Giuramenti pastorali
di Francesco De Rosa
Quando c’è il dubbio che un pastore si sia reso responsabile di qualche azione delittuosa, come furto, frode, danneggiamento alle proprietà e al bestiame, adulterio o concubinaggio ecc., la persona danneggiata invita a confessarsi colpevole colui o coloro che sono sospettati e, se si dichiarassero innocenti, a giurare davanti a Dio o ai santi la propria innocenza. In questo caso, ove il giuramento venga accettato (altrimenti sarebbe nella persona sospettata lo stesso che volersi confessar colpevole), coloro che devono prendervi parte convengono solitamente presso una chiesa, al cospetto d’uno di quei santi ritenuti da tutti taumaturghi, come, ad esempio, san Simplicio, san Paolo di Monti, san Gavino di Portotorres, santa Lucia, san Rocco, e i Ss. Cosma e Damiano.
Là i presunti colpevoli, stando in ginocchio fra due candele accese, giurano ad alta e chiara voce la propria innocenza, posando la mano destra sul santo o sul vangelo o su uno scritto o amuleto importante. Se nel giurare impallidiscono e tremano o la loro voce si fa tremula, fioca e inintelligibile, è segno evidente d’aver giurato falsamente. In entrambi i casi l’offeso si ritiene soddisfatto: nel primo, perché sa che altri e non essi cercarono offenderlo; nel secondo, perché è convinto che il santo, davanti al quale coloro spergiurarono, ne farà vendetta assai più atroce di quella che avrebbe potuto compiere con le sue mani. E questa credenza è così profonda fra i pastori e il popolo dei villaggi che raramente avviene che uno si offra a giurare se non è sicuro della propria innocenza, e molti fatti si raccontano di terribili castighi inflitti dalle incollerite divinità contro gli spergiuri.