L’ARABA FENICE
Il principale richiamo turistico della Sardegna è dato dalla Costa Smeralda. Questa ha in Porto Cervo la sua località clou ed è gestita dal Consorzio omonimo, del quale, sino al settembre 1987, era presidente l’Aga Khan. Le altre aziende turistiche gravitano intorno al regno dell’esclusività smeraldina e sono distribuite lungo il versante nordorientale sardo tra Santa Teresa di Gallura e Siniscola. Concorrenti tra loro, esse hanno prodotto, ciascuna per sé, un’immagine specifica. Al contrario la Costa Smeralda non ha rivali. Tanto più che con l’acquisto effettuato nel 1986 dello Sporting Hotel, della Marina e di numerosi negozi di Porto Rotondo ha spazzato via ogni residua rivalità di questo villaggio a primeggiare nella zona. Non solo: tramite altre iniziative in programma sul litorale olbiese e, forse, persino a Cagliari, il Consorzio sta allargando ulteriormente il proprio raggio d’azione. Il fine è ovvio: fuori dal suo territorio, la Costa Smeralda si prepara a catturare gruppi sociali meno élitari della sua abituale clientela. E il motivo c’è.
Le mode cambiano. A principi, regnanti, emiri arabi e grandi industriali il territorio piace incontaminato. In perfetta sintonia con le tecniche di marketing, la Costa Smeralda si è adeguata ad una simile domanda. Ma pensa anche al futuro: a turismo meno ricco, territorio meno bello. Le regole del mercato sono rispettate: ogni cosa ha il suo prezzo e tutti possono essere comprati. Non a caso l’Aga Khan, nel settembre 1987, nel presentare le sue dimissioni da presidente del Consorzio Costa Smeralda, ha sostenuto, nella sua relazione all’assemblea, che per il Consorzio è assolutamente indispensabile gestire gli eventi, e non farsi gestire da essi.
In attesa del 2000, ogni azienda turistica recita il copione più funzionale o solo quello a cui può aspirare. Nel territorio-laboratorio del tempo libero installato nel nordest della Sardegna, Porto Cervo è stato imposto sul mercato come centro della discrezione e del bon ton; come villaggio della seduzione raffinata e della creatività bella e distante, dove il lusso spietato non estremizza lo chic se privo di principesca signorilità. Per l’élite frequentare gli alberghi dell’Aga Khan è quasi un obbligo. Non solo un’ostentata rappresentazione di forza e ricchezza. Spesso un impegno di lavoro, un modo per tessere relazioni d’affari. All’atteggiamento pragmatico del potere fa da contraltare quello delle classi medio-basse. Ad esse Porto Cervo è presentato come un tempio, una chiesa da visitare con la stessa devozione con cui il pellegrino va alla Mecca.
Nella reggia dei ricchi la folla non deve essere stanziale come nella riviera adriatica ma nomade. In Costa Smeralda il turista può, anzi, deve transitare. Ma la sosta è e resta un privilegio per pochissimi da allargare in futuro col contagocce: dipende dalle oscillazioni del mercato.
Una tale strategia è meno valida per Porto Rotondo. Questo villaggio offre di sé l’immagine di un teatro mondano più accessibile di Porto Cervo, dove si esibiscono parvenus spensierati e spendaccioni e dove la moda è solo sperimentazione fine a se stessa, drappeggio senza ironia di nude e sensuali schiene femminili.
A pochi chilometri da Porto Rotondo l’universo turistico presenta stelle meno luminose. La Maddalena a nord e San Teodoro a sud brillano di una luce opaca: richiamano masse turistiche meno ricche. D’altra parte gli Dei non sono stati sempre più vicini al sole?
Le forme-vacanza realizzate nell’area che ha il suo epicentro nella Costa Smeralda non sono standardizzate come un modello riminese dalle poche e sfumate variazioni. Nel litorale nordest sardo, l’offerta turistica si rivolge a fasce sociali medio-alte differenziate tra loro per censo, nazionalità e cultura. Ogni fascia è portatrice di particolari domande turistiche: dall’assoluta discrezione alla più eclatante eccentricità, da un quieto e silenzioso naturismo alla più rumorosa sportività. La marca dei differenti tipi di vacanza riflette le diverse richieste dell’utenza. Una «firma» basta per selezionarla: il turista che paga decine di milioni di lire per una settimana a Porto Cervo è altro da quello che frequenta lo Sporting Hotel di Porto Rotondo a 300.000 lire al giorno, o il Club Méditerranée di Santa Teresa di Gallura a 150.000 lire; ed è altro ancora da chi spende 80.000 lire a San Teodoro. Chi frequenta il regno dell’Aga Khan non lo fa certo per praticare pesca subacquea. Questo accade per i turisti in vacanza a La Maddalena, i quali, a loro volta, si distinguono dai cacciatori di pubblicità di Porto Rotondo”. […]
Viviamo in una società che ha fatto del tempo libero una seconda attività. A ragione, Illich afferma che l’uomo non si libera affatto dal lavoro attraverso l’automazione delle fabbriche. Semplicemente, l’energia degli individui viene canalizzata in altre direzioni. L’alienazione e lo stress si spostano dal tempo retribuito a quello libero. L’organizzazione della società capitalista riprende con una mano i vantaggi che concede con l’altra. Per chiunque, soddisfare i bisogni elementari come quelli estetici e ricreativi diventa un secondo lavoro. Essere snelli, in buona salute, trascorrere una vacanza esotica non sono più piaceri ma doveri.
In Costa Smeralda, e nell’area che prospera sotto la sua luce, le contraddizioni provocate dall’attuale organizzazione del tempo libero sono particolarmente esasperate: dal lavoro terziario all’ecologia, dalla colonizzazione culturale ai conati di rivolta, dalla “rifondazione” di una città millenaria. Olbia – all’edificazione di villaggi standardizzati – i Club Méditerranée. Forse, in nessun’altra parte d’Europa, come nella riviera nordorientale sarda, la macchina delle vacanze ha potuto agire tanto indisturbata dai centri del potere politico. Sviluppatasi in un’arida zona carente di vie di comunicazione, lontana oltre cento chilometri dal capoluogo provinciale Sassari al lato opposto di quello regionale – Cagliari – è diventata il paradiso della deregulation.
Un’isola il cui nome era una minaccia di trasferimento per funzionari incompetenti e indesiderati dal governo centrale si è trovata, grazie all’industria turistica, alla ribalta della scena internazionale. Con lo sbarco dell’Aga Khan una società di pastori e contadini è entrata in contatto con l’élite mondiale. In 25 anni la macchina delle vacanze ha cambiato il volto di questo lembo di Sardegna. Le tappe dello sviluppo economico sono state bruciate: da un’economia di sussistenza si è passati direttamente al postindustriale turistico. Per quanto possa apparire paradossale, la riviera nordorientale sarda è oggi più vicina a Milano di quanto non lo sia molta parte della provincia lombarda. Verificare, dunque, quel che accade in quel litorale significa spalancare una finestra sul futuro di un contesto sociale che supera i confini della Sardegna. Ed è naturale che l’indagine prenda il via dai due fari che illuminano quest’isola: Porto Cervo e lo Sporting Hotel di Porto Rotondo.
IL LUSSO COME BUSINESS
Dall’intervista al Direttore delle Relazioni esterne del Gruppo Costa Smeralda:
«D.: L’Aga Khan o Giovanni Agnelli, Juan Carlos di Spagna, lo yacht di Adnan Khashoggi, o Azzurra, rappresentano, nell’immaginario collettivo, la Costa Smeralda, i “clienti” di Porto Cervo. Il che è vero e falso nello stesso tempo. Più che dai simboli, quindi, è preferibile iniziare dalla concreta realtà del fenomeno: in sintesi. quali sono le principali attività del Gruppo?
R….. diciamo che siamo interessati allo sviluppo turistico. Uno sviluppo integrato, però. Integrato nel senso che ciascuna attività produttiva, pur essendo autonoma nel suo ambito. coadiuva le altre per produrre un turismo di qualità, di alta qualità… sia in termini di strutture che di attività rivolte alla clientela…
D.: Che elencate per sommi capi.
R.: Dunque… non secondo un ordine d’importanza, coma attività principali, c’è quella alberghiera, la ristorazione, quella sportiva, in particolare il tennis, golf e la nautica, poi l’attività immobiliare… forse la più importante… infatti lo sviluppo della Costa Smeralda è legato al turismo residenziale, quindi alla compravendita di ville, terreni o appartamenti. Infine, significative sono la cantieristica, la ceramica, il trasporto aereo… ah, dimenticavo i Servizi Consortili Costa Smeralda: un supporto indispensabile al turismo, con servizi che spaziano dalla protezione ambientale alle squadre antincendio, dalla sorveglianza all’ambulatorio medico.
D.: Per attività di trasporto aereo si riferisce alla Alisarda?
R.: Sì. L’Alisarda è una società del Gruppo. Nata venti anni fa, quando i trasporti erano alquanto precari, per collegare la Costa Smeralda all’Europa, è diventata, attualmente, una delle aziende private più importanti per lo sviluppo economico della Sardegna. Oggi, infatti, trasporta 950.000 passeggeri all’anno di cui solo il 10 per cento ha come destinazione la Costa Smeralda…
D.: Perché la maggioranza delle persone che frequentano le vostre strutture arrivano su aerei privati?
R.: No, no, no. Questo non è vero. Certo una parte dei nostri turisti viene con l’aereo personale o delle società per le quali svolgono le loro attività, ma non sono poi tanti… Abbiamo giusto recentemente effettuata un’analisi e verificato così che solo il 67 per cento dei nostri turisti o consorziati arrivano con aerei privati: solo il 67 per cento. Gli altri vengono con l’Alisarda o con il traghetto.
D.: Dimentica quelli che arrivano in panfilo…
R.: Sì, è vero. Ma anche questi sono pochi… Uno yacht di 2030 metri fa scena… Lo notano tutti… Ma a bordo magari c’è solo una coppia, un solo consorziato…
D.: Chi sono esattamente i consorziati?
R.: È semplice, sono i membri del Consorzio Costa Smeralda. Il Consorzio, fondato 25 anni fa… precisamente il 14 marzo 1962… è un’associazione priva di fini di lucro, tra proprietari di terreni o di immobili. I quali, unendosi tra loro, anno dato vita a un organismo che ha, per l’appunto, assunto il Smeralda. Non si tratta, dunque, di una area geografica da intendersi in senso stretto, ma di una associazione – il Consorzio – che controlla un territorio, strettamente delimitato, di circa 3500 ettari. Chiunque acquista un terreno o una casa su questo territorio entra a far pa parte, automaticamente, del Consorzio e ne accetta lo Statuto, che è molto rigido: ad esempio, nel territorio governato dal Consorzio nessuno può costruire senza l’approvazione del Comitato di Architettura; nessuno può violare le norme che tutelano il paesaggio; e così via.
D.: Acquistare o costruire una casa nel territorio del Consorzio significa, dunque…
R.: effettuare un investimento che si rivaluta nel tempo. L’ambiente è protetto, non ci sono rischi di imprevisti interventi esterni… Da noi, insomma, non può capitare quello che è già successo a Porto Rotondo. Dove chi ha comprato terreni e immobili 1015 anni fa ha subito lo sviluppo abnorme, negli anni recenti, delle zone limitrofe, il cui paesaggio è stato rovinato, abbassando così la qualità della vita, con un danno secco per il proprio investimento.
D.: Quanti sono i soci del Consorzio?
R.: Attualmente, circa 1.500. E di questi, a proposito di simboli e realtà, sono, forse, qualche decina quelli di cui si sente parlare sistematicamente sui giornali, che fanno notizia dal punto di vista di cronaca rosa o mondana. E non sono certo solo queste persone a fare il turismo della Costa Smeralda; ci sono anche loro, ma anche gli altri 1.400 soci e poi i frequentatori della Marina, quelli degli alberghi, che non sono necessariamente consorziati, e tutti gli altri, i tanti altri che vengono qui. E sono tutte queste persone che producono i 190 miliardi di fatturato annuo del Gruppo!”
D.: I consorziati, dunque, fanno anche affari..
R.: Un momento… Il Consorzio in quanto tale è una specie di condominio. Non ha proprietà, se non, forse, i mobili e gli arredi dei suoi uffici, né possiede società commerciali. Altro è il discorso relativo alle attività che, per conto proprio, conducono singoli o gli imprenditori soci del Consorzio. Le due cose non si possono confondere. Tra gli imprenditori interessati allo sviluppo turistico, ad esempio, c’è anche il Gruppo Costa Smeralda: che, direi, è l’imprenditore principale e realizza, attività di cui ho parlato all’inizio. Il Gruppo Costa Smeralda, che fa capo all’Aga Khan, per intenderci. conto suo, le è certamente ente il più rappresentativo, il più importante, ma non è la sola società imprenditoriale che fa parte del Consorzio.
D.: Tra i soci del Consorzio vi sono anche società concorrenti a quelle del Gruppo?
R.: Beh… concorrenti. Il mercato turistico è differenziato Vi sono più fasce di domanda… Mi spiego del Consorzio la parte la Costa Smeralda Hotels, la società del Gruppo proprietaria di quattro alberghi, Cala di Volpe, Cervo, Romazzino e Pitrizza che gestisce, inoltre, il Pevero Golf Club, uno dei migliori campi di golf del mondo e il Cervo Tennis Club, che disperse anche di 16 camere… tutti centri che hanno, ciascuno, ana clientela di un certo tipo, rispondono a determinate esigenze… Del Consorzio però, fanno anche parte altri imprenditori alberghieri, come l’Hotel Le Ginestre o l’Hotel Luci di La Muntagna, che non hanno nulla a che vedere con il Gruppo o con la Costa Smeralda Hotels… Hanno una loro politica societaria, una loro particolare clientela, un loro mercato. Certo, come soci del Consorzio sono interessati, così come lo è il Gruppo Costa Smeralda, alla valorizzazione del territorio, come imprenditori, invece, non hanno proprio nulla a che fare né con la Costa Smeralda Hotels né con il Gruppo
D.: Complessivamente, a quanta ammontano gli investimenti del Gruppo Costa Smeralda in Sardegna?
R.: E’ praticamente impossibile arrivare a delle cifre corrette. Anzitutto gli investimenti si sono realizzati nell’arco di 25 anni. Ed è oggi improponibile calcolare le modifiche al valore della lira in tutto questo tempo, l’inflazione, le rivalutazioni, gli ammortamenti, eccetera, eccetera. Poi il Gruppo Costa Smeralda ancora un bilancio consolidato, se non a partire dal 1964 primo anno di raggruppamento delle varie attività con al vertice la Finanziaria Costa Smeralda Sp.A. con sede a Porta Cervo Diciamo, comunque, che il valore patrimoniale attribuitole o alle realizzazioni del Gruppo Costa Smeralda ammonta a circa 650/750 miliardi di lire.
D.: Come si è arrivati alla costituzione della Holding?
R.: É un processo lungo. La Costa Smeralda è partita sin dall’inizio con obiettivi ambiziosi e chiari: realizzare, in campo turistico, un’impresa industriale. Ha dovuto tener conto, per quei tempi, del momento e della situazione logistica. Si è evoluta quindi, passo dopo passo. Ha cominciato pioneristicamente: vent’anni fa, ad esempio, l’Hotel Cervo è stato costruito portando i materiali dal mare perché non c’erano strade, non c’era l’acqua, non c’era nulla, insomma. Altro esempio: la Cerasarda è nata facendo piastrelle su misura pochi metri quadri per gli architetti che le disegnavano per le prime case.
D.: Quanto è durata questa fase?
R.: Circa 15 anni. In questi tre lustri le varie aziende hanno assunto, via via, più peso e importanza e, nel 1983, si è deciso il loro consolidamento in un gruppo. In vent’anni, quindi, si è raggiunto, gradualmente, il traguardo di partenza: fare della Costa Smeralda un’impresa industriale, una holding modernissima. E a ciò si è pervenuti senza forzare i tempi, sempre realisticamente, attraverso esperienze davvero interessanti, come quella dell’acquedotto. Non c’era, è stato costruito dall’Ente Regionale con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno e affidato, in gestione, alla Servizi Idrici Costa Smeralda, una società del nostro Gruppo, che provvede, puntualmente, a distribuire l’acqua a tutti gli utenti, siano essi consorziati o non.
D.: In totale, a quanto ammontano i dipendenti di tutte le vostre aziende e servizi
R.: In alta stagione, a circa 2.000-2.500. In inverno, invece, con la riduzione del personale addetto agli alberghi, ristoranti e, parzialmente, all’Alisarda in estate, ovviamente, i voli sono più frequenti si dimezzano. Quelli fissi, annuali, quindi, sono circa 1.000-1.500.
D.: Come va in questi anni l’attività alberghiera?
R.: Benissimo. Cominciamo dal 1985: un anno record.
I dati precisi non li ho sottomano: sono sul bilancio. Sono comunque ottimi. Meglio di quelli del 1984. Un anno particolarmente positivo. La Costa Smeralda Hotels, la società che gestisce i quattro alberghi e i due club che ho citato prima, nell’84, infatti, ha registrato circa 85.000 presenze e ha fatturato circa 20 miliardi. Nell’85 è andata meglio. Nell’86, poi, la stagione è esaltante e per il 1987 si prevede un ulteriore incremento.
D.: Avete risentito, nel 1986, delle flessioni del mercato a causa del secco calo della presenza dei turisti americani in Europa?
R.: No. Noi abbiamo una clientela diversificata per nazionalità. Gli statunitensi rappresentano solo il 15 per cento delle nostre presenze alberghiere. Gli italiani circa il 25 per cento, i tedeschi il 16 o il 17 e così via. Nei 1986, sono venuti meno americani, in percentuale però solo il 67 per cento, ma sono aumentati i tedeschi, gli inglesi, gli stessi italiani. Pertanto, non sono problemi. Del resto, noi siamo tra le due turistiche che, in Italia, utilizzano appieno le più sofisticate strategie di marketing.
D.: Può spiegare meglio come si concretizza questa tecnica
R.: Sicuramente. Il turismo è un’industria. Non basta il sorriso accogliente, il sole, la spiaggia brillante. Ci vuole organizzazione e programmazione. È normale che, nel tempo, i flussi turistici seguano mete diverse. Mi spiego. Nell’85, tra circa tre milioni di turisti americani piovuti in Europa, solo 12, mi pare, sono morti per attentati terroristici. Una cifra esigua. Ma è inutile fare il raffronto con i morti per gli incidenti stradali e con la violenza criminale negli Stati Uniti. Il problema è psicologico. Gli americani si sono impauriti. E, naturalmente, i tour operator statunitensi, nel 1986, li hanno indirizzati verso altre località: Antille o Alasca che siano, Per poi, come prevediamo, nel 1987, farli ritornare in Europa. È una questione di business. Un’industria turistica come la nostra, queste cose le sa, le prevede. Rientrano in una programmazione che calcola le variabili dei flussi di mercato, le tecniche di gestione dei pacchetti vacanze da parte degli operatori d’oltreoceano o europei e le conseguenze della fluttuazione delle monete, dollaro compreso.
D.: Insomma, il Gruppo Costa Smeralda agisce come la Fiat.
R.: Sì. Guardiamo le cose dal punto di vista generale. L’Italia come capacità ricettiva turistica è seconda solo agli Stati Uniti. Ma, nel settore, come capacità di marketing, siamo all’anno zero. Non è un caso che le industrie turistiche avanzate siano, da noi, solo due o tre. Non voglio entrare nel merito di problemi politici, non posso però fare a meno di constatare che, di fatto, l’Ente nazionale per il turismo italiano è inoperoso da dieci anni. II Gruppo Costa Smeralda, invece, agisce, su scala internazionale, per l’appunto, come la Fiat.
D.: Passiamo ad altro. Qual è, tra ville, alberghi, appartamenti, eccetera, la capacità ricettiva della Costa Smeralda
R.: Circa di 12.000 posti. Per il momento, l’industria turistica interessa solo un quinto dei 3.500 ettari che formano il territorio gestito dal Consorzio, C’è, dunque, ancora molto spazio a disposizione. E infatti, contiamo, nei prossimi venti anni, di triplicare la capacità ricettiva, passando dagli attuali 12.000 a 36.000 posti
D.: Offrendo che cosa oltre quello che già proponete?
R.: Il consorziato della Costa Smeralda non è il turista del Viaggio organizzato. Tra i nostri progetti futuri c’è quello di allestire, oltre al Pevero, un secondo campo da golf, perché questa è un’attività sportiva in espansione e di grosso richiamo a livello internazionale. Il golfista è una persona che ama la natura, che ama misurarsi su diversi percorsi. I tornei agonistici promuoveranno Porto Cervo come destinazione golfistica a livello internazionale. Ciò significherà raccogliere, speriamo, tante adesioni di clienti e di acquisti di proprietà immobiliari. Un po’ come abbiamo già fatto con le grandi regate agonistiche. Oggi lo Yacht Club Costa Smeralda, anche grazie ad Azzurra è conosciuto come uno dei centri nautici più importanti del mondo. E questo è molto utile al fine di prolungare la stagione e di incrementare le vendite. Quest’anno si è tanto vociferato sul mercato americano, che noi consideriamo importantissimo dal punto di vista alberghiero e nautico, ma molto meno dal punto di vista immobiliare, perché è difficile raggiungere più volte l’anno la Sardegna da oltreoceano.
D.: E cosa riservate di particolare ai turisti americani?
R.: Tra i nostri obiettivi c’è quello di offrire ai turisti americani e non, in navigazione nel Mediterraneo, un porto sicuro, un cantiere per la manutenzione ordinaria e straordinaria della propria imbarcazione prima di proseguire per altre crociere ai Caraibi o altrove. Noi rispondiamo ad una domanda particolare. Ma c’è spazio anche per altre imprese.
D.: Cambiamo argomento. Cosa rappresenta il lusso per i frequentatori della Costa Smeralda?
R.: C’è un’evoluzione del concetto di lusso. Venti anni fa gli alberghi avevano le maniglie d’oro e 24 valletti che facevano. ciascuno, l’inchino ai clienti. Esteriorità che allora sembravano raffinatezze. Oggi il lusso, che come espressione già non è più attuale, è dato dalla qualità, puntualità e funzionalità del servizio. Ai giorni nostri, quindi, lusso significa poter viaggiare comodamente e rapidamente; avere la possibilità di comunicare immediatamente, per telefono o per telex, con tutto il mondo: trovare cantieri capaci di riparare la barca o attrezzarla per la radionavigazione; poter giocare al golf o al tennis in un ambiente accogliente, tra gente garbata; essere ospitati in un albergo che lo stile alla modernità. Il lusso vecchia maniera potrebbe essere di per sé, attualmente, solo uno slogan.
D.: Qui a Porto Cervo?
R.: Ma, in assoluto… Ripeto: non si fanno più le maniglie d’oro. Non servono. Potrebbero sembrare kitch… Non occorre più avere 24 valletti o, come accadeva prima, 24 centraliniste, ciascuna addetta alle chiamate telefoniche. Oggi, il cliente vuole un collegamento intercontinentale diretto. Non gli interessa più avere 24 marinai per pilotare la barca. Ma cantieri capaci di insonorizzarla. Questo è il lusso odierno! Il cliente moderno non vuole più partire da Francoforte con l’Orient Express e arrivare 24 ore dopo, ma decollare comodamente in aereo e atterrare subito a destinazione. Ecco il lusso! Ecco la realtà e la ragione dell’Alisarda. Ecco, questo il paragone da fare tra quello che era il lusso 20 o 30 anni fa e quello che, oggi, possiamo ancora definire come lusso. Che, ripeto, non è inchino, ma funzionalità e qualità di servizio. Non camerieri eternamente sorridenti, ma professionisti che sappiano presentare simpaticamente piatti di buon gusto, esprimersi, parlare.
D.: Il servizio come arte?
R.: Certo. Perché no? Il servizio di qualità è un insieme di concetti e di cose che portano il turismo a diventare un’attività imprenditoriale particolarmente adatta allo sviluppo economico.
D.: E, a proposito di economia, quanto costa, mediamente, in Costa Smeralda, un appartamento o un terreno?
R.: Un appartamento, circa 3 milioni al mq.; un lotto di terreno, 150200 milioni. Il cliente su cui puntiamo è quello che può spendere 500 milioni, un miliardo. Cerchiamo, insomma, senza tanti giri di parole, persone che abbiamo stampato sulla fronte: 500 milioni.
D.: Ricerca che volete ampliare e ramificare. Non per niente l’Aga Khan, nel 1986, ha acquistato la marina, lo Sporting Hotel e un buon numero di negozi a Porto Rotondo. Operazione che “Mondo Economico” ha titolato immaginificamente: “La Sardegna diventa principato”.
R.: Lasciamo stare i titoli dei giornali. Formalmente, non è il Gruppo Costa Smeralda che ha fatto questa operazione, ma una sua società finanziaria, la Fimpar”. Mi rendo conto che si tratta solo di una sottigliezza giuridico-finanziaria. Ma ha il suo peso. Comunque, noi non abbiamo alcuna intenzione di effettuare operazioni immobiliari a Porto Rotondo. Ci siamo preoccupati, invece, di collegare l’attività nautica di Porto Cervo con quella di Porto Rotondo. Pensiamo, infatti, che la nautica da diporto sia un settore in forte espansione e naturalmente vogliamo gestirla, in questa zona, con i nostri criteri di qualità. Non dimentichiamo che Porto Cervo è l’unico porto turistico italiano classificato di 1° livello: Porto Rotondo invece, è solo di 2 livello. Una sinergia tra questi due porti favorirà sia la Costa Smeralda che lo sviluppo delle attività che noi gestiremo a Porto Rotondo. Ma in questo non c’è nulla di nuovo rispetto ai nostri propositi iniziali. Sin dall’inizio, avevamo programmato l’espansione della nostra attività da Nord verso Sud.
D.: Infatti volete anche costruire un albergo e un campo di golf nella zona di Olbia.
R.: Sì. Non è un mistero. Si tratta di un vecchio progetto del quale vogliamo solo anticipare i tempi. Naturalmente, in accordo con la Regione e con il Comune di Olbia. Del resto, una parte della Costa Smeralda rientra nel territorio di Olbia. Resta poi in piedi il Protocollo d’intesa del 1983 tra noi e la Regione che prevede tutta una serie di nostre attività fuori dall’area della Costa Smeralda: dall’aviazione agli aliscafi, dagli impianti sportivi ai servizi in generale. Il turismo è un’industria che non può essere lasciata in mano ai dilettanti. I suoi traguardi, incrementi e contraccolpi vanno pianificati a lungo termine: se necessario anche a 25 anni. Come abbiamo saputo e sappiamo fare noi.
D.: Il modello Costa Smeralda però è visto, in genere, dalla stampa o dalla TV come una struttura esclusiva per ricchi. un’isola nell’isola popolata dal bel mondo e da yachts di decine e decine di metri. Insomma, un modello dello spreco. È giustificata questa interpretazione?
R.: L’espressione ricchi è uno slogan, l’espressione spreco un altro slogan. Se andiamo per slogans, non arriviamo mai a nulla di serio, a nulla di concreto. Dobbiamo, invece, partire da un fatto: ci sono condizioni sociali di ricchezza, a livello internazionale, sicuramente diversificate. Se questo dato è capito nella sua realtà e nelle sue conseguenze logiche, allora scopriamo, per forza, che ci sono vari tipi di clientela, anche nel turismo. C’è, quindi, chi si può permettere solo il windsurf e chi, per ragioni economiche diverse, l’imbarcazione di 10, 20, 30, 40 o più metri. Questa diversificazione è un dato di fatto. È una realtà in cui la Costa Smeralda si cala. Si cala e dice: noi vogliamo raggiungere quella fetta di mercato interessata a un turismo di qualità, che sappiamo potenzialmente in grado di investire per avere quello che noi offriamo. Il turismo è una forma di soddisfazione personale. E noi ci muoviamo e ci adoperiamo per rispondere a questo tipo di desiderio. E, quindi, una questione di marketing, una questione di mercato. Alla domanda corrisponde l’offerta. Se io scopro qual è la domanda e faccio un’offerta in sintonia con essa, raggiungo il successo commerciale. Il nostro problema è questo e solo questo. Oggi fatturiamo 190 miliardi all’anno e l’obiettivo è moltiplicarli. La nostra è una industria, non un club».
PORTO CERVO: LA SELEZIONE
Dall’intervista a un portiere di notte dell’Hotel Cervo:
D.: Circolano molte voci sui prezzi degli Hotels in Costa Smeralda. Esiste un tariffario ufficiale, ma in realtà qual è la vera spesa media giornaliera di un cliente?
R.: Non meno di 600.000 lire a testa per la pensione completa. Alle tariffe infatti vanno aggiunti gli extra: soprattutto i clienti stranieri consumano colazioni più abbondanti di quelle standard e se chiedono in più due uova al tegamino pagano 6.000 lire; le uova al bacon costano 8.000 lire, una porzione di prosciutto crudo 12.500 lire… Una colazione più sostanziosa, insomma, può costare 2530.000 lire solo di extra… Il cliente, poi, paga a parte le bevande che consuma dal frigobar che ha in camera: un whisky, 6.400 lire, una coca, 3.400; mezza bottiglia di champagne, 47.000; una intera 130.000, anche più…
D.: Per questo tipo di clientela il consumo degli extra è la regola?
R.: Certo; ma sono anche obbligati. Negli alberghi della Costa Smeralda, come in quelli di tutta la zona, l’acqua non è potabile e una bottiglia di minerale, in camera, costa 2.500 lire, un bicchiere d’acqua al bar 1.000 lire. Le bevande, in spiaggia o in piscina, si pagano a parte e non sono comprese nel menù dei pasti; l’aragosta va prenotata… anche gli sports si pagano a par te…
D.: Qualche esempio?
R.: Mah… per utilizzare il campo da golf sono previsti degli abbonamenti: una coppia per un anno paga 1.450.000 lire, una persona per una settimana 250.000 lire… e poi c’è l’éscamotage delle camere…
D.: In che consiste?
R.: È semplice. All’Hotel Cervo le camere sono tutte doppie, tranne una, che, tra l’altro, viene affittata come doppia, soprattutto d’estate. In alta stagione, il listino prevede che un cliente, da solo, paghi per mezza pensione, circa 230.000 lire al giorno, IVA e tassa di soggiorno comprese. Ma non è possibile dargli una camera tutta per lui. E allora gli viene applicata la tariffa di camera doppia uso singola. Praticamente paga come se fossero in due… Comunque, le 600.000 lire o il milione che pagano qui ogni giorno per stare in albergo, sono niente a confronto di quello che spendono fuori. Conosco gente che, per passare dieci giorni a Porto Cervo, si è portata dietro 400 milioni di lire in traveller’s cheque… Spendono milioni per comprarsi le scarpe da Rossetti, milioni da Gucci, da Cartier, da Buccellati… Io sono sempre allibito da ciò; veramente allibito… Non so nemmeno come possono rischiare di portarsi simili somme appresso. I traveller’s cheque sono come soldi contanti… tu firmi e paghi… Se te li rubano addio… Eppure questa gente non si preoccupa, forse non ci pensa nemmeno: considera i soldi noccioline.
D.: Clienti come quelli sono eccezionali o normali per il tipo di Hotel dove lavori?
R.: Avari da noi non ne esistono. Qui c’è molto rigore. Stiamo attenti anche a non mettere nello stesso albergo famiglie di 25 persone. Potrebbero fare gruppo a sé, rumore, disturbare gli altri. La clientela è selezionata all’origine. È inutile dire che non c’è selezione, c’è eccome se c’è. Qui, come vuole l’Aga Khan, viene un mixing della élite di tutto il mondo. Gente che non desidera tra i piedi nessuno che non sia del suo ambiente, tanto meno finti ricchi. Un cliente che spende solo le 200300.000 lire giornaliere del listino, è un cliente da far fuori. Può resistere due o tre giorni al massimo. Gli si dice, in maniera garbata, che ha sbagliato albergo… si cerca di metterlo gentilmente alla porta, magari gli troviamo la scusa che si è completi, o che la sua prenotazione è stata accettata per sbaglio, gli troviamo un posto da un’altra parte, insomma si cerca di mandarlo via con stile… Se poi è uno che dà anche fastidio, che è rumoroso, gli si dice francamente in faccia che non è desiderato.
D.: La selezione della clientela avviene solo in questo modo o esistono anche altri sistemi?
R.: Certo. La selezione è di due tipi: una interna, che fa direttamente l’albergo, e l’altra tramite agenzie specializzate. Per ogni cliente, noi, in portineria, abbiamo una scheda dove scriviamo: accettare o non accettare. Cosi siamo sicuri per il futuro. Un abbaglio può capitare a tutti di prenderlo, ma l’anno dopo l’errore non si ripete. Poi ci sono le agenzie specializzate di cui ho accennato prima… una specie di agenzie investigative. Se arriva una prenotazione, un nome sconosciuto, cerchiamo di sapere da loro con chi abbiamo a che fare…
D.: Puoi darmi il nome di qualcuna di queste agenzie?
R.: No. Questa è una cosa molto riservata… non so se ci siamo capiti. Ti posso solo dire che sono agenzie di Roma, di Milano… non so il nome… ci dicono se il cliente è potenzialmente valido per il nostro albergo, chi è, chi non è, se è economicamente solido… queste cose qua…
D.: È vero che i clienti di Porto Cervo tengono molto alla privacy?
R.: Sì. Sopra ogni cosa. Amano la privacy e pagano qualsiasi cifra per averla. Il personale della Costa Smeralda Hotels, almeno da un certo livello in su, proviene dai migliori alberghi del mondo e si comporta con la massima delicatezza e discrezione… Sa trattare con qualsiasi tipo di persona, risolvere le situazioni. Sa mettere al suo posto il cliente un po’ esibizionista. il burlone. Qui, comunque, in genere, la clientela vuole e sa essere riservata. Ci sono, ad esempio, persone che vengono 15 giorni con la moglie, poi 15 giorni con l’amante e altri 15 giorni con un’altra donna. E davanti a un nostro imbarazzo, pagano a destra e a manca, dal segretario che li accompagna al facchino, in modo che la cosa resti sotto banco.
D.: Qualche episodio più significativo
R.: … Non… questa è veramente privacy. Posso solo dire che mentre il cliente di Porto Rotondo è il classico tipo che viene in vacanza, affitta la barca, affitta, non so, la prima escursione per andare a La Maddalena o a Caprera, il cliente di Porto Cervo, invece, va solo in posti esclusivi, incontra solo gente del suo tipo E se noleggia la barca, la noleggia solo per lui. Per andare, ad esempio, all’isolotto di Cavallo, dove non si può arrivare con mezzi normali, ma solo con la barca o l’aereo privato.
D.: Perché tanta privacy?
R.: Non so. Però, a Porto Cervo, non si viene solo in vacanza, ma anche per obbligo. Questa è gente dello stesso giro e fanno affari tra loro. Che so, Versace, Buccellati, Coveri, tutti questi stilisti di moda, il grosso potenziale della clientela lo hanno con la gente che viene a Porto Cervo. E allora, per loro, dare una festa o essere presenti a una festa in cui c’è tutta la gente, la crema di Porto Cervo, è un obbligo, una necessità importantissima. E poi ci sono gli incontri, gli affari, le conoscenze.
D.: Che generi di affari?
R.: Di tutto. Qui si incontrano tra loro sultani, emiri, politici, industriali… Parlano, trafficano… non so. Tempo fa, un senatore che all’epoca era ministro del tesoro o del bilancio, per tutto il tempo che è stato qua, è stato tallonato da un industriale che voleva ottenere da lui l’incarico per un appalto pubblico di miliardi e miliardi… Secondo voci di corridoio, l’affare è sfumato perché questo senatore chiedeva una tangente troppo alta…
D.: I nomi di queste persone… dati precisi…
R.: … Non so… non ricordo. Si tratta di voci, di indiscrezioni.
Si sa, ma è come se non si sapesse… Chiacchiere, notizie vaghe. Ma qui tutto rientra in una logica di interessi, d’affari. Anche il circuito della clientela. La Costa Smeralda, ad esempio, è inserita dentro il giro d’affari del turismo d’élite europeo e americano tramite la Ciga-hotels. Chi tira, però, le fila del tour d’élite dei grandi alberghi è una società straniera, la The Leading Hotels of the World, che tradotto significa i migliori alberghi del mondo.
La The Leading Hotels è una compagnia fondata oltre 100 anni fa. Tramite le sue sedi di Londra e di New York smista i clienti in Europa. La faccenda funziona così: la The Leading Hotels ha l’esclusiva del giro in tutti i migliori alberghi del mondo. Le varie agenzie di viaggio, in America, in Messico o in Argentina, che prendono 1’8, 5 per cento per mandare il cliente, concordano con lo stesso il tour negli alberghi di lusso. Che so, tre giorni a Saint Tropez, poi cinque di relax a Porto Cervo, e poi ancora Venezia, Milano, oppure Palma de Majorca, Malaga o Parigi. Queste agenzie si rivolgono poi alla The Leading Hotels che provvede alle varie prenotazioni e combinazioni del pacchetto. Quindi tu, come Costa Smeralda, ad esempio, non paghi le varie agenzie ma direttamente la The Leading Hotels, perché è lei che ti manda il cliente. Ed è la The Leading Hotels che provvede poi a rimborsare le varie agenzie. Questo giro, a sua volta, mette in moto tutta una serie d’interessi bancari. Mi spiego: il cliente di New York che prenota, non so, tre notti a Porto Cervo, paga subito il deposito per le tre notti. Ma a Porto Cervo ci arriva tre mesi, tre mesi e mezzo dopo la prenotazione. Nel frattempo, il denaro depositato frutta interessi. I soldi del cliente, infatti, arrivano in Italia al momento in cui questi mette piede in Italia, Sono soldi sicuri, che arrivano sempre, qualche volta con un po’ di ritardo, ma per seguirne tutta la trafila ci vorrebbe un mago, un genio della finanza».
LISCIA DI VACCA: IL BIP
Dall’intervista a una cameriera ai piani, un facchino e un lavapiatti dell’Hotel Pitrizza e ad una cameriera del personale del Cervo Hotel:
D.: Da dove provenite?
R.: (cameriera ai piani). Da Nuoro. Sono iscritta all’Università, in lingue. I miei genitori sono pensionati. Faccio la stagionale da sette anni. Prima lavoravo a Baja Sardinia. Da tre anni sono qui al Pitrizza.
R.: (lavapiatti). Io vengo da Torralba, in provincia di Oristano. Ho fatto tre anni di scuole superiori, un corso per impianti tecnici e scuola d’inglese all’estero. Ho 22 anni e sono alla terza stagione. Ho fatto un anno al Romazzino e due al Pitrizza.
D.: Come mai da Torralba sei finito qui?
R.: (lavapiatti). Perché nella zona dove vivo io non c’è lavoro: solo disoccupazione. Poi mio padre è morto circa dieci anni fa… faceva il capocantiere a Marrubiu…
D.: Passiamo a te. Qual è il tuo titolo di studio?
R.: (cameriera del personale). Ho la terza media. Anche io vengo da Marrubiu. Ho 21 anni, mio padre è pensionato e mia madre casalinga. Lavoro al Cervo, questa è la mia seconda stagione. L’anno scorso ero in un albergo vicino ad Abbiadori, Prima lavoravo in campagna, un po’ così…
D.: E te?
R.: (facchino). Ho 34 anni, la maturità classica e ho frequentato l’Università, quattro anni di medicina. Vengo da Tempio Pausania. Mia madre è insegnante e mio padre impiegato alle poste. Sono alla mia seconda stagione al Pitrizza. Dopo il diploma, prima di entrare negli alberghi, ho fatto parecchi lavori: il camionista, l’agricoltore, il mobiliere… lavoretti saltuari, quattro-cinque mesi…
D.: Come mai sempre a tempo determinato?
R.: (facchino). Sono le uniche possibilità di occupazione che ho avuto. Nella mia zona ci sono impieghi negli uffici… uffici giudiziari, queste cose qua, attività burocratiche… per cui l’unica via d’uscita è questa: o sei raccomandato e trovi un piccolo impiego o ti arrangi. Adesso, come tutti i miei colleghi, lavoro qui cinque mesi all’anno… Lo faccio per necessità, mi occorrono i quattrini. Certo non è una mia aspirazione lavare i cessi, ma ho moglie, una figlia…
D.: Come avete fatto per essere assunti?
R.: (cameriera ai piani). Ho scritto una lettera con le mie referenze a tutti gli alberghi della Sacs (ex società alberghiera, oggi Costa Smeralda Hotels), mi hanno chiamata e dopo 15 giorni di prova mi hanno assunta.
R.: (cameriera del personale). Io sono stata chiamata l’anno scorso dall’Ufficio di collocamento di Arzachena per sostituire una cameriera ammalata e poi mi hanno richiamata quest’anno…
R.: (lavapiatti)…. tanta gente si fa tre-quattro giorni col sacco a pelo qua vicino. Si presenta ogni giorno all’Ufficio di collocamento sperando in un’occasione, di trovare qualcosa…
D.: Anche tu hai fatto così?
R.: (lavapiatti). No, io sono entrato tramite una persona…
D.: Che significa tramite una persona…
R.: (lavapiatti). Accozzi, raccomandazioni, chiamali come vuoi; ce ne sono tanti qua che entrano tramite accozzi. Conoscono qualcuno che già lavora in albergo, brigano e si fanno sistemare. Io, comunque, dovevo entrare come manutentore. Volevo lavorare da solo, senza nessuno che mi seguisse. Dovevo fare il lavapiatti momentaneamente, per sostituire uno che andava in pensione, poi invece mi ci hanno lasciato…
R.: (facchino). … mi ha fatto entrare un cliente mio amico. Mi ero appena sposato, senza lavoro… lui conosceva delle persone… diciamo che si è interessato e mi sono trovato qui.
D.: Come è stata la tua prima giornata di lavoro?
R.: (cameriera ai piani). Dipende da dove capiti. Ogni albergo ha un sistema interno tutto suo. Anche nella Costa Smeralda Hotels, il Cervo è organizzato diversamente dal Romazzino, il Cala di Volpe dal Pitrizza. Quando arrivi, ti trovi di fronte a delle cose già massificate, devi essere già predisposto mentalmente, altrimenti non è facile abituarsi…
R.: (lavapiatti). Quello dell’albergo non è un lavoro come tutti gli altri perché ci vuole una mentalità diversa. Dopo tre anni, io non riesco ancora a inserirmi.
D.: Perché, quali sono le difficoltà?
R.: (lavapiatti). Le difficoltà? Eh, molta gente che va fuori di testa. È tutto nervosismo, tante robe, storie, liti, pettegolezzi tra il personale…
R.: (cameriera ai piani). Nell’albergo si corre, si corre. Non si fa in lavoro tranquilli e sereni, si corre. Nei cinque mesi di stagione, in ogni reparto, bisogna muoversi come fulmini. Tutto è organizzato e deve filare entro tempi precisi. Tutto è calcolato. Se uno di noi tarda dieci minuti, un quarto d’ora, è tutto l’ingranaggio che viene messo in crisi; bisogna rientrare nei tempi determinati… R.: (lavapiatti)… già, e la testa va a farsi friggere spesso…
R.: (cameriera del personale). Poi ci sono le invidie e i soprusi tra un dipendente e l’altro. Magari c’è un capo servizio che siccome è più su di te si dà un sacco di arie, ti tratta male…
R.: (lavapiatti). Per il comì di cucina, che non è nessuno, il lavapiatti diventa il suo schiavetto personale. E, non so, inizia: portami questo, fammi quello, fammelo subito, se non mi fai questo m’incazzo… Ed è così in ogni settore. Tutti subiscono anche perché questa è una specie di corsa a ostacoli: prima ti assumono come stagionale per qualche anno, poi se gli vai bene, sei bravo, disciplinato, magari ti passano pure fisso.
R.: (cameriera ai piani). Nell’albergo c’è una gerarchia ben stabilizzata: al primo livello, il direttore, poi la portineria e la cucina, subito dopo viene lo chef, che ha una bella fetta di potere, e poi tutti i capi-servizi. Insomma, è una piramide.
D.: Ed è molto rigida la struttura di questa piramide?
R.: (facchino). Può esserci di peggio, ma non è questo che conta. A esempio, da noi, al Pitrizza, usano una tecnica morbida. Ma sai perché viene ammorbidita? Per fotterti di più. Io ho troppo rispetto per l’uomo e quando sono entrato in quest’albergo sono rimasto scioccato da questa assurda gerarchia e da come ti fottono. Magari ti fanno fare una telefonata durante il servizio e poi ti chiedono la mezz’ora in più. Ti tappano la bocca, non puoi alzare la mano per dire la tua perché ti hanno fatto un piacerino, ti hanno fatto questo, ti hanno fatto quell’altro. E una linea ammorbidita ad arte.
R.: (cameriera ai piani). Il fatto è che molti lavoratori non capiscono cosa sia la professionalità, il distacco. È una mentalità comune questa di cadere nei rapporti paternalistici. Poi dico: l’elasticità dipende dallo spazio che il lavoratore stesso sa conquistarsi; ovviamente con la conoscenza e con l’informazione. La Direzione ti frega proprio in questo senso: con la disinformazione. Loro, a qualsiasi assemblea, a qualsiasi richiesta, vengono documentati al massimo. E una grossa azienda, quindi è organizzata anche da questo punto di vista, non si possono permettere errori.
D.: Come è organizzata la vostra giornata di lavoro?
R.: (cameriera ai piani). Facciamo 6 ore e quaranta giornaliere. Abbiamo un giorno libero alla settimana e un altro giorno libero al mese come recupero delle ore che facciamo in più. Niente straordinari: non ce li pagano. Iniziamo alle sette e mezzo e finiamo alle tre di pomeriggio. Oppure alle tre meno dieci e finiamo alle dieci di notte. I turni possono essere continuati o spezzati. Inoltre, la guardia. Che consiste nel togliere i copri-letti, riassettare i letti, accendere la luce, cambiare la biancheria in bagno, e lasciare, in ogni camera, l’ordine per la colazione e tre o quattro cioccolatini.
D.: E voi che orari fate?
R.: (facchino). Gli stessi che fa lei (cameriera ai piani); lavoriamo in tandem.
R.: (cameriera del personale). Io faccio sette ore, tranne un giorno che ne faccio cinque. Ho un giorno libero alla settimana e non faccio straordinario. In queste ore, pulisco due bagni enormi, ventiquattro camere, spazzo e lavo per terra, spolvero, cambio gli asciugamani due volte alla settimana e un giorno ogni sette, la giornata più massacrante, cambio la biancheria in tutti i letti. Siamo in sei: cinque cameriere e un facchino, che fa i lavori più pesanti, porta via la spazzatura e trasporta la biancheria. In sei, ogni giorno, puliamo gli alloggi di duecento dipendenti, che lavorano nei vari ristoranti, negozi e uffici. Non so se ci siamo capiti. Al Pitrizza sono 55 di personale per 50 clienti in 28 camere. Qui, invece, siamo in sei per duecento persone.
D.: Quindi è molto faticoso il lavoro che fai?
R.: (cameriera del personale). Bestiale. E non abbiamo nessuno che ci aiuti. Quando faccio il riposo, il giorno dopo trovo tutto sporco e devo correre come una matta. Poi ci sono dei colleghi che controllano, che hanno certe pretese… altri sono sporchi, non tirano l’acqua quando vanno in bagno, oppure mangiano in camera e non puliscono… tanto il giorno dopo c’è la schiavetta. Non c’è rispetto tra lavoratori. Per niente, neanche un po’.
D.: Che mansioni comporta il lavoro che svolgete?
R.: (cameriera ai piani). Iniziamo la mattina col pulire la hall e le toilettes. Poi si sospende venti minuti per la colazione. Saliamo poi in portineria a ritirare le chiavi, il pass e il bip. Un segnalatore elettronico che abbiamo solo noi cameriere ai piani, il bagnino e il caposervizio. Il bip serve perché il Pitrizza è diviso in sei ville lontane dalla direzione, che se vuole comunicarci qualcosa con questo aggeggio può farlo. Poi andiamo al “cavallo”, un office, prepariamo le ceste con la biancheria e la governante ci dà il movimento giornaliero dei clienti. Rifacciamo, poi, i letti, spazziamo per terra e spolveriamo mentre il facchino pulisce i bagni e fa i lavori più pesanti…
R.: (facchino). Poi, non so, portiamo i giornali in camera, le valige quando arrivano i clienti, portiamo i messaggi, queste cose qua.
D.: E quante ville pulite al giorno?
R.: (cameriera ai piani). Siamo due coppie: un facchino e una cameriera per coppia. Ognuna pulisce tre ville. E farlo, non è semplice. Siamo un albergo extralusso dove si pagano 360.000 lire al giorno, senza contare l’I.V.A. e gli extra. Il cliente ha delle esigenze molto, molto alte.
D.: Che tipo di esigenze?
R.: (facchino). Di tutto. Può chiedere un phon, un giornale, uno spazzolino, qualsiasi cosa. Quando è in camera ci pensiamo noi, quando è in spiaggia ci pensa il bagnino.
D.: E la tua giornata di lavoro come è organizzata?
R.: (lavapiatti). Bè, io passo dal lavare i piatti a pulire il pesce, dal fare la spesa in economato la mattina a pulire i bidoni, a preparare il carbone per la griglia. Di tutto praticamente: tutto quello che serve in cucina e che il cuoco non fa.
D.: E faticosa questa attività?
R.: (lavapiatti). Lo credo bene. Lavoro 6 ore e 40 al giorno più un’ora di straordinario nei mesi di luglio e agosto. Faccio, poi, l’orario spezzato quattro volte alla settimana. Che è come lavorare tutto il giorno. Oggi ho attaccato alle 11 e finito alle tre e mezzo del pomeriggio. Riprenderò stasera alle 7 e mezzo fino alle 11 e mezzo. Ho, quindi, tre-quattro ore di libertà in cui devo fare tutto. L’orario spezzato toglie ogni libertà. Il guaio maggiore, però, è che non si ha un momento di privacy. In camera, se va bene, stai con un altro che conosci appena. Non puoi cucinarti nulla perché il collega magari dorme. Non puoi accendere la radio perché svegli altri. Stacchi tardi e i supermarket sono chiusi, i ristoranti troppo cari… Nei cinque mesi che sono qui, devo correre anche quando sono libero. Se voglio incontrarmi con lei (indica la cameriera del personale), debbo nascondermi in qualche sottoscala. L’ambiente di lavoro, poi, è teso, tesissimo. L’anno scorso stavo per accoltellarmi con un cuoco per delle fesserie. Lo chef, ogni tanto, dà i numeri: tira i piatti. La tensione è talmente alta che, spesso, non posso neppure permettermi di cantare mentre lavoro. Capisci? Questa è la cucina.
D.: In generale, sono sempre così i vostri rapporti con i colleghi?
R.: (facchino). La gente è abbrutita, appiattita. Non vuole, né può porsi problemi. Dignità, libertà, spazi propri, qui, sono parole prive di senso. Piano, piano, chi entra dentro questo sistema, non trova poi più la forza di ribellarsi neppure se lo prendono a calci in culo. E succede sempre. La direzione tu impone tutto. Ottieni qualcosa solo se alzi la voce. mentalità corrente è un’altra: nel mio reparto, alla gente, se gli Ma la dicono di fare otto ore, le fanno e zitti. Hai voglia di sensibilizzare… sono appiattiti o rincoglioniti… o sono nati rincoglioniti, oppure si sono rincoglioniti dopo.
R.: (cameriera ai piani). Questa gente, però, è senza radici.
Vive cinque mesi da una parte, cinque dall’altra. Fa la stagione estiva a Porto Cervo e quella invernale a Courmayeur, oppure in Germania, Svizzera o Inghilterra. É gente senza patria, senza identità. Individualisti e qualunquisti, attenti solo al proprio tornaconto immediato, non riescono a socializzare con gli altri.
R.: (facchino). Attenzione, poi c’è un altro fatto fondamentale. Queste persone, almeno dallo chef in su, sono tutte di fuori. Da noi al Pitrizza, il direttore è piemontese, mi pare, comunque è di fuori, il capo ricevimento è pugliese, la segretaria al ricevimento è tedesca, un’altra è svizzera. In cucina, chef, maître, tutta la brigata, sono di fuori: lombardi, veneti o piemontesi. Ai sardi spettano solo i lavori più umili: facchini, lavapiatti o cameriere ai piani. Ed è così in tutti gli alberghi della Costa Smeralda.
R.: (cameriera ai piani). Mah, direi che è così per tutti i centri turistici della Sardegna. Le scuole alberghiere dell’isola non sono qualificate… forse servono solo per dare soldi agli insegnanti… clientelismo, insomma.
D.: E che fanno i diplomati delle scuole alberghiere sarde?
R.: (cameriera ai piani). Vanno fuori dall’isola a farsi il culo, forse a imparare qualcosa. È molto difficile che li assumano qui… salvo quei pochi davvero qualificati o ultraraccomandati. Se sei sardo, del resto, per i centri turistici dell’isola, sei automatica-mente sospetto. Non te ne fanno passare una. Anche se sei bravo, sei sardo. Dunque, automaticamente, sospetto e sottosviluppato.
Questo è poco ma sicuro.
D.: Vi crea problemi indossare la divisa?
R.: (facchino). A me sì. Psicologicamente. Divisa e bip mi fanno sentire un soldato. Non mi va di essere chiamato con quel suono stridulo: bip, bip, bip. Poi, per rispondere, comporre il numero. Sono un uomo, non un computer. Dire che m’incazzo è poco: bollo dentro. Mi sento un numero, un oggetto, una vite di questo ingranaggio: essere sempre sorridenti, gentili col cliente. Magari dentro stai scoppiando per come ti trattano, ma tu devi inchinarti, produrre…
R.: (cameriera ai piani). Noi abbiamo due divise. Una rosa, più di fatica, per il mattino, e una nera, più elegante, col collettino e il grembiulino bianco per la sera. Servono per praticità e per l’immagine dell’albergo. Psicologicamente, però, quando scatta l’orologio di fine turno e mi tolgo automaticamente il grembiuli-no, mi sento subito diversa: più libera, un’altra persona.
D.: Quanto guadagnate al mese?
R.: (cameriera ai piani). Abbiamo un contratto regolare. La paga, in media, oscilla tra le 900.000 e il milione al mese. C’è poi, a fine stagione, la buonuscita: un milione, un milione e mezzo. Le variazioni, in più o in meno, dipendono dai giorni di malattia o da qualche giorno in più di riposo. Gli alloggi sono lontani dagli alberghi e questo è un grosso handicap: per andare e tornare dal lavoro dobbiamo farci dare dei passaggi. In camera viviamo in due e c’è l’essenziale. Il vitto è accettabile.
D.: Che fate durante il vostro tempo libero?
R.: (lavapiatti). Di tanto in tanto, si va in qualche locale a bere qualcosa, anche se costa. Ma sono casi rari. Noi qui dobbiamo cercare di risparmiare, mettere da parte un po’ di soldi per l’inverno. Altrimenti che lavoriamo a fare?
R.: (cameriera ai piani). Nei cinque mesi che passo qui, mi sento castrata. Non ho la macchina e per uscire sono legata agli orari dei colleghi di lavoro. Poi qui non c’è un centro, uno spazio dove i lavoratori possono trovarsi…
D.: Ma, almeno sino a poco tempo fa, non c’era un locale, autogestito dal personale, messo a disposizione dei lavoratori da parte di uno degli alberghi della Costa Smeralda Hotels? Che fine ha fatto?
R.: (cameriera ai piani). Sì, ne ho sentito parlare anche io. Non so che fine abbia fatto. Oggi, però, non c’è più. A nostra disposizione c’è solo un televisore nella mensa. E figuriamoci se vado lì. Quando posso, scappo, o vado in giro con amici, o, net giorni liberi, a Sassari. La sera, qui, qualche volta, si finisce in discoteca o in un pub. Locali dove, praticamente, c’è solo il personale degli alberghi e dove, invece di divertirsi, si finisce col parlare solo di lavoro. E di che altro vuoi parlare? La maggioranza dei colleghi è mummificata. Sono dentro la mentalità dell’orologio. Non leggono niente, non parlano di politica, ci tengono solo ad esibire il gioiellino, la cravatta di Valentino, il jeans o la maglietta firmati, il trucco del finto-grande parrucchiere… Sognano così di imitare gli sceicchi miliardarí che vengono qui come turisti.
R.: (facchino). C’è anche un’altra questione: la maggior parte dei questi ragazzi non ha studiato. E non solo i camerieri, i lavapiatti e i facchini, che sono poi la maggioranza, ma anche quelli che hanno fatto le scuole alberghiere o l’Università. Non hanno studiato o non hanno imparato nulla. Dalle scuole non hanno ricavato larghezze di vedute, elasticità mentale o capacità di ragionamento, di discussione. Nulla di nulla. Per questo siamo deboli. Quello che ci fanno vedere, quello che ci danno, lo beviamo come bambini. E diventiamo quello di cui l’albergo ha bisogno: degli scemuniti.
D.: Voi, però, non sembrate tali. Come spiegate queste differenze così profonde tra lavoratori che operano nello stesso ambiente?
R.: (cameriera ai piani). Innanzitutto c’è la paura. Paura di perdere il posto. Poi ci sono differenze culturali, di origine, eccetera. Io sono rappresentante sindacale e, in quanto tale, sono vicina ai miei colleghi, li difendo. Ma li attacco, però, quando abbassano la testa, si fanno mettere i piedi sopra. Alle assemblee, loro hanno una paura folle del direttore, non parlano, si nascondono l’uno dietro l’altro… non conoscono il contratto che hanno firmato, i propri diritti, non si informano di nulla. Io, se voglio difenderli sul serio, non posso tacere su queste cose. In tutti gli alberghi, passano il tempo a fare pettegolezzi. E questo va detto e ridetto. Senza cultura, senza sapere nulla di nulla, non si conta niente e non si conterà mai niente.
D.: Passiamo ad altro. Voi lavorate a diretto contatto con i clienti. Come vi trattano?
R.: (cameriera ai piani). Da noi, oltre i miliardari e i quadri dirigenti, arrivano intellettuali, giornalisti, scrittori, qualche attore, qualche tenore e qualche cantante lirica. Personalmente, a parte qualche scenata isterica, non ho mai visto niente di pesante. Di norma, il cliente cerca di comprare la nostra gentilezza con le mance.
D.: Esistono delle norme di comportamento raccomandate dalla direzione?
R.: (cameriera ai piani). Sì, sì. Sul lavoro, massima correttezza e massima pulizia. Nei confronti dei clienti, poi, dobbiamo comportarci come vuole il cliché pubblicitario: gentilezza, cortesia, servizio. A richiesta, solo risposte formali. Mai intrattenerci, mai dare pareri sulla qualità delle camere o sul vitto. Distacco e formalità…
R.: (facchino)… Io, invece, mi diverto a fare il contrario…
D.: Cioè?
R.: (facchino). Lavorando, sudo parecchio: vai, vieni, ti spettini, la camicia è tutta sbottonata. Quando chiamano per un arrivo, dovrei andare bello e lindo. Invece, mi presento come mi trovo; anzi, se già non lo è, mi sbottono pure la camicia. Lo faccio apposta per far vedere al cliente anche l’altra faccia dell’albergo…
D.: Se vi fosse concesso di comportarvi spontaneamente con i clienti, che fareste?
R.: (facchino). Ah, li manderei a quel paese ogni tre minuti. Non li sopporto. Prima di tutto non sopporto che loro abbiano i soldi e io no (ride)… Detto brutalmente, è così…
R.: (cameriera ai piani). Hanno ritmi di vita impressionanti: girano da un continente all’altro, da uno yacht all’altro, da un ristorante all’altro, da una villa all’altra, da un Cartier all’altro, da un gioielliere all’altro; fanno sempre shopping, comprano pellicce…
R.: (facchino)… Fanno spese da 30 milioni. Ma non è solo questo. Qui diventano come bambini capricciosi. Hanno i soldi e pensano di comprarsi tutto e tutti. Gli vengono i tic, le manie: quello vuole la tovaglietta messa in un certo modo; quell’altro, 3 asciugamani invece di 2, perché è più ricco del cliente della porta accanto…
R.: (cameriera ai piani). C’è quello che vuole la piastrina per le zanzare, quell’altro che non la sopporta, quello che si arrabbia se dimentichi i cioccolatini… Altri, la sera, vogliono il copriletto: poi c’è quello che vuole tutte le luci spente e quello che le vuole accese; chi vuole una sedia messa di traverso… Molti clienti vengono qui anche da 10 anni, si sentono un po’ come a casa loro, eppure si portano dietro 10-15 valigie per stare quattro-cinque giorni… Hanno necessità di 10.000 oggetti che non usano nemmeno, di 10.000 vestiti… devono sentire la sicurezza di averli anche se non li mettono. C’è anche gente normale, ma è poca…
R.: (facchino). Io li manderei brutalmente affanculo…
R.: (cameriera ai piani). È un fatto istintivo. Ti fa incazzare il fatto che uno lasci 20 milioni a settimana per mangiare e dormire… non esiste.
R.: (facchino). È assurdo che tu sudi per otto-novecentomila lire al mese e una coppia, nell’albergo dove tu lavori, tra extra e uscite in barca spende un milione e mezzo al giorno. Sputi l’anima per un mese e vedi questi qua che vogliono il fazzolettino così e cosà. Va a far in culo, gli direi. Proprio di cuore. Non solo: diventi anche violento…».
COSTA SMERALDA: COL CLIENTE NON SI PARLA
Dall’intervista a una cameriera dell’Hotel Pitrizza, a un manutentore dell’Hotel Cervo e a una cameriera del Residence Piccolo Pevero:
D.: Da dove venite e che lavoro svolgete?
R.: (cameriera del Pitrizza). Sono di Alà dei Sardi. Non studio. Quest’anno, faccio la cameriera ai piani all’Hotel Pitrizza. Prima facevo la cameriera del personale. È da otto anni che, come stagionale, lavoro nel settore alberghiero. Passo la mia vita cinque mesi in costa d’estate e il resto dell’anno a casa ad aiutare i miei.
R.: (manutentore del Cervo). Anche io vengo da Alà dei Sardi. Sono stagionale e faccio questo lavoro da un anno. Ho la terza media. Prima facevo di tutto, sempre in costa: muratore, giardiniere… Qui curo la manutenzione dell’Hotel Cervo.
R.: (cameriera del Pevero). Come loro, sono di Alà dei Sardi. Faccio la cameriera al Piccolo Pevero. È un residence di 120 appartamenti. È il primo anno che lavoro nel settore alberghiero. Sono stagionale. Lavoro, però, solo quattro mesi all’anno e non cinque come loro. Prima mi arrangiavo come baby sitter, sempre in costa.
D.: Come è organizzata la tua giornata di lavoro?
R.: (cameriera del Pitrizza). Gli orari non sono sempre uguali. A volte faccio dalle tre del pomeriggio alle 22, altre dalle 10 del mattino alle 17, il sabato dalle sette e mezza del mattino alle 15 e il mercoledì mi tocca lo spezzato. Sono, comunque, sei ore e 40 al giorno. Salvo un giorno libero alla settimana.
D.: E la tua attività consiste in…
R.: (cameriera del Pitrizza)… rifare i letti, pulire i bagni quando non ci sono i facchini… e la sera la “couvertur”. Che consiste nell’aprire il letto ai clienti, mettere i cioccolatini sul comodino, porre il tappetino sul tappeto di lana, lasciare il bigliettino di buonanotte e il menu della colazione.
D.: Vi piace il lavoro che fate?
R.: (cameriera del Pitrizza). A me, sì.
R.: (manutentore del Cervo). Anche a me. È un lavoro che t’insegna molte cose e poi stai a contatto con la gente, sia il personale che i clienti… insomma tutta la gente che lavora e vive qui.
R.: (cameriera del Pevero)… a me non piace, prima di tutto, perché non è bene organizzato, poi…
R.: (cameriera del Pitrizza)… è vero, ci sono difficoltà nel lavoro perché non è bene organizzato. In questa settimana, per esempio, ci sono due in malattia e io, proprio stasera, ho dovuto fare sei partenze. Il che è assurdo in un albergo di lusso, perché significa pulire in fretta e male le stanze e i bagni. E così si diventa nervosi, stressati, e si finisce col litigare continuamente con i colleghi. Ci si insulta a vicenda senza motivo, quasi ci pigliamo per i capelli…
D.: Eppure voi lavorate in un albergo che dovrebbe essere efficientissimo in linea teorica…
R.: (cameriera del Pitrizza)… dovrebbe essere… in realtà, invece, a volte non lo è per niente come organizzazione… a volte ti caricano anche le ore degli altri e sei costretto a farle, poi per di più magari non te le pagano…
D.: Questo è il vero motivo del conflitto che c’è tra voi?
R.: (cameriera del Pitrizza)… Ma … c’è anche il caldo. Noi giriamo da una villa all’altra col carrello, il cestino e tutto… E questo stressa, fa saltare i nervi…
R.: (manutentore del Cervo). È bene spiegare che il Pitrizza consiste in una serie di ville distaccate tra loro e non c’è un office, ossia un ripostiglio per ciascuna villa. Così, la roba che serve per le ville è messa in un locale distante e loro devono portare, da li, tutto a mano, sopra un carrellino, a ciascuna villa, i cambi dei clienti. Questo è il problema.
D.: perché non avete chiesto una diversa organizzazione del la-voro?
R.: (cameriera del Pitrizza)… si è sempre parlato di questo fatto. Solo che devono restaurare e ingrandire l’albergo, chissà quando lo faranno, forse quest’anno.
D.: In complesso, come sono realmente i vostri rapporti con i colleghi di lavoro e con la direzione?
R.: (tutti e tre gli intervistati). Buoni. Capita di litigare, ma passa subito… Non c’è unione.
D.: Avete problemi di natura contrattuale, sindacale con la direzione?
R.: (tutti e tre gli intervistati). No. Poi con la direzione è inutile parlare. La paga è sindacale, circa 900.000 lire al mese, e, se capita di fare degli straordinari, più o meno li pagano. Del resto, questa è la minestra che passa il convento.
D.: Vi dà fastidio indossare la divisa?
R.: (tutti e tre gli intervistati). No. A parte il caldo, così si è più decenti, più uguali… È un fatto anche di igiene, di rispetto nei confronti degli altri… mica si può andare a lavorare in pantaloncini…
D.: Avete mai scioperato?
R.: (manutentore del Cervo). Sì, anni fa perché le case del personale erano indecenti… adesso abito con un altro manutentore e non mi lamento…
R.: (cameriera del Pitrizza)… erano capannoni in plastica e metallo, schifosi… adesso ci hanno spostati a Liscia di Vacca… siamo 50 dipendenti e ci arrangiamo con la cucina… le camerette sono accettabili… l’inconveniente è che sono lontane dal luogo di lavoro e bisogna andare e venire con la macchina o a piedi… I più fortunati di noi, qualcuno, vivono al Pitrizza, dove, però, gli alloggi a disposizione sono un pugno.
R.: (cameriera del Pevero). Da noi, invece, è orrendo. Siamo in 15 dipendenti, viviamo in una soffitta del residence, in cucina non ci stiamo tutti, il bagno è schifoso, uno ogni cinque dipendenti, non c’è neppure il bidè… la stanza è piccolissima, con tutti i vetri dipinti in nero… D.: Avete rapporti diretti con i clienti?
R.: (cameriera del Pitrizza). No, solo di servizio. E anche se il cliente si sbaglia, ti tratta male, devi sempre dargli ragione. Non puoi mandarlo affanculo, perché non puoi (ride)…
D.: Potete frequentare la spiaggia dei clienti?
R.: (tutte e tre gli intervistati). No. Possiamo andare in quelle libere a tutti, a Liscia di Vacca o al Piccolo Pevero… Ed è giusto e non è giusto. Nel senso che con quel che pagano i clienti è giusto che stiano in pace. Non è giusto, però, che un tipo come noi, se va a fare un giro su in albergo o se vuole vedere la piscina, lo buttino fuori…
D.: Che regola cambiereste?
R.: (cameriera del Pitrizza). Non so, tipo quelle che ti vietano di parlare con i clienti. Quando sono stata assunta, la direzione non me lo ha vietato espressamente. Ma le mie colleghe si. In tutto. Una volta, per esempio, un cliente mi ha domandato se pensavo che il giorno dopo il tempo sarebbe stato buono… Gli ho risposto che secondo me ci sarebbe stato vento. Subito dopo, le colleghe: “non fermarti così, non fermarti molto”… Lo stacco tra cliente e lavoratore ci vuole, ma che cavolo, non c’è nulla di male se una si ferma a dire due parole…
D.: Avendone la possibilità economica, passereste le vostre vacanze in una località di lusso come questa?
R.: (tutti e tre gli intervistati). Si. Bisognerebbe, però, vedere. Da ricchi è tutto diverso. Lavorando in questo settore, sapendo come stanno le cose, non sò…
D.: perché, come stanno le cose?
R.: (cameriera del Pitrizza). E, insomma, non è che (ride)… ci sono molte cose… Io non mi laverei mai in un bagno fatto dalle cameriere così come lo facciamo noi.
D.: perché?
R.: (cameriera del Pitrizza). Molte volte, l’ho detto, non disinfettiamo molto bene… Oppure, lavi i bicchieri come viene meglio, li asciughi col primo straccio che hai, che trovi…
R.: (manutentore del Cervo)… ma questo succede in tutti gli alberghi… qui succede molto meno di quelli che costano meno…
R.: (cameriera del Pitrizza)… Sì. Comunque, se potessi andare in albergo, mi farei dare delle cose per pulirmi i bicchieri o quello che dovrei usare io… Io, sì».
PITRIZZA: UNA COLAZIONE DA RE
Dall’intervista a una cameriera della caffetteria dell’Hotel Pitrizza:
D.: Da quanto tempo lavori nel settore alberghiero?
R.: Da dieci anni. Ho fatto otto stagioni all’Hotel Romazzino e da due sono al Pitrizza. Prima, d’inverno, andavo a fare la stagione all’estero. Adesso, invece, non ci vado più perché sto frequentando un corso per parrucchiera. Ho la terza media, i miei genitori sono pensionati e vengo da Badesi, un paese sul mare in provincia di Sassari.
D.: Che fai al Pitrizza?
R.: Sto in caffetteria. Attacco alle 6,45 di mattina e stacco verso le 14,30-15. Ho un intervallo di mezz’ora per pranzare. Come arrivo, la mattina, attacco la macchina del caffé, quella del latte, quella delle uova. Poi preparo le colazioni per i clienti: marmellatine di arancia, di albicocca, di ciliegie, di miele, formaggini, burro, zucchero, pane nero, fette biscottate, croissant, pane integrale, pane al latte, panini integrali, tè, caffè, cioccolata, uova, spremute di arancio o di pompelmo, ecceteга.
D.: Caspita, che colazione…
R.: Bè, dipende anche dalle richieste. Gli svizzeri, ad esempio, vogliono, spesso, formaggio dolce bel paese, mezzi meloni, mezzi pompelmi, tè… Altri stranieri, invece, uova strapazzate, uova al bacon, uova affogate. Preparo tutto io fino alle nove. L’ora in cui i cuochi entrano in servizio. Io le colazioni le metto sul plateau e sono i camerieri a portarle ai clienti. Io, poi, mentre i camerieri sbarazzano i tavoli e i lavapiatti lavano i bricchi, ritiro la roba che avanza: marmellata, burro, fette biscottate, pane nero. Tutte cose buone che il cliente non ha toccato per niente. Preparo anche i cesti di benvenuto per i nuovi arrivati: ceste di frutta, magari una bottiglia di vino.
D.: Ti piace il lavoro che fai?
R.: Sì. Qui siamo in 50 dipendenti per circa 54 clienti. Come personale, potremmo essere una famiglia… ci sono, invece, piccole invidie, gelosie… Comunque, nulla a che vedere con il Romazzino. Lì eravamo circa 130 e la situazione tra di noi era davvero conflittuale. Qui, poi, mi trovo bene con il capo-servizio e il direttore è veramente molto gentile. Faccio un’ora di straordinario nei mesi di luglio e di agosto e me la pagano. Normalmente, prendo 960.000 al mese, un po’ meno di quando stavo al Romazzino, non so il perché. D.: Come stai ad alloggio e vitto?
R.: Pago 15-20.000 lire… una fesseria. Il vitto è buono. L’alloggio, invece, è pietoso. Abito in un cucinino a tre km. da qui… tubi e fili scoperti… l’acqua arriva un giorno si e uno no… Un vero schifo. L’anno scorso c’erano gli scarichi aperti… una puzza da dormire con i tappi nel naso, zanzare, tarantoline. Il guaio è che non ci sono alloggi diversi. Faranno, credo, dei lavori di sistemazione. Al Romazzino, invece, stavo bene; in un appartamentino che dividevo con altre tre persone.
D.: Altri problemi, ti piace la divisa?
R.: Come problemi veri non ne ho. In dieci anni ho scioperato una sola volta… non mi ricordo il perché. L’unico fattaccio che mi è capitato è stato anni fa al Romazzino. Facevo l’aiuto governante di una governante spagnola… un po’ svanita. C’eravamo divisi i piani: due a me e due a lei. Un giorno trovò in un cassetto dei soldi e dei gioielli che un cliente, partendo si era scordato di prendere. Il piano era quello che faceva la governante. Ma il direttore ci chiamò tutte e due, non gli interessava sapere di chi era la colpa, e ci trattò in un modo, ma in un modo… Ecco, questa è l’unica cosa di grave che mi è capitata in dieci anni. La divisa, poi, mi sta bene. Cambierei quella dei facchini: troppo pesante. Li fa andare in giro tutti sudati. Farei anche più elegante quella delle cameriere. Ma la divisa in albergo ci vuole. Fuori non la sopporto. Se, durante l’intervallo per il pranzo, vado con qualche collega a prendere un caffè fuori, mi sento come marchiata. L’abito fa il monaco, altroché se lo fa.
D.: Come passi il tuo tempo libero?
R.: Come posso, al mare. Il mare è la mia vita. Di sera, qualche volta vado al Clipper, un pub pieno di gente strana. Ci sono sia lavoratori che turisti. Facce strane, divertenti. Mi piace ballare, ma posso permettermelo al massimo una volta al mese. Costa troppo. Vado al Ritual, a Baja Sardinia. Però, solo per l’ingresso ci vogliono 15.000 lire.
D.: I tuoi rapporti con i clienti, cosa ne pensi di loro?
R.: Io, in caffetteria, non tratto direttamente con i clienti. Poi noi, salvo che per servizio, non possiamo andare alla spiaggia dei clienti e neppure nella hall. In caffetteria, ho avuto a che dire con un cliente una volta sola. Io mi faccio un muscolo così a spremere casse di pompelmi e di arance e quel tipo si era creduto che la spremuta di pompelmo non fosse fresca, ma imbottigliata. II cameriere lo ha portato in cucina a controllare. E io mi sono incavolata da matti. Poi, però, quel tizio, tutte le mattine, quando veniva a colazione, mi mandava un fiore e io l’ho subito perdonato. Era così un bell’uomo (ride)… Comunque noi siamo diversi dai clienti… due mondi incomparabili. Questi clienti sono miliardari. C’è gente normale, ma anche certi molto complicati. Lo sento dai camerieri: mi raccomando, per tizio il caffè bollente, ma così bollente che il bricco non si può tenere in mano… per caio venti bustine di zucchero, guai se ce n’è una in più o una in meno, telefona subito incazzato… tic e manie che li fanno sentire grandi per niente… Al Pitrizza, poi, sono tutti clienti di una certa età. Gente da Cottolengo. C’è quello con la gamba di legno e quello con l’occhio di vetro… non fanno niente… un party ogni tanto. I clienti giovani, se capitano, escono a Porto Cervo, con la barca.
D.: C’è gente del personale che cerca di imitare i clienti?
R.: Sì, qualcuno c’è. E magari a qualcuno o a qualcuna capita pure di uscire con un cliente, farsi una pizza insieme. Illusione pura. Non c’è e non può esserci uguaglianza tra noi e loro. Piuttosto, tra il personale c’è molta ignoranza. Vai alla mensa a mangiare, che è l’unico momento di relax della giornata, vorresti stare calmo, in silenzio e invece c’è gente che tira le molliche di pane, quello che si alza e accende la TV, l’altro che cambia canale, qualcuno che urla e sbraita e chi tira pure l’acqua… manca l’educazione, il buon senso.
D.: Passeresti le vacanze in un albergo come questo?
R.: Ah, no. Vengo da una famiglia numerosa: 12 figli. Preferirei magari un camping. E poi sarei diffidente. Chi lavora in albergo conosce tutti i segreti (ride)… tutte le piccole cose… e allora… non mangeresti più. Prima di tutto non mangeresti più… dormire forse dormirei (ride).
D.: Che gli combinate a questi clienti che spendono un sacco di soldi?
R.: Certi sì, vengono puniti un po’…
D.: Raccontami qualche segreto…
R.: Eh, no. Mi spiace (ride). Questi sono veramente segreti, segreti».
COSTA SMERALDA: MUOVERSI È BELLO
Dall’intervista a un manutentore e a un autista dell’Hotel Pitrizza:
D.: Provenite dalle scuole alberghiere?
R.: (manutentore). No, affatto. Io sono diplomato come perito elettronico. Ho 29 anni e già da dieci lavoro qui. Sono stato fortunato perché ho iniziato come stagionale, poi mi hanno tenuto anche d’inverno e poi, infine, mi hanno fatto un contratto annuale.
R.: (autista). Per me, invece, questa è la terza stagione che faccio al Pitrizza. Neanch’io provengo dalle scuole alberghiere Ho 28 anni e la maturità magistrale…
D.: La scelta di lavorare qui da cosa è dettata?
R.: (manutentore). Bè, il mio paese, Alà dei Sardi, è piccolo, non offre nessuna possibilità. Li si tira avanti lavoricchiando per amici, parenti, conoscenti, oppure si emigra… poi sai, mio padre è contadino, mia madre casalinga… una famiglia povera… Questo lavoro l’ho trovato tramite un amico che era già qui. lo avevo iniziato a lavorare a Porto Rotondo, ma era una vita impossibile, abitavo in baracche insieme a dei muratori, dovevo arrangiarmi per tutto: mangiare, dormire… Mi avevano assunto come apprendista invece facevo un lavoro qualificato, l’elettricista… appena ho avuto l’occasione me ne sono andato.
R.: (autista). Naturalmente questa per me, non è stata una libera scelta. È stata dettata dalla necessità di lavorare. I miei genitori sono pensionati. Non trovando un altro sbocco ho dovuto ripiegare… Al mio paese, Bulzi, vicino Castelsardo, d’inverno mi arrangio con qualche supplenza alle scuole elementari. Anche per me è stato un amico, per caso, a mettermi in contatto.
D.: Quindi non sei soddisfatto del lavoro che fai…
R.: (autista). Ma, non posso dire proprio così. I rapporti con i colleghi sono buoni, anche col mio diretto superiore: è giovane, schietto… Guadagno circa un milione al mese, in più c’è la buonuscita… inoltre per il vitto e l’alloggio ci trattengono solo 19.000 lire… Il contratto è rispettato… gli straordinari me li pagano… siamo spesati in tutto. Come paga, quindi, non mi lamento. Il mio lavoro, poi, consiste essenzialmente nel trasporto dei clienti dall’aeroporto all’albergo e viceversa… non ho un orario preciso… diciamo che faccio le mie ore spezzettate a seconda delle necessità…
D.: E tu, sei contento del lavoro che fai?
R.: (manutentore). Si. A me non piace stare seduto a tavolino e questo è un lavoro vario, non fai mai le stesse cose… mi occupo un po’ di tutti gli impianti dell’albergo: dalla cucina, alle caldaie, al condizionamento. Inoltre, la mia giornata è organizzata in maniera molto elastica, l’orario di servizio l’ho contrattato direttamente fra me e il direttore tecnico…
D.: E chi ci guadagna?
R.: (manutentore). Tutti e due. Io mi gestisco l’orario, prendo un’ora di straordinario ogni giorno anche se non la faccio. Ho, inoltre, un piccolo alloggio di due camere, cucinino e bagno che divido solo d’estate con un altro collega. Non pago affitto, né luce, né acqua. Però, in compenso, possono chiamarmi in qualsiasi momento, di notte, di giorno, anche adesso. E io vado subito a vedere di che si tratta.
D.: Dunque i rapporti con la direzione sono ottimali?
R.: (manutentore). Il discorso è questo: il lavoro è lavoro. II direttore tecnico è responsabile di tutti gli impianti degli alberghi della Costa Smeralda Hotels… ha sotto di sé 16-17 manutentori… Lui è sempre molto teso, ha un mucchio di responsabilità e si scarica subito con le persone che gli stanno vicino sul lavoro come noi… Se sbaglio una cosa, è subito pronto a bastonarmi senza guardare le altre dieci giuste che ho fatto prima… Il mio è un lavoro ingrato. Quando si guasta qualcosa tutti sono incazzati e chiamano il manutentore… e io, poi, da parte mia, sono un istintivo, uno che reagisce immediatamente…
D.: Oltre questi, quali altri problemi incontrate?
R.: (autista). Bè, si diventa completamente estranei all’ambiente del paese. Per cinque, sei mesi vedi poco e niente gli amici, i parenti; poi quando ritorni devi reinserirti… le amicizie con i colleghi che fai qui durano una stagione, loro d’inverno vanno all’estero, in montagna, sono conoscenze… ognuno va per la sua strada…
D.: perché manca spesso l’acqua negli alloggi del personale?
R.: (manutentore)… questo è un colpo gobbo (ride). Comunque non dipende da noi questo fatto. C’è un altro gruppo di manutentori addetto solo ed esclusivamente alla rete idrica di tutta la Costa Smeralda. Cosi come c’è un gruppo che si dedica solo alla luce. Per l’acqua ci sono problemi di quantità e problemi tecnici. È ovvio che l’acqua prima di tutto è riservata agli alberghi e alle case di lusso. E siccome in Sardegna d’estate piove poco, per evitare che gli alloggi siano privi d’acqua è stata fatta una linea apposita. Nel superare un dosso, però, il tubo è stato schiacciato durante i lavori da del materiale che gli è caduto sopra. Occorre, dunque, sistemarlo. Mentre si svolgono questi lavori, l’acqua viene portata da due cisterne per riempire i serbatoi degli alloggi del personale. Ecco, pressappoco, come stanno le cose.
D.: Quanto guadagni?
R.: (manutentore). Poco, molto poco. Intorno al milione e cento al mese…
D.: Come sarebbe poco? Non paghi l’affitto per l’alloggio e neanche le spese fisse. Inoltre hai un lavoro garantito per tutto l’anno. Non ti sembra di esagerare?
R.: (manutentore). … però io vivo tutto l’anno a Porto Cervo… con quello che costa la vita qui… D’estate se vuoi uscire la sera, minimo sono 20.000 lire per entrare in una discoteca, un bicchiere di birra, se ti va bene lo paghi 2.000 – 2.200 lire; al mio paese una intera bottiglia costa 1.600 lire. Qui, a Porto Cervo, io non posso fare neanche la vita che facevo al mio paese; se vuoi uscire tre o quattro volte alla settimana non ti resta un soldo… e infatti esco poco… Se d’inverno voglio andare al mio paese il sabato e la domenica, spendo tutto in benzina… D’inverno qui sono isolato, non posso certo passare tutte le sere davanti alla televisione, e per di più da solo… Alla fine succede che spendo lo stesso tutto quello che guadagno e non sono soddisfatto per niente…
D.: Allora se avessi l’opportunità di trovare un altro lavoro, non so, in Comune, accetteresti?
R.: (manutentore). No. Non mi interessano i lavori troppo tranquilli. Preferisco il lavoro che faccio.
D.: Tu che fai l’autista indossi una divisa. Ti crea problemi questo?
R.: (autista). No, assolutamente. Avendo fatto il militare. quasi due anni come ufficiale di leva, sono abituato a portare la divisa e la cravatta. Non mi sentivo a disagio con la divisa militare, non mi sento a disagio con questa… E poi non ci si può mica confondere, bisogna distinguere un cliente da un cameriere…
R.: (manutentore). Giusto… Noi siamo qui per fare il nostro lavoro, il turista per fare le sue vacanze… Ognuno deve stare al suo posto… Se non c’è questo distacco, non c’è professionalità. Il mondo dell’albergo è così, ci vuole etichetta; non si può avere col cliente la confidenza che possiamo avere noi adesso che siamo seduti qua… È giusto che ci siano regole precise, altrimenti ognuno piglia il suo mattone e se lo porta a casa e cade l’albergo. Ti sembra logico? E, comunque, ognuno deve saper fare il suo mestiere. A ciascuno il suo. Qui viene gente dell’alta finanza, parlano di barche, di marche, di affari; sono anche molto colti… E gente di un altro tipo. Io non passerei mai le mie vacanze in un hotel come il Pitrizza… Non ho quello che hanno loro. Non posso andare in un ristorante in mezzo a loro con questo abito, sarei ridicolo. Una mosca bianca».
CALA DI VOLPE: FRATELLI D’ITALIA
Dall’intervista a un bagnino dell’Hotel Cala di Volpe:
«D.: È qui che svolgi la tua attività principale?
R.: In pratica, si. Sono di Monti, un paese a 50 km. da qui, dove il lavoro prevalente è la coltivazione dei vigneti. Ho la terza media e sono arrivato alla 2a geometri. Mio padre è preside e mia madre casalinga. Ho 28 anni, sono sposato, ho una figlia, d’inverno lavoricchio in campagna e mi sto costruendo la casa con le mie mani. Ho iniziato a lavorare a 16 anni, come cameriere. Poi ho preso la qualifica di chef de rang e anche il brevetto di assistente bagnante per avere più opportunità di lavoro e faticare meno di un cameriere…
D.: E qui fai l’assistente bagnante…
R.: Bè, io dovrei essere addetto solo al salvataggio, alla respirazione, queste cose qui. In realtà faccio il bagnino. Sistemo le sdraie, pulisco la spiaggia, vado a prelevare i clienti dalle barche e dagli yacht… E chiaro, ne ho la convenienza. Mi becco le mance. Soldi fuori busta, puliti, non tassati. Sono assistente bagnante da quattro anni. I primi due per una colonia regionale per bambini, gli ultimi due, sempre come stagionale, per la Costa Smeralda Hotels. Una famiglia in cui mi trovo bene. Se io, che sono del Cala di Volpe, vado in uno degli altri tre alberghi fratelli, il Pitrizza, il Cervo e il Romazzino, vengo subito accettato…
D.: Insomma, ti trovi in una famiglia senza problemi?
R.: Bè, l’anno scorso l’impatto con l’ambiente è stato drastico, duro. Qui vengono i VIP di tutto il mondo. Uno di questi mi ha chiesto un servizio che non ho potuto fargli per carenze di mezzi.
Anche al Cala di Volpe ci sono deficienze che fanno piangere i piccoli. Questo tipo, però, è andato a protestare contro di me in direzione, dicendo che mi ero comportato male, che non assolvevo i miei compiti. La direzione mi ha chiamato e mi ha fatto una strigliata di orecchie, dandomi del maleducato e dell’incompetente, senza neppure stare a domandarmi come fossero andati veramente i fatti… Mi sono arrabbiato e ho risposto che l’educa-zione non me la insegnava né la direzione, né tantomeno, uno straniero… Volevo andare via… poi mi è passata e mi sono adattato all’ambiente. E adesso mi piace andare in giro con la mia divisa bianca, i capelli sempre ordinati, la barba rasata, le unghie ben curate… Qui ci vuole bella presenza, sorriso, cortesia. Serve per l’immagine dell’albergo.
D.: Fai straordinari?
R.: Si. Premetto, però, che al Cala di Volpe siamo quattro bagnini per un massimo di 230 clienti. In servizio siamo sempre in tre perché no di noi va in riposo a catena. Gli orari sono spezzati: dalle 8 del mattino alle 9 e poi dalle 12,30 alle 19. Ci occupiamo oltre che delle piagge, della piscina. Una vasca enorme di circa 260 metri di circonferenza per un totale di 1.500 – 1.600 metri cubi di acqua. Una piscina stratosferica, insomma. Gli straordinari nascono, di solito, proprio quando dobbiamo pulirla. Capita una volta al mese e se ne vanno da una a tre ore di straordinario.
D.: Ti piace il lusso che c’è qui?
R.: Ah, si. Se potessi, andrei sempre in locali di lusso. Ma non al Cala di Volpe. Qui i clienti sono tutti un pò anzianotti, vengono per rilassarsi. Pensa che in piscina non senti radioline e strepiti e non vedi mai scherzi giovanili.
D.: Non confronti mai i tuoi problemi familiari con la ricchezza che c’è qui?
R.: No. Io cerco di essere sempre sereno… il lavoro prima di tutto. Mi divido in due: da un lato la famiglia e i problemi della vita, dall’altro il lavoro. Mi ci butto dentro per dimenticare il resto».
PORTO CERVO: GOVERNANTE E CAMERIERE
Dall’intervista a una governante, una cameriera della caffetteria, una guardarobiera-stiratrice, una cameriera ai piani dell’Hotel Cervo e ad una cameriera ai piani del Cervo Tennis Club:
D.: Voi siete tutte sarde. Chi, tra voi, è assunta in pianta stabile?
R.: (cameriera del Cervo Tennis). Solo io. Ho fatto una stagione nel 1975 e nel ’76 sono stata assunta fissa. Allora era più facile. Sono stata fortunata. Ho solo la quinta elementare, mia madre è casalinga e mio padre è pensionato. Qui, come tutti, mi trattengono solo 4.500 lire per la camera e 15.000 lire al mese per la mensa. La paga è sindacale, circa un milione e al Cervo Tennis non mi trovo male. Con i direttori, a parte qualche screzio, i rapporti sono abbastanza cordiali e con i colleghi viviamo in amicizia. Siamo in pochi, 15 o 16 in tutto, e ci diamo un po’ una mano gli uni con gli altri. Lavoro con un’altra cameriera e non ho sopra di me una governante. Sono abbastanza indipendente, quindi.
R.: (cameriera della caffetteria). Per me è tutto diverso. Faccio la stagionale da 14 anni, ho la 3a media, mio padre è contadino e mia madre è casalinga. E, a differenza di lei, mi sono scontrata spesso, soprattutto con i capi-servizio. L’anno scorso lavoravo al Cala di Volpe e per essermi rifiutata una volta di fare lo straordinario dopo le dieci di sera, quest’anno mi hanno respinta la domanda di assunzione e, per evitare grane, sono stata costretta a cambiare albergo…
R.: (guardarobiera-stiratrice). Personalmente con la direzione non mi sono mai scontrata. Faccio la stagionale da 10 anni, ho la terza media, mio padre era muratore, ora è in pensione, mia madre è casalinga. I miei problemi in albergo sono quasi sempre nati con i capi-servizio. È con loro che hai rapporti diretti. Ci litighi per gli straordinari, queste cose qua.
R.: (cameriera dell’Hotel Cervo). Sono dieci anni che faccio le stagioni, mio padre è pastore, mia madre casalinga, ho la terza media. I miei diretti superiori li conosco da tanto tempo e perciò ci vado abbastanza d’accordo…
D.: E per quanto riguarda i rapporti con i colleghi?
R.: (governante). Dipende da dove capiti. Ogni ambiente è una sorpresa. Io ho una notevole esperienza. Diplomata alla scuola alberghiera, 15 anni di stagione, i genitori morti, mio padre era invalido, mia madre casalinga… ne ho viste di cotte e di crude.
Quest’anno, per esempio, dove lavoro io, c’è una grande freddezza, manca l’affiatamento tra il personale, tra reparto e reparto c’è un muro… Collaboriamo tra noi giusto quel tanto necessario per mandare avanti il lavoro.
R.: (cameriera dell’Hotel Cervo). L’albergo non è una famiglia. Può sembrare tale il Cervo Tennis, che è un piccolo club, non un vero albergo. Sarà il posto, sarà il carattere o lo stress, qua ognuno, finito il lavoro, si fa i cavolacci suoi. Giusto con una o due persone riesci a fare amicizia…
D.: Sindacalmente, siete compatte?
R.: (tutte le intervistate). Dipende, se volessero licenziare ingiustamente un collega, molte di noi non si tirerebbero indietro… per il resto, c’è menefreghismo…
R.: (governante). Prima si credeva nei sindacati. Adesso è diverso, anche loro si fanno gli affari propri… Non vedi mai cambiamenti. Fai e fai e poi tutto resta come prima…
R.: (cameriera dell’Hotel Cervo). se protesti, ti ritrovi sola. Sugli straordinari, per esempio, ci mettiamo d’accordo per non farli. Poi, gira e rigira, tutti restiamo a lavorare…
R.: (cameriera del Cervo Tennis). Mai avuto problemi sindaca-li… qui pagano tutto… rispettano il contratto…
R.: (cameriera dell’Hotel Cervo). … però, tante volte saltiamo il riposo… io mi scontro…
R.: (governante). … ma lo si fa per aiutare le colleghe, anche io salto il riposo… lo faccio per le colleghe, non per il datore di lavoго…
R.: (cameriera della caffetteria). … i riposi e gli straordinari però, saltano ad agosto… se fossimo tutti d’accordo, assumerebbero altra gente…
D.: Siete soddisfatte della paga che percepite?
R.: (cameriera del Cervo Tennis). Mi accontento, però i soldi non bastano mai…
R.: (cameriera della caffetteria). Per me, più o meno, va bene, supero il milione…
R.: (guardarobiera-stiratrice). raggiungo la media del milione… anche io sono soddisfatta,
R.: (governante). Io no. Dopo quindici anni di servizio, un milione mi sembra poco… Poi qui, a Porto Cervo, se per una sera hai bisogno di uscire, di prendere un caffè o un gelato, ci rimetti lo stipendio…
R.: (cameriera dell’Hotel Cervo). Certo, un milione non è tanto se si pensa a tutto il lavoro che si fa…
R.: (governante). …bè, per una cameriera un milione non è poco. Qui, a Porto Cervo, ci sono baby sitter, commesse che prendono 400-500.000 lire al mese e non fanno certo sei ore e 40 al giorno…
R.: (cameriera del Cervo Tennis). È vero. Occorre, però, anche considerare il problema della carriera. Per noi, in pratica, non esiste. Una cameriera al massimo, può diventare governante…
D.: Avete mai scioperato?
R.: (cameriera del Cervo Tennis). Io un paio di volte. L’ultima tre o quattro anni fa, mi pare per l’aumento di stipendio.
R.: (cameriera della caffetteria). Io ho scioperato nel ’74 per quattro giorni… Non volevamo il direttore. Un essere disumano: era cattivo, ci sfruttava, pretendeva il massimo, era un negriero, ci faceva fare più ore, urlava… Dopo il ’74, l’hanno mandato via: prima il direttore generale, poi è saltato lui… Negli anni seguenti, ho scioperato qualche volta per il rinnovo del contratto.
R.: (guardarobiera-stiratrice). Ho scioperato anche io un paio di volte per il rinnovo del contratto.
R.: (governante). No, io non ho mai scioperato…
R.: (cameriera dell’hotel Cervo). Quando c’è da scioperare, io sono la prima. L’ho fatto cinque, sei volte: per i rinnovi contrattuali, aumenti di stipendio… E poi è una giornata di riposo, stiamo tutti insieme, uniti… si discute…
D.: Avendone le possibilità economiche trascorrereste qua le vostre vacanze?
R.: (cameriera del Cervo Tennis). Si… Un momento, però, io non so neppure che vita facciano i clienti qui… Non so se riuscirei… Non è il mio ambiente. Sicuramente finirei in una pensione…
R.: (governante). Anche io preferireri andare in una pensione. Qui è tutto costruito, artefatto. Sembra tutto fresco, lindo… Ma noi che ci lavoriamo conosciamo il modo di… i lati negativi e positivi…
R.: (cameriera dell’Hotel Cervo). Non è tutto oro quel che luccica, noi lo sappiamo bene… siamo dietro le quinte, vediamo tutti i retroscena…
D.: E quali sono questi retroscena?
R.: (cameriera dell’Hotel Cervo). Non … Bè, in un hotel extralusso non è che tutto quello che si vede sia vero… così bello come si vede. Poi, noi non è che sappiamo bene cosa facciano i clienti. Lo immaginiamo…
D.: E cosa immaginate?
R.: (cameriera dell’Hotel Cervo) … Non so… fanno una vita agiata… poi…
R.: (governante)…. si mettono in mostra e basta… Cosa fanno? Si alzano a mezzogiorno… vanno a letto tardi la notte… boutiques, spiaggia, chiacchiere… nient’altro. Secondo me si annoiano…
R.: (cameriera dell’Hotel Cervo). Si ritrovano anche da soli, in ville, al night… Chissà che fanno… non lo sappiamo … non lo capiamo. Sono diversi da noi… come un’altra razza…
D.: Ad alcuni vostri colleghi, indossare la divisa dà fastidio. A voi?
R.: (tutte le intervistate). No… Ci sono abituata… Almeno non consumo la mia roba… La mia è bianca, carina…
D.: Reputate giuste le norme di comportamento a cui vi dovete attenere nei confronti dei clienti?
R.: (cameriera del Cervo Tennis). Adesso ci sono anche dei regolamenti scritti. In sostanza, il cliente ha sempre ragione. Non so se è giusto. Forse è necessario.
R.: (governante). Come ogni lavoro, anche il nostro ha le sue regole. Il cliente può aver torto, ma noi siamo al suo servizio, ci pagano per questo…
R.: (cameriera del Cervo Tennis). I rapporti tra noi e i clienti devono essere strettamente di lavoro. Se ci si incontra, fuori, qualche volta in piazzetta, ci si saluta e tutto finisce li… Ho avuto occasione di uscire con dei clienti… ma non riesco a starci… è un ambiente troppo diverso…
R.: (governante)… se tra clienti e dipendenti ci fosse troppa amicizia, il lavoro salterebbe. Le parti non si possono certo invertire. Se no che fai? La cameriera diventa cliente e il cliente diventa cameriera. L’hotel di lusso va bene così com’è. Anzi, io, qua, a Porto Cervo, sarei molto più severa, più rigida di quello che dicono le norme comportamentali, scritte ed orali che siano. Ci sono persone che non rispettano un cliente che spende mezzo milione e più al giorno. Io sarei intransigente. Noi siamo qui per lavorare, non per giocare o fare i superbiosi».
COSTA SMERALDA HOTELS: IL CONTABILE COSCRITTO
Dall’intervista a un contabile della Costa Smeralda Hotels:
D.: Quali sono le tappe principali della tua carriera nel settore alberghiero?
R.: Ho 25 anni e sono di La Maddalena. Ancor prima di diplomarmi all’Istituto Nautico, ho iniziato a lavorare saltuaria-mente. Un pò come manovale, per mio padre, scalpellino – una vita durissima la sua: lavorava il granito e un pò, come stagionale, al Club Méditerranée di Caprera nel ’75 e a quello di Santo Stefano, prima che diventasse Valtur, nel 1976. Sono state esperienze terribili, tremende. Ho visto cose allucinanti. A Santo Stefano ti assumevano e ti licenziavano quando volevano. Ho lavorato un mese e mezzo, poi sono scappato. Ero sull’orlo dell’esaurimento nervoso.
D.: Ma che succedeva?
R.: Ero stato assunto come aiuto di cucina e lavoravo in un ristorante, staccato dal corpo centrale del Club di Santo Stefano, che faceva, in media 200-250 coperti al giorno. Eravamo in due e ci spremevano come limoni. Iniziavamo alle 7 del mattino e dovevamo fare di tutto: pulire la cucina, aiutare il cuoco, preparare gli antipasti, i primi, arrostire il pesce e la carne alla griglia. Poi di nuovo in cucina a lavare, a mano, i piatti sporcati dai clienti perché non c’erano le macchine. Finivamo verso le 3-4 del pomeriggio e si rientrava alle 6 di sera per finire all’una, le due di notte. In media, lavoravamo 15-16 ore al giorno e ci davano una sola giornata libera per ogni 15 di lavoro. La paga era di 250.000 lire al mese. La tariffa sindacale. Ma eravamo senza contratto e nessuno ci pagava gli straordinari. Era il regno dell’arbitrio. Qui, in Costa Smeralda, invece, il contratto lo firmi. Sai a che ora entri e a che ora esci.
D.: Dal punto di vista del lavoratore, quali sono le differenze principali che hai riscontrato tra posti come il Club Méditerranée e la Costa Smeralda?
R.: Enormi. In Costa Smeralda ho lavorato, come magazziniere stagionale, per quattro anni, all’hotel Pitrizza. Poi, sempre come stagionale, mi hanno promosso aiuto controllo amministrativo all’Hotel Cala di Volpe. Durante il corso di addestramento, mi hanno proposto di passare definitivamente agli uffici centrali di Porto Cervo e così, dall’ottobre 1983, sono fisso. Faccio il contabile, in pratica. D’estate, per la Marinasarda, una società affiliata della Costa Smeralda Hotels, mi occupo dei noleggi delle barche e dei negozi di articoli nautici e, d’inverno, degli investimenti in terreni, case, degli ammortamenti, ecc. Ho, quindi, una discreta esperienza alle spalle. Qui, in Costa Smeralda, l’organizzazione del lavoro è rigorosa, razionale: un orologio svizzero. E, in realtà, sia i direttori generali che i centri amministrativi del Consorzio sono tutti in Svizzera. Lo stesso Principe, del resto, ha dato uno stile di eleganza, un’impronta di efficienza. E, per il turismo miliardario della Costa Smeralda, non poteva essere diversamente. Al Club Méditerranée di La Maddalena, invece, assumevano studentelli usa e getta. Quando non ce la facevi più, te ne andavi. In Costa Smeralda, al contrario, il personale si seleziona negli anni, stagione dopo stagione… riassumono i migliori… ti osservano… se vuoi, puoi fare anche un pò di carriera. E poi non parliamo di altre cose…
D.: Parliamone, invece. Di che si tratta?
R.: Ma, porcherie incredibili. Ti faccio un esempio tra i tanti.
Al Club Méditerranée di Caprera, la sera si preparava sempre un grande recipiente dove si raccoglieva l’acqua per preparare il latte in polvere al mattino per le prime colazioni, sia dei clienti che del personale. Ebbene, ho visto questi studentelli lavarsi i piedi, la sera, dentro quell’acqua! Poi un’altra cosa allucinante. Noi lavavamo i piatti e gettavamo i rifiuti. L’economo, dopo, perquisiva i contenitori dei rifiuti e se trovava un pezzo di bistecca, una fettina non perfettamente consumata, tiè, sotto l’acqua e via di nuovo in cucina. Questo era l’uso. Sinceramente. qui, questo non è mai successo. Ho lavorato al Pitrizza, come magazziniere sono stato anche in cucina e certamente queste cose, in Costa Smeralda, non accadono.
D.: Allora qui va tutto bene?
R.: Bè, proprio tutto no. Anche qui ti devi adattare. D’estate soprattutto, si lavora molto, parecchio. Faccio spesso straordinari. Ieri, avrei dovuto essere di riposo, invece, ho lavorato tutta la mattinata. Il vitto, poi, non è per nulla soddisfacente. C’è stato un periodo in cui alla mensa dell’Hotel Cervo, dove ruota gran parte del personale di Porto Cervo, si è mangiato malissimo. C’è tensione per questo. La direzione cerca di limitare i costi il più possibile e naturalmente non si punta sul cliente, che paga cifre astronomiche, ma sul personale. All’Hotel Pitrizza, poi, nel 1979 e nel 1980, gli alloggi del personale erano baracconi in lamiera. Si arrostiva d’estate e si allagava tutto l’inverno. E così, nel 1983, siamo stati costretti a scioperare. Abbiamo bloccato completamente il lavoro e si è arrivati così alla sistemazione degli alloggi.
D.: Ti piace il lavoro che fai?
R.: No. Non sono un contabile nato (ride)… ma un contabile coscritto. Io amo l’arte, le materie umanistiche. Mi sarebbe piaciuto insegnare, scrivere… Non andrei certo in ferie qui, mi piacciono le città artistiche, Firenze, Venezia… Questo mi crea problemi, a volte sento di non farcela più a far quadrare i conti. Però, purtroppo, non ho altro per le mani, devo mangiare e quindi pace.
D.: In cosa ti senti diverso dai clienti che circolano qua?
R.: In tutto. Io guadagno 950.000 lire al mese, loro ne spendono il triplo al giorno. Anzi, c’è gente, al Cala di Volpe o al Romazzino, che paga 7-8 milioni al giorno. Per me sono cifre che vedo solo sulla carta, conti che mi vedo sfilare sotto il naso, solo numeri. Poi io non vado al Sottovento, che è la discoteca più in di Porto Cervo, non vado al night, non cerco avventure. Da sette anni che sono qui, non ne ho avuto neppure una. Per altri è diverso: ho un amico che fa il bagnino a Porto Cervo, tipico macho, virile, alto. Lui rimorchia sempre. Gli corrono dietro anche delle miliardarie… Lui è invitato a Londra, alle Bahamas, in America, negli Stati Uniti… Per me è tutto l’opposto: un caffè, una pizza, un giro in libreria, un salto a Olbia o ad Arzachena.
D.: Circola droga qui?
R.: Bè, la droga per ricchi, la coca, penso che sia alla luce del sole… è diffusissima. Io non l’ho vista, ma si sa. La coca, ormai, non è un segreto per nessuno, non è un qualcosa di nascosto, è un qualcosa che, per la maggior parte delle persone che vengono a fare le vacanze qui, parlo di turisti, è accessibilissimo. E una forma di piacere immediato, parecchio costosa. Per i lavoratori di qui, invece, una forma di piacere, che non costa molto, può essere il sesso, non si fa di coca, qualche spinello è più facile, ho amici che lo fanno…
D.: Tu fumi spinelli?
R.: No. A me dà anche fastidio la sigaretta. Sono, come si suol dire, un ragazzo d’oro (ride)… virtuoso (ride)».
LA COMUNITÀ DELLA FINZIONE
I turisti sono tra loro competitivi, divisi e differenziati dalla marca della località dove trascorrono le proprie vacanze. Sono incasellati in uno spazio gerarchizzato dove il paesaggio più bello è quello che costa di più. Ma si ricompattano ideologicamente nei confronti del negro, del diverso e della Sardegna, che assimilano tra loro. Anzi, dopo il secondo conflitto mondiale, le fortune turistiche di quest’isola mediterranea nascono proprio perché la Sardegna sembrò un mitico paradiso bucolico, un lembo d’Africa trapiantato vicino alle coste europee. Negli anni sessanta, Karim Agan Khan, quarantanovesimo successore di Alì, nipote e genero di Maometto, comprò a scatola chiusa un lembo di terra sarda. Racconta la leggenda, solo dopo averne visto una decina di fotografie a Parigi.
La favola, negli anni successivi, prosegui. L’isola non poteva essere lanciata turisticamente partendo dalla sua realtà storica e dai suoi problemi sociali, ma facendo leva sulla mistificazione della vita pastorale, sulla “diversità” dei suoi abitanti e “sull’unicità” del suo territorio. E fu l’industria delle vacanze, utilizzando le tecniche del marketing, a ricostruire l’identità della Sardegna agli occhi dei suoi visitatori. Il mix promozionale, che comprende, combinate tra loro, la pubblicità, le pubbliche relazioni, la vendita personale, e la promozione delle vendite, propagandò su tutte l’ideologia naturalistica. L’isola venne ascritta nella parabola del naturale paradisiaco e/o selvaggio. A seconda del consumatore: se ricco e attempato come un adamitico giardino; se giovane e magari motociclista, come pista d’avventura; se raffinato, come paesaggio altamente estetico.
La razionalizzazione dei consumi collettivi determinò così un senso comune grazie al quale ancora oggi parlare della Sardegna è come nominare i Caraibi e il Vietnam insieme. Per anni, i confezionatori della vacanza hanno solleticato l’immaginario collettivo col fascino della traversata lunga e difficoltosa, alla fine della quale si schiudevano montagne selvagge, solitudini marine. Al contempo, i boschi nuoresi pullulavano di banditi in agguato. Un’altra sapiente mistificazione della realtà, che la stessa industria turistica, mossa da due interne trasformazioni, sta da tempo modificando. Dopo gli anni di piombo, il banditismo non affascina più e, soprattutto, l’accumulazione capitalistica ha delle leggi che non può non rispettare. Nel corso di oltre vent’anni, il turismo, dalla fase pioneristica degli anni ’60, è passato a quella decisamente industriale del decennio successivo e ora si stą sintonizzando sulla lunghezza d’onda post-industriale. E aumentato vertiginosamente il numero delle presenze turistiche, un caso questo in cui l’economia stabilisce che la quantità determina la qualità. E allora anche il maquillage pubblicitario ha subito sostanziali modifiche. Via i banditi, via i Robinson col motoscafo, restituiti gli austeri nuraghi ai pochi archeologi per qualche anno è restato ancora il mito della natura a fare da specchietto per le allodole.
Tuttavia, alle soglie del duemila, la Sardegna è sempre meno misteriosa. I surrogati del mito naturalistico sono diventati altri: il lusso, il divertimento, la mondanità, l’effervescente. L’industria ha modificato il significato ideologico dello spazio turistico. La Sardegna è sempre meno terra da esplorare e sempre più da consumare. Se, precedentemente, gli ingranaggi pubblicitari avevano presentato l’albergo come rifugio da un ambiente esterno, al contempo ostile e invitante, oggi anche le colline sono un grande albergo e non solo in senso metaforico. Il prodotto si va modificando non semplicemente in virtù delle mode turistiche dei luoghi e delle immagini, ma soprattutto a causa dell’usura del territorio. Quanto più questa sale, tanto più, inesorabilmente provoca l’abbassamento del livello economico dell’utenza, costringendo gli addetti alle pubbliche relazioni a modificare la presentazione del prodotto e le tecnologie gestionali. In ragione della contabilità di cassa, il turismo piega la realtà. E oggi il primitivo naturismo mediterraneo si sposa con l’efficienza, la pianificazione dell’effimero con la razionalizzazione programmata del divertimento. Alle soglie del duemila, la vacanza in Sardegna si propone come una variante vivente del post-moderno. E ciò è disciplinatamente accettato dai turisti-utenti:
D.: Il turismo è un’industria che produce e organizza tempo libero in maniera razionale. Non è un caso che in un insediamento ci sia una discoteca e non un maneggio di cavalli, che in un altro ci sia un posto attrezzato per panfili e non per gommoni. In poche parole, sulla base della capacità economica del turista, l’imprenditore organizza il consumo della vacanza. Voi siete due universitari milanesi, futuri commercialisti, in vacanza a Porto Rotondo, e certi meccanismi li conoscete bene. Questa organizzazione non vi ha dato l’impressione che l’industria turistica predetermini i vostri bisogni?
Primo turista: No, questo fatto non dà fastidio. Ci sono dei vantaggi che diversamente non potremmo avere. Sì, è vero che c’è un apparato industriale molto tecnico che t’invoglia a fare certi consumi. Ma questo, d’altra parte, accade in tutti i campi. Non vedo perché il turismo dovrebbe essere un’eccezione. E un’azienda che strumentalizza il paesaggio o il desiderio per fini economici. E allora? Quel che conta è che l’industria turistica fa divertire il cliente, gli fa fare certe cose, però il cliente paga e se non vuole se ne va per i fatti suoi. È una legge di mercato. A me non dà fastidio. Dal momento che Porto Rotondo produce quello che offre, non si sogna di dare ciò che non è richiesto. Evidentemente, se c’è un villaggio con una certa organizzazione è perché la gente lo chiede.
D.: Passereste le vostre vacanze a Porto Cervo anzichè qui, a Porto Rotondo?
Secondo turista: Sono stato a visitare Porto Cervo. Mi ha affascinato. Ma preferisco Porto Rotondo perché è più alla mia portata. Porto Cervo, invece, mi spaventa: per la fama del posto; per i panfili nel porto; e per tutte le sue abitudini di vita. Cerco di stare con i miei simili, con le persone che hanno i miei stessi problemi, che sono sulla mia stessa lunghezza d’onda. A Porto Cervo, ci sono dei livelli e delle forme di comportamento troppo distanti dai miei problemi, dai miei modi di essere. E naturalmente, cerco di stare con chi posso comunicare.
D.: Come turisti siete utenti di determinati servizi. Spesso, chi lavora per fornire questi servizi svolge lavoro-nero, con le note conseguenze: sovraccarico d’orario, nessuna garanzia di mantenere il posto, eccetera. Questo vi crea problemi?
Primo turista: Ma, generalmente, in vacanza uno ci va per divagarsi e non si occupa di questi problemi. D’altra parte, il turismo è un’organizzazione, come fai a sapere se la mattina c’è un ragazzino di 14 anni che si rompe la schiena portando lenzuola su e giù per l’albergo… E poi il lavoro nero esiste in ogni settore. Io ho degli amici che ogni estate fanno i camerieri a Milano Marittima, in Emilia. Lavorano senza contratto, però, a fine stagione, si portano a casa due, tre milioni. A questo punto non vedo perché l’industria turistica non dovrebbe accontentarli.
D.: Vi dà fastidio che qualcuno al ristorante sia pagato per servirvi?
Primo turista: Sì, se mi serve male. È un’abitudine italiana questa di considerare il lavoro domestico come una schiavitù.
D.: Fareste i camerieri come mestiere? Primo turista:
No. Noi studiamo economia e commercio e faremo un lavoro di tutt’altro tipo. Però, personalmente, rispetto il cameriere se è cameriere con la C maiuscola. E lo rispetto, in questo caso, perché è un professionista che fa il suo lavoro e lo fa bene; quindi gli do del lei e non trovo difficoltà a farmi servire.
D.: Non vi dà fastidio che in determinati locali e alberghi il personale indossi una divisa?
Secondo turista: Solo se lo vestono in maniera ridicola, come ho visto qualche volta. Per il resto, la divisa è funzionale e necessaria per una questione di organizzazione e d’immagine dell’albergo o del centro turistico.
D.: L’etichetta villaggio a Porto Rotondo vi sembra appropriata?
Primo turista: Sì. Una definizione corrente, una comoda finzione. Del resto, tutto nella vacanza è finzione. Si paga proprio per questo.
Come al luna park. Il consumo si autoriproduce. L’applicazione dell’etichetta villaggio all’insediamento turistico è uno dei tanti segnali di questa autoriproduzione. La quale si appropria, distorcendoli, dei sistemi collettivi di interpretazione della realtà: il simbolico e l’immaginario. I villaggi turistici riecheggiano i valori delle comunità agrarie fuori dallo sviluppo, lontane dalla “civiltà” e dai suoi rumori. Essi sono una mistificazione profonda della realtà perché la storia del villaggio antico è inscindibile dal lavoro come mediazione del rapporto tra individuo e natura. Nel villaggio turistico, invece, il luogo della mediazione con la natura non è il lavoro ma il consumo. Esso è, dunque, privo di collegamento con quello del passato: l’industria delle vacanze taglia il filo del tempo. Questa discontinuità è un’arma a doppio taglio. Fonte dell’attuale successo del turismo è anche la sua cattiva coscienza, la storia può subire accelerazioni, non salti. Nonostante le sue penose ricopiature, il villaggio di Narciso è privo di storia. È una finta comunità immersa nella comunità della finzione. Alla falsa coscienza del turista corrisponde una falsa praxis calata in una realtà deformata. “È così il crollo della realtà nell’iperrealismo, nella reduplicazione minuziosa del reale, di preferenza a partire da un altro medium riproduttivo pubblicità, foto, eccetera di medium in medium, il reale si volatizza, diventa allegoria della morte, ma si rafforza anche con la sua stessa distinzione, diventa il reale per il reale, feticismo dell’oggetto perduto non più oggetto di rappresentazione, ma estasi di negazione e della propria sterminazione rituale; iperreale… L’irrealtà non è più quella del sogno o del fantasma, d’un al-di-là o di un al-di-qua, è quella dell’allucinante somiglianza del reale a sé stesso. Per uscire dalla crisi della rappresentazione, bisogna imprigionare il reale nella pura ripetizione… Noi viviamo già ovunque nell’allucinazione ‘estetica’ della realtà. Il vecchio slogan ‘la realtà supera la finzione, che corrisponde ancora allo stadio surrealista di questa estetizzazione della vita, è superato: niente più finzione alla quale la vita possa confrontarsi, sia pur vittoriosamente è la realtà intera passata al gioco della realtà disincantamento radicale, stadio cool e cibernetico che succede alla fase hot e fantasmatica”.
COSTA SMERALDA: FACCHINO, NON SERVO
Dall’intervista a un uomo di fatica della Costa Smeralda Hotels:
«D.: Sei sardo, quasi laureato, e in Hotel svolgi un lavoro dequalificato e stagionale. Tutto ciò, come incide sul tuo carattere?
R.: Negativamente. Ma non al punto di trasformarmi in un automa ubbidiente. Anzi, non sopporto soprusi. Chiunque li faccia: direzione o colleghi. L’albergo è una giungla, ma io non accetto che il più forte schiacci il più debole. Proprio non l’accetto. È una cosa più forte di me. E a volte mi scontro anche sbagliando, per partito preso.
D.: Raccontami come hai reagito a un sopruso.
R.: Un esempio tra tanti. Una sera ero seduto a cena, durante l’intervallo a cui ho diritto. Mi hanno chiamato col segnalatore elettronico, il bip. Stavo mangiando e non ho risposto. Così, dopo un po’, mi sono visto arrivare davanti il capo ricevimento.
Mi ha fissato e mi ha chiesto: “perché non sei venuto?”. Non l’ho guardato neanche in faccia. E intervenuta una collega, rappresentante sindacale. Ma non avevo bisogno di difensori: è successo un piccolo casino. Dopo, mi hanno chiamato in direzione. Me l’aspettavo. La tecnica è la solita. Il direttore, per prima cosa, mi ha domandato perché non avevo fatto il mio dovere. Mi è stato facile replicare: “la pausa per la mensa è un mio diritto, non un mio dovere. Così come è mio diritto, nel mio tempo libero, fare tutto ciò che voglio”. Allora si è ammorbidito e ha cercato di raggirarmi: “Ma non avete fatto un patto con la governante di una certa disponibilità in cambio…”. L’ho stoppato subito: “non esiste nessun patto. E quando sto mangiando, sto mangiando. E non voglio essere disturbato da nessuno”.
D.: Ti ricomporteresti alla stessa maniera?
R.: Sì. Mille volte sì. Anche se corro il rischio di essere licenziato o di non essere più riassunto alla prossima stagione. Meglio morire di fame che diventare un lecchino. Del resto mi comporto così non solo con la direzione o i colleghi, ma anche con i clienti.
D.: Per esempio?
R.: Sono educato, ma freddo, distaccato. Non mendico mance. Se lavorando sudo, non cerco di apparire profumato e pettinato. Continuo il mio lavoro davanti al cliente come se nulla fosse. Non mostro immagini artefatte. Anzi, meglio se si rende conto che il lavoro è lavoro, che l’albergo non è solo luci e specchi, ma anche ombre e fatica. Se il cliente mi chiede qualcosa, la faccio, ma senza servilismo. Non mi inchino.
D.: E perché fai così?
R.: Chi è ricco è potente. Può comprare il mio lavoro, non me. Come persone, poi, disprezzo quei clienti pieni di tic, manie, pretese. I frequentatori di Porto Cervo sono capaci di spendere in un giorno quel che io guadagno in due o tre anni. Li guardo e sto zitto. Non posso dirgli in faccia quel che penso. Con l’immaginazione, però, sogno che crepino bruciati vivi nei loro yacht.