varie conversazioni, persona ricca, influente, mi offre due stanze e le andiamo a vedere. Si accede ad esse mediante una scala esterna. Accetto ringraziando, e gli amici vanno subito a ripulirle, mentre si fa correre la voce che, la sera alle cinque, vi sarà la conferenza.
Arrivo alle cinque meno cinque; un immenso popolo si trova nella strada: impossibile che tutta quella gente possa capire là dentro!
Si grida da molte parti: parli fuori, parli fuori; vogliamo tutti sentire; salga sulla gradinata e parli… Domando al delegato di P.S. se non scioglierà l’assembramento.
– Parli pure, mi dice.
E qui devo dire che trovai sempre in questo delegato, calabrese, un uomo compitissimo, molto favorevole, evangelico di cuore: ei giubilava nel vedere l’Evangelo predicato.
Salii dunque su quel pulpito di nuovo genere: a destra, a sinistra, davanti, ho un immenso popolo, si fa un gran silenzio ed incomincio coll’invocazione. Leggo quindi 1 Cor. II e poi Geremia VI, 16, e comincio a parlare dei nostri bisogni religiosi per soddisfare i quali Iddio ci ha dato varie fonti, la Bibbia, l’Evangelo, G. Cristo.
Queste fonti sono state guastate, il Cristianesimo è stato corrotto: dobbiamo tornare al Cristianesimo vero, alla religione dei padri. Dico quali siano i nostri principii, che cosa siamo e che cosa vogliamo.
Il mio discorso fu ascoltato con molto silenzio e con grande attenzione. La sera in città non si parlava d’altro; tutte le classi della società erano intervenute, anzi gli operai aveano lasciato il lavoro perdendo volentieri un quarto di giornata.
Il sig. T. mi offre, per altre conferenze, un vastissimo cortile aperto da una parte sulla campagna e dall’altra parte circondato da case. L’accetto.
Il giorno dopo alla stessa ora, passo per la piazza, un’immensa folla mi sta aspettando, mi circonda, mi segue. Il cortile si riempie e le finestre ed i balconi delle case vicine sono gremite di gente; quattro preti perfino si trovano ad un balcone. Gli amici, nella giornata, avevano costruita una piattaforma, vi salgo; leggo Giovanni VIII, e parlo della religione della libertà, e di Gesù Cristo che ci franca. Il popolo è due volte maggiore del giorno precedente.
Tutto il giorno il tempo era stato minaccioso molto. Per quell’ora non piovve. Alle 6, appena ebbi finito, venne giù un acquazzone che durò tutta la notte; questa gente parlò di miracolo…
Anche questa volta il mio discorso venne ascoltato con grande entusiasmo. Donne, uomini, mi vengono a salutare mentre mi lascio condurre in una casa ove mi si offre da bere ed ove si raduna altra gente per sentire ancora qualche cosa. In questo mentre accade un fatto dispiacevole e che poi riprovai.
I preti che erano venuti ad udirmi, aspettati dalla gente, nell’uscir di casa furono fischiati e si gridò dietro a loro: fuori i preti! non vogliamo preti!
L’indomani il delegato di P.S. venne all’albergo a dirmi che il sotto-prefetto avea bisogno di parlarmi. Vi andai, accolto col massimo riguardo. Questo signore mi comincia a parlare di timori, di disordini, di spargimento di sangue da evitare; mi parla di manifesti, di complotti ecc.; mi consiglia, quasi mi comanda, di non tenere oggi la conferenza e di partire.
Rispondo che invece di disordine c’era stato il massimo ordine, che non potevo assolutamente tralasciare di dare la mia conferenza, perchè annunziata, ed in quanto a partire, me ne sarei andato quando mi faceva comodo.
La sera detti la mia conferenza. Non ho mai in vita mia avuto tanta consolazione; mai ho parlato a tanto popolo. Il mio soggetto era: La religione che ci abbisogna.
Quale accoglienza! Le donne s’erano spinte fin nel cortile; gli operai avevano abbandonato il loro lavoro; i contadini venivano dalle campagne; i pastori lasciavano le loro greggi e chi dovea partire si trattenne. C’era in quella sera, tutta la cittadinanza.
Stetti ancora due giorni a Tempio procurando che questo movimento producesse qualche frutto.
La sera prima della mia partenza tanti vennero a salutarmi dicendomi:
– No, non vogliamo più dare i nostri figli ai preti; come faremo pel battesimo e l’istruzione loro? Oh! non ci abbandonate!
Naturalmente il vescovo, i preti scatenavano ora tutti i loro fulmini, essi che s’oppongono sempre alla verità. Ma sono invisi; tutti si sono distaccati da loro.
Epperciò così mi hanno accolto, perchè esprimevo quello ch’essi sentivano, e mi mandarono più tardi una petizione firmata da oltre cento uomini, petizione trasmessa naturalmente al Comitato nostro, onde la prenda in considerazione e probabilmente accolga la domanda presentata nella medesima.
Dal Palau, in mezz’ora di barca, s’arriva alla Maddalena. La Maddalena o Ilva, è isoletta compresa nella provincia di Sassari. Avevo desiderato recarmi in quest’ isola, prosegue il sig. G. Q., perchè sapevo esservi nel passato dei fratelli evangelici. Ne trovammo due, certi S. D. e P. G.” S. è un uomo serio e anche spirituale. Egli s’è formato un nucleo d’amici che ha istruiti nella Verità che salva. Sono in corrispondenza con loro, e così loro in relazione ora colla Chiesa nostra, ci disse giorni fa il sig. Q.
Trovandomi alla Maddalena, sarebbe stata pazzia non visitare Caprera, l’isola celebre, ove visse per tanti anni, ove morì, ov’è sepolto l’eroe dei due mondi che ha tanto contribuito a darci l’Italia. Una barchetta ci conduce là in mezz’ora.
L’isola, la casa del generale è deserta! V’è il solo guardiano ed un picchetto di bersaglieri che montano, giorno e notte, la guardia alla tomba di Garibaldi, ricoperta da un enorme macigno di granito rozzo, che mi fu detto pesare otto tonnellate!
Quale impressione si prova distogliendosi da questa tomba ed entrando nella sala ove morì ed ove, in un quadro, si legge questo testamento scritto dal generale stesso:
– Avendo per testamento determinato la cremazione del mio cadavere incarico mia moglie dell’eseguimento di tale mia volontà, con legno di Caprera, e pria di dare avviso a chicchessia della mia morte. Ove morisse essa prima di me, io farò lo stesso per essa. Verrà costrutta una piccola urna di granito che racchiuderà le ceneri di lei e le mie. L’urna sarà collocata sul muro dietro il sarcofago delle nostre bambine e sotto l’acacio che lo domina. “G. G”.
Allontaniamoci da questo luogo ove spira tanta mestizia, ove sono mille ricordi, ripetendo le parole scolpite in una ghirlanda d’oro: «Onorare la virtù e la grandezza degli uomini insigni» come l’immortale G. Garibaldi è dovere d’ogni buon cittadino.
A Sassari visito alcuni svizzeri conosciuti a Livorno, ove frequentavano la nostra Chiesa, lieti di rivedere un pastore, anzi il loro pastore.
Il colportore Zampatti mi fa anche fare la conoscenza di un tale G. del Lago Maggiore, cui piacquero talmente i Salmi, che li copiò tutti onde poterli portare ai suoi a casa, e li copiò affinchè non si vedesse il nome di Diodati. I suoi ne fanno lettura prediletta ed il curato li legge anche lui e li trova bellissimi.
A Sassari mi capitò anche nelle mani il giornale La Sardegna ove lessi questa corrispondenza: «Un evangelista gira per la Gallura mettendo sottosopra i popolani». Ne presi subito occasione per scrivere una lettera al Direttore di quel giornale onde spiegare la mia missione. La mia lettera fu pubblicata in parte.
Sin dallo scorso marzo avevo ricevuto una lettera da Cagliari da certo P. O. che mi diceva rallegrarsi immensamente della mia prossima visita in Sardegna, supplicandomi di andare a Cagliari a predicare ed a battezzargli due bambini, uno di tre anni e l’altro di sedici mesi.
Andai dunque a Cagliari per conoscere quest’uomo e vedere di che cosa si trattava. Trovai che quest’uomo è un vero cristiano, da anni convertito di cuore al Signore e ricevuto nella Chiesa Battista; però era uscito da questa Chiesa di cui non vuole più sapere e con lui erano usciti altri quattro o cinque. Costoro volevano ch’io cercassi il modo di predicare e di dar principio ad una opera in Cagliari. Non volli acconsentire loro, facendo loro comprendere che noi non vogliamo favorire nessuno scisma, nessuna divisione. Non mi rifiutai a battezzare i suoi figli, essendomi però prima assicurato ch’egli non faceva questo per far dispetto al ministro battista. Gli chiesi infatti come mai, lui battista, faceva battezzare i suoi bambini. Mi rispose che lo faceva per la famiglia, per l’opera che ritiene prospererebbe di più se si desse il battesimo ai bambini, e per personale convinzione. A questa cerimonia egli invitò tutti i fratelli evangelici, circa una diecina, e tutti i suoi parenti.
Io v’invitai lo stesso signor Cossu, min. battista, che vi venne colla famiglia. Si formò così una piccola adunanza. Lessi i Corinti capo 1, dissi perchè battezzava, ed esortai ad essere uniti, a perdonarsi e ad amarsi. Quindi amministrai il battesimo a quei due bambini.
Altra adunanza ebbi in altra casa, ove intervennero parecchie signore cattoliche, e allo stesso fine di battezzare un bambino figlio di certa Attilia Paoli, della nostra Chiesa di Rio, stabilita da qualche anno a Cagliari.
Altra famiglia della nostra Chiesa di Rio trovai colà e tutti quella sera riuniti in casa della sorella Paoli. E conclude il sig. G. Q. la sua relazione: «La Sardegna è ancora tutta da evangelizzare; vi sono molte difficoltà e molte: l’ignoranza, la ferocia, i delitti, le vendette ecc. ecc.; ma per questo essa ha forse più bisogno dell’Evangelo. Preghiamo adunque onde il Signore mandi operai nella sua ricolta».