Battesimo

di Francesco De Rosa

    Trascorsi dalla nascita alcuni giorni si pensa a battezzare il pargoletto. A tale scopo si va in cerca del compare e della comare, qualora non siano stati prima invitati o non si siano offerti loro stessi durante la gravidanza, e poi si avvisa il prete che si desidera per ministro operante, per sapere quando gli fa comodo celebrare il battesimo.

    All’ora stabilita il sacrista ne dà avviso con alcuni rapidi rintocchi dal campanile. Appena si sente il suono, il sacerdote e il compare si presentano in chiesa; la comare indossa le migliori vesti e aspetta il compare che, con altri due uomini, con la bambinaia e spesso con alcune ragazze, va a prenderla per condurla dalla puerpera a cui fa i complimenti d’uso, infine s’avvia alla chiesa con la stessa compagnia, a cui si associa una fanciulla che porta un bicchierone d’acqua, che cambia nell’acqua santiera («pila») con altrettanta acqua lustrale e un cartoccio di sale.

    Intanto dalla puerpera si recano le fanciulle che l’aiutarono a cucire il corredo e gli altri invitati, e siedono a semicerchio davanti al suo letto.

    Ad Aggius le fanciulle, invitate o no, vi accorrono tutte, sedendosi alla rinfusa per terra, o stando in piedi in un angolo della casa, in disparte dagli invitati.

    Compiuta la cerimonia del battesimo, la madrina si siede su una seggiola, prende in braccio il pargoletto e gli rimette ed allaccia le cuffiette che gli sono state tolte per versargli in capo l’acqua battesimale; lo accomoda ben bene e lo consegna alla bambinaia, ossia alla donna che è stata designata a portare in braccio il bambino in chiesa, donandole una moneta di cinque o dieci lire (e altra moneta regala di soppiatto pure a colei che ha portato il vasetto dell’acqua e il sale). Uguale o maggior regalo fa il compare, il quale talvolta dona anche qualche moneta al sacrista.

    Appena il sacerdote si toglie l’abito rituale (stola e scapolare), invitato dal padre del neonato si unisce alla brigata per recarsi dalla puerpera, ove trova una corona di vaghe fanciulle e di baldi giovanotti, i quali si mostrano non meno desiosi dei dolci e delle bevande, cui devono venir serviti, che di furtive occhiate.

    Il prete, entrando, asperge la casa d’acqua santa, recitando le preghiere di rito, a cui risponde il sacrista, poi ognuno siede: la comare a capo del letto e, presso la sponda, il prete, il compare, il padre del neonato e poi gli altri in circolo, nel posto che loro capita per il primo.

    Preso che abbiano tutti posto, si dà mano a un trattamento più o meno copioso, secondo la posizione e i mezzi finanziari dei genitori e in ogni caso non mancano le mandorle, paste, confetti, caffè, vino e liquori in quantità. Serviti abbondantemente quei di dentro, si getta fuori a manate mandorle e nocciole ai fanciulli, che accorrono ad ogni battesimo, e che, non essendo potuti penetrare dentro, se ne stanno fuori ad aspettare che piova loro addosso la sospirata porzione ad essi riservata, e che raccolgono con grida di gioia, frammiste alle strida di quei che vengono urtati e calpestati.  Terminato il trattamento, le fanciulle, ripetuti i soliti complimenti, si ritirano a casa e gli uomini, colla bambinaia, – recante un bel canestro di frutti secchi, dolciumi, e qualche ampollina di rosolio – accompagnano la comare a casa sua, dove trovano di che nuovamente rifocillare lo stomaco.

    Ad Aggius nel trattamento d’ordinario si distribuiscono mandorle e noci schiacciate, poi un bicchierino di liquori o un bicchiere di vino; quindi il caffè e poi si fa a ciascuno un regalo di mandorle o di noci senza schiacciare per portarle a casa, e la puerpera consegna, con le proprie mani, alla madrina un piatto di mandorle in più degli altri. E per indicare che tutto è finito, si empie un bicchiere di vino e lo si posa sul tavolo.

    Allora si alza il prete per augurare alla famiglia una lunga e prospera vita: fa voti che il fanciullo venga su di sana costituzione, educato e istruito così che possa diventare decoro della famiglia e lustro del paese che lo vide nascere, e che quanti hanno preso parte alla cerimonia possano trovarsi un giorno presenti alla cerimonia che si farà, quando il neonato avrà preso la laurea, o cantato la prima messa, o divenuto sposo, ecc. Ecco più o meno come si esprime: «Comu sèmu ’inuti a lu battisgimu di cussì ’oddia Déu chi z’agattini sani e felizi a vidé criscì lu steddu commu lu babbu e la mamma voni e disizani: vóddu dì ch’iddu póssia criscì sanu e prosparu i’ lu colpu, sanu di menti e di cori e cussì be’ educatu e istruitu chi sia lu decoru di li soi e l’ornamentu di la patria. E tutti li chi sèmu chinzi prisenti possimi assistì a lu cunvitu chi si farà candu iddu piddarà la laura, o cantarà missa nuédda, o venghia spósu felizi d’una bòna e viltuosa pizzinna. Auguriggju ancóra chi li cujuati si possini gudì par anni assai, li ’aggjani si ’ichini prestu cujuati e tutti sani e cuntenti zi possimi incuntrà i’ la gloria. E cussì sia».

    La sera del battesimo, e non di rado nelle successive, si fa veglia spesso per tutta la notte ballando e divertendosi nell’intervallo con giochi di sala. Alla mezzanotte ci si siede a tavola, mangiando maccheroni o gnocchi con salsa di maccheroni o spalmati con manteca (óciu caxu).

    Anche i Greci e i popoli orientali nelle fauste ricorrenze solevano banchettare, danzare ed eseguire svariatissimi giochi. Anche i Troiani usavano trattenersi le notti intere in balli e gozzoviglie.

    I pastori usano portare in dono al sacerdote un capretto o un agnello con la pelle, oppure un quarto di castrato.

    Trenta giorni dopo il parto d’una bambina, e quaranta dopo quello d’un bambino, la puerpera va a presentarsi in chiesa (a ingjsgiassi) come costumavano fare gli antichi Ebrei. Il prete la riceve cogli abiti di rito e le mette in mano una candela benedetta accesa, quindi l’asperge d’acqua santa recitando le orazioni rituali e accompagnandola fino a metà della chiesa. La puerpera s’inginocchia allora, o si porta fin presso il presbiterio, snocciolando paternostri e avemmarie.

    Informo che prima di battezzarlo il neonato viene chiamato Tulcareddu, a Terranova Chisgineddu.

    Anche nei primi secoli della chiesa, quando era costume generale di battezzare in età già allevata, si soleva imporre al pargoletto un nome, che si cambiava battezzandolo, il quale, secondo l’usanza degli Ebrei, non poteva essere diverso da quello portato da qualcuno dei parenti.

    L’uso di gettare noci ai fanciulli nella strada era comune ai Greci e ai Romani in occasione di nozze.

    Sul Battesimo nelle tradizioni della vecchia Gallura, si veda anche QUI.

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