ETERNI CANTI DI GALLURA
intervista di
Ugo E. Imperatori
a
GAVINO GABRIEL
in
SARDEGNA!
Rivista mensile di vita sarda
Gennaio 1914 – n. 1

La Gallura – il paese conservatore per eccellenza – custodisce da secoli i tesori del canto corale greco, tesori che l’Ellade stessa ha già perduto.
Fra i cantori popolari di Gallura, un’anima profonda e geniale d’artista ha ricercato e studiato e raccolto le più preziose gemme melodiche e si prepara ad offrirle all’universale ammirazione dei contemporanei incastonandole in una originale opera lirica, della quale molto si parlerà fra poco tempo. (1)
(1) Già nella rivista mensile del Bocca Gavino Gabriel ha pubblicato qualche melodia gallurese
All’interprete più acuto dell’anima gallurese, allo stesso Gavino Gabriel abbiamo chiesto per i nostri lettori notizie sulle popolari forme d’arte ch’egli va seguendo con intelletto d’amore: e l’amico egregio ha sintetizzato interessanti nozioni nella viva conversazione ch’io riferisco.
I canti galluresi, mi dice Gavino Gabriel, conservano il loro tono caratteristico, malgrado le successive contaminazioni con altri canti del centro della Sardegna. Questi hanno per lo più carattere voluttuoso, quasi lussurioso: i nostri canti invece hanno il tono jeratico che ci riporta ai canti egiziani, e son di natura rigida e cristallina, e riproducono – perfettamente conservatori – gli antichi nomoi greci venuti nell’isola col cristianesimo, per il canto gregoriano.
Fu proprio il rito cristiano collettivo che originò il nostro canto individuale..
– Attraverso la tasgia?…
Precisamente: la tasgia (taxis), il nostro canto corale d’oggi corrisponde proprio ai cori antichi, salve lievi modificazioni dovuti al successivo ordinario stratificarsi della coscienza collettiva.
Il canto uscì di chiesa quando il concetto della donna fu tra noi come fra i poeti del “dolce stil nuovo”: i sentimenti già rivolti alla Madonna furono rivolti alla donna…
E qui il trapasso divenne ardito. Qui la donna è cantata con finezza d’espressione, talvolta con delicatezza retorica, di cui ti dò un esempio della fine del settecento, un esempio in cui l’iperbole è evidente:
Candu a campagna eri isciuta
Fiurisini li frueddi
cun dulci cantu li cieddi
ti fesini la saluta. (2)
(2) Quando uscisti in campagna – fiorirono gli steli – gli uccelli con dolce canto – ti salutarono…
Quì, coll’andar del tempo, divenne tanto profana la poesia sorta da origini sacre che tutta divenne erotica e cantò soltanto l’amore in ogni suo vario aspetto di preghiera, dichiarazione, sarcasmo, palinodia, gelosia, minaccia, odio….
Quì i cori danno accordi indipendenti che sono la caratteristica più strana delle nostre quattro voci: lo schema di ciascuna è leggerissimo, ma su quello il cantore esprime tutto quanto l’anima detta. Constatiamo subito un vero e proprio oximoron: non son quattro anime fuse in una: si distinguono le momentanee creazioni delle singole voci: si tratta – direi quasi d’una collettività personale.
– E come si formò il canto indivi- duale ch’è sempre più diffuso?
Ricordi le quattro voci dell’antico falso bordone? son le identiche che noi oggi ritroviamo in Gallura, nella tasgia: il grossu, il contra, la boci ed il trippi. (2)
(2) Grossus basso; contra quinta; boci vox, tenor, qui tenet vocem; trippi-triptum.
Ebbene: come la lassa dei cantari divenne organismo a sé trasformandosi in sonetto, così la vox s’è distaccata dal coro ed è diventata la boci del cantu di janna o sarai (serenata).
Lo schema del canto è rimasto assolutamente fisso: e dunque non permette i fenomeni musicali del canto napoletano.
Ma l’individualità del cantadori si rivela sempre caratteristica, originale, ne lu donu (3), in quell’indistinto cioè che pervade tutta la frase – per virtù di organo vocale e di sentimento profondo – e che specialmente individua l’interpretazione del canto tradizionale nella parte che i musicisti dicono cadenza e che il nostro popolo chiama calata, la quale fa sussultar gli ascoltatori di commossa ammirazione. Lu donu, nell’antecipo singhiozzato della penultima sillaba del verso, esprime lo struggimento che prova il cantore, lo struggimento di finire mentr’è più potente la vitalità del canto: c’è ancora la voce e il canto è finito! (4)
(3) Il dono: dono veramente divino!
(4) Il popolo di Gallura vanta con iperboli originali la calata del suoi cantadori eccellenti: calata chi ni fura lu cori (che ruba il cuore), chi faci smaja lu cori (che fa cassare i battiti del cuore), chi faci fragghia (che fa abortire, vincendo ogni resistenza muscolare della natura…..) ecc.
– E l’armonia di questi canti s’è alterata attraverso il tempo?
No. Uno dei canti di Pindaro, per esempio, trascritto modernamente dal Paribeni, fu dal Gevaert armonizzato convenzionalmente ne risultò qualche cosa di simile ad una statua antica vestita d’un abito moderno! Io ho invece armonizzato quel canto col sistema della nostra tasgia, applicandone con precisione lo schema armonico, ed ho avuto il più felice dei risultati, il quale ci conferma perfettamente la grande distanza fra l’armonia convenzionale e l’armonia naturale che già fiori in Grecia e che oggi qui fiorisce ancora.
– Ma è possibile trascrivere le specialità d’una simile armonia naturale col sistema della scala temperata?
Non è possibile una trascrizione esatta degli infiniti mordenti, delle innumerevoli appoggiature, di tutti i trilli che costituiscono ogni singola nota dei nostri canti. Ogni nota infatti, pur ferma, si trasforma in sé e cambia natura e richiede diversi accordi fuori delle consuete parentele armoniche convenzionali.
– E tu dunque come farai conoscere al grande pubblico le tasgie classiche?
Occorre stilizzar queste tasgie trascrivendole; oppure tradurle artisticamente in un’opera nuova: come io farò. Bisogna fonder la poesia con la ragion d’essere dei nostri canti, illuminando – con ciò che l’artista può sentire dalla interiore ripetizione di questi canti – tutto quanto pittoricamente e letterariamente può sentire il medesimo artista di Sardegna.
Così, per la elaborazione delle infinite forme musicali che si trovano sintetizzate in semplicissimi canti, sarà possibile forse penetrare entro l’inesplicabile mistero dell’anima sarda, che presenta dolcezze amare, e rivela sì entro no, e mostra una mobilissima immobilità, e segnala individualità anonime: siamo, insomma, ancora di fronte all’oximoron…
– Tu conosci i miei giudizi sugli elementi etnici e storici che possono spiegarci pienamente la conservazione di canti greci in Gallura: (5 – M’auguro di pubblicare presto tali giudizi!) dell’origine prima di simili canti che cosa pensi?
L’origine naturale, terrena, del nostro canto si trova anche in un bisogno istintivo di uniformarsi all’armonia che si diffonde – come in vastissima orchestra nella campagna in certe ore del giorno, in certi tempi dell’ anno (ricordo le caratteristiche del meriggio, del tempo di mietitural…) S’alternano certi toni nella grande orchestra della natura: e spesso son dati da voci animali. Ti ricordo un originale quartetto ch’ io ho colto recentemente, una vera e propria tasgia: dava la tonica, la nota base, una cavalletta; faceva la quinta, il contra, un grillo; e l’assiolo era il trippi basso che faceva la terza.
Nella campagna vasta continuava questo accordo come un enorme pedale obbligato: quando s’elevò la voce d’un pastore, la forza orchestrale circostante costrinse la boci in quell’accordo!
Così spesso nelle nostre campagne si accorda tra voci animali, complementari del falso bordone, la boci del pastore che sta solitario presso l’armento, o che va per le alture granitiche a cavallo, con la sua donna e con il suo fucile…
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