LA COSTA SMERALDA DEGLI ARCHITETTI

MICHELE E GIANCARLO BUSIRI VICI

di Giancarlo Busiri Vici

Articolo scritto nel 2011, già pubblicato dall’«Almanacco Gallurese» (n. 19 – 2011-2012) nel proprio Dossier sul 50° della fondazione della Costa Smeralda.

Nota. Le immagini dell’articolo sono riportate frammiste con altre esterne.

Si ringrazia l’Editore Giovanni Gelsomino per il permesso alla pubblicazione.

L'Hotel Cervo, appena completato, e la piazza principale del villaggio di Porto Cervo

Appuntamento all’Hotel Jolly di Olbia

Con mio padre, classe 1894 e nel pieno della sua prodigiosa attività professionale di architetto, c’è il sottoscritto, giovane neolaureato cui veniva ad offrirsi, ancora misteriosa ed enigmatica, una straordinaria occasione di esordio professionale.

Digiuni, ci rechiamo alla sala ristorante dove, guidati, soltanto, dal forte appetito, subiamo, passivamente, l’anonimo menu della “casa”. Subito dopo, a un tavolo poco distante, si siedono due Signori, uno dei quali, noto per le sue foto su giornali e rotocalchi, è facilmente individuabile nel Principe Karim Aga Khan. L’altro, Andrè Ardoin, avvocato parigino e consigliere di fiducia di Karim, ancora a noi sconosciuto, si rivelerà, nel corso dei successivi decenni, uno dei protagonisti decisivi dello sviluppo turistico costiero. Raffinato, colto, con le sue geniali intuizioni, saprà gestire i primi difficili anni della straordinaria avventura, con saggia e tenace determinazione, affiancando le intelligenti entusiastiche iniziative di Karim, moderandone, ove necessario, eventuali, possibili fughe in avanti.

Non è facilmente immaginabile, anche per le agitate condizioni del mare, il travaglio di una notte, pressoché insonne, con i tanti interrogativi, le ansie, i timori, le speranze che la nostra convocazione all’Hotel Jolly di Olbia, andava suscitando in noi. E con mio padre, cenando, cercavamo di delineare i possibili, fantasiosi scenari dell’indomani. Parafrasando una nota, contestata trasmissione televisiva, posso dire che, a quel punto, la Costa Smeralda poteva cominciare.

Non c’erano precedenti, allora, in Europa di un programma di sviluppo esteso a 50 km di costa per un territorio compreso tra i 4.000 ed i 5.000 ettari.

L’atto costitutivo del Consorzio fu siglato ad Olbia, presso il notaio Altea, il 14 marzo 1962. 

Hotel Jolly di Olbia, coll. Olbia... Oggi Ieri Domani (Facebook)
Albergo Jolly - Olbia ((oggi al suo posto, in via Principe Umberto, c'è il Grand Hotel President)
Hotel Jolly di Olbia, coll. Giuliano Deiana (Facebook)

L’obiettivo era quello di realizzare un insieme armonioso, salvaguardando un territorio eccezionale, con la pianificazione generale delle infrastrutture primarie (strade, luce, acqua, telefono) totalmente assenti, concentrando l’edificazione in poche zone prioritarie, consentendo, quindi, a vaste estensioni territoriali, di rimanere intatte ed alla natura, quindi, di far da padrona.

È esattamente il contrario delle edificazioni selvagge e speculative che, disseminando a macchia d’olio il territorio di interventi a piccola, media e grande scala, lo massacrano irrimediabilmente. Esempi di tal genere li abbiamo visti sorgere, purtroppo, anche nel nostro Paese, oltre che sulle coste spagnole, su quelle ex jugoslave ed in misura minore, su quelle francesi, nel corso degli ultimi decenni.

Mediante studi analitici effettuati dagli architetti promotori sull’isola, con il supporto documentario di centinaia di fotografie di particolari tipici della tradizione sarda, si è riusciti a individuare alcune direttrici di marcia, interpretando, in chiave contemporanea, tipologie edilizie di una specialissima architettura mediterranea, originale e diversa da quella delle coste continentali.

Essenziale e prezioso fu il contributo, nei primi anni, di Antonio Simon Mossa, valido ed esperto architetto sassarese, purtroppo prematuramente scomparso. Le sue specificità umane e culturali ci aiutarono, non poco, ad interpretare correttamente tradizioni e caratteristiche locali.

La grande maggioranza di coloro che, in anni più o meno recenti, hanno scelto questa parte della Sardegna per stabilirvisi nei periodi stagionali tradizionalmente più favorevoli, probabilmente, ignora pieghe e risvolti di una vicenda, ricca di episodi, densa di avvenimenti, vissuti dai protagonisti con forte intensità.

Dal momento dei primi timidi approcci, si è passati al momento della costruzione di un’immagine, in una sequenza fantastica, segnata da ritmi e cadenze crescenti ed entusiasmanti.

Karim, Ardoin, Guinness, Podbielski ed altri da una parte, Couelle, Vietti, Busiri Vici, Martin, Simon Mossa, architetti, dall’altra, si confrontavano attorno a lunghe tavolate del Jolly di Olbia, rincorrendosi poi in avventurose scarpinate su spiagge intatte e dirupi scoscesi. La vegetazione fitta, talvolta aspra e inestricabile, veniva solcata con tenacia e caparbietà. Si approdava con semplici, rumorosi barconi, nei punti più significativi della Costa.

Talvolta, affrontando con “fuori strada”, terreni impervi ed altrimenti inaccessibili, si rischiava di rimanere a secco di benzina: ad Olbia c’era un solo distributore e fatto il pieno, bisognava rасcomandarsi l’anima a Dio, per conservare l’autonomia sufficiente a rientrare alla base. 

Di episodi curiosi, ma significativi, di quei primi tempi, affascinanti e misteriosi, venni a conoscenza per racconti fattimi da persone locali. Per esempio, quello della definizione dei confini relativi alle proprietà della gente, nativa della Gallura. Si navigava, letteralmente, a vista. L’indeterminatezza dei decenni passati, provocava l’innalzamento di muri a secco, denotando la volontà locale di esercitare, comunque, almeno visivamente, una presunzione di possesso. In realtà, tali segni, disegnati sul territorio non coincidevano, quasi mai, con i confini reali di proprietà, cosi come registrati al Catasto dei terreni. Tale situazione induceva gli aspiranti geometri ad iscriversi, numerosi, alla scuola di Olbia, intravedendo sbocchi positivi all’esercizio delle loro specifiche competenze professionali.

Altra consuetudine amena del settore proprietario terriero, era quella di attribuire, ereditariamente, ai figli maschi terreni “pregiati”, ubicati in località elevate, collinari e montuose ed alle figlie femmine appezzamenti, considerati di minor valore, posizionati in riva al mare! Sembra, risalendo alle motivazioni ancestrali, che ciò avvenisse perché, i giovani maschi, potevano, in tal modo, avvistare eventuali invasori ed intervenire, difendendosi, con gli opportuni respingimenti in mare.

Porto Cervo nel 1961
Cala di Volpe negli anni 60, di Italo Innocenti, coll. Consorzio Costa Smeralda (Facebook)

Le considerazioni verbali dei “pionieri” s’intrecciavano in un silenzio quasi surreale, alle sensazioni di meraviglia per gli scorci panoramici, i colori dell’acqua, mutevoli nell’arco della giornata ed i profumi straordinari, misti di essenze e fioriture variabili nelle loro trasformazioni stagionali. L’erica, il mirto, il cisto, le splendide tonalità gialle della ginestra sarda, dalle pungentissime spine, spiccavano, incontrastati, nella fitta macchia mediterranea, nobilitata dalla presenza prevalente e costante delle varie specie di ginepri. Buoi, vacche, capre c’incontravano e ci guardavano come intrusi, rinfrancandosi, poi, nelle acque cristalline che diverranno la Costa Smeralda.

Il cliccare di macchine fotografiche di cui, noi architetti, eravamo abbondantemente provvisti, cercava di fermare, visivamente, la sequenza di sensazioni ed emozioni diverse prodotte, in ciascuno di noi, ma tutte, indiscutibilmente riconducibili ad una comune sensibilità per le eccezionali emergenze naturalistiche.

Il filo conduttore di queste reiterate esplorazioni sembrava essere l’entusiasmo per nuove, continue, imprevedibili scoperte. Esso colpiva sempre nel segno, anche se, le diversità caratteriali dei vari protagonisti, denunciavano, toni ed accentuazioni diverse, a volte contenute e sommesse, a volte pragmatiche ed esplosive.

L’obiettivo prioritario, vero, confessato, quello del godimento integrale di tante bellezze, s’intrecciava convulso ai programmi, alle idee, ai progetti, in una sintesi quasi perfetta di realismo e poesia a me, poco meno che trentenne, quasi sconosciute fino allora. E nelle tante scorribande guidate, in prima persona, dal giovane Principe, la cui agilità, nel saltare da una pietra all’altra, sembrava direttamente proporzionale alla capacità di prevedere, con limpida lungimiranza, la favola che stava iniziando, s’inserivano, non tanto raramente, brevi, rinfrescanti nuotate, nelle piccole baie protette.

Ne ricordo ancora una, verso la fine di febbraio, in cui l’atmosfera limpida ed un sole battente, consentirono un tuffo rigeneratore a Vietti e a mio padre, cui fui felice di accodarmi: il freddo dell’acqua invernale consigliò, a noi temerari, maggiore cautela in analoghe successive situazioni!

Non fu, tuttavia, sempre un idillio. Giornate nuvolose, mari agitati, venti fortissimi di maestrale rendevano completa l’immagine di una terra, che non aveva certo la presunzione di nascondere qualche verità spiacevole agli occhi dei suoi incantati esploratori. Benché tutto faceva parte di un rituale, non stucchevole e contraffatto, che andava accettato e sedimentare, talvolta interpretato nei suoi lati positivi, quand’anche, situazioni climatiche risultassero, in qualche modo, avverse.

Ricordo sempre la teoria consolatoria di mio padre Michele che, testardamente, ribadiva l’utilità del vento, la cui durata varia, in Gallura, dai tre ai sette “La sua funzione è essenziale nella ripulitura e nel ricambio salubre e totale dell’aria” era solito dire. Non sono mai riuscito a capire se ne fosse del tutto convinto, quando, girando sui cantieri, si faticava quasi a reggersi in piedi!

Porto Cervo nel 1961
Porto Cervo nel 1961
Cala di Volpe negli anni 60, di Italo Innocenti, coll. Consorzio Costa Smeralda (Facebook)
Cala di Volpe negli anni 60, di Italo Innocenti, coll. Consorzio Costa Smeralda (Facebook)

E ricordo ancora con grandissimo piacere i ritorni serali ad Olbia, non tanto per gli anonimi ambienti del solito albergo, quanto per alcune sorprendenti scoperte enologiche e gastronomiche, di cui semplice ma genuino riferimento, era, allora, l’Hotel Gallura. Una famiglia sardo tedesca, proprietaria dell’albergo, intratteneva gli ospiti con un intreccio linguistico assai divertente, mentre un giovane cameriere, dall’inconfondibile e pronunciato profilo aquilino, riusciva bonariamente, ma regolarmente, a far imbestialire mio padre, chiedendo, con uno stucchevole ritornello, prima ancora di sapere cosa desiderasse mangiare, se volesse “vino, birra o minerale”. Talvolta l’insorgere di piccole tensioni e/o di saltuari malumori, venivano sollecitamente dissolti dalle lucidissime, intelligenti intuizioni di Andre Ardoin o dalle divertenti ironie di René Podbielski.

Hotel Gallura primi anni '60 - coll. Gian Stefano Ricci (Facebook - Olbia... Oggi Ieri Domani)
Hotel Gallura primi anni '60 - coll. Gian Stefano Ricci (Facebook)

Oggi, le popolazioni di Olbia, di Arzachena e di tutta la Sardegna festeggiano le nozze d’oro con la Costa Smeralda, il cui nome fu l’epilogo di una lunga, divertente schermaglia tra soci fondatori ed architetti promotori. Si continuava a girare intorno al nome del colore del mare, con Costa degli Smeraldi, Costa Smeralda, Costa Esmeralda, finché Luigi Vietti risultò vincente con la sua proposta di “Costa Smeralda”.

Se dovessi quantificare le mie presenze, dal primo giorno all’Hotel Jolly di Olbia e poi negli alberghi realizzati in Costa, potrei fare un’arida elencazione, forse, approssimata per difetto. Potrei indicare, forse, 700/800 viaggi, prima in nave con traversata notturna, poi con i preoccupanti e scomodi Fokker ad elica ed infine con i comodi e capienti jet di Alisarda, poi riconvertita in Meridiana. Ed i giorni di permanenza in Costa e/o nei suoi dintorni, potrebbero, forse, ammontare ad oltre 1200.

Si tratterebbe tuttavia di un esercizio contabile che, pur imponente nelle sue dimensioni, non renderebbe giustizia alla sostanza delle vicende che, per quasi 20 anni, vissute a fianco di mio padre, mi hanno poi visto, per altri 30, interpretare un ruolo di osservatore, attore, interprete e, per alcuni versi protagonista, insieme a tanti altri soggetti, di straordinarie storie umane e professionali. A cominciare dalla disposizione d’animo che, ad amici e parenti, mi portava, sempre, a dire che il tal giorno o il talaltro, mi sarei dovuto recare in Sardegna e non in “Costa Smeralda”. Perché, pur amandola in modo quasi viscerale, sentivo quest’ultima, come parte di un tutto, come fiore all’occhiello, recente e vanitoso, di una realtà molto più complessa, fatta di storia, di tradizione, di linguaggi, di edilizia, di cibi, di costumi di gente dura e tosta, con caratteri, talvolta, diffidenti ed alteri, pronti a trasformarsi, alla prova dei fatti, in rapporti di stima ed amicizia.

I disagi e le sofferenze provate dai sardi, nel corso dei secoli, a causa di invasioni, epidemie, deportazioni e miseria hanno segnato profondamente i loro sentimenti, le loro idee, la loro cultura motivando e giustificando caratteri talvolta, testardi, spesso introversi e poco loquaci.

Nei 45 minuti di viaggio da Roma stemperavano angosce e preoccupazioni e l’arrivo ad Olbia riservava sensazioni sempre diverse, presentandosi, alternativamente, con le bufere invernali, i profumi primaverili, le calure estive e gli splendidi colori autunnali.

I rari dirottamenti ad Alghero per le cattive condizioni climatiche ed i conseguenti trasferimenti notturni, in corriera, ad Olbia, creavano qualche malumore, prontamente annullato e riassorbito, l’indomani, da una fitta serie di impegni professionali.

Il maggior centro culturale dell’lsola che, per gran tempo fu Sassari e la sua Università, ha prodotto talenti eccezionali, costretti, precorrendo i tempi, ad espatriare, per valorizzare le loro doti ed affermarsi, culturalmente e professionalmente.

coll. Gallura Channel (Facebook)

Nel corso del primo decennio, il Consorzio, colmando vuoti e lentezze della pubblica Amministrazione, ha svolto un delicato ed essenziale ruolo di supplenza, organizzando e gestendo servizi pubblici indispensabili: ricerca e distribuzione dell’acqua per tutti, a cominciare dalla popolazione, già insediata nei territori adiacenti, servizio di sicurezza di guardie giurate, lotta antincendio, servizi medici di prima necessità ecc. La diminuzione progressiva dei soci fondatori, veniva man mano colmata dagli acquirenti dei terreni urbanizzati che, divenendo nuovi proprietari, venivano automaticamente a far parte del Consorzio, sottoscrivendone lo Statuto con i suoi rigidi e vincolanti regolamenti ed impegnandosi a rispettarli scrupolosamente. Tra questi, quello di sottoporre, obbligatoriamente e preventivamente, qualsiasi progetto al Comitato di Architettura.

Determinante fu il ruolo giocato, fin dall’inizio, dal Comitato stesso. Istituito, nei primi anni ‘60, dall’Aga Khan che ne fu, per lungo tempo, presidente ed animatore, esso si è proposto ambiziosamente, quale rigido garante del corretto sviluppo costiero. Dotatosi di un regolamento edilizio complesso ed articolato, il Comitato esaminava i progetti architettonici e paesaggistici che, man mano, gli venivano sottoposti. Era un esame preliminare di carattere privatistico che anticipava il giudizio dell’Ente Locale e più volte veniva a configurarsi, in maniera decisamente più restrittiva, nei confronti dell’Amministrazione Comunale.

L’esame era sempre attento e si articolava in due fasi, tra loro strettamente integrate.

La prima prevedeva l’esame a tavolino. Su questa si sviluppavano accese e prolungate discussioni, prodotte anche dalle diverse esperienze e provenienze culturali e professionali degli architetti promotori. Nella sostanza, tali discussioni convergevano, in maniera unitaria, sugli obiettivi del rispetto assoluto e indiscutibile del territorio e delle sue eccezionali prerogative.

La seconda fase prevedeva il sopralluogo nei vari siti, dove, i progettisti ed i loro committenti proprietari, dovevano far installare le sagome d’ingombro, in altezza ed estensione, delle opere progettate.

Si verificava, spesso, che l’esame preventivo a tavolino risultasse positivo, mentre il sopralluogo e la visione delle sagome d’ingombro denunciassero inconvenienti ed anomalie nei confronti di caratteristiche vegetazionali rocciose e panoramiche. La sacralità del Re ginepro, la nobiltà e la modernità del granito scolpito e modellato nei secoli, l’occlusione parziale di vedute panoramiche eccezionali o sbancamenti di terreno eccessivi, provocavano modifiche delle sagome con riduzione delle altezze e slittamenti del fabbricato a valle, escludendo, comunque, eventuali sopralzi che andassero ad intaccare lo sky-line naturale, disegnato, nel cielo, da gruppi collinari e montuosi. In altre parole si richiedeva agli interessati di por mano, nuovamente al progetto, rendendolo meno invasivo e più rispettoso dell’ambiente circostante.

Decisiva per il Comitato di Architettura la presenza, pluridecennale, del Geom. Gesuino Monagheddu, segretario del Comitato e successivamente, divenuto direttore del Consorzio. Le sue istruttorie puntuali, la sua dedizione e la sua fedeltà alle strutture consortili, ne hanno fatto un riferimento importante nella storia della Costa Smeralda. Significativa in quegli anni, la presenza vigile e fattiva, in Comitato di Architettura, del Prof. Roberto Carità, soprintendente a Sassari. I suoi contributi accorciavano tempi e modalità istruttorie, nel rispetto rigoroso di regolamenti e normative vigenti.

E mentre le grandi famiglie locali, i Filigheddu, gli Azara, gli Orecchioni, i Fresi si prodigavano a facilitare, in loco, la risoluzione dei problemi, apparentemente insolubili, a Roma si lavorava per informare e sensibilizzare le Istituzioni dello Stato al nuovo, importante, sviluppo turistico costiero. Insieme a mio padre Michele, organizzammo gli incontri del Principe e dell’avv. Ardoin con i Ministri competenti. Oltre al Ministro del Turismo Folchi, a quello della Marina Mercantile, il repubblicano storico Macrelli (da gran tempo, ormai, tale Ministero è stato assorbito dal Ministero dei Trasporti), l’incontro più utile e concreto fu quello avvenuto con l’allora Ministro della Cassa per il Mezzogiorno, Giulio Pastore, già Segretario Generale della Cisl. Fui testimone, insieme a mio padre, delle direttive immediate che egli trasmise ai suoi collaboratori, con riscontri positivi ed operativi, nei tempi brevi che la situazione richiedeva, per le difficoltà che parevano insormontabili anche ai più tenaci e risoluti.

Non trascurabile fu l’autorevole interessamento del sassarese Antonio Segni, a quei tempi, ancora, Ministro degli Esteri. Racconta l’avv. Ardoin in una sua divertente memoria che, in presenza dell’Aga Khan, il quale paventava da parte della stampa e delle popolazioni sarde, più volte mortificate ed offese nei secoli scorsi, una latente ostilità alle nuove invasioni barbariche, l’on. Segni rispondesse “Voi non sarete certamente più stranieri degli italiani”!

Una riunione del Consiglio di Amministrazione tenuta dal giovane Aga Khan, con il maitre Ardoin alla sua sinistra, mentre parla al sindaco di Arzachena. In fondo, Paolo Riccardi e Felix Bigio con gli occhiali scuri
Una riunione del Consiglio di Amministrazione tenuta dal giovane Aga Khan, con il maitre Ardoin alla sua sinistra, mentre parla al sindaco di Arzachena. In fondo, Paolo Riccardi e Felix Bigio con gli occhiali scuri

In quei giorni insieme a mio padre ed alla mia famiglia, avemmo l’onore ed il piacere di ricevere per una cena, nella nostra casa romana, il Principe Karim e l’avv. Ardoin. La serata fu molto cordiale, certamente non formale, ebbi, chiarissima, l’ennesima conferma di che stoffa fosse fatto il Principe ed il suo più vicino e valido collaboratore, Ardoin.

Ci spiegò, davanti al caminetto acceso in una fredda serata invernale, quali fossero i motivi della sua immagine limpida e quindi, giornalisticamente, inattaccabile. Oltre alle doti personali ed al grande carisma, le sue regole erano quelle della discrezione, del lavoro, degli interventi a favore dei paesi asiatici dove esercitava la sua guida spirituale, non trascurando, nei paesi europei, iniziative e promozioni di forte carattere culturale, istituendo Premi e Fondazioni, soprattutto nel campo dell’edilizia e dell’architettura. Evitando mondanità e frequentazione di locali notturni alla moda, egli non dava adito a giornali e rotocalchi di coltivare gossip e pettegolezzi, salvaguardando, esemplarmente, la sua immagine e la sua vita privata. In ciò distinguendosi, in maniera evidente, da più o meno recenti atteggiamenti, di pessimo gusto, assunti da alcuni vertici istituzionali del nostro Paese.

Aga Khan e André Ardoin

Nella seconda parte del 1962 gli architetti promotori Busiri Vici, Couelle, Martin, Simon Mossa e Vietti, fondarono lo Studio Architetti della Costa Smeralda, aprendone la sede ad Olbia. Tale studio professionale non avrà lunga vita, sia per le difficoltà pratiche e logistiche di lavorare, collegialmente, ai vari progetti, sia per la notorietà delle personalità coinvolte, tutte molto impegnate nelle loro rispettive sedi, Parigi, Milano, Roma, Sassari. Fu, tuttavia, allora, molto importante perché riuscì a varare, in tempi rapidi, il piano generale urbanistico di sviluppo della Costa Smeralda.

Nel 1963, con difficoltà inimmaginabili, sorgeva il primo albergo della Costa, il Cala di Volpe: ideato e “scolpito” dal francese Jacques Couelle, fu la base operativa di tutti gli incontri tecnici di quegli anni difficili. Le caratteristiche architettoniche ed estetiche risentivano, positivamente, delle origini provenzali del suo autore. I successivi massicci ampliamenti non hanno reso, a mio avviso, un buon servizio all’articolazione volumetrica dei motivi originari.

L'architetto Michele Busiri Vici con Felix Bigio
L'Aga Khan con l'architetto Luigi Vietti
Arch, Savin Couelle
L'architetto sardo Antonio Simon Mossa
Almanacco gallurese
Costa Smeralda - Hotel Cala di Volpe, architetti Jacques e Savin Couelle

Nel frattempo, l’organizzazione multinazionale inglese della “Rank Hotel”, affiliata alla “Rank Organisation” produttrice di film storici”, caratterizzati dall’immagine introduttiva di un enorme martello che batteva una serie di colpi inesorabili sugli schermi, acquisì dal Consorzio un prestigioso appezzamento di terreno, in località Romazzino. Affidò al nostro studio la progettazione e la realizzazione di un Albergo. La richiesta fu di 100/120 camere, tutte con vista mare sulla splendida baia da realizzare in una insenatura incantevole, riparata dal maestrale, con sabbia bianchissima e scogliere di granito di un colore inimitabile, dalle tonalità rosate ed arancioni.

Mio padre Michele, dotato di un incontenibile entusiasmo, non stava nella pelle ed insieme al sottoscritto, riunì i suoi 15 collaboratori, accettando, di fatto, la sfida lanciata dalla Società del Regno Unito.

Ci si chiedeva di inventare, nell’arco di dodici mesi, i progetti dell’albergo, dell’architettura degli interni, dell’arredamento e del parco circostante, con la realizzazione fisica dello stesso, per l’inaugurazione, prevista nell’estate 1965. O prendere o lasciare. Il tema era affascinante e la sfida intrigante. Non esitammo, anche perché contagiati dalla forte disponibilità dei nostri numerosi collaboratori.

Dopo un mese, prima ancora di sviluppare i grafici, presentammo all’esame del Comitato di Architettura un progetto-plastico dell’albergo, disegnato e modellato con la plastilina, sul piano quotato del terreno. Seguendo l’altimetria, leggermente acclive, del terreno, concepimmo una specie di piovra che si articolava in quattro braccia, a corpo semplice. Fu approvato, all’unanimità, dal Comitato di Architettura che ne elogiò l’assoluta aderenza al terreno, semmai, esprimendo riserve, da parte di alcuni, sulla coloritura bianca prevista.

È da notare che, in tal senso, le rispettive esperienze culturali giocavano un ruolo importante. Vietti che aveva molto operato in Liguria, consigliava coloriture varie, tipiche della Regione ligure, Couelle, di estrazione provenzale, aveva realizzato un intero villaggio a Castellaras e sosteneva colori decisi, con sfumature e striature che tendevano ad intrecciarsi e ad amalgamarsi sulle pareti irregolari dalle quali, come del resto nelle varie realizzazioni concepite da tutti gli altri progettisti, veniva del tutto a scomparire il filo a piombo.

Mio padre sponsorizzava il bianco delle coste mediterranee che, nel torrido clima estivo, riusciva meglio a conservare, negli spazi interni, una temperatura fresca e piacevole, respingendo il calore dei raggi solari. Un sistema costruttivo fatto di un doppio strato di blocchetti di pomice e cemento, contribuiva, in aggiunta, alla perfetta climatizzazione naturale degli ambienti. Tutti rimasero, al riguardo, delle loro idee e negli anni successivi, ci si regolò caso per caso, pervenendo, ragionevolmente, a positivi compromessi.

Resta il fatto che l’Albergo sorse nei tempi richiesti, l’organizzazione di cantiere, curata alla perfezione, dall’Impresa Grassetto di Padova, unita all’efficienza operativa del nostro Studio, resero concreto e reale un obiettivo che, inizialmente, parve a tutti irraggiungibile.

L’impresa costruttrice, con tre turni di otto ore ciascuno, copriva le intere 24 ore. Mio padre Michele, io stesso, insieme a mia sorella Giovanna, eravamo in cabina di regia ed il nostro contributo divenne via via totalizzante, confortati dalla capacità professionale di tutti i nostri straordinari collaboratori, tra i quali, un merito particolare, va riconosciuto a Leopoldo Mastrella.

Dalla progettazione generale si passava a quella di dettaglio, dagli aspetti tecnologici e strutturali ci si immergeva nella ricerca fantasiosa di un’architettura degli interni, distributivamente funzionale e decorativamente sviluppata, su visioni e schemi, leggeri e sorprendenti. Un’équipe, da me diretta, scandagliò l’Italia centrale e meridionale, alla ricerca di tessuti, decori, ferri battuti di vecchi cancelli dismessi che, alla fine, ristrutturati artigianalmente, divenivano testiere di letto, arredando con colori diversi, armonicamente omogenei, le varie braccia del complesso alberghiero.

Intanto, la Ditta Dal Vera di Conegliano Veneto, campionava, porte e maniglie comprese, gli arredi da noi disegnati e progettati; la frequenza degli incontri era direttamente proporzionale ai tempi strettissimi assegnatici e tutto, ma proprio tutto, veniva calendarizzato in un crono-programma frenetico ma divertente, tale da costituire un vero e proprio continuo “work in progress”, cui, costantemente, cercavamo di adeguarci.

La grande passione ed esperienza paesaggistica di mio padre Michele, tra i primissimi fondatori, insieme al Prof. Porcinai, dell’Associazione Italiana dell’Architettura del Paesaggio, ha infine progettato e modellato un parco naturale, dolcemente digradante verso la spiaggia. Costituito dalle essenze autoctone, caratteristiche dell’ecosistema sardo, esso è stato sapientemente integrato da altre essenze floristiche ed arbustive, in un gioco di armonie e di colori che variavano, secondo le stagioni, nel corso dell’anno.

Tra le esperienze umane più stimolanti e significative di quest’avventura progettuale, desidero ricordare il tradizionale pranzo di copertura, oggi, purtroppo, raramente onorato. Esso dovrebbe svolgersi in ogni cantiere quando si arriva alla copertura dell’edificio. In quell’occasione i dirigenti della Rank aderirono, volentieri, alla nostra proposta.

Tra canti, balli e discorsi la serata filò via con gioia ed allegria, alla presenza di duecento operai, dei proprietari della Società Committente e dei componenti del nostro Studio, cui fu data la soddisfazione di toccare con mano l’oggetto dei loro studi, dei loro sacrifici, delle loro speranze, articolatesi, freneticamente, negli spazi ariosi e luminosi dello studio professionale romano.

Ricordo nitidamente il ruolo importante svolto, all’epoca, dal Prof. Sulas di Nuoro. Scovato da mio padre, in occasione della prima villa urbana, da lui progettata in Sardegna e realizzata a Nuoro, alla fine degli anni ’50, per i Signori Guiso di Gallisai, il Sulas ne divenne grande amico e con la sua dotta conoscenza di usi e costumi locali ed una inconfondibile vena artistica, seppe indirizzare mio padre alle fonti più preziose di un artigianato sardo di qualità. Divenne, negli anni seguenti, determinante e prezioso per arredi e decorazioni in Costa, suggerendo, intervenendo e collaborando, non solo con noi Busiri Vici, ma con numerosi proprietari e progettisti della Costa a cui, nel frattempo, lo avevamo presentato e sponsorizzato.

foto coll. Lorenzo Camillo
foto coll. Lorenzo Camillo
foto coll. Lorenzo Camillo

Nuovi alberghi venivano programmati, progettati e realizzati. Fra questi menzione particolare va data all’Hotel Cervo e all’Hotel Pitrizza entrambi progettati dall’arch. Vietti.

L’Hotel Cervo, collocato in posizione strategica, al centro del villaggio di Porto Cervo, veniva a svolgere un ruolo importante di incontro e di ritrovo per le tante iniziative avviate in quegli anni. Anche per chi non vi risiedeva, il bar del Cervo, la sera sempre affollato, era luogo di incontro per fare quattro chiacchiere in libertà o, più seriosamente, il bilancio della giornata di lavoro.

Elemento di grande fascino dell’Albergo, lo spazioso patio centrale a due livelli di sapore vagamente spagnoleggiante, con un grande albero di olivo e ballatoio superiore, sul quale affacciano alcune stanze dell’Albergo.

L’Albergo Pitrizza invece, sorge sulla parte di Liscia di Vacca che fronteggia La Maddalena. Realizzato con corpo centrale di servizi e rappresentanza e suites residenziali sparse nel verde, esso si segnalava per le sue coperture piane ricoperte di uno strato di terra e di vegetazione, che unite alla pietra di granito che ne costituisce il rivestimento esterno mimetizza l’intero complesso, rendendolo difficilmente distinguibile dalla media distanza. Una straordinaria piscina, il cui bordo viene a confondersi con la linea del mare, completa l’immagine suggestiva del prestigioso complesso prospiciente l’Hotel Cervo, e vista su Porto Vecchio, veniva, intanto, chiaramente delineandosi la “Piazzetta di Porto Cervo”. Divenne ben presto famosa per il suo ruolo di incontro e di ritrovo soprattutto pomeridiano e serale, di tutti i residenti e turisti della Costa. Ai tavolini, sempre più numerosi e affollati del Bar “da Baffo”, si potevano incontrare nomi noti della politica, della cultura, dello sport e del cinema.

Costa Smeralda, coll. Oggi
Hotel Cala di Volpe
Hotel Cala di Volpe, costa smeralda - coll. Consorzio Costa Smeralda (Facebook)
L'Hotel Cala di Volpe nel 1966, di Enrico Scanu (coll. Consorzio Costa Smeralda, Facebook)

Gli eventi si susseguivano, freneticamente, per un’operazione che aveva assunto sviluppi e proporzioni crescenti e forse non previste e non prevedibili nei primissimi anni. La Polizia di Stato ed i Carabinieri, aprirono sedi e caserme, nel comprensorio di Porto Cervo.

L’Aga Khan, presidente del Consorzio dal 1962 al 1987, assistito e consigliato dall’avv. Ardoin, suo vicepresidente ed autentico moderno Richelieu risultava sempre più carismatico e vincente agli occhi dell’opinione pubblica più accorta ed intelligente. Instancabile, oltre che guida spirituale di 20 milioni di ismailiti, Karim curava in particolare nel terzo mondo, con il suo personale intervento, innumerevoli attività di carattere umanitario, culturale e di sviluppo economico, dedicando alla Costa Smeralda i suoi tempi di, cosiddetto, riposo. Per ben 23 anni egli fu affiancato, operativamente, dall’avvocato sassarese Paolo Riccardi le cui memorie, recentemente pubblicate, danno un contributo importante alla storia della Costa Smeralda.

Le iniziative e gli sforzi si moltiplicavano e mentre la prima villa della Costa Smeralda sorgeva in un luogo incantevole, a Liscia di Vacca, su progetto di mio padre, Michele Busiri Vici, per la parigina, Bettina Graziani, già compagna del padre di Karim, Alì, si veniva a porre al Consorzio, alla comunità locale ed a quella turistica internazionale, il problema di un luogo di culto, simbolo di aggregazione sociale e spirituale. Lo reclamava il villaggio di Porto Cervo che andava chiaramente delineandosi, con le sue forme edilizie e portuali. Si individuò il sito in posizione baricentrica, in località Sa’ Conca, nella zona sud-est di Porto Cervo, la cui progettazione era stata assegnata allo Studio Busiri Vici.

Promotori dell’operazione furono l’Aga Khan, che donò il terreno alla Curia, il Vescovo di Nuoro, Mons. Melis e, dietro le quinte, mio padre Michele, uomo di grande fede. Ne curò, offrendoli, il progetto e la direzione dei lavori, con l’entusiasmo di un giovane alle prime armi. Determinanti e fattivi furono il contributo del futuro Parroco, Raimondo Fresi, e gli aiuti economici di persone generose, di buona volontà, oltre che della Regione e di Organizzazioni ed Enti locali.

Il risultato fu mirabile, anche se le ridotte risorse finanziarie impedirono il completamento del porticato esterno che, nella concezione originaria, si allargava in modo curvilineo fino ad abbracciare, idealmente, l’intera comunità religiosa. I commenti di credenti e non credenti furono tutti entusiastici perché della Chiesetta si ammirava la purezza delle linee, la singolarità dei materiali, la semplicità dell’Aula Ecclesiale che, con la luce filtrata dal suo tamburo e proiettata sull’altare, veniva a creare un’atmosfera surreale, di grande raccoglimento spirituale. I fedeli vi si sentivano a loro agio perché dicevano e continuano ancor oggi a dire, che lo spazio creato induce, in modo semplice e naturale, alla preghiera ed alla meditazione.

Col senno di poi e vista la straordinaria affluenza estiva, ci si potrebbe rammaricare, semmai, di non averne, fin dall’inizio, previsto una maggiore capienza. Ci si confrontava, tuttavia, con le ridottissime risorse economiche. Ed anche se nella storia millenaria della Chiesa i miracoli si contano a centinaia, quello delle nozze con i fichi secchi non era stato ancora previsto! 

Porto Cervo - La chiesa Stella Maris, progetto dell'architetto Michele Busiri Vici
Costa smeralda, foto coll. Lorenzo Camillo
Porto Cervo - Sa Conca, progetto dell'architetto Busiri Vici

La baia di Porto Cervo, utilizzata nel corso dei secoli da navigatori romani e greci per proteggersi dalla tempesta si prestava molto alla realizzazione di strutture portuali adeguate e moderne. In una prima fase la banchina di attracco fu prevista adiacente al centro urbano, anche per la comodità dei collegamenti terrestri, in superficie.

La Maison du Port, progettata da Savin Couelle, figlio di Jacques, fungeva da struttura di supporto per le esigenze di prima necessità, dei natanti in arrivo ed in transito.

Parecchi anni dopo, accertata l’idoneità e la profondità delle acque, tramite giganteschi lavori di dragaggio, vennero realizzate numerose altre banchine, nella parte nord-ovest di Porto Cervo. Le attrezzature, sofisticate e di altissima qualità, consentirono l’arrivo di grosse imbarcazioni da varie parti del mondo.

Alla fine degli anni ’70 la costruzione di un modernissimo Jachting Club dotato di ristoranti, bar, piscina, sale comuni e foresteria, completò degnamente un’operazione portuale di grande respiro, competitiva con i più noti e rinomati porti turistici realizzati in Europa e nel Mondo. Alle strutture ricettive già esistenti venivano ad aggiungersi il centro sportivo del Tennis Club con foresteria e grande piscina intercomunicante, coperta e scoperta, il famoso ristorante “Pomodoro”, adiacente all’Hotel Cervo e pilastro della ristorazione, per la varietà suoi prezzi e per la sua apertura ininterrotta, durante tutto il corso dell’anno.

La fama della “Costa Smeralda” andava intanto estendendosi nei vari continenti, talché si udivano grotteschi ma divertenti paradossi, prodotti da evidenti lacune nozionistiche di carattere geografico. Mi riferirono che in America, qualcuno chiedeva se la Sardegna stesse sulla “Costa Smeralda” !!!

Ho avuto modo di progettare numerose opere, insieme a mio padre (ricordo gli alberghi Romazzino, Luci di La Muntagna e Balocco, i condominii Sa Conca, S’Abba Ilde, Sas Pedras e Sottovento, oltre a diverse ville).

Sa Conca fu il primo condominio realizzato a Porto Cervo. Snodandosi lungo il percorso curvilineo della strada Provinciale, con un porticato coperto pedonale, esso apre ampi squarci visivi verso la baia. Scale, scalette e dislivelli articolano lo spazio e configurano movimenti volumetrici di notevole effetto. Lungo il porticato si affacciano esercizi commerciali, tra i quali, ben nota, la trattoria toscana “Petronilla” ed una pasticceria-gelateria di ottima qualità.

Mio padre fu per me un grandissimo maestro, un ottimo consigliere, carico, sempre, di affetto ed amore paterno. L’armonia, tra di noi, era la regola e la ricerca della soluzione migliore era un obiettivo comune. Non mancarono discussioni, in una diversa interpretazione del linguaggio architettonico, perfino incomprensioni, sempre improntate, tuttavia, ad un grande rispetto reciproco, che non presumeva atteggiamenti escludenti od autoritari.

Come del resto mio padre, durante il nostro sodalizio, mi sono anch’io trovato, soprattutto dopo la sua morte, nel 1981, a progettare opere, in solitario. Si tratta di ville e condominii a Porto Cervo, Piccolo Pevero, Collina Pevero, Battistoni, quest’ultima località al di fuori dei terreni consorziati.

Ho avuto, soprattutto, l’onore ed il piacere di godere sempre della stima e della considerazione delle strutture tecniche consortili che, dopo mezzo secolo e seguendo l’avvicendarsi delle varie gestioni proprietarie succedute all’Aga Khan, hanno avuto ancora la pazienza di avvalersi delle mie consulenze e delle mie collaborazioni. Conservo, inoltre, preziosamente, l’amicizia di tantissimi sardi che, nella storia vissuta di questi 50 anni, mi hanno confortato con la loro fiducia e la loro benevolenza.

Costa smeralda, foto coll. Lorenzo Camillo
Costa smeralda, foto coll. Lorenzo Camillo
Costa smeralda, foto coll. Lorenzo Camillo
Costa smeralda, foto coll. Lorenzo Camillo

Una delle pagine buie della Sardegna e della Costa Smeralda in modo specifico, è quella degli incendi. È un fenomeno drammatico che affligge, pesantemente, anche le zone continentali della penisola. La considero una vera e propria tragedia di cui sono stato, frequentemente, inerme testimone. Si tratta di un attentato criminale ad ecosistemi eccezionali, viventi nelle forme specifiche delle essenze, arboree, arbustive e floristiche. Veri e propri “monumenti” del Paesaggio, talvolta secolari, siano essi ginepri, olivastri, sugheri, roveri, pini delle varie specie, insieme ad una macchia mediterranea folta e rigogliosa, talvolta inestricabile ed inaccessibile. Essi vengono vigliaccamente attaccati, in condizioni di impunità e di sicurezza, pressoché assolute. L’oscurità notturna, le torride temperature estive ed il contributo determinante dei forti venti di maestrale, favoriscono vere e proprie spedizioni punitive di individui folli ed irresponsabili.

Le ragioni sono tante e tutte incomprensibili. Per esempio quella, ormai vanificata da leggi recenti, di creare “tabula rasa” per potere, poi, edificare liberamente, o quella motivata da rancori familiari, sociali e politici, che dà libero sfogo ad istinti irrazionali, proponendo vendette assurde, che “uccidono” la flora, colpendo anche le specie animali che di essa quotidianamente fruiscono.

Canadair, protezione civile, volontari, guardie forestali e semplici cittadini affrontano, spesso, in condizioni disperate e quasi eroiche, gli effetti di questi veri e propri attacchi all’arma bianca.

Il Consorzio della Costa Smeralda ha dispiegato, da lungo tempo, una sorta di difesa ed avvistamento, svolta in maniera attenta ed intelligente dal Corpo privato delle Guardie Giurate. Si tratta di posizionarsi in località strategiche per intervenire immediatamente, prevenendo l’irrimediabile estensione del fuoco.

Tutto ciò è meritorio ma non è sufficiente. Da diversi anni, per ora ancora invano, non mi stanco di sostenere in tutte le sedi, pubbliche e private, professionali e culturali, politiche e giornalistiche, che atti criminali di questo tenore, vanno trattati con leggi speciali, analoghe a quelle che si adottarono per il terrorismo degli anni di piombo. Se l’occasione della celebrazione di questo mezzo secolo fosse anche propizia a raggiungere qualche risultato in questa direzione, ne sarei felice. La mia cultura paesaggistica ed il ruolo che svolgo nel settore, sono terribilmente colpite, nel periodo primavera estate, da eventi che, oltre la Sardegna, colpiscono estese zone continentali, secondo un rituale macabro e ripetitivo.

Il fenomeno “Costa Smeralda”, dopo il primo decennio avventuroso e pionieristico, sembrerebbe, successivamente, essersi sviluppato in modo, almeno in apparenza, facile ed incontrastato. Ciò non è del tutto esatto e la gestione venticinquennale del Principe Karim, pur animata da motivazioni umane ed imprenditoriali di grosso spessore, è stata spesso ostacolata da interessi locali di piccolo cabotaggio e da ragioni di Stato non sempre lucide, talvolta incapaci di operare scelte mirate, di lungo termine. Motivi elettoralistici, situazioni politiche conflittuali, interne, anche, ai più grossi partiti nazionali, in certezze di fondo sullo sviluppo dell’isola, hanno reso difficoltoso un percorso, rispettoso di leggi e normative, nazionali e regionali.

Il dubbio che, per gran tempo, aveva paralizzato le forze politiche, era quello di una scelta strategica tra un processo d’industrializzazione moderna da un canto e uno sviluppo, su larga scala, di un turismo di buon livello, dall’altra. Non ci si rendeva conto che l’uno non escludeva l’altro e soprattutto che, un turismo di eccellenza, poteva rappresentare un volano formidabile per sviluppi indotti di tipo industriale.

Aggiungo che, in tale contesto, l’Aga Khan ha, programmaticamente e caratterialmente, sempre respinto, il raggiungimento di obiettivi e risultati, mediante sistemi equivoci e poco limpidi. Se c’erano le regole, queste dovevano essere applicate, come del resto le leggi. Non si trattava di avere qualche migliaio di metri cubi in più o in meno. Si trattava di avere quantità necessarie ad un corretto sviluppo del territorio, con modelli urbanistici ed architettonici, unici in Europa e forse, nel mondo. Soltanto non conoscendo l’uomo, qualcuno, col senno di poi, potrebbe oggi pensare, ad un visionario, della serie “Alice nel Paese delle Meraviglie”.

Le gestioni che lo hanno seguito, hanno trovato la strada, in gran parte, esplorata e ne hanno, dignitosamente e correttamente, proseguito iniziative ed obiettivi. La moltiplicazione di alberghi e ristoranti, la realizzazione di ville e condominii, le attrezzature portuali, hanno completato l’assetto e le strutture della Costa Smeralda, rispettandone scrupolosamente – tranne poche eccezioni, peraltro realizzate in terreni interclusi, non consortili – assetti paesaggistici, emergenze rocciose, acque cristalline, spiagge candide.

I Comuni coinvolti, Arzachena ed Olbia, ne hanno tratto grande giovamento sul piano dell’immagine e su quello economico, indotto dall’esplosione turistica che ha prodotto un’enorme variabilità delle persone presenti, in loco, nel corso delle varie stagioni. La popolazione di Olbia è passata, nel corso di qualche decennio, da 10.000 ad oltre 70.000 abitanti. Convegni e Congressi, nazionali ed internazionali, dei settori economici e professionali si organizzano ormai, non solo nei periodi di alta stagione, ma anche in autunno ed inverno, utilizzando le sale dell’Hotel Cervo e del Tennis Club ed in tempi più recenti il complesso congressuale, realizzato nelle adiacenze del vecchio Porto.

Le rivoluzioni tecnologiche costituite dall’avvento dei computer e dei telefonini, hanno convulsamente modificato il sistema delle comunicazioni nei settori dei rapporti umani e della mobilità, tradizionalmente intesi. Il contenimento dei prezzi in alcune delle strutture alberghiere e della ristorazione, hanno favorito ed implementato la competitività delle offerte turistiche, nei periodi primaverili ed estivi. Accanto a fasce di turismo di eccellenza, rappresentato, soprattutto, da correnti internazionali del mondo anglosassone, tedesco e francofono, si è andato sviluppando un turismo di transito giornaliero, dalla Sardegna stessa e/o dal Continente, poco influente sul piano del ritorno economico, ma importante per quello della conoscenza di realtà territoriali sconosciute o addirittura ignorate, fin quasi alla metà degli anni ’70.

Ciò ha prodotto qualche disagio sul piano della rete stradale che, programmata per flussi di traffico meno intensi, sta, ormai, dando segni di cedimento nei periodi di massima affluenza. Interventi decisi in questo settore ed in quello della sosta e dei parcheggi sono stati previsti e andranno certamente affrontati nei tempi brevi-medi, in stretta sintonia con gli Enti competenti (Comuni e Provincia). Complessivamente, però, la situazione non sfugge ad un attento controllo ed a una cura e manutenzione apprezzata ed ammirata da turisti e residenti. Ne sono garanti gli attuali dirigenti, fra cui si segnala l’azione costante e preziosa del Direttore Generale, Salvo Manca.

L’immagine della Costa Smeralda al compimento del suo primo mezzo secolo, è un’immagine saldissima, vorrei dire esemplare, di un intervento sul territorio a larghissima scala. Non si intravvedono segnali di logoramento e le sue prerogative nautiche, portuali, edilizie, paesaggistiche, ricettive e di ristorazione, costituiscono un insieme inscindibile di altissimo livello e di ottima qualità.

L’assenza di un cinema coperto e/o scoperto, ha forse penalizzato opzioni alternative, sia nel periodo invernale per la popolazione residente, sia in alta stagione, quando la frenetica vita mondana notturna troverebbe, nella proiezione di film in anteprima e/o di retrospettive, un’adeguata soluzione alle esigenze di svago e culturali, di persone e famiglie tranquille. È una lacuna che, auspicabilmente, potrebbe colmarsi nel corso dei prossimi anni.

Lo scetticismo prodottosi nel corso di questi decenni da parte di alcune associazioni culturali ed ambientalistiche sulla bontà dell’intervento, è stato clamorosamente smentito dalla realtà dei fatti, improntata alla salvaguardia, quasi maniacale, del territorio e delle sue splendide caratteristiche. Sono convinto che nessuno, mai nel futuro prossimo e remoto, oserà comprometterle, con operazioni speculative di basso profilo.

Costa smeralda, foto coll. Lorenzo Camillo
Costa smeralda, foto coll. Lorenzo Camillo

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