Clero e decime

di Vittorio Angius – a cura di Guido Rombi

Decime della diocesi. La camera vescovile riceve i frutti decimali da tutte le chiese governate dai vicari, salvo dalla Maddalena «che non si decima».

I rettori, eccettuato quello di Longone, ricevono la decima dei frutti del territorio parrocchiale.

Le decime di Tempio si calcolano valere scudi 1800, di Calangianus 600, di Luras 350, di Nuchis 200, di Terranova (Olbia) 800; Longone (Santa Teresa di Gallura) potrebbe produrre per 200, Aggius per 1000, Bortigiadas per 500.

Pare che il vescovo potesse per lo meno ricevere dalla sua decima 3000 scudi; tuttavia è voce comune che appena raccolga 2000 scudi.

I pastori non si fanno molta coscienza nel versamento delle decime, abbassandole al ventesimo e taluni al cinquantesimo. Quelli della giurisdizione di Tempio pur avendo seminato un certo anno più di 700 starelli e raccolto circa 12000, tuttavia diedero solo poche cuppe [mezzo starello]. In passato si recavano essi di proprio iniziativa ad offrire ai sacerdoti gli animali di decima; ora invece bisogna domandarli e mandare a prenderli, cosa che comporta un dispendio che quasi assorbe il frutto: perciò molto piccola è la quantità che alla fine si raccoglie. Per i formaggi si fa una questua dai parroci (la Chirichia); ma si ottiene tanto poco che spesso non si supera i 40 scudi.

Una opinione sbagliata si insinuò nei pastori e si fomenta giornalmente: che non vi è nessuna ingiustizia se delle decime una parte si da ai parroci, l’altra ai mendicanti.

E qui mi viene alla mente la grande venerazione che hanno i pastori verso i laici francescani questuanti, coi quali usano una liberalità meravigliosa donando cereali raccolti e offrendo tori, pecore, capre, montoni, agnelli, formaggio, lardo, e denari o per messe ai defunti, o per l’acquisto di tonache usate e di loro abiti vecchi coi quali vestire i morti. Credono che san Pasquale con certi segni li avvertirà tre giorni prima che muoiano e che non possa andare all’inferno chi, morto, si vesta da francescano.

Danno pure ai suddetti questuanti cavalli e buoi per motivi di voto: infatti, ammalandosi o un bue o un cavallo di cui hanno bisogno, fanno voto che se la bestia guarisce la daranno ai frati dopo certo tempo, e mantengono la promessa. Se i frati sacerdoti andassero alle cappelle rurali per assistere agli affaticati viceparroci almeno nel tempo delle confessioni, credo avrebbero un bene molto maggiore da questi devoti.

Il clero di Civita non è certamente ricco. Le rendite del capitolo provengono da censi, fitti di terre, da una porzioncina della decima e dai frutti di stola, che si versano nella massa capitolare. Un canonico può avere annualmente dalla distribuzione e dalle messe 150 scudi, un beneficiato meno di 100.

CLERO REGOLARE

Cherici delle scuole pie. Questi aprirono il loro collegio nel 1665 (28 aprile) inaugurato dal vescovo di Civita e di Ampurias Don Fr. Giambattista Sorribas dei carmelitani che vi operava i misteri e predicava. Si concesse loro l’entrata annua perpetua del 2 per 100 su tutti i formaggi che si esportassero da Longone (Santa Teresa di Gallura) e da Terranova (Olbia), che sommava a 40 scudi, senza eventuali altri sussidi e offerte della comunità e di donatori per la fabbrica del convento e per le scuole. La famiglia in altri tempi era più numerosa, al momento varia dagli 8 ai 12 soggetti.

Frati. Minori osservanti. Vi furono istituiti sin dal 1718 [a Tempio]. Solitamente non sono meno di 16. Questi religiosi erano già stati a Torpè di Montalbo avendovi costruito un convento presso l’eremo di santa Maria di Sarpei con beneplacito di Don Brianda Carroz nel 1486, che poi abbandonarono prima del 1507. […].

Cappuccini. Il nobile D. Giovanni Usai di Tempio domiciliato a Sassari lasciò nel 1635 lire sarde 30 mila a quei religiosi perché fondassero a Tempio un convento, ma la sua volontà restò senza effetto. Essi hanno uno stabilimento a Calangianus, dove sono nel numero di 12.

Monache. Verso la fine del XVII secolo si fondò a Tempio un monastero di cappuccine. Vi fiorirono molte persone in santità: ma poi introdottasi la discordia l’istituto perse l’antica reputazione e perì.

Gesuiti. Avevano fondato un ricovero a Tempio, che poi dovettero abbandonare per la violenza – così si dice – di un giovine gentiluomo, che di notte invase il chiostro con circa 200 uomini armati e, fatti trasportare quei padri al di là del Termo, rase al suolo la casa rispettando invece la chiesetta dedicata a san Giuseppe sposo. Costui, vedendo la sua fidanzata nobile, bella e ricca retrocedere dalle nozze, sospettò che l’amore fosse stato spento dalle parole del confessore, e che fosse stato lui ad averle insinuato il proposito di farsi suora («di abbandonare le sue ricchezze e il mondo»).

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