Vita coniugale

di Francesco De Rosa

    Il marito è capo della famiglia, rispettato e venerato dalla moglie e dai figli come una divinità, per i quali, come avveniva fra i più remoti popoli, è legge indiscutibile ogni suo ordine, è verità indiscussa ogni sua parola. Egli, o coi frutti dei beni coniugali, o con quelli del suo ingegno, della sua attività commerciale od industriale o delle proprie mani, provvede ai bisogni della famiglia, all’educazione della prole, e ad assicurare possibilmente a questa un lieto avvenire. Quanto egli introita e guadagna, consegna alla moglie, perché ne faccia quell’uso che crede migliore al buon andamento e prosperità della casa; uniformandosi in ciò al vecchio proverbio, che è legge per i Galluresi: L’omu pal gadagnà e la fèmina pal tiné contu (L’uomo guadagna e la donna risparmia), e alle costumanze degli antichi Egiziani, presso cui le donne erano le padrone di casa (Diod. I, p. 31).

    La moglie, nel limite delle entrate o dei guadagni del marito, fa la spesa giornaliera, risparmiando quanto più può, per provvedere ai necessari indumenti della famiglia, pagare, quando non abbia casa propria, l’affitto, abbellire la casa di nuovi mobili, comprare lino e lana per convertirli in tela e in orbace o in altre tele e stoffe. Quando poi le entrate sono superiori ai bisogni della famiglia, conserva nello stipo[1] od in altro ripostiglio il danaro che sopravanza. Essa pensa in modo speciale all’educazione delle figlie, infondendo, coll’esempio d’una saggia e modesta vita, nel loro vergine cuore, le più preclare virtù, ammaestrandole nei lavori domestici e nel buon governo della casa, perché vengano su laboriose, econome e previdenti.

    Il marito non intraprende cosa alcuna senza consultarsi con la moglie, né da lei si allontana, senza darle spiegazione del perché e del tempo che potrà durare la sua assenza; mentre la moglie è libera di provvedere, nel modo che crede più conveniente ed economico, ai bisogni della famiglia, essendo ritenuta cosa biasimevole per un uomo l’occuparsi delle faccende domestiche.

    La moglie pensa inoltre a provvedere per tempo, senza farne parte al marito e sempre nei limiti delle proprie facoltà, il corredo necessario alle figlie che dovranno prima o poi sposarsi: tanto più che non usano i Galluresi, qualunque sia lo stato finanziario dei genitori, assegnare alle figlie, oltre il corredo, dote alcuna. Ed a preparare un tal corredo, pensa la madre, quando le figlie hanno compiuto il dodicesimo anno d’età, e spesso anche prima.

    Quando i genitori sono agiati danno alloggio agli sposi presso di loro, oppure concedono loro vitto ed alloggio per un certo numero d’anni, da due a quattro, perché in questo frattempo possano porsi in grado di rendersi indipendenti.

    La moglie è libera di fare e ricevere quelle visite che crede opportune e convenienti, d’andare alle feste e prender parte ai pubblici e privati trattenimenti; sicuro il marito che essa non farà alcuna azione che sia per lui di vergogna o disonore: cosa che egli per altro saprebbe impedire o far scontare a caro prezzo.

    Nei primi mesi, o dirò meglio nei primi anni di matrimonio, quando il marito non sia distolto dal lavoro o da altra occupazione, lo si vede in casa in grembo alla moglie o questa nel suo, abbracciati e sbaciucchiandosi a vicenda. È amore reciproco e intenso nei Galluresi, e, diremo, selvaggio. Guai a colui che prova offendere l’onoratezza o la pudicizia d’una moglie! guai a lei se cerca di gettare il disonore sul marito! Il suo amore si convertirebbe in odio efferato, terribile, a spegnere il quale spesso non basta il sangue degli adulteri.

     Come presso i Greci e i Romani, il rimaritarsi delle vedove non è ritenuto dai Galluresi per cosa molto onorevole.

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    [1] Mobile di vario tipo, destinato a contenere oggetti vari di abbigliamento o di uso domestico, spesso in legno pregiato e artisticamente decorato, in uso dal Medioevo fino all’Ottocento; in particolare, nome ancora in uso in alcune regioni di un tipo semplice di armadio che si tiene, spesso fissato al muro, nelle cucine o nelle dispense.

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