La lingua gallurese
di Francesco De Rosa
In Gallura, come ognuno sa, si parlano due dialetti diversi: il logudorese e il gallurese: il primo dai Terranovesi, Luresini e Bortigiadesi e il secondo dal resto della Gallura, se se ne eccettuano i Maddalenini, i quali parlano un vernacolo risultante da una mescolanza d’italiano e di corso, con preminenza di questo sull’altro.
Il logudorese, che era una volta la sola lingua parlata in Gallura e nelle altre parti dell’isola, è la figlia primogenita della latina, poiché nessun’altra fra le lingue neo-latine a essa tanto si rassomiglia: tant’è che vari poeti, il Madau segnatamente, hanno composto delle poesie sarde con parole prettamente latine. E lo stesso Alighieri, il divino poeta, nel suo De vulgare eloquio dicendo – «quadam (sardos) grammaticam tamquam sine scire, homine imitantes, domus nova et domus meas loquuntur» – ci dimostra che la lingua sarda poco differiva dalla latina.
Per testimonianza del Muratori (Dissertazione XXXI, Antiquitates [Italicae] Medii Aevii) essa si parlava prima degli altri dialetti d’Italia, e se è autentico il canto improvvisato da un poeta sardo, di cui abbiamo detto nel capitolo precedente [non lo è, essendo dei Falsi d’Arborea], è certo che, se non come si parla al presente, almeno come si parlava generalmente nell’isola nel secolo XI e all’incirca come oggi si parla a Bitti, era parlata nel II secolo la lingua sarda: il che avvalorerebbe l’opinione di molti che essa non fosse diversa dal romano rustico, parlato al tempo della romana repubblica.
Con la dominazione araba la lingua venne alquanto alterata e con la spagnola un gran numero di vocaboli catalani e castigliani s’infiltrarono in essa, cosicché, non meno che nella latina, nella lingua spagnola si credette da alcuni ravvisarne l’origine. Ne conseguì che il dialetto logudorese, ossia la lingua sarda, la si cominciò da certi a scrivere con ortografia spagnola e da altri con quella latina, alla quale ultima si attennero il Madao, l’Araolla, il Dore, lo Spano ed altri sardi illustri.
Io però sono del parere che il dialetto logudorese si debba scrivere non con l’ortografia latina né con la spagnola, ma con una ortografia tutta propria: atta ad interpretare esattamente la fonica del linguaggio, senza dar mai a una consonante un suono diverso da quello che naturalmente ha, o che ad altra propriamente si conviene. La quale maniera di scrivere, se da una parte urta i nervi di coloro che nello scrivere usano una ortografia corrispondente all’origine delle parole, dall’altra meglio si attaglia alla più ampia comprensione e al gusto della maggioranza dei lettori.
Per altro io credo sia ottima cosa liberare una buona volta la lingua sarda dalle pastoie della latina scrivendola con una ortografia caratteristica che valga a distinguerla dalle altre lingue. E poiché il logudorese di Gallura si scosta molto dal logudorese propriamente detto, per il fatto che, mentre quest’ultimo risente tuttora l’influenza della lingua latina, quello si esplica sotto l’influenza del dialetto gallurese (che è affine più di ogni altro dialetto d’Italia alla lingua toscana evitando come questa le asprezze e i suoni troppo gagliardi e poco armoniosi), io, oltre essermi attenuto nello scriverlo alle norme preindicate per quanto ha di comune col secondo, mi sono scostato da questo ogni qualvolta poteva radicalmente modificarne la pronuncia, sostituendo alle lettere della lingua sarda quelle che meglio valgono a interpretare la fonica del dialetto logudorese di Gallura.
Tale innovazione è fatta da me nel seguente modo:
- Elidendo il b e il d iniziali tutte le volte che nel parlare non si pronunziano, sostituendo ad essi un apostrofo rovesciato.
Così invece di scrivere cosa deretta, su dinari, custu bantu, litru de binu ecc., si scriverà cosa ’eretta, su ’inari, custu ’antu, litru de ’inu, ecc.
- Cambiando il b in v, quando per rendere dolce la pronunzia quella prende il suono di quest’ultima consonante.
Così invece di scrivere no es beru, faghel bonu, cherrel bocchire, si scriverà no el veru, faghel vonu, cherrel vocchire.
III. Mutando l’r finale delle sillabe poste in mezzo alla parola in l, se vi segue una consonante.
Così invece di scrivere turba, marca, bardu, porfidu, ermosa, arpa, ortu, arvere, orzu, si scriverà tulba, malca, baldu, polfidu, elmosa, alpa, oltu, alvere, olzu.
- Mutando l’r finale dei verbi, a cui si tolga la finale e, in l quando vi segua una parola incominciante per una delle consonanti b, d, g, l, m, n, r, v e z.
Così invece di haer benes, currer da unu logu, esser galaniosu, esser ligadu, cherrer mare e mundos, haer navigadu, fagher vanu caminu, esser zoccadu a russu, ecc., si scriverà hael benes, currel da unu logu, essel galaniosu, essel ligadu, hael navigadu, faghel vanu caminu, essel zoccadu a russu, ecc.
- Mutando la stessa r in s quando vi segue una parola incominciante per una delle consonanti c, f, p, s e t.
Così invece di scrivere morrer che cane, fagher fiancu, esser piagherosu, haer saludu, currer troppu ecc., si scriverà morres che cane, faghes fiancu, esses piagherosu, haes saludu, curres troppu, ecc.
- Mutando la finale s, degli articoli, dei nomi e degli aggettivi di numero plurale in l, quando è seguita da parola incominciante per una delle consonanti b, d, g, l, m, n, r, v e z.
Così invece di scrivere sas benediziones, totos deghe, omines galaniosos, caminos longos, feminas nudas, medas ruinas, tantas violeras, mannas zuccas, ecc., si scriverà sal benedissiones, totol deghe, ominel galaniosos, caminol longos, feminal nudas, medal ruinas, tantal violeras, mannal zuccas, ecc.
VII. Troncando la finale e dei verbi di modo infinito quando sono seguiti da parola incominciante per vocale, scrivendosi: esser istadu, mandar in ora mala, ecc.
VIII. Troncando la t finale dei verbi di terza persona quando essa viene preceduta da vocale e seguita da parola incominciante per consonante; oppure se è preceduta da consonante e seguita da parola incominciante per consonante o per vocale, nel qual ultimo caso al t troncato si sostituirà l’apostrofo.
Così invece di scrivere hat fattu, durat sempre, poltant bene, faeddant a s’iscarada, ecc. si scriverà ha fattu, dura sempre, poltan bene, faeddan a s’iscarada, ecc.
- Cangiando il t in d nelle persone dei verbi di terza persona quando viene preceduta da vocale e seguita da parola incominciante per vocale o per h.
Così invece di scrivere faeddat a s’iscarada, hat hapidu, ecc. si scriverà faeddad a s’iscarada, had hapidu, ecc.
- Cambiando la t dei verbi di terza persona in una delle vocali a e i quando per far comodo al verso vogliasi accrescere d’una sillaba il verbo o parlasi famigliarmente.
Così invece di dire poltant, cherent, battint, ecc. si suol dire talora poltana, cherene, battini, ecc.
- Est si usa intero davanti a parola incominciante per vocale, si cambia in es davanti a parola incomiciante per c, f, p, s, t, ed in el davanti a parola incominciante per b, d, g, l, m, n, r, v e z.
Si scriverà quindi: est andadu, es castigadu, es fiagosu, es postu, es sanu, es timorosu, el dannadu, el galaniosu, el lumenadu, el manniosu, el narentemale, el remonidu, el valente, el zoccadu a russu, ecc.
XII. Aggiungendo il j al c quando questo innanzi alle vocali a, o, u deve avere un suono schiacciato, intermedio fra il cha, cho, chu e il ja, jo, ju della lingua spagnola.
Così si scriverà: accjaradi, incjocca, occjudu.
XIII. Aggiungendo un j al g quando questo innanzi alle vocali a, o, u deve avere un suono schiacciato intermedio fra quello di ge, gi della lingua italiana e ja, je, ju della spagnola.
Per cui si scriverà: Gjagu, gjogu, gjudéu.
XIV. Quando il ge, gi non hanno perfettamente un suono come nella lingua italiana, ma fra ge gi di questa lingua e je, ji della spagnola tra il g e la vocale si pone un j.
Quindi invece di scrivere Gesus, bagimu si scriverà Gjesu, bagjimu.
- Qualunque sia l’etimologia della parola, quando la z è seguita da una sola vocale scriverassi scempia, se ha un suono tenue, e doppia se ha un suono gagliardo; se la z è seguita da due vocali segue le stesse regole della lingua italiana e della gallurese.
Si scriverà quindi: pazu, ozu, mazza, bozzigu, azione, pazzia, ecc.
XVI. Le iniziali d, f, l, m, n, p, r, v e z hanno un suono più dolce che in italiano, specialmente il c e l’f, delle quali la prima ha un suono tra il c e il g davanti alle vocali a, o, u e la seconda un suono tra l’f e il v.
XVII. Le iniziali b, g, s, t, hanno lo stesso suono vibrato che hanno in italiano.
XVIII. Le consonanti intermedie hanno identico suono di quelle delle lingue sarda e latina.
La lingua gallurese è, per quanto afferma il Cetti, una lingua straniera adottata dalla dominazione genovese e pisana nell’isola, e che io credo invece originata dalla lingua corsa fin dal tempo che parte degli abitanti dell’isola vicina, per sfuggire alla vendetta delle famiglie offese e alla giustizia punitiva passarono nella nostra, stabilendosi nelle solitarie plaghe della Gallura, laddove sorgevano tanti villaggi al tempo del giudicato successivamente scomparsi a causa della peste, carestia e delle frequentissime incursioni moresche.
Gran parte delle nuove genti arrivate, si stabilirono a Tempio, a Nuchis, a Calangianus, ad Aggius, mescolandosi a quelli che da Castelsardo, specialmente ad Aggius, si erano già trasferiti per sottrarsi ai pericoli dei frequenti assedi e per ragioni commerciali.
Questo dialetto gallurese che, come il siciliano ed il corso ha molto contatto con la lingua italiana – della quale nelle composizioni poetiche e letterarie assume rigorosamente le forme e s’inspira alla stessa dolcezza, soavità, armonia ed eleganza di dettato –, si prese, appunto per ciò, a scriverlo con ortografia italiana. Ma poiché, a mio vedere, una lingua o dialetto o idioma o vernacolo si deve scrivere in modo che non solo coloro che lo parlano naturalmente lo leggano, ma anche quelli a cui venisse voglia di studiarlo e di scriverlo facilmente, senza ricorrere a regole o ad eccezioni che in tutto o in parte mutino o modifichino il suono delle lettere o la fonica del linguaggio, è per tale motivo che io – non piacendomi la maniera con cui finora vengono scritte dai Galluresi alcune sillabe, delle quali non è possibile riscontrare la giusta natura e l’esatta pronuncia delle medesime –, lontano dal seguirne l’esempio, l’ho scritto nel modo che mi è parso valesse meglio a interpretare più esattamente i suoni.
Ed ecco quali ragioni linguistiche mi ci hanno indotto.
Non c’è Gallurese che non sappia che il c (schiacciato) ha un suono diverso in parrici, boci, maccioni (volpe), ciusoni, incioca, da quello che ha nelle parole aricci, occi, ginocci, maccioni (cespuglio), cioca (arsella), picciorra, ciurredda.
Come farà un altro di diversa regione o paese a distinguere tal diversità di pronunzia, se in tutte si conserva la stessa ortografia?
Tale inconveniente si eviterà semplicemente se si considera che nella prima forma il c, sia unico o raddoppiato, si pronunzia sempre schiacciato e nella seconda forma come kcc, kci, prendendo il c, oltre il suono schiacciato il suono duro di k con precedenza di questa a quella consonante.
Così si scriverà di preferenza nel modo seguente: arikci, okci, ginokci, makcioni (cespuglio), kcioca, pikciorra, kciurredda.
Il g non ha in gallurese un suono solamente schiacciato come in italiano, ma un suono che partecipa del ge, gi italiano e delle sillabe ja, je, ji, jo, ju spagnole; così ogni qualvolta al g vuolsi dare il suono schiacciato gallurese scriveremo: gjacanu, gjesummaria, gjilosu, gjocu, Gjuanni.
Siccome in Lucìa, faccìa, dicìa, haggìa, daggìa, iscìa, pascìa, ecc. la vocale i si pronuncia distintamente, mentre in Lùcia, fàccia, dicia, assàggia, càccia, màsciu, ecc. non si fa sentire l’i che segue al c o al g, nel primo caso si scriverà dopo queste consonanti l’i, nel secondo questo verrà sostituito dall’j, che nei dialetti gallurese e logudorese non ha mai suono di i, ma della corrispondente lettera spagnola, scrivendo: Lucja, faccja, dicja, assaggja, cascja, mascju, ecc.
Poiché nelle parole sunagjolu, sisugja, Balagjana, abbogja, abbugjetti il suono del g è marcatamente diverso che in pagjolu, sangusugja, vagjana, ambogja, capigjeti, mentre in queste ultime, o analoghe parole, verrà egregiamente usato il g gallurese schiacciato; in quelle al g verrà sostituito l’j, della quale consonante si esprime esclusivamente il suono in esse.
Così pure mentre nelle parole luscja, scera, ascjolu, pescju il suono del digamma è identico all’italiano sc davanti le vocali e, ï; nelle parole gjescja, prisceti, rascjoni, fascjolu prende un suono identico all’x logudorese, onde in tal caso vi sostituiremo questa consonante, scrivendo gjexa, prixeti, raxoni, faxolu, ecc. Non imiteremo quindi coloro che vi sostituiscono l’j, scrivendo gieja, prijeti, rajoni, fajolu; il qual modo, dovendosi all’j dare la pronuncia spagnola, sarebbe più errato della prima forma.
La vocale i nelle sillabe glia, glie, glio, gliu, è semplicemente fonica, scrivendosi solo per imprimere ad esse il suono gagliardo della sillaba gli; per cui non si esprime.
Il d raddoppiato prende lo stesso suono schiacciato del dialetto siciliano e calabrese; per cui, come si usa in questi dialetti, tra l’ultimo d e la vocale porremo un h, scrivendo vaddhi, steddhu, voddhu, paddha, ceddha, moddhu, caddhinu, paddhosu, ecc.
Nelle parole che iniziano per i, seguita da consonante, precedute dagli articoli la, lu, si tronca la vocale i. Così invece di scrivere l’imprummissi, l’intinzioni, l’intasanatu, ecc. si scriverà la ‘mprummissa, la ‘ntinzioni, lu ‘ntasanatu, ecc.
Le vocali o, e, hanno normalmente suono stretto davanti a consonante singola e doppia, e suono aperto davanti a più consonanti di diversa specie. Perciò per maggiore intelligenza del lettore è raccomandabile fare uso dell’accento grave o acuto, secondoché si debba distinguere l’uno e l’altro suono.
Come nel logudorese, così nel dialetto gallurese le consonanti che in principio di parola non si pronunziano si elidono, sostituendo alla consonante troncata l’apostrofo rovesciato.
Si scriverà perciò: chista ‘olta, lu ’olu, lu ’elu, la ’intura, la ’oddha, lu ’inu, ecc.