IL BOOM TURISTICO E LA COSTA SMERALDA
IL PESO CRESCENTE DEL TURISMO E LA VICENDA DEL MASTER PLAN ⇓
di SANDRO RUJU
tratto da
Economia, società e politica nel secondo Novecento
Cagliari, CUEC Editrice, 2018 ⇒
già in
Storia d’Italia Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna.
A cura di Luigi Berlinguer e Antonello Mattone
Torino, Einaudi, 1998
IL BOOM TURISTICO E LA COSTA SMERALDA
L’altro nuovo fenomeno destinato ad incidere in modo rilevante sugli assetti economici e sociali dell’isola fu il turismo. Gli studi preparatori per il Piano di rinascita avevano delimitato i comprensori paesistico-turistici, considerando unitariamente l’interno dell’isola e le fasce costiere[82]. Tuttavia col diffondersi sul piano internazionale delle vacanze di massa si puntò a valorizzare luoghi le cui bellezze erano rimaste per lungo tempo ignorate e i litorali della Sardegna costituivano da questo punto di vista una risorsa straordinaria e apparentemente inesauribile. Nel 1962 cominciò così quella che è stata poi definita «la lottizzazione della costa sarda da parte di operatori privati stranieri e continentali»[83], ma che venne presentata dalla classe politica dirigente dell’epoca come un «benefico assalto»: «Stiamo vivendo – disse l’assessore alle finanze Nino Costa introducendo a Sassari la prima mostra dei piani paesistici – un momento storico in Sardegna grazie al cosiddetto boom turistico. Le coste dell’Isola dopo secoli di spoliazione e vandalismi, dopo essere rimaste alla mercé di conquistatori e pirati sono oggi motivo di viva attenzione da parte di operatori italiani e stranieri, tutti intelligenti e coraggiosi… Un assalto benefico è dunque in atto verso questi nostri litorali in passato tormentati ed oggi aperti al progresso, alla valorizzazione, al richiamo internazionale!»[84].
Nel villaggio del Club Mediterranée di La Maddalena, che aveva appena aperto, si registrarono 70.000 presenze, mentre sul litorale di Platamona, a poca distanza da Sassari, una società inglese stava completando la realizzazione di un albergo.
A Capo Falcone, nei pressi di Stintino, la società In.Sar, appartenente ad Angelo Moratti, progettava la realizzazione di un grande complesso.
Indro Montanelli, che sembrò innamorarsi della zona, con pessimistica preveggenza confidava a qualcuno che occorreva «pregare» perché quella straordinaria fascia costiera non fosse rovinata[85]. Forse non conosceva il progetto dell’enorme «serpente» di cemento che sarebbe stato realizzato subito dopo dalla società milanese (nonostante i suggerimenti alternativi di qualche tecnico avveduto) proprio come sfondo dell’ancora incontaminata spiaggia della «Pelosa»[86].
Ma i primi anni Sessanta coincidono soprattutto con l’avvio del progetto Costa Smeralda: è nell’estate del 1961 che nasce ufficialmente l’omonimo Consorzio. Oltre all’ideatore, l’Aga Khan Karim, principe della comunità degli Ismaeliti[87], ne facevano parte altri nomi di primo piano della finanza internazionale e dell’industria italiana[88].
Gli studi preparatori del Piano di rinascita non avevano previsto l’inserimento dell’area costiera nord-orientale dell’isola, che di là a poco sarebbe diventata il maggior polo di attrazione non solo della Gallura ma dell’intera Sardegna, tra le zone suscettibili di sviluppo: Monti di Mola, la zona costiera del territorio comunale di Arzachena era una straordinaria distesa di macchia mediterranea abitata, prima di allora, soltanto da alcuni pastori con le loro capre: ma proprio lì sarebbe sorta la Costa Smeralda[89].
«Nominare è un atto d’amore – ha scritto polemicamente l’antropologo Bachisio Bandinu – ma anche l’atto ufficiale dell’acquisto e del possesso. Il nome ha una forza incontrollabile e segnerà un destino per quella terra. Essa diventa tabù, riservata agli officianti di un turismo d’élite. Tutta la storia che seguirà non è altro che il percorso della nominazione»[90].
L’ubriacatura per la grande industria non era ancora arrivata e il turismo veniva dunque esaltato dalla stampa locale come «l’industria senza ciminiere» più adatta alle coste della Sardegna[91]. Così l’appoggio all’iniziativa di Karim fu fin troppo acritico e totale: si pensi che già nel dicembre del 1961, quando i progetti del Consorzio erano ancora avvolti nel mistero, lo stesso cronista aveva suggerito all’amministrazione comunale di offrire la cittadinanza onoraria al Principe, «sincero amico di queste popolazioni»[92].
Nell’agosto dell’anno successivo «La Nuova Sardegna» aveva quindi denunciato una serie di difficoltà che sembravano ostacolare l’Aga Khan e il gruppo di imprenditori a lui vicino in un progetto che prevedeva la messa in opera di 8.000 costruzioni[93].
Lo stesso quotidiano riferiva qualche tempo dopo di una visita del presidente della Regione sarda Efisio Corrias finalizzata ad offrire precise garanzie circa l’impegno pubblico per la creazione di una serie di infrastrutture necessarie al progetto di sviluppo, i cui tempi di realizzazione furono in effetti molti rapidi[94].
Ma non mancarono le eccezioni ad un coro di consensi generalmente acritico. Dalle colonne del combattivo settimanale «Sardegna oggi» Giuseppe Melis Bassu polemizzava nel 1962 con il quotidiano sassarese che aveva invitato seccamente «a non disturbare i manovratori» e rilevava come il boom turistico della Gallura avesse preso «in contropiede» l’iniziativa pubblica, alla quale spettavano ormai nuovi compiti «di controllo e di indirizzo»: «Oggi sta per venire ad esistenza in Sardegna – scriveva l’intellettuale – prima del tempo sperato e per esclusiva iniziativa del capitale privato un vero e proprio mercato turistico capace di richiamare e fissare intorno a sé correnti turistiche costanti: il che rende sostanzialmente superflua, almeno sino a quando non si ripresenteranno condizioni di carenza dell’iniziativa privata, ogni incentivazione in questo senso. Si può dire che non abbiamo più bisogno di una regione albergatrice»[95].
L’anno successivo sul periodico comunista «Rinascita sarda» apparve un dibattito nel quale, accanto ad una contrapposizione di tipo ideologico contro il turismo d’élite, vennero formulate alcune osservazioni lungimiranti sul nesso strettissimo che andava delineandosi tra sviluppo turistico e questione urbanistica: «La salvaguardia delle coste sarde – scriveva Giuseppe Fiori – è importante perché hanno un’attrattiva in sé che permette di competere con altre zone dotate di ben altre attrezzature. Bisogna evitare perciò gli insediamenti indiscriminati: è l’unica possibilità che abbiamo di competere con riviere ben più famose. Le coste devono essere considerate parchi accessibili a tutti»[96].
In alcuni densi reportages per «Il Giorno» Franco Nasi descriveva a sua volta l’impatto provocato dalla «pioggia di milioni dell’Aga Khan e soci» su coloro che gli altri galluresi definirono, con malcelata invidia, gli «smeraldini»: I mediatori tra le «imprese turistiche» di origine continentale e i sardi dovrebbero essere le autorità regionali; la mediazione dovrebbe essere esercitata, a tutti i livelli, dalla classe dirigente. Ma essa appare sconcertata (atterrita?) da questi fatti. Due anni or sono, quando cominciò con l’avvento di Karim, la gran favola della Costa Smeralda, ovunque sentivamo la tesi magica: «Arrivano gli imprenditori del turismo, ci faranno tutto loro, le strade, le scuole, le case. Non ci resterà che il problema che investire tutti i soldi che ci daranno». E chi diceva: «state attenti. Il turismo non può risolvere tutti i problemi dell’isola» era considerato nemico della patria[97].
Il Consorzio Costa Smeralda aprì i suoi primi alberghi, ideati da un équipe di architetti di fama internazionale, già nel 1963[98]. In agosto arrivò sia pure per poco anche la regina d’Inghilterra a salutare la principessa Margareth che trascorreva le sue vacanze; qualche giorno dopo venne inaugurato il molo di Porto Cervo e lo stesso Karim consegnò la coppa all’equipaggio vincitore di una grande regata. La sera, a completare la festa, secondo un modello che di lì a poco sarebbe diventato un rituale di ogni iniziativa turistica, venne organizzata «una cena alla sarda» (porcetto arrostito sotto terra da pastori fatti venire dal Nuorese, pane carasau, prosciutti di cinghiale, lumache sassaresi e cannonau di Oliena e di Sorso)[99].
Il piano di sviluppo generale del Consorzio, pubblicato nel 1969, arrivava ad ipotizzare insediamenti capaci di ospitare più di 100.000 persone, mentre gli studi dei programmatori regionali avevano stimato una ricettività massima di 35.000 abitanti[100]. Su questo Piano che, per le sue dimensioni, rischiava di compromettere quell’equilibrio tra tipologie costruttive e ambiente, che nella fase di decollo aveva distinto sul piano della qualità e della salvaguardia ambientale l’intervento del Consorzio rispetto a tanti altri insediamenti isolani, si sarebbero sviluppate, come vedremo più avanti, fortissime e laceranti discussioni. Un dato sul quale hanno però concordato generalmente anche gli osservatori più critici è che con la sua attività la Costa Smeralda ha contribuito indirettamente a far conoscere e pubblicizzare la Sardegna nel mondo.
Idolatrata spesso in modo stucchevole e eccessivo, la figura dell’Aga Khan è stata viceversa anche uno dei bersagli polemici preferiti da parte dei romantici cultori dell’anticolonialismo[101].
Sulla scia del successo dell’operazione «smeraldina» si andò d’altra parte moltiplicando una corsa all’accaparramento di molti territori costieri con progetti spesso discutibili, che solo talvolta non andarono in porto. Alcuni operatori inglesi acquistarono più di 1.000 ettari a sud di Oristano dove progettarono di realizzare alcuni villaggi turistici senza chiarire peraltro che sarebbe stata trasformata radicalmente «la zona di dune attive più estesa dell’isola»[102].
A sua volta una società belga acquistava centinaia di ettari di proprietà del Comune di Muravera avviando quella che è stata giudicata «una delle più incredibili e arroganti speculazioni attuate sulle aree costiere della Sardegna»[103]. Questa e altre analoghe vicende, tutte emblematiche dell’atteggiamento di sudditanza verso i progetti di «valorizzazione turistica» che spesso mascheravano vere e proprie operazioni immobiliari, avrebbero dovuto funzionare da campanello d’allarme, spingendo la Regione a tutelare meglio le fasce costiere, il che non avvenne, come si vedrà, se non con forti ritardi: anche i piani per i Comprensori turistici, una volta ultimati, sarebbero stati lasciati giacere nei cassetti dei programmatori. Un manifesto ideato nel 1968 da Costantino Nivola (artista di Orani diventato famoso negli Usa) per sostenere i circoli culturali del Nuorese denunciava l’assalto della speculazione e la conseguente progressiva ghettizzazione delle zone interne[104].
Si può affermare, in conclusione, che mentre sulla carta il Piano di rinascita cercò di prospettare «una collocazione razionale delle attività turistiche nel quadro di un ordinato sviluppo economico e sociale», nei fatti, come ha spiegato il più attento studioso del fenomeno in Sardegna, Gian Adolfo Solinas, la crescita del turismo è avvenuta «per tendenza spontanea più che per una reale azione pianificatrice regionale»: la politica regionale è stata guidata da un’ottica economicistica ed ha svolto a lungo un ruolo di mero supporto alle scelte imprenditoriali, senza preoccuparsi di integrarle nel resto dell’economia isolana e di garantire una corretta gestione del territorio indispensabile per mantenere alta la qualità di un prodotto, sottoposto, come ogni altra merce, ad oscillazioni cicliche[105].
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[82] Cfr. FERNANDO CLEMENTE, Proposte per un piano di valorizzazione turistica della Sardegna. Elementi raccolti per conto della Commissione economica di studi per il Piano di rinascita della Sardegna, Sassari 1955. I quattro comprensori paesistico-turistici «principali» erano: 1) Golfo di Cagliari (con i retrostanti monti dei Sette Fratelli e del Sulcis), 2) il Nuorese (dal Gennargentu sino a Cala Gonone e Arbatax); 3) la Gallura (dal Limbara sino a Santa Teresa e all’Isola Rossa); 4) il Nord-Ovest (da Castelsardo a Bosa con il Sassarese e il Monte Ferru). Lo studio indicava anche due comprensori «secondari»: quello di Oristano e della penisola del Sinis e quello del Goceano.
[83] RICHARD L. PRICE, Una geografia del turismo: paesaggio e insediamenti umani sulle coste della Sardegna cit., p. 104.
[84] NINO COSTA, Benefico assalto alle coste sarde, in Prima mostra dei piani paesistici, Sassari, dicembre 1962.
[85] Capo Falcone presidiato da potenti angeli custodi, (articolo non firmato) in «La Nuova Sardegna», 29 giugno 1962.
[86] «Un’attrezzatura alberghiera – si legge negli studi preparatori per il Piano di rinascita che saranno puntualmente smentiti dai fatti – dovrebbe sorgere verso la Pelosa. Ma più che un grosso nuovo edificio, come l’albergatore potrebbe preferire per una maggiore economia di gestione, è consigliabile frazionare il complesso in una serie di dipendenze di ricettività media. Questo, data l’esigenza della clientela turistica di un ambiente non eccessivamente affollato». COMMISSIONE ECONOMICA DI STUDIO PER IL PIANO DI RINASCITA DELLA SARDEGNA, Rapporto conclusivo degli studi, senza data, vol. I, cap. II, pp. 181-182.
[87] Gli Ismaeliti sono una comunità di circa 20 milioni di mussulmani sciiti presenti in varie parti del mondo. Per loro Karìm è il quarantonovesimo Iman, ossia il discendente di Maometto cui il profeta avrebbe assegnato il compito di guidare il suo popolo sulla strada della vita religiosa. Quando arrivò a succedere al nonno, Karìm aveva appena 20 anni. I suoi studi, iniziati nei collegi svizzeri e completati ad Harvard, ne fanno un personaggio assolutamente atipico, inserito organicamente nella tradizione islamica, ma guidato da una mentalità imprenditoriale occidentale.
[88] Tra gli altri John Duncan Miller, già vice-presidente della Banca Mondiale; Patrick Guiness, il famoso come «il re della birra»; il barone Freddi Rolin; ma anche, tra gli industriali italiani Gianni Agnelli, Carlo Mentasti, Enzo Fumagalli. Il Consorzio, controllato per il 65% dalla Finanziaria Costa Smeralda che faceva capo all’Aga Khan, arrivò ad acquistare in tempi rapidi circa 3.000 ettari, prevalentemente nel territorio di Arzachena. A coordinarne l’operatività sulla base di precise norme statutarie fu chiamato André Ardoin, avvocato parigino di Karìm, Cfr. RICHARD L. PRICE, Una geografia del turismo cit., pp. 109-110.
[89] Un episodio emblematico e paradossale di quella convulsa fase riguarda un anziano capraro, restio alla vendita dei suoi terreni, il quale rimase inizialmente sconcertato e perplesso di fronte agli emissari del Consorzio che gli avevano appena offerto un miliardo di lire, una cifra ancora al di fuori della sua sfera mentale.
[90] BACHISIO BANDINU, Costa Smeralda. Come nasce una favola turistica, Milano 1980, p. 23.
[91] Tempestività del pubblico intervento per il turismo «industria senza ciminiere» per la nostra costa (articolo non firmato che riporta integralmente la relazione del Comitato di sviluppo della I Zona omogenea), in «La Nuova Sardegna», 19 gennaio 1963.
[92] Varati dall’Aga Khan i programmi di valorizzazione turistica della Gallura?, in «La Nuova Sardegna», 21 dicembre 1961.
[93] Il boom turistico minaccia di isterilirsi, in «La Nuova Sardegna», 25 agosto 1962.
[94] La visita di Corrias in Gallura ha scongiurato l’isterilimento del boom turistico, (articolo non firmato), in «La Nuova Sardegna», 28 ottobre 1962.
[95] GIUSEPPE MELIS BASSU, Non disturbate l’Aga Khan, in «Sardegna oggi», a. I, n. 1, 1 aprile 1962. Sullo sviluppo del turismo in provincia di Sassari cfr. anche AA. VV., Il turismo sulla Costa Nord della Sardegna, Sassari 1966.
[96] Sardinias Esmerald Coast, in «Rinascita sarda», n. 14-15, agosto 1963. Oltre a Giuseppe Fiori parteciparono al dibattito anche Fausto Cannas (rappresentante dell’Associazione albergatori) e l’esponente comunista Francesco Macis.
[97] FRANCO NASI, Api d’oro e miele amaro (articolo del luglio 1963) in ID., L’isola senza mare, Sassari 1998, p. 151.
[98] I principali progettisti erano gli architetti Jacques Coulle, Michele Busiri Vici, Raymond Martin, Luigi Vietti e il sardo Antonio Simon Mossa.
[99] Cfr. MANLIO BRIGAGLIA, Il ferragosto della regina in «L’Unione Sarda», 17 agosto 1963, riportato in ID., Dove va la Gallura, Sassari 1964, p. 37.
[100] Cfr. ANTONIETTA DUCE, Turismo e territorio: la Costa Smeralda, in «Ichnusa», (nuova serie), a. VII, n. 15, settembre-ottobre 1988, p. 20. Nel 1972 il Comune di Arzachena varò un piano di fabbricazione (predisposto gratuitamente da uno dei progettisti dell’Aga Khan, l’architetto Vietti) e, non a caso, sostanzialmente concorde con le ipotesi volumetriche prospettate dal Consorzio.
[101] «A fora s’Aga e kane e tottus sos bastardos colonialistas»(Via l’Aga Khan e tutti i bastardi colonialisti): questa scritta ha campeggiato per anni in un piazzale di Platamona, vicino a Sassari, una delle spiagge sarde più popolari della Sardegna. Chissà se gli anonimi grafomani conoscevano il giudizio che su Karìm ebbe ad esprimere uno dei più preparati teorici dell’anticolonialismo sardo, Antonio Simon Mossa: «Circa l’Aga Khan non mi resta da dire altro che ha creduto nella Sardegna, a differenza dei governi piemontesi e italiani che hanno sempre mortificato l’Isola. E del migliaio di operai che lavorano in Costa Smeralda, quindi in Sardegna, salvati in extremis da una ben più umiliante emigrazione di fame, chiedo ai brillanti amici ateniesi di Sardegna quanti ce ne sono di nuoresi o barbaricini». Cfr. SALVATORE CUBEDDU, Sardisti cit., p. 455.
[102] Cfr. RICHARD L. PRICE, Una geografia del turismo cit., p. 108.
[103] SANDRO ROGGIO, Le ultime spiagge: il mercato delle coste sarde tra propositi di tutela e trasformazioni insostenibili, Firenze 1995, p. 58. Per comprendere meglio le dinamiche sociali che potrebbero aver determinato quelle scelte che oggi appaiono assolutamente irrazionali si deve peraltro ricordare che a Muravera, piccolo centro del Sarrabus, presso le foci del Flumendosa, nel Sud-Ovest dell’isola¸ «su 5.000 abitanti ben 622 erano emigrati» proprio agli inizi degli anni sessanta. Cfr. FRANCO NASI, L’isola senza mare cit., p. 150.
[104] Per un quadro complessivo dell’opera di questo artista cfr. FRED LICHT, ANTONELLO SATTA, RICHARD INGERSOLL, Nivola. Sculture, Milano 1991; ROSSANA BOSSAGLIA – PLACIDO CHERCHI, Nivola, Nuoro 1994; ALBERTO CRESPI, FRED LICHT, SALVATORE NAITZA, Nivola. Dipinti e grafica, Milano 1995.
[105] Cfr. GIAN ADOLFO SOLINAS, Il turismo in La Sardegna. Enciclopedia cit., sezione economia, pp. 94-101. Valutazioni che sarebbero state condivise successivamente anche da autorevoli osservatori non sardi: «Lo sviluppo dell’offerta turistica in Sardegna è stato tumultuoso e disordinato. Se da un lato i benefici in termini di reddito ed occupazionali sono stati rilevanti, dall’altro sono pure da mettere nel conto una palese sottoutilizzazione delle risorse ed un preoccupante degrado ambientale, compreso qualche scempio. La Regione ha speso assai, ma più a pioggia che guidata da una visione organica e prospettica. Sul da farsi i contrasti non mancano, anche perché la torta è grossa e gli interessi sono divergenti». PAOLO SCANDALETTI, Un test emblematico: la Sardegna, «Politica del turismo», n. 3, 1986, (editoriale).
IL PESO CRESCENTE DEL TURISMO E LA VICENDA DEL MASTER PLAN
«Il lavoro stagionale sulle coste – ha scritto Marcello Lelli – è un fatto di massa che agisce nel profondo di tutta la comunità giovanile dell’isola, influendo poi attraverso di essa, talvolta anche in termini aspri e spesso con forme di equilibrio precario tra differenti mondi di valori, sul complesso della struttura culturale di tutti. La chimica è rimasta periferica rispetto alla vita quotidiana della maggior parte della popolazione. La vicenda turistica, dove c’è stata, ha coinvolto il complesso delle comunità. Si è presentata come organizzazione del tempo libero degli altri, ma ha provocato la ristrutturazione della vita quotidiana, del sistema dei valori dei sardi»[1].
Lo stesso sociologo osservava a metà degli anni ottanta che il turismo rappresentava ormai uno dei principali fattori «di trasformazione e di modernizzazione complessiva» della Sardegna e un elemento importante «nell’incremento degli scambi di servizi e valori culturali con il complesso della comunità nazionale»[2].
Nella sua analisi, condizionata per certi versi da un’esaltazione acritica del modello post-industriale, Lelli indicava il caso di Olbia come esempio di sviluppo autonomo, «simbolo e luogo materiale del nuovo rapporto turismo-società nell’isola»[3]. Il centro gallurese aveva effettivamente conosciuto un notevole sviluppo economico e demografico, con un apporto rilevante di diverse correnti immigratorie[4]. Uno sviluppo che è stato forse talvolta enfatizzato ma che sembra comunque essere riuscito ad assumere caratteristiche di non provvisorietà[5].
Nello stesso periodo il Censis formulava invece una serie di osservazioni negative sul turismo in Sardegna, affermando che si basava su «un modello di sviluppo importato» e su «un processo economico a moltiplicatore praticamente inesistente» e che questi fattori negativi causavano sia un peso crescente delle importazioni, sia una ridotta o nulla sedimentazione di imprenditorialità locale:
«Il turismo (sardo) non crea sistema, non si riconnette se non episodicamente con le altre attività produttive dell’Isola (se si eccettua l’edilizia), costituendosi quasi, invece, a distorcente polo alternativo e non complementare di sviluppo»[6].
Queste valutazioni, incentrate sul versante critico, erano troppo forzatamente negative: non coglievano l’articolazione di un settore molto variegato e i suoi molteplici riflessi sulla realtà socio-economica isolana. In effetti, pur lievitato in modo tumultuoso e non programmato, il fenomeno turistico è andato assumendo un peso crescente nell’economia dell’isola che, nei sondaggi delle agenzie specializzate, risulta da anni la regione dove la maggioranza degli italiani vorrebbe andare in vacanza.
Nel 1997 le presenze turistiche registrate in Sardegna sono state circa 8 milioni, un dato più che doppio rispetto a vent’anni prima. Nello stesso arco di tempo anche l’incidenza del settore sul prodotto interno lordo è raddoppiata (arrivando a rappresentare l’8%), tanto che gli viene ormai attribuito un ruolo centrale nello sviluppo futuro della regione non solo (e non tanto) da parte degli economisti, quanto nell’idea di sviluppo che prevale tra i sardi[7]. Anche perciò un dato che può forse sorprendere i non addetti ai lavori è la bassa incidenza percentuale dell’isola sul totale del mercato turistico nazionale: solo il 2,5% del totale delle presenze, dato che pone la Sardegna al terzo posto tra le regioni meridionali (dopo Campania e Sicilia). I poco più di 60.000 posti-letto alberghieri disponibili sono distribuiti in 635 hotel, in prevalenza a tre e quattro stelle: più o meno quanto quelli di cui può disporre una località come Rimini.
È però l’intero Mezzogiorno ad avere un peso molto ridotto rispetto al turismo nazionale, non solo per il carattere prevalentemente stagionale dell’attività ricettiva, ma anche per la strutturale difficoltà ad acquisire quote consistenti nei mercati turistici esteri[8]. La tabella 25, relativa al movimento alberghiero nelle regioni del Sud, mostra infatti come sia difficile, in un settore altamente competitivo come quello turistico, conquistare anche piccole quote di mercato. La quota della Sardegna, stazionaria negli anni Settanta, è cresciuta nel decennio successivo, incontrando poi però difficoltà ad ampliarsi ulteriormente, con un trend non dissimile a quello del Mezzogiorno nel suo complesso: […]
Chi ha confrontato l’evoluzione dell’industria alberghiera sarda con l’andamento complessivo nazionale e meridionale nel periodo tra il 1974 e il 1993 ha notato che, mentre in Italia si verificava una profonda ristrutturazione dell’apparato ricettivo con una chiusura di numerose strutture alberghiere e una crescita molto contenuta dei posti-letto complessivi (+ 16,5%), la Sardegna, andando in controtendenza, ha fatto registrare un aumento record nei posti-letto disponibili (+ 122,2%), doppio anche alla media dell’intero Mezzogiorno (+ 56, 4%)[9]. Ciò ha prodotto inevitabilmente diversi problemi nell’indice di utilizzazione netta degli esercizi ricettivi che tuttavia si è attestato nel 1996 su un accettabile 34,4% (non molto distante dal dato nazionale, pari al 39,1) rispetto al preoccupante 27,7% di venti anni prima[10].
Ma analizzando le statistiche ufficiali si ha solo un’idea molto parziale della reale consistenza dei flussi turistici in Sardegna, che assorbono una quota rilevante del segmento di mercato legato al binomio sole-mare. C’è infatti da considerare che una fetta notevole dei turisti che si riversano nell’isola durante i mesi estivi alloggia nelle cosiddette seconde case che sfuggono per ora (a differenza di quanto avviene in altre regioni, ad esempio il Trentino-Alto Adige) ad ogni controllo. Secondo una recente indagine solo un terzo degli italiani che vanno in vacanza alloggiano in strutture ricettive classificate, mentre i restanti due terzi si distribuiscono o in case in affitto oppure presso abitazioni di proprietà o di parenti e amici[11]. In base ad altre stime autorevoli «il movimento turistico e vacanziero complessivo» potrebbe essere «tre volte più grande di quello che appare dai dati ufficialmente raccolti»[12].
Nel caso sardo i posti-letto «sommersi» (un vero e proprio mercato parallelo e fortemente concorrenziale), che erano stati stimati in 250.000 agli inizi degli anni ottanta[13], sarebbero più di 500.000 a fronte di non più di 120.000 posti-letto nel ricettivo classificato[14]: di questi la metà circa sono negli alberghi e la restante metà sono disponibili presso strutture extralberghiere. Per le caratteristiche spontanee e spesso irrazionali che ha assunto in Sardegna, lo sviluppo turistico rischia di compromettere quella risorsa non riproducibile che è il territorio.
Come ha scritto Gian Adolfo Solinas: «Il turismo è essenzialmente un prodotto di carattere immateriale. Vende immagini imperniate su beni ambientali intesi come paesaggio nel suo più autentico significato di compendio di dati storici, geografici, geologici, culturali, sociali ed economici. Questo paesaggio noi dobbiamo costruirlo senza sradicare il passato. Dobbiamo farlo sviluppare nella continuità: uno spazio con una sua identità a cui deve imprimersi un processo che non si esaurisca in più o meno folcloristici richiami al passato, come sempre più spesso sembra avvenire, ma piuttosto si concretizzi nella volontà di coniugare nell’azione del presente ciò che di quel passato è essenziale[15].
Quando, nella seconda metà degli anni settanta, il geografo americano Richard L. Price girò con il suo camper tutte le coste della Sardegna, concluse che «molto più dell’industria e ancora più dell’agricoltura» il turismo stava di fatto «rivoluzionando il paesaggio sardo»[16]. Le coste della Sardegna andavano già da allora assumendo le caratteristiche attuali: a fianco dei nuovi villaggi turistici realizzati in prevalenza da società immobiliari continentali, si alternavano gli insediamenti spontanei dei sardi (Price ne elencava più di 50) «spesso privi degli impianti idrici, elettrici e della rete di fognature oltre che dei servizi commerciali»[17]. I pochi centri di pescatori erano ormai scomparsi o avevano completamente mutato volto[18].
L’associazione «Italia Nostra» denunciava con una documentata mostra fotografica gli scempi subiti dal paesaggio sardo. Agli inizi degli anni ottanta gli interventi programmati nei 68 comuni costieri della Sardegna ammontavano a più di 65 milioni di metri cubi (di cui il 44% in provincia di Cagliari, il 36% in quella di Sassari, il 16% nel Nuorese e il rimanente 4% nella provincia di Oristano). Il dato, di per sé mostruoso perché prospettava la concreta possibilità di una ininterrotta «città lineare» lungo le coste, emerse per la prima volta nel corso di un Convegno svoltosi a Sassari nel 1981, ma il tecnico che lo riferì non ne sembrava troppo preoccupato dando quasi per scontato che le tendenze del mercato dovessero essere assecondate.
L’interesse per questo mercato parallelo e fortemente concorrenziale ha attirato in Sardegna molteplici società imprenditoriali italiane e straniere. Tuttavia, a partire dalla metà degli anni ottanta, il mercato immobiliare ha evidenziato segni di difficoltà; anche ciò spiega perché non siano andati avanti alcuni mega-progetti tra i quali quello dell’Edilnord dei fratelli Berlusconi a sud di Olbia[19], che ha suscitato molte polemiche[20].
Ma ad assumere in questi anni un ruolo di assoluto rilievo anche sulla stampa nazionale è la vicenda dell’ampio piano d’investimenti in Costa Smeralda che, dopo più di 25 anni di polemiche e tentativi di accordo tra la Regione sarda e l’omonimo Consorzio, alternate da reiterate minacce dell’Aga Khan di abbandonare la Sardegna, sembra essersi definitivamente conclusa nel 1997 con la caduta del progetto.
Fu nel corso del 1972 che Karim minacciò per la prima volta di dimettersi e di lasciare la costa gallurese: questa presa di posizione del principe portò ad una manifestazione pubblica in suo favore organizzata dai sindacati territoriali. Agli inizi del 1973 il Consorzio Costa Smeralda sottopose all’attenzione della Regione sarda un programma integrato di investimenti, che venne ripresentato aggiornato nel 1979, subito dopo, dunque, l’esplosione in tutte le sue dimensioni della crisi della Sir e, di conseguenza, del modello di sviluppo basato sui poli industriali: La circostanza che il Programma possa essere avviato oggi, in una fase congiunturale particolarmente sfavorevole per il mantenimento dei livelli di occupazione in Sardegna, non è certo di secondaria importanza. Il Programma si pose allora come si pone oggi quale valido contributo alternativo per la creazione di reddito ed occupazione che purtroppo i grandi progetti industriali non sono riusciti a garantire nel recente passato[21].
A precedere il volume che raccoglieva sinteticamente quello che, con un’espressione un po’ enfatica, verrà definito il Master Plan veniva riportato uno studio che Luigi Coccioli e Giorgio Toscani avevano predisposto qualche anno prima[22]. Vi si affermava, sulla base di alcuni indicatori, la funzione trainante del turismo rispetto a settori ad esso collegati, quali l’industria delle costruzioni, l’artigianato e l’agricoltura[23].
Alla fine degli anni settanta il Consorzio aveva realizzato 1.620 unità abitative (con una volumetria di 792.000 metri cubi), oltre ad alcuni alberghi e residences (per complessivi 1.500 posti letto). Il Programma prevedeva un investimento di 1.000 miliardi nell’arco di un ventennio e la realizzazione di più di 13.000 unità abitative (pari a più 6 milioni di metri cubi per complessivi 60.000 posti-letto): la ricettività alberghiera avrebbe dovuto costituire, in base a questo programma, il 14% del totale, con un utilizzo del 4.5% del territorio di proprietà del Consorzio. Nel 1980, il comune di Arzachena, la cui politica fino ad allora era stata subalterna al Consorzio, apportava sostanziali modifiche al proprio piano di fabbricazione che, a parere dei progettisti, stravolgevano «l’intera filosofia del modello di sviluppo della Costa Smeralda».
Si aprì in quegli anni un vero e proprio scontro nel quale, tra aspre polemiche[24] e ripetuti ultimatum di Karim[25], si inserì la giunta regionale presieduta dal democristiano Angelo Roich che, andando contro le resistenze del Comune, arrivò nel febbraio del 1984 ad approvare il Master Plan firmando, tra le polemiche dello stesso assessore al turismo, un protocollo d’intesa. Questo tuttavia venne impugnato dall’amministrazione di Arzachena e messo parzialmente in discussione da una sentenza del Tar nel marzo del 1988[26]. Nel settembre del 1987, intanto, Karim aveva lasciato la presidenza del Consorzio all’avvocato Franz Grande Stevens, uomo molto vicino alla Fiat[27].
L’avvicinamento al gruppo torinese venne confermato qualche tempo dopo con l’ingresso dell’Aga Khan nell’accomandita «Giovanni Agnelli e C.», vale a dire la supercassaforte della famiglia Agnelli. L’operazione venne interpretata come «l’intenzione di delegare la gestione di un importante investimento personale»[28]. Si trattava però di un’ipotesi infondata come dimostrò la successiva scelta dello stesso Karim di rischiare personalmente acquisendo in blocco la prestigiosa catena alberghiera della Ciga Hotels: un’operazione che si sarebbe rivelata finanziariamente disastrosa.
La parabola italiana del capo degli ismaeliti sembrava chiudersi nell’estate del 1993 quando, per i debiti causati dall’operazione Ciga Hotels, l’Aga Khan fu costretto a mettersi nelle mani di Mediobanca[29]. La situazione mutava successivamente con l’acquisizione da parte della Itt Scheraton (grande catena statunitense) della Ciga e quindi anche degli alberghi e delle altre attività della Costa Smeralda che rappresentavano nel 1990 circa un terzo del fatturato complessivo del gruppo.
Sotto la spinta del movimento ambientalista, il Consiglio regionale arrivava poi nella primavera del 1993 all’approvazione dei Piani territoriali paesistici che ponevano precisi vincoli sulle fasce costiere lasciando comunque aperto uno spiraglio alla possibilità di deroghe con l’inserimento di uno specifico articolo di legge che prevede lo strumento degli «accordi di programma», di cui si era a lungo discusso già nel corso degli anni ottanta. All’approvazione di questo strumento erano legati i nuovi complessi assetti societari tra la Scheraton e la Fimpar (finanziaria di Karim)[30].
A supportare il Master Plan, rimasto invariato nella sua impostazione di fondo anche se in parte ridimensionato rispetto alle sue dimensioni iniziali (la volumetria globale prevista è pari a circa 2 milioni e mezzo di metri cubi, il 17% dei quali in volumetrie per strutture di tipo alberghiero), sono stati una serie di studi predisposti da esperti di vari settori. Un gruppo di economisti coordinato da Roberto Camagni, che aveva già in precedenza condotto un’altra ricerca per conto dello stesso Consorzio[31], ha teso a dimostrare che «il moltiplicatore occupazionale e di reddito dell’investimento turistico» sarebbe «quasi doppio di quello relativo ad un investimento industriale di pari dimensione»[32]. Secondo questa analisi «l’industria turistica, correttamente intesa e giudiziosamente controllata» ha il grande vantaggio di risultare «largamente autofinanziabile senza ricorso a finanze pubbliche e capace di creare quei germogli di imprenditorialità locale in un ampio spettro di settori» e dunque il turismo può e deve «essere considerato a tutti gli effetti un settore industriale integrato, motore di un’intera area geografica» e lo strumento più idoneo per favorire «uno sviluppo dal basso, basato su risorse locali»[33].
Quanto agli aspetti ambientali (il piano prevede tra l’altro la costruzione di un nuovo insediamento nella incontaminata spiaggia di Razza di Juncu e la conseguente distruzione di uno stagno)[34], la tesi dei progettisti era che la migliore garanzia sugli interventi futuri fosse la qualità delle precedenti realizzazioni da parte dello stesso Consorzio e che in ogni modo i maggiori rischi di minare «l’unità semantica del paesaggio» derivino «dalle piccole iniziative casuali che si realizzano in assenza di un progetto adeguato».
A supportare il Consorzio Costa Smeralda si mobilitavano le amministrazioni comunali di Arzachena e di Olbia e le associazioni imprenditoriali del Nord Sardegna. Sul fronte opposto le associazioni ambientaliste, unanimemente schierate contro questo mega-progetto: «La Sardegna – affermava il WWF – dopo anni di dibattiti e di accese polemiche si è dotata finalmente di strumenti urbanistici in grado di contrastare le pericolose colate di cemento lungo le coste. Se la Regione, in deroga ai Piani paesistici, dovesse approvare il Master-Plan creerebbe un precedente pericolosissimo»[35].
Per l’economista Francesco Pigliaru, convinto sostenitore del ruolo importante che il turismo può svolgere nell’economia sarda, scegliere di rinunciare alla «principale differenziazione competitiva», l’alta qualità ambientale, potrebbe significare ritrovarsi «all’interno di segmenti di mercato meno remunerativi, perché sempre più basati su una concorrenza di prezzo intorno ad un prodotto sempre più generico»[36].
Attualmente la vicenda sembra definitivamente conclusa, con la scelta dell’Aga Khan di abbandonare il progetto che non pare interessi più neppure la Starwood (la compagnia americana che ha acquisito il controllo degli hotel della Costa Smeralda), dopo che il potere politico regionale aveva formulato non senza incertezze e un colpevole ritardo una sua controproposta.
Solo col tempo sarà possibile formulare su questa tormentata vicenda un giudizio che possa distaccarsi dalle polemiche contingenti. Di certo però l’aver concentrato l’attenzione per tanto tempo solo su questo progetto, sia pure di grande rilievo, ha finito per porre in secondo piano altri problemi rilevanti di un’offerta turistica come quella sarda la cui «geografia» è sempre più articolata, come ha evidenziato un interessante studio fatto predisporre qualche anno fa dalla Regione: oltre «alle «cattedrali del mare», che si trovano a dover gestire una specie di «dopo la corsa all’oro», in quanto devono affiancare una serie di servizi alle strutture ricettive, vi sono i «baricentri della società residente», ancora inadeguati dal punto di vista della ricettività, e numerosi centri costieri dove invece già esiste una positiva integrazione tra il turismo e la realtà locale, e poi vasti territori dell’interno, ricchi di risorse ambientali e storiche che potrebbero rappresentare «la nuova frontiera del turismo sardo»[37].
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[1] MARCELLO LELLI, Post-fazione, in AA. VV., La lunga catena. Comunità e conflitto in Barbagia, Milano 1988, pp. 223-224.
[2] MARCELLO LELLI, Turismo e società in Sardegna in «Politica del turismo», a. II, n. 3, luglio-settembre 1985, pp. 399 e 403. Sullo stesso numero di questa rivista cfr. anche il saggio di ANTONIO FADDA, La valorizzazione turistica della Sardegna, pp. 413-422.
[3] «In questa piccola città, che è quella che nel corso degli ultimi venti anni ha avuto il più equilibrato e continuo sviluppo economico senza risentire in nessun modo della crisi generale che ha segnato l’Isola, si sono realizzati fenomeni di nuova dislocazione delle classi e dei ceti, dell’occupazione e del tempo libero assolutamente originali e particolarmente significativi». Ivi, p. 407.
[4] Cfr. Da Olbìa a Olbia. 2500 anni di storia di una città mediterranea. Atti del convegno internazionale di studi, 12-14 maggio 1994, (a cura di EUGENIA TOGNOTTI), Sassari 1996, vol. III e BACHISIO BANDINU, GIOVANNI MURINEDDU, EUGENIA TOGNOTTI, Olbia città multietnica, Cagliari 1997.
[5] Cfr. le valutazioni formulate in questo senso da GIROLAMO SOTGIU, La Sardegna negli anni della Repubblica cit., p. 142
[6] CENSIS, Scenario di una società che cambia. Primo Rapporto sulla situazione sociale della Sardegna, Cagliari senza data ma 1985, p. 95.
[7] Già agli inizi degli anni novanta il turismo veniva indicato da quasi il 70% dei sardi come il settore di gran lunga maggiormente in grado di «trainare» l’economia della Sardegna. Cfr. EURISPES, I rapporto sulla qualità della vita in Sardegna, Tempio 1992, p. 107.
[8] Per un’analisi di questo nodo del turismo meridionale cfr. ETTORE BIANCHI, Lo sviluppo delle correnti turistiche nel Sud nei loro rapporti nazionali, mediterranei ed europei, in Atti della Conferenza nazionale del Pci per lo sviluppo del turismo nelle regioni meridionali (Amalfi, 6-8 ottobre 1978), Roma 1979, pp. 238.
[9] MAURIZIO RISPOLI, Se l’impresa è solo a 5 stelle in «Nord e Sud», a. XLII, nuova serie, gennaio-luglio 1995, pp. 19-32.
[10] Sul dato relativo al 1977 cfr. SOLINAS, Un’isola di vacanze cit., p. 96. Per un’elaborazione relativa al 1996 (e a tutti gli anni novanta) cfr. RENZO USAI, L’economia della Sardegna nel 1996: profilo, consuntivi generali e di settore, prospettive, in BANCO DI SARDEGNA, Osservatorio economico e sociale della Sardegna. Rapporto 97 cit., p. 48.
[11] Nel 1996 gli hotel hanno assorbito il 16,3% della domanda complessiva, i campeggi il 10,2%, i residences il 5,0%, i villaggi turistici il 2,1%. I dati, elaborati dalla Nielsen e dall’osservatorio del Centro studi della Federalberghi sono riportati nella rivista «Turismo d’Italia. Hotel Restaurant», n. 6, luglio-agosto, 1997, pp. 8-10
[12] EMILIO BECHERI, MARA MANENTE, Economia internazionale e turismo. Il ruolo dell’Italia, in PIERO BARUCCI, EMILIO BECHERI, MARIO P. CHITI, PAOLO COSTA, MARA MANENTE (a cura di), Settimo rapporto sul turismo italiano 1997, Firenze 1997, pp. 72-73.
[13] 95 Cfr. GIAN ADOLFO SOLINAS, Il turismo e la ricettività sommersa, in «Ichnusa», (nuova serie), a. I, n. 3, dicembre 1982-febbraio 1993, pp. 61-64.
[14] Cfr. COMITATO REGIONALE DI PROGRAMMAZIONE, Piano generale del turismo, in «La Programmazione in Sardegna», a. XVI, n. 97-98, gennaio-aprile 1983, in particolare pp. 37-47, e, per le stime più recenti, l’inchiesta di PIERO MANNIRONI e ROBERTO MORINI, Il turismo sommerso, in «La Nuova Sardegna», 8 e 14 settembre 1996.
[15] GIAN ADOLFO SOLINAS, Un’isola di vacanze. Per una storia critica del turismo in Sardegna cit., p. 139.
[16] RICHARD L. PRICE, Una geografia del turismo cit., p. 262.
[17] RICHARD L. PRICE, I paesaggi delle coste e il mondo delle vacanze in La Sardegna. Enciclopedia cit., vol. I, sezione geografia, p. 101.
[18] Cfr. GABRIELLA MONDARDINI, Gente di mare in Sardegna. Antropologia dei saperi, dei luoghi, dei corpi, Nuoro 1997.
[19] Per una sintesi della «filosofia» di questo progetto, che venne accompagnato dalla presentazione di 5 volumi di studi, predisposti dalla Uniplan, cfr. la comunicazione dell’architetto VIRGILIO VERCELLONI, La domanda organizzata del turismo europeo alla metà degli anni ottanta, negli scenari dei suoi futuri attendibili, presentata al Convegno su Turismo, ambiente, territorio, programmazione, occupazione, organizzato dalla Federazione regionale Cgil-Cisl-Uil della Sardegna e svoltosi a Cagliari il 10-11 febbraio 1984.
[20] Cfr., ad esempio, l’editoriale di ANTONIO CEDERNA, Chi proteggerà l’ambiente da Forza cemento, in «L’Unità 2», 20 aprile 1994. Cederna ricordava come «il megalomane progetto di Olbia 2 detto anche Costa Turchese» fosse stato ridimensionato a 536.000 metri cubi ma prevedesse inizialmente la costruzione di due milioni di metri cubi, con la conseguente «devastazione di preziose aree naturali».
[21] CONSORZIO COSTA SMERALDA, Programma di investimenti a lungo termine in Sardegna, Cagliari 1979, p. 10.
[22] LUIGI COCCIOLI, GIORGIO TOSCANI, Sviluppo turistico e occupazione in Sardegna in «Rivista di Politica Economica», fasc. V, a. LXIII, serie III, Roma 1973.
[23] Queste tesi erano state contestate, nel corso degli anni settanta, da altri studiosi che ponevano in risalto una serie di limiti del turismo, per come si era andato sviluppando in Sardegna mettendone in discussione «il presunto ruolo trainante» per almeno tre ragioni: una parte consistente degli utili erano trasferiti all’esterno della Sardegna; una quota rilevante della spesa turistica si riferiva a beni di consumo non prodotti all’interno della regione; la quota dei salari percepita dal personale specializzato non residente in Sardegna. Cfr. MARIA LUISA SINI, Aspetti economici del turismo, in «Quaderni sardi di economia», a. VII, n. 2, 1977, p. 193.
[24] Si veda, ad esempio, il Documento-appello di cittadini, esponenti del mondo universitario, libere associazioni culturali sul problema delle coste sarde, diffuso come allegato nella rivista «Ichnusa», nuova serie, a. I, n. 3, dicembre 1982-febbraio 1983.
[25] Cfr. Karim sbatte la porta. Non sarà più presidente del Consorzio Costa Smeralda, in «La Nuova Sardegna» 5 gennaio 1983; Karim resta in Sardegna. Più sicuri i mille miliardi, in «L’Unione sarda», 13 febbraio 1983; Ultimatum di Karim per la Costa Smeralda, in «La Nuova Sardegna», 21 settembre 1983.
[26] Cfr. No al Master Plan. Il Tar ha dato torto alla Regione, in «La Nuova Sardegna», 24 marzo 1988.
[27] Cfr. l’intervista a Stevens di COSTANTINO COSSU, «I predatori non siamo noi», in «La Nuova Sardegna», 24 settembre 1989.
[28] GIUSEPPE TURANI, Un principe alla corte degli Agnelli, «La Repubblica», (inserto economia) 3 novembre 1989.
[29] Cfr. ALBERTO STATERA, Aga Khan, Com’era smeralda la mia costa, «La Stampa», 1 luglio 1993
[30] Cfr. CATERINA DE ROBERTO, LORENZO PAOLINI, Il principe ritorna nel suo regno. Accordo con la Scheraton ma c’è lo scoglio della Regione, in «L’Unione sarda», 8 dicembre 1995. La Itt Scheraton e la Fimpar (finanziaria di Karim) dichiaravano di possedere rispettivamente il 51 e il 49% del capitale della Ciga Immobiliare Sardegna, proprietaria a sua volta dei circa 2.000 ettari nei territori dei comuni di Arzachena e Olbia e chiarivano che, solo se l’accordo di programma con la Regione e questi comuni fosse andato in porto entro il 30 settembre di quell’anno, l’Aga Khan sarebbe ritornato alla guida effettiva dell’intera operazione.
[31] Cfr. ROBERTO CAMAGNI, L’impatto sull’economia sarda della spesa e dell’investimento turistico in Costa Smeralda, in «Quaderni sardi di economia», a. XII, n. 4, 1982, pp. 371-413.
[32] ROBERTO CAMAGNI (a cura di), Turismo, occupazione e sviluppo in Sardegna. L’impatto socio-economico del Master Plan Costa Smeralda, vol. I, Lo sviluppo recente dell’economia gallurese nel contesto sardo, dattiloscritto, agosto 1996, p. 3.
[33] Ivi, p. 4.
[34] Cfr. MASTER PLAN COSTA SMERALDA, Studio di compatibilità paesistico-ambientale. Executive summary, dattiloscritto non datato ma 1997, p. 24. «Il Master Plan – affermano gli estensori di questo studio – adotta il principio del no net loss, efficacemente adottato negli Usa e in alcuni paesi del Nord Europa, che prevede la ricostituzione di nuove zone umide di superficie almeno pari a quella di cui si procede alla utilizzazione a fini produttivi, turistici o edificatori»
[35] Il WWF contro il Master-Plan della Costa Smeralda, in «Agi Sardegna», a. 46, n. 39, 5 giugno 1996.
[36] FRANCESCO PIGLIARU, No al turismo usa e getta, in «La Nuova Sardegna», 21 giugno 1996. Sugli incerti scenari della domanda turistica nel Mediterraneo nel corso degli anni novanta cfr. JEAN-PIERRE LOZATO-GIOTART, Activites et foyers touristiques en Méditerranée pour un proche futur, in «Rassegna di Studi turistici, a. XXVII, n. 3-4, 1992, pp. 237-254.
[37] REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA, Progetto di qualificazione, adeguamento e sviluppo integrato del turismo. Rapporto di sintesi per la consultazione, Cagliari aprile 1994, p. 25.