Festa e comparatico di San Giovanni

di Francesco De Rosa

La festa di San Giovanni Battista

Questa festa [il 24 giugno] viene aspettata con ansia indicibile e con un non so che di misterioso timore dalle bambine e dalle fanciulle da marito: perché in tal giorno, da certi indizi, conosceranno il nome e la condizione sociale di colui che è destinato a diventare il compagno indivisibile della loro vita e stringeranno coi giovani, mediante il comparatico, un’amichevole relazione, dalla quale spesso si passa all’indissolubile unione matrimoniale.

La mattina prima di levarsi il sole i Terranovesi vanno a bagnarsi in mare, credendo che un tal bagno, oltre a rendere belli e perfetti i loro corpi, li salverà per tutto l’anno dai dolori addominali.

Le fanciulle credono che il futuro sposo avrà il nome della prima persona che vedono al mattino affacciandosi alla porta o alla finestra, o nella quale s’imbattono uscendo di casa.

Si crede che chi il mattino vede la sua ombra senza testa – o così veda apparire la sua immagine nell’acqua del pozzo, del fiume o del mare –, morirà entro l’anno.

La sera precedente, quella del vespro, le ragazze vanno nei campi a scegliere il fiore del cardo selvatico che è d’augurio sulla condizione civile del loro futuro sposo. Se nel giorno seguente a quello della festa vi trovano vacche di Dio sposeranno un vaccaio o un proprietario di vacche; se vi troveranno delle forfecchie [forbici o taglia forbici], un capraro; se vi trovano delle formiche, un agricoltore; se non vi trovano insetti, un povero.

La notte si fa il pronostico amoroso anche con le fave e l’indomani mattina col piombo o coll’uovo, come si fa ad Aggius.

Ad Aggius, una o due settimane prima, i fanciulli segnalano, con nastri, una o più piante di verbasco (trivocia[1]), che si chiama Bandera di santu Gjuanni, e al mattino della festa, quando quella pianta è già fiorita, portano le cime floride in giro per il paese, e appena vedono apparire il “Ministro maggiore della natura”, le sollevano in aria tra evviva e grida di gioia: costume questo che ci ricorda le feste rameali. Sulle cime di verbasco uniscono anche ramoscelli di ruta la quale, baciata dai primi raggi del sole nascente, acquista proprietà per guarire i dolori addominali, le cefalgie, le emicranie, ecc. e per scacciare il diavolo e i morti.

A Calangianus la sera del vespro le donne raccolgono capelvenere per i dolori della matrice, centaurea minore per combattere le febbri, steccade per le coliche dei cavalli e verbasco per combattere i gorgoglioni.

Presso le porte delle ragazze i giovani e i fanciulli piantano sulla strada e nella piazza il maio (alburoni), che altrove i contadini piantavano alle calende di maggio, e vi appendono frutti di varie qualità, specialmente agrumi, e dei confetti e talora nastri, fazzoletti di seta ed altro. A Calangianus e a Luras lo coprono di paglia e di fieno, soprapponendovi spesso un fantoccio di cenci.

Attorno al maio si fanno nella notte balli nazionali; però a Luras e a Calangianus, al tocco dell’Ave, vi si appicca fuoco, bruciando il maio fra le grida e gli schiamazzi dei fanciulli e delle bambine. I rami bruciati vengono divisi fra i fanciulli, ognuno dei quali porta la porzione toccatagli a casa sua.

Il Comparatico di San Giovanni

 Dal giorno della natività di san Giovanni Battista fino alla festa degli apostoli Pietro e Paolo (dal 24 al 29 giugno), i Galluresi e soprattutto i giovani e i fanciulli, usano farsi compari di san Giovanni.

Tal comparatico si fa in tre modi: col fazzoletto, con la corona e col fuoco.

Si fanno compari di fazzoletto prendendo una pezzuola bianca (simbolo della purezza dei sentimenti e del casto legame che si vuole stringere), della quale ciascuno annoda una delle cocche, scambiandola con colui che gli sta di fronte: le cocche vengono annodate, ricambiate e snodate per tre volte consecutive e per tre volte ognuno annoda e snoda quella che gli è rimasta in mano, complimentandosi poi a vicenda, seconda la diversa condizione dei compari, con le parole: “A molti anni; Dio vi conceda un buono sposo, o una buona sposa. Oppure: A molti anni; Dio vi dia pace e salute”.

Si fanno compari di corona, stringendosi a vicenda la mano destra e tenendo fra esse una corona, pronunziando mentre se le stringono i versi seguenti:

Comare e compare,

Sa fide mi poltades,

Sa fide mi poltei,

Santu Gjuanne e Dei,

Dei e santu Gjuanne,

Comare e compare,

Sa fide non m’ingannes

Comare e compare,

La fede mi portate,

La fede mi porterete,

San Giovanni e Dio,

Dio e san Giovanni,

O comare, o compare,

La fede non tradire

Si fanno compari di fuoco, accendendo dei falò o mucchi di stoppie, danzando attorno o saltandovi sopra, cantando:

Cumpari, lu fócu di Santu Gjuanni,

Cumpari, lu fócu di San Petru,

Cumpari, lu fócu di Sant’Antoni,

Cumpari, lu fócu di Sant’Accésu

Talvolta, invece di girare attorno al fuoco, prendono dal medesimo i rami accesi e li portano presso le case delle ragazze dove, messili in terra, si fanno con esse compari, afferrandosi le mani al disopra, poi incrociandole ora a destra ora a sinistra, mentre ripetono il solito ritornello. Quindi girano attorno al fuoco, prima a destra poi a sinistra, e infine si complimentano stringendosi di nuovo le mani.

Anche nel Friuli e nell’Istria è antichissima usanza di accendere cataste di fascine nella notte di san Giovanni, attorno a cui ballonzolano in tondo fanciulli, giovani e vecchi, cantando qualche stornello o canzonetta d’uso, fra le quali i seguenti versi:

Vegna, vegna pane e vin

E luganighe nel cantin

Anche il poeta sacro pare si sia inspirato a tal uso cantando:

Decora lux eternitatis auream

Diem beatis irrigavit ignibus

Un tempo, quando la malizia era minore, i compari nel complimentarsi si abbracciavano e baciavano come i cristiani dei primi secoli dopo la celebrazione dei sacri misteri. Io ricordo d’averlo fatto nella mia fanciullezza con più d’una ragazza.

Il comparatico di san Giovanni, in particolare se viene celebrato per mezzo della corona, è tenuto per sacro come quello del battesimo e non è possibile che un compare, compia azione o dica parola sconveniente a una comare, e se per caso l’uno sente tagliare i panni addosso all’altro ne prende le difese con tale vivacità che, se necessario, non si ritrae dal ricorrere a vie di fatto. Pare ormai che tale attaccamento e fedeltà vada mancando; a giudicarne dei seguenti versi, che corrono sulla bocca di tutti:

Cummari e cumpari sèmu

Di Santu Gjuanni ‘e fócu;

Si c’imbicchèmu in lu lócu

La cummaria scuncèmu

Comar e compare siamo

Di San Giovanni e fuoco;

Se c’incontriamo nel loco

Il comparatico tronchiamo

Quando si legavano in comparatico per via del fuoco, i fanciulli usavano anche saltarlo a più riprese, mentre le fanciulle si sedevano attorno sollevando spesse volte le vesti perché il calore ne riscaldasse direttamente il ventre: la qualcosa, secondo un’antica tradizione, le avrebbe salvate dai dolori addominali e mestruali per tutto l’anno.

 L’uso di passare attraverso le fiamme delle stoppie ricorda lo initiare filios et filias Moloc di Geremia, ed il transferre o ludere per ignem ed il consacrare per ignem del IV dei Re (XVI, 3; XVII, 17) e ci dimostra ancor una volta che i Sardi adoravano ab antico Moloc e Baal, ai quali, a giudicarne dall’idoletto, disegnato dall’illustre archeologo Lamarmora, nel suo «Atlante delle antichità sarde», al numero LI, sacrificavano loro pure i figliuoli ponendoli sulle loro mani arroventate, da cui, guizzando per il dolore che sentivano, andavano a cadere in una fossa di carboni ardenti, entro cui finivano d’abbrustolirsi ed incenerirsi, il che dicevasi comburere in olocaustum.

Tale usanza i Sardi non l’appresero dai soli Cananei, ma da tutti i popoli orientali che v’immigrarono. Infatti, così pure sagrificavano i Fenici ad Astarte, i Moabiti a Chamos, gli Idumei ad Ourolat ed Ailat, i Babilonesi a Militta, i Siri ad Adate ed Atargate, i Persiani a Mitra, i Palmiresi a Malacbelo, i Tiri ad Ercole o a Saturno, gli Jeropolitani alla dea Sira, i Taurici a Diana, e gli Egiziani ad Iside e Osiride.

I fuochi di san Giovanni, come quelli che si usano accendere il sabato santo (questi benedetti dal sacerdote), ci ricordano l’antico culto che fu reso al sole, importato dai popoli orientali e specialmente dai Fenici in Sardegna. Ognuno sa che il fuoco sacro ardeva nei tempi d’Apollo in Atene e Delfo, di Cerere in Mantinea, da Giove Ammone e nei Pritanei di tutte le città della Grecia, ove accendevansi, come avviene nelle nostre chiese nella cappella del SS. Sacramento, lampade che giammai si estinguevano.

Il fuoco era considerato dai Caldei come suprema divinità; però il suo culto venne quasi esclusivamente stabilito in Persia, dove trovavasi ovunque nei recinti chiusi da muraglie senza tetto, dai Greci detti Pytea o Pyrateia, dove inconsuntamente facevasi fuoco e ove in certe ore si recava il popolo a pregare. I grandi vi gettavano essenze preziose e fiori, ed era proibitissimo di gettarvi cose impure e di posarvi senza divozione lo sguardo. Numa Pompilio stabilì in Roma il culto del fuoco, affidandolo alle Vestali, che dovevano tenerlo perpetuamente acceso, non in Pyrateie, ma in sontuosi templi, ai quali venne data, per rappresentare, come vuole Plutarco, l’universo, la forma rotonda.

Gli Egizi, i Fenici, i Cananei, gli Arabi e gl’Indiani resero dai tempi più remoti un solenne culto al fuoco, come ce ne fa fede Sanconiatone, antico scrittore della Fenicia e l’arabo Feristan. A Sparta il fuoco sacro era portato innanzi alle armate, mediante incarico ai sacerdoti di tenerlo continuamente acceso.

I Macedoni adoravano il fuoco sotto il nome di Estia, offerendogli preghiere per renderselo propizio. Il fuoco era pure adorato dagli antichi Galli, Germani, Celti, Brettoni, Africani e Americani. Parmenide di Elea lo pone nel novero degli Dei.

Oggidì il culto del fuoco si mantiene fra i Tartari, i Guebri, gli Yakuti di Siberia e presso i popoli della Virginia e dell’antico stato del Monomotapa.

Tutti questi popoli, antichi e moderni, seguaci, senza conoscerlo, del sistema pitagorico, facevano del fuoco un elemento centrale e principale, il principio demiurgico, il quale vivifica la terra e ne allontana il freddo della morte. Credevasi che Perseo avesse fatto, per via di magici segreti, scendere il fuoco dal cielo.

I così detti fuochi di san Giovanni erano pure in uso nella Brettagna, dove gli abitanti ponevano delle sedie attorno ai fuochi, affinché i loro parenti defunti vi si potessero scaldare a loro bell’agio.

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[1] Nel testo originale travoccja che non figura attestato con questa ortografia in nessun dizionario.

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