Alla Corte dell'Aga Khan

In seconda di copertina:

E’ un pezzo inedito di storia della Sardegna

Per gentile concessione dell’editore Carlo Delfino, pubblichiamo un ampio estratto

Presentazione per Gallura Tour
di Guido Rombi

STORIA POLITICA DELLA COSTA SMERALDA DAL 1963 al 1982

KARIM AGA KHAN IV E LA SUA COSTA SMERALDA RACCONTATI DA VICINO

Leggendo questo libro con attenzione non ho potuto fare a meno di aggiungere al titolo ufficiale altri due possibili alternativi titoli che dicano subito qualcosa in più al lettore “che cosa” andrà a leggere. Infatti in questo volume l’avvocato Paolo Riccardi – che fu il segretario generale del Consorzio Costa Smeralda e presidente di tutte le sue società –, intervistato dalla sua storica segretaria Mabi Satta, svela innanzitutto le lotte politiche e i suoi retroscena tra Arzachena, Cagliari, Roma per l’edificazione dell’incredibile progetto turistico, unico al mondo, “Costa Smeralda”; allo stesso modo, svela le dinamiche di governo della Costa Smeralda dal suo nascere fin quasi all’uscita di scena di Karim Aga Khan IV, dinamiche e decisioni che vedono sempre, in ultima istanza, dominus assoluto il Principe.

Quel che colpisce di queste memorie è che non furono affatto rose e fiori e pregiati tappeti rossi a far corolla ad una delle più straordinarie imprese turistiche di sempre al mondo. Tutto il contrario.

E fa riflettere che, salvo i primi nove anni (1961-1970) – nove anni in cui sorse velocissimamente la Porto Cervo che tutto il mondo conosce, con i suoi Hotel, e le ville, e le case esclusive su più livelli con scale e terrazze e arcate, e la piazzetta e il porto vecchio, e non distanti i famosissimi super alberghi, tutti pensati e diretti da straordinari architetti – fa riflettere, dicevo, che le ostilità venissero soprattutto dalle amministrazioni del comune su cui ricadeva la Costa Smeralda, il paradiso prescelto dall’Aga Khan, vale a dire Arzachena, talvolta appoggiato da qualche governo regionale. Accadde infatti che gli abitanti del paese oggi cittadina, gli arzachenesi, che avevano terreni nelle zone limitrofe alla Costa Smeralda (Baia Sardinia, Cannigione, Laconia, Poltu Quatu, Portisco eccetera) presto – molto presto – capirono, grazie alla Costa Smeralda stessa, che fortuna avevano di possedere quelle campagne di sassi e macchia mediterranea profumata vicino al mare. Erano sardi, galluresi nativi, non avevano i miliardi dei miliardari, ma avevano un’arma che quelli non avevano, il diritto di voto: loro eleggevano il consiglio comunale e quindi indirettamente i loro amministratori, il potere politico-amministrativo del comune era insomma fortemente da loro condizionato. Cosicché, a partire dai primi anni Settanta le richieste di cubature edificabili avanzate dal Consorzio ebbero sempre crescenti opposizioni, perché andavano quantomeno ripartite con le richieste dei nativi residenti per le zone limitrofe, che erano anch’esse di straordinaria bellezza, Cannigione, Baja Sardinia, Portisco, eccetera.

Nota. Forse troppo, e troppo a lungo, si è indugiato sui nativi che, al primo apparire dei magnati stranieri e continentali, non conoscendo il valore economico del denaro, oltreché quello turistico della loro terra, chiesero che nella contrattazione di vendita si parlasse di milioni e non di miliardi. Se alcuni nella primissima fase possano aver venduto a cifre in seguito giudicate “un regalo” (ma è sempre stato così nelle transazioni di beni dal valore sconosciuto), certo è che in breve tempo quei nativi poveri che abitavano quelle terre (per non dire di altri più facoltosi paesani di Arzachena) uscirono dal sonno della “dabbenaggine” e si tolsero “l’anello al naso”. Non solo: una grossa quota fece come un corso accelerato di formazione economica e professionale scrutando “la scuola dell’Aga Khan”, divenendo per la maggior parte artigiani e imprenditori autonomi, molti a loro volta reinvestendo i capitali in investimenti edilizi fronte-mare nei territori confinanti con quello della Costa Smeralda), in tanti sentendosi “piccoli principi”. L’arrivo dell’Aga Khan e lo sviluppo turistico costiero che subito si innescò non ha solo trasformato le coste sarde e in generale la Sardegna, ma ha trasformato in primis i sardi di quelle terre. E questa storia mi pare ancora molto da indagare dal punto di vista socio-economico e antropologico.

Dei problemi nuovi e inediti, oggettivamente si ponevano nel tempo, al Comune di Arzachena e alla Regione Sardegna: quel che si concedeva al Consorzio Costa Smeralda, le ville o gli Alberghi a un passo dal mare, si sarebbe dovuto concedere a tutti i nuovi richiedenti. Il comune di Arzachena come tanti altri comuni costieri della Sardegna, sotto la spinta della inedita e straordinaria impresa turistica, cominciarono ad essere presto sommersi di richieste di edificazione. Con la differenza che non tutti i nuovi “edificatori” si chiamavano Aga Khan, non tutti gli urbanisti e architetti si chiamavano Vietti e Couelle, non tutti gli acquirenti avevano le ricchezze dei primi villeggianti smeraldini. I rischi per le coste e per il paesaggio, insomma paesaggistici e ambientali, si facevano in prospettiva grandi e potenzialmente disastrosi. Inevitabilmente il legislatore doveva porseli e intervenire a regolamentare. E semplice non era. Varare leggi urbanistiche che imponevano Consorzi e Comitati di Architettura e regole stringenti per i proprietari come si faceva in Costa Smeralda, avrebbe significato il finimondo: sarebbe stato giudicato solo un modo per favorire i miliardari continentali e stranieri a danno dei sardi. La politica, e tantopiù quella dei partiti di massa degli anni Settanta e Ottanta, che era molto partecipata e militante, non poteva permetterselo. Di qui i problemi politici e amministrativi che accompagneranno presto la “favola” Costa Smeralda a partire dai primi anni Settanta. Non è un caso che la bellissima Porto Cervo sia sorta negli anni Sessanta, e così tutti i suoi più famosi alberghi, in una sorta di “vacatio legis”.

Ed è principalmente questa la storia che l’avvocato Paolo Riccardi racconta. È una storia di grande interesse politico e amministrativo, della quale si conoscevano a grandi linee gli orientamenti, ma non così chiaramente. Interessante innanzitutto la diversa attenzione, che era poi di formazione e “sensibilità” anche di natura culturale, fra i politici di diverse generazioni, per esempio e soprattutto fra la prima generazione di politici democristiani (i Segni, i Mannironi, i Pastore, i Corrias) e la successiva dei giovani turchi-morotei (ma non diversamente era tra i politici degli altri partiti: si vedano per esempio gli orientamenti del socialdemocratico Cottoni e del comunista Puggioni, ma anche di un Giovanni Berlinguer, ampiamente ben disposti verso il nuovo insediamento smeraldino); e così era fra la prima e la seconda generazione di amministratori locali, diversità ben rappresentata dai sindaci di Arzachena.

Forti differenze – e queste in linea generale erano più note a chi ha oggi abbia fra i sessanta e gli ottant’anni e abbia sufficienti conoscenza della politica regionale e nazionale – vi erano – anche all’interno della seconda generazione di politici democristiani, tra gli stessi giovani turchi, tra i Cossiga e Giagu da un lato e i Pietro Soddu dall’altro: più disposti i primi alla mediazione, al caso per caso e al volta per volta, in base alle concrete situazioni e necessità, insomma a trovare piste di atterraggio favorevoli che fossero anche premio per chi aveva così tanto creduto – appassionandosene in prima persona – e quindi investito come il principe Karim Aga Khan; invece più intransigenti e più “giacobini” i secondi, forse anche animati da un maggiore “spirito” popolare di alterità verso le élite economiche (tutta la storia politica dell’Occidente poggia su questa dialettica), una “fascia” che assorbiva anche certi “sentimenti” della cosiddetta “costante resistenziale sarda”, seppure proprio l’architetto Antonio Simon Mossa che andava emergendo proprio in quegli anni Sessanta come uno degli intellettuali più indipendentisti non solo sul piano culturale ma anche politico, non solo partecipò alla realizzazione dell’impresa Costa Smeralda, ma ebbe anche a spendere parole di stima per l’Aga Khan, proprio in risposta ad alcune esagerate contestazioni: «Circa l’Aga Khan – disse –, citato con tanto livore, non mi resta da dire altro che ha creduto nella Sardegna, a differenza dei governi piemontesi e italiani che hanno sempre mortificato l’Isola. E del migliaio di operai che lavorano in Costa Smeralda, quindi in Sardegna, salvati in extremis da una ben più umiliante emigrazione di fame, chiedo ai brillanti amici ateniesi di Sardegna quanti ce ne sono di nuoresi o barbaricini». (Si veda più compiutamente la questione in Sandro Ruju QUI in Gallura Tour).

La mia impressione è che mentre la prima generazione di politici era in un certo senso “figlia” del Touring club italiano che, con le sue riviste e i suoi reportage dai primi del Novecento cercava di diffondere per tutta l’Italia la mentalità e necessità del turismo come volano economico e culturale (impresa un po’ ardua nel Meridione e probabilmente disperata in una regione come la Sardegna, con la sua peculiare storia), e in economia era più su orientamenti liberisti, la seconda (quella sostanzialmente del Partito comunista e dei democristiani morotei facenti capo a Soddu e Dettori), cresciuta nel Ventennio, di formazione più statalista e “nazionale”, era molto meno accondiscendente e più disponibile a una visione industriale che, al netto degli interessi dei “padroni”, avrebbe favorito anche il formarsi di una coscienza operaistica e di classe, e così una più decisa crescita ed emancipazione culturale e insieme politica dei sardi. Insomma due scuole di pensiero diverse e contrapposte.

Interessanti poi gli affreschi che Riccardi ci lascia su certi Grand Commis della Pubblica Amministrazione, quei dirigenti e alti funzionari di Ministeri e Regione e d’altri Uffici statali: innanzitutto sul loro modo di interpretare, anzi di “vivere”, il proprio potere sia nei rapporti con gli “esterni” seppure di peso (Riccardi e il Consorzio Costa Smeralda), sia coi politici ad essi sovrastanti: spesso arrogante e supponente al limite dello sfacciato coi primi, sottomesso coi secondi poiché potevano disporre del loro  stesso “destino” professionale.

Finì che le tante e reiterate difficoltà politiche e amministrative che intercorsero a partire dai primi anni Settanta, soprattutto a livello locale e regionale, sui Piani generali di sviluppo del Consorzio Costa Smeralda, accompagnate via via finanche da campagne di stampa avverse, furono alla fine fatali nella decisione di Karim Aga Khan di abbandonare la Costa Smeralda e la Sardegna. (Si veda in particolare Sandro Ruiu, Il boom turistico e la Costa Smeralda; Il peso crescente del turismo e la vicenda del Master Plan).

E veniamo a Karim Aga Khan. Questo libro-intervista di Paolo Riccardi, uno degli uomini chiave della Costa Smeralda – l’avvocato che gli fu al fianco per vent’anni per la realizzazione dell’incredibile progetto turistico –, è prezioso anche per conoscere più da vicino la personalità del Principe, nei suoi anni della giovinezza (tra i 27 e i 46 anni).

Non ci sono altri libri, altri saggi, che descrivano così da vicino e in sufficiente profondità la sua figura, il suo carattere, con i suoi pregi e i suoi difetti. L’Aga Khan è ritratto davvero in tante pagine, anche in quelle che non sono espressamente a lui dedicate, attraverso anedotti, curiosità, retroscena, molti anche simpatici e divertenti, tutti comunque interessanti.

E ci dicono di un Principe entusiasta del suo progetto turistico, dedito notte e giorno ad esso, grandissimo lavoratore, un esempio e un trascinatore per le maestranze che moltiplicarono le loro energie per concretizzare in breve tempo quel “sogno” regale che sentivano allo stesso tempo come un loro personale vanto. E però ci dicono anche di un Principe dal carattere non semplice: nei rapporti personali a volte troppo diffidente e sospettoso e permaloso, altre volte troppo magnanime e capace di portare a corte personaggi sconsigliati dal suo Segretario (che poi regolarmente assisteva al loro “fallimento”); ma soprattutto troppe volte testardo e poco incline nei rapporti politico-amministrativi alla mediazione consigliata per incassare il risultato: troppo spesso – dice Riccardi – “o tutto o niente”. C’è un po’ da capirlo però, il Principe: di formazione anglosassone, di cultura più manageriale che politica, seppure coadiuvato da un uomo della sagacia e abilità e dalle mille relazioni umane come l’Avvocato Paolo Riccardi, prescelto proprio per queste doti, in quegli anni ancora giovanili faticava a sottostare alle beghe, alle tresche della politica italiana. In certi momenti cruciali avrebbe dovuto avere più flessibilità, accontentarsi, soprattutto fidarsi di più del suo consigliere (e si coglie chiaramente questo rammarico personale nelle memorie in oggetto).

Riguardo a Paolo Riccardi colpisce il suo frequente richiamo a Sassari – era la Sassari di Antonio Segni e Francesco Cossiga ma anche dei Berlinguer e Siglienti – e alla “sassaresità” come leva culturale e “psicologica” cui far ricorso in ultima istanza per la mediazione e talvolta risoluzione dei conflitti (in questo caso per “sassaresità” si intende le sue variegate conoscenze e le numerose trame relazionali prima familiari e poi personali intrecciate da studente e giovane avvocato a Sassari). Una nuova conferma della tesi di come Sassari nell’immediato dopoguerra sia stata davvero una palestra di formazione culturale e politica unica e probabilmente irripetibile finanche nel panorama nazionale. (Si veda al proposito Guido Rombi, Chiesa e società a Sassari dal 1931 al 1961, Milano, Vita e Pensiero, 2000).

Insomma, Alla corte dell’Aga Khan. Memorie della Costa Smeralda, è un libro davvero molto interessante, raccomandato non solo agli studiosi e agli appassionati di storia sarda. Queste memorie di storia politico-amministrativa della Costa Smeralda e della Sardegna sono infatti anche ricche di retroscena divertenti, ironici, a volte sorprendenti, e di note di mondanità e gossip sulla “corte smeraldina” e su altre “corti” (in particolar modo l’ottavo e il dodicesimo capitolo)dedicati.

Molta parte del merito va alla sua segretaria storica, la signora Mabi Satta (ne divenne segretaria nel 1966, sollecitata a trasferirsi da Roma dove da anni la famiglia viveva, figlia del prof. Giovanni Satta docente al liceo San Leone Magno di Roma): è lei che ha stimolato Paolo Riccardi a pubblicare questo prezioso libro di memorie e a confezionarlo attraverso una lunga serie di interviste, quindi ad averlo proposto al noto editore Carlo Delfino di Sassari. Il nome della signora Satta, forse per un eccesso di scrupolo e riservatezza, non figura nella versione italiana del libro (e una “lacuna” è proprio il fatto che non si capisce chi porga le domane all’avvocato Riccardi), mentre invece compare opportunamente nella versione inglese pubblicata nel 2013, in cui è coadiuvata da suo marito Laurence (Lorenzo) Camillo, anche lui uno dei personaggi che hanno partecipato attivamente alla incredibile impresa turistica Costa Smeralda, autore di una delle introduzioni oltre che della messa a punto della traduzione. Grazie anche allo stile dell’intervista, le memorie di Paolo Riccardi sono facile da leggere e molto piacevoli: insomma un libro che non annoia mai e incuriosisce dalla prima all’ultima pagina.

INDICE (rivisto)

***I titoli originali (si veda QUI) sono stati integrati/esplicitati tra parentesi quadre; talvolta ne sono stati inseriti di nuovi

Si offrono alla lettura i paragrafi contrassegnati col pallino; per l’edizione integrale si veda QUI ⇒

1. UN HIDALGO DI NOME RAPHAEL (si veda QUI ⇒)

Prima dell’Aga Khan
La spiaggia sognata
I calcoli del banchiere rumeno
L’hidalgo e il Presidente
Effetto eco per la nobiltà inglese
Una tasca bucata e l’angelo custode
Gente a mare
Il nudo di casa

2. ALLA CORTE DELL’AGA KHAN ⇒

I piani turistici. [Mostra e convegno ad Alghero] ●

«Abbiamo una necessità urgente». [La costituzione dell’Alisarda] ●

[Destrezza e contatti: una telefonata a Parigi e una consulenza sulle industrie e sull’agricoltura in Sardegna] ●

Liscia Ruja e Rena Bianca. [L’incontro-scontro con i fratelli Ragnedda] ●

3. SEGRETARIO GENERALE ⇒

Atto terzo. [L’Aga Khan e il fratello Patrick Guinness propongono a Paolo Riccardi di occuparsi del progetto Costa Smeralda] ●

Chi rema contro. [I Giovani Turchi, area interna politica della Democrazia Cristiana in Sardegna] ●

Dalla collina di Porto Cervo. [Settembre 1963: si progetta il villaggio e il primo porto] ●

Una cittadinanza onoraria. [Il sindaco di Arzachena, Giorgino Filigheddu, conferisce all’Aga Khan la cittadinanza onoraria] ●

Un uomo che aveva tempo per tutto. [L’Aga Khan, un principe infaticabile] ●

L’avvocato Ardoin e il principe incontenibile

4. IMPARANDO A VOLARE ⇒

L’ “Alisarda” ●

«Visto, Romiti» ●

In lotta al Ministero. [Giuseppe Sitaiolo] ●

Al Procuratore della Repubblica. [Giuseppe Sitaiolo] ●

Atterraggio con pecore ●

Un amico al governo. [Salvatore Cottoni; L’Alisarda è contrastata da Alitalia] ●

Si chiamava Venafiorita. [Nasce l’aeroporto Olbia-Costa Smeralda] ●

Nordio ci viene in aiuto. [La richiesta al presidente di “Alitalia” della linea Cagliari-Milano: problemi e contrasti, infine Nordio cede] ●

Parleremo anche con i comunisti ●

Cercando altre linee. [L’Alisarda si estende] ●

Una foto a cavallo. [Kenia e Tanzania vendono i primi aerei all’Alisarda: Sir Pirbai, il mediatore dell’affare col Kenia; Adjabali Kassan: l’unico ismaelita ammesso alla corte dell’Aga Khan in Costa Smeralda]

La tessera di partito. [Paolo Riccardi ottiene l’iscrizione al partito comunista: una tessera da usare al momento opportuno] ●

Un aiuto comunista. [Antonio Puggioni] ●

5. IL PORTO, L’ACQUA, LE STRADE ⇒

Il Porto Vecchio. [I rapporti difficili col commendator Ghiglia, direttore generale del Ministero della Marina Mercantile, per l’autorizzazione alla realizzazione del primo porto privato a uso turistico – I lavori senza autorizzazione e il rischio di sospensione] ●

«Avvocato, vuole la guerra?». [Continuano le difficoltà col commendatore Ghiglia – L’Aga Khan vieta l’invito ai politici della Regione per l’inaugurazione] ●

La Cassa per il Mezzogiorno. [La questione delle strade. Democristiani contro democristiani: il Ministro Pastore lancia l’ultimatum al presidente della Provincia Michelino Corda] ●

La scarpa bucata. [L’Aga Khan dal ministro Pastore col buco nella scarpa] ●

Il principe nullatenente. [L’onorevole Raffaele Garzia prima Presidente del CIS – Credito Industriale Sardo e “amico” della Costa Smeralda; poi presidente dell’Etfas ostile alla Costa Smeralda: risentimenti personali influenzano la sua condotta di amministratore pubblico nell’approvvigionamento idrico]

Le nuove società. [La Biancasarda; La Cerasarda] ●

Storia dell “Acquasarda”. [Il dottor Ventura e il rabdomante Martino Azara]

6. TUTTI GLI UOMINI DEL PRINCIPE

Una piccola Trimurti ●

L’avvocato André Ardoin ●

Il signor Felix Bigio. [La trattativa con Nicola Azara]

Il signor René Podbielski ●

Il dottor Mentasti ●

Il dottor Peter Hengel ●

Patrick Guinness ●

Il “parroco dei ricchi”. [Don Raimondo Fresi] ●

[Henry Bestard, Angus Ogilvy, Riccardo Parodi-Delfino]

Pino Careddu, un amico [e il suo speciale saluto all’avvocato Ardoin] ●

7. GLI ARCHITETTI DELLA COSTA ⇒

Il Comitato di architettura:

[Jacques Coüelle si dimette dal Comitato per dissapori con l’Aga Khan]

[Savin Coüelle]

[Luigi Vietti]

[Giancarlo Busiri-Vici]

[Antonio Simon Mossa]

Un Regolamento severo

8. PALCOSCENICO DELLA COSTA SMERALDA ⇒

La selezione. [Assunzioni e collaborazioni: il comandante Perotti dell’Alisarda; il dottor Berti e le divergenze con l’Aga Khan; l’ingegner Gilgenast; le raccomandazioni – respinte – dei politici di Arzachena]

Nicol Bertorino

Un Savoia sulla spiaggia

Il presidente [Pierre] Trudeau

Iva Zanicchi

Alberto Sordi

Adolfo Sarti

Il presidente Cossiga

La principessa Salima. [Un fotografo denuncia e porta in Tribunale a Tempio Pausania l’Aga Khan]

La principessa sul battello. [La disavventura della principessa Margaret in barca col marito Lord Snowdon e l’Aga Khan; il comandante militare di La Maddalena]

Pierino Tizzoni. [Il proprietario dell’isola dei Cappuccini e Budelli e promotore di Costa Paradiso, e le nove ville-palle di cemento nell’isola dei Cappuccini dell’architetto Dante Bini]

9. CUBATURE, CHE PASSIONE ⇒

La “guerra dei piani”

Il Sindaco buono. [Giorgino Filigheddu, sindaco dal 1965 al 1970]

 Una visita in campagna [dal presidente della regione Del Rio] ●

Il progetto Cala Razza di Juncu [senza esito, col comune di Olbia] ●

10. ALTRI PROGETTI, ALTRE DIFFICOLTÀ ⇒

«Due pesi e due misure». [Italia Nostra, il Corriere della Sera di Giulia Maria Crespi, l’Espresso e altri media prendono di mira la Costa Smeralda; Manifestazione di protesta popolare ad Arzachena organizzata dal Consorzio Costa Smeralda] ●

Il Casinò a Porto Cervo, [l’albergo al Pevero, la villa alla Spiaggia del principe: l’Aga Khan ci rinuncia] ●

11. STORIA DEL MASTER PLAN ⇒

La legge urbanistica

Aspettando una firma. [Con il nuovo assessore all’urbanistica, il comunista Muledda, si arriva ad un passo dalla firma] ●

«Non un metro in meno». [L’Aga Khan rifiuta l’accordo che per Riccardi era invece un sospirato traguardo] ●

12. UN FAMOSO PROCESSO ⇒

“Italia Nostra” all’attacco. [Le querele del Consorzio Costa Smeralda contro l’architetto Cederna, il presidente di Italia Nostra Giussani, il direttore del “Corriere della Sera” Spadolini e Giorgio Bocca]

Un comignolo tra due massi. [La causa minacciata da parte di Giulia Maria Crespi, azionista di maggioranza del Corriere della Sera]

13. NÉ CON TE NÉ SENZA DI TE ⇒

Quella volta a Saint Moritz [febbraio 1982] ●

Una bottiglia di Veuve Cliquot. [La grave lite tra l’Aga Khan e l’avvocato Paolo Riccardi che rassegna le dimissioni] ●

«Je suis bouleversé». [Ardoin dice a Riccardi che è «sconvolto»] ●

14. LA FINE DOPO LA FINE

Le trattative

Qualche errore sulla Costa

Un lungo addio

APPENDICE

La stagione dei sequestri. Ricordo del giudice Lombardini

Cronologia degli eventi

2
ALLA CORTE DELL’AGA KHAN

I piani turistici. [Mostra e convegno ad Alghero]

«Abbiamo una necessità urgente». [La costituzione della Società Alisarda]

[Destrezza e contatti: una telefonata a Parigi e una consulenza sulle industrie e sull’agricoltura in Sardegna] 

Liscia Ruja e Rena Bianca. [L’incontro-scontro con i fratelli Ragnedda]

I piani turistici. [Mostra e convegno ad Alghero]

Nel 1961, con l’arrivo dell’Aga Khan, con la pubblicità sui giornali nazionali e stranieri che accompagnò il suo “sbarco”, la parte nordorientale della Gallura fu presa d’assalto da numerosi imprenditori di mezzo mondo. Esplose così la corsa agli investimenti in quella parte della provincia di Sassari, fin lì la più povera e la più abbandonata.

Questo avveniva fra la completa indifferenza dei politici sardi. A Sassari, su iniziativa del mio collega di studio avvocato Raimondo Rizzu, il Comune costituì la Pro Loco. Come presidente fu designato lo stesso avvocato Rizzu, io vicepresidente. Nelle riunioni con degli amici manifestavo il mio convincimento sull’importanza di favorire il turismo, che consideravo un’occasione unica per lo sviluppo della Sardegna. Fu il vice-direttore della “Nuova Sardegna” che ci diede l’idea di organizzare la mostra dei piani turistici dell’isola. Accorsero tutti gli operatori turistici del tempo. Avevamo invitato anche il Consorzio Costa Smeralda. Mi ero recato a Olbia all’ufficio del Consorzio ed avevo esposto l’iniziativa al signor Felix Bigio, che allora ne era il segretario generale. La risposta negativa mi venne comunicata dopo venti giorni. In ogni caso invitai il signor Bigio a venire a visitare la mostra. Venne e l’indomani partecipò anche al convegno che si tenne ad Alghero, all’Hotel Capo Caccia. Un grande successo. I giornali sardi diedero grande rilievo sia alla mostra che al Convegno. La mostra, come ho già accennato, era stata inaugurata dall’on. Segni, che era stato eletto da poco presidente della Repubblica.

Quando è arrivato l’Aga Khan?

L’Aga Khan era venuto in Sardegna la prima volta nel 1961, per vedere i terreni che suo fratellastro, Patrick Guinness, aveva comprato l’anno prima. Patrick era venuto con la sua barca dalla Corsica, ma al suo yacht, il famoso Zaira di 16 metri, era mancata la benzina e così si era fermato a Romazzino. In quell’occasione ha conosciuto Nicola Azara che, appena ha visto la barca, ha cominciato ad attirare l’attenzione del fratellastro del principe e a parlare a gesti. Così lo ha convinto a comprare 10 ettari di terreno. Patrick Guinness, rientrato a casa, parla al fratello dell’acquisto e gli chiede di dividere il terreno con lui. L’Aga Khan accetta. Lo aveva pagato una stupidaggine, forse 3 milioni di vecchie lire.

Nel 1961 l’Aga Khan sbarca ad Olbia. Prende in affitto una barca del cantiere Moro, e arriva per la prima volta a quello che allora si chiamava ancora Monti di Mola, accompagnato dall’avvocato André Ardoin, socio e consulente di fiducia della famiglia del principe. Visitano il terreno, e a quel punto all’avvocato Ardoin viene l’idea: «Ma, principe, perché non facciamo una seconda Costa Azzurra in questi terreni che sono fantastici e hanno queste spiagge meravigliose?». Così è partito questo grande progetto. Hanno iniziato a comprare, aiutati anche da John Duncan Miller, che era stato uno dei primi ad arrivare in Sardegna. Miller era il capo del Fondo Monetario Internazionale. Era stato invitato da Giovanni Filigheddu, un dirigente della Regione sarda che si occupava di bonifiche.

Era più bello del principe della favola?

Quando l’ho conosciuto, nel 1962, l’Aga Khan era un giovane di 25 anni. Bellissimo, con una carica di simpatia che ti trasmetteva immediatamente. Era assieme al fratellastro. Tra i due c’era una differenza di età minima. Patrick Guinness, biondo, occhi celesti, distinto, non aveva però il carisma e la simpatia dell’Aga Khan. Del principe ho apprezzato immediatamente la grande capacità di comunicare. Parlava in francese, ma dopo tre o quattro mesi parlava perfettamente l’italiano, a parte l’inglese e le altre lingue che parlava con i suoi fedeli. Soprattutto gli ammiravo la costanza nel lavoro, la volontà di fare.

«Abbiamo una necessità urgente» [La costituzione della Società Alisarda]

Quando ha iniziato a lavorare per la Costa Smeralda?

Il primo incontro l’ho avuto con l’avvocato Ardoin. Venne da me per la prima volta a Sassari e mi disse, in francese: «Abbiamo una necessità urgente». Aveva urgenza di costituire la società “Alisarda”. una società aerea che doveva iniziare immediatamente i collegamenti tra Olbia e Roma utilizzando l’aeroporto di Vena Fiorita, che era una vecchia pista in terra battuta “arrangiata” dai tedeschi durante la guerra. Era urgentissimo. Avevano già lo statuto, la società era già costituita, insomma era tutto pronto. Si trattava soltanto di procedere all’omologazione della Società per azioni e all’iscrizione nel Registro delle Imprese. Si erano rivolti all’avvocato Rinaldi di Roma, che era stato sottosegretario nel periodo fascista, a cui erano stati indirizzati dall”Air France”. Rinaldi aveva preparato tutto: atto costitutivo, statuto, consiglio di amministrazione ecc. L’avvocato Ardoin mi dice: «Abbiamo la necessità che questa omologazione venga fatta subito: ci è stato detto che a Roma per ottenerla dal Tribunale ci vogliono almeno tre mesi».

Allora il presidente del Tribunale di Sassari era il dottor Arcadu, con il quale avevo stabilito un rapporto di grande amicizia, dovuto al fatto che lui aveva sposato la sorella dell’on. Salvatore Cottoni, la signora Speranza. Lei era stata indirizzata a me dal fratello perché iniziassi una causa contro un affittuario che non pagava interamente il canone di affitto per un terreno che aveva a Sorso. A volte la signora Arcadu si faceva accompagnare da suo marito, che non sapevo fosse il procuratore della Repubblica del Tribunale di Tempio. Durante una conversazione, il dottor Arcadu intervenne: «Avvocato, Lei si stupisce, ma lo sa che i pretori, che sono diventati presidenti di Cassa-zione, sono tutti vecchi e un po’, se vogliamo, rimbambiti, come lo sarò anch’io tra poco. Lei non lo sa, io sono magistrato e quindi posso criticare i miei colleghi».

Dopo un annetto o due il dottor Arcadu è diventato presidente del Tribunale di Sassari. L’amicizia con lui si è concretizzata anche in un fatto: a un certo punto si è ammalato; aveva dei disturbi, era andato a Milano ed era stato operato. Nella sezione fallimentare di Milano c’era un suo vecchio cancelliere, il dottor Sommariva, che era stato a Nuoro quando lui era procuratore della Repubblica. Andava a trovarlo e ad assisterlo con altri amici milanesi. E quando in seguito Arcadu ha saputo che io andavo a caccia, mi ha invitato con i suoi amici di Milano per cacciare assieme in Sardegna. Dopo questo primo incontro ne seguirono tantissimi altri e con il dottor Arcadu si stabilì una vera amicizia. Risposi quindi ad Ardoin: «Caro avvocato, ci vorranno tre mesi, può darsi due e mezzo». Io ero certo, invece, che ci sarei riuscito abbastanza facilmente in molto meno tempo.

Mi venne consegnata tutta la documentazione necessaria, che come prima tappa doveva essere passata ad un notaio. La stessa sera dell’incontro con Ardoin telefono al notaio di mia fiducia, che era il notaio Toti Maniga, con il quale avevo un rapporto di amicizia: «A che ora vai domani in studio?». «Alle nove». «No, tu vieni alle otto». Espletate le operazioni necessarie mi feci consegnare il fascicolo per portarlo rapidamente all’Ufficio del Registro e consegnarlo direttamente al direttore, il ragionier Salvatore Virdis, che era un mio ottimo conoscente, pregandolo di farlo registrare con la massima urgenza possibile. Mi ricordo che mi disse: «Passa tra una settimana». «No, me lo devi fare oggi!». Mi ha accontentato. Subito dopo vado dal presidente del Tribunale e gli dico: «Dottore, mi deve fare una grande cortesia: mi deve far omologare questa società. Ma con il massimo d’urgenza». «Fammi venire due giudici». Sono andato dal giudice Salvatore Buffoni, che era mio amico, e dal giudice Vanni Fogu, e gli ho detto: «Il presidente vi vuole nel suo ufficio per l’omologazione urgente di una Società per azioni». Dopo mezzora la società era stata approvata dal collegio dei tre giudici necessari a comporlo. Mancava solo l’approvazione da parte del procuratore della Repubblica. Con lui non avevo avuto mai alcun rapporto, e perciò non mi sarei mai potuto permettere di chiedere la sua immediata approvazione. Ho pregato il dottor Arcadu di farmi la cortesia di andare lui dal procuratore della Repubblica per completare l’omologazione. Dopo un’ora il dottor Arcadu mi restituì il fascicolo perché lo consegnassi al cancelliere. Il cancelliere Pinna, altro mio amico, dopo due ore mi consegnò la copia dell’omologazione della Società “Alisarda”. Così faccio un telegramma all’avvocato Ardoin dicendo: “Omologata Società Alisarda, può mandare signor Bigio per ritirare copie Società”. Questo soltanto dopo due giorni dall’incarico.

[Destrezza e contatti: una telefonata a Parigi e una consulenza sulle industrie e sull’agricoltura in Sardegna]

A quel primo incontro con l’avvocato Ardoin avevamo pranzato al ristorante Muroni, in Piazza d’Italia. L’avvocato Ardoin, finito il pranzo, prima di partire, doveva telefonare a Parigi. Era preoccupato, perché normalmente s’impiegavano anche due ore prima d’avere la comunicazione con Parigi. Mi ha chiesto se era possibile telefonare da casa mia. Ovviamente acconsentii. Arrivati a casa, lui mi dice: «Chissà quante ore dovremo aspettare». E io: «Facciamo un tentativo». Avevo come cliente un certo Bua di Ozieri che era un dirigente della Sip (allora Teti). Lo chiamai e gli dissi: «Carissimo, mi puoi passare per favore questo numero di Parigi?». E lui: «Subito, Paolo». Il contatto è stato immediato. L’avvocato Ardoin meravigliato: «Ma questo è un miracolo!». Si è messo a ridere e gli ho detto: «Ma no, è un amico che mi fa queste agevolazioni».

Quando stava per andar via mi dice: «Avvocato, avremmo necessità di un’altra cortesia da Lei. Ci fa uno studio sulle industrie in Sardegna? Perché avremmo intenzione di impiantarne qualcuna. Uno studio un po’ approfondito». «Senz’altro», rispondo. Ho fatto una cosa molto semplice: gli ho mandato (io tra l’altro ero l’avvocato per la provincia di Sassari del Credito Industriale Sardo) uno studio fatto dal C.I.S., in cui si parlava delle agevolazioni per gli investimenti anche alberghieri, oltre che per l’industria. Loro erano interessati proprio a questi. Nella relazione ho messo in evidenza che gli alberghi, per i quali si poteva accedere ai contributi a fondo perduto, non dovevano essere classificati di lusso, ma di terza categoria. Fra l’altro ho precisato: «Loro parlano del contributo del 50% della spesa per la costruzione: ma hanno un prezziario talmente basso, che finiscono per pagare solo il 10%: calcolano di pagare un metro cubo per la costruzione a 10.000 lire, quando invece chi costruisce paga normalmente 30.000 lire, per cui basatevi su questi dati». Poi mi hanno fatto fare un altro studio sull’agricoltura. E così ho iniziato le mie consulenze con il gruppo Aga Khan.

Liscia Ruja e Rena Bianca [L’incontro-scontro con i fratelli Ragnedda]

Ma quando l’avvocato Ardoin e il signor Bigio parlavano con Lei, Lei sapeva che cosa e chi rappresentavano?

E chi non lo sapeva? Lo sapevano anche i gatti, lo sapevano tutti, chi erano e chi non erano.

La consulenza successiva l’ho fatta quando avevano già firmato un compromesso per l’acquisto di 500 ettari, dai fratelli Martini, nella zona di Liscia Ruja. Avevano pagato 450 milioni di lire. I mediatori erano Sebastiano Ragnedda di Arzachena e il fratello. Mi fanno esaminare il contratto: sia Ardoin che Bigio erano preoccupatissimi, perché i Ragnedda chiedevano un pagamento aggiuntivo di 50 milioni. Secondo Ardoin quei soldi non erano dovuti, ma aveva paura di veder andare a monte l’acquisto: «Perché, sa, c’è questo Sebastiano, che è molto battagliero, e temiamo che i Martini finiscano per dargli ragione. Avvocato, Lei cosa pensa? Sa, noi non possiamo perdere il terreno, ma questi non vogliono fare l’atto». Gli ho detto: «Se voi volete regalare a Ragnedda e a Martini 50 milioni, fate pure, però secondo me sbagliate nella maniera più assoluta».

Dopo qualche giorno dalla riunione con Ardoin, Bigio mi invita ad andare ad Olbia per fare l’atto. Lui aveva per ufficio una grande stanza a Viale Umberto (avevano preso in affitto tutto il piano che era di Puliga, il famoso “Nights Puliga”). In questa grande stanza c’erano un plastico di tutto il terreno del Consorzio e due grandi scrivanie. Mi ha fatto accomodare. «Lei stia lì buono e tranquillo. Al momento opportuno, se non riuscirò a convincere Ragnedda e Martini che il pagamento dei 50 milioni non è dovuto, La chiamerò». Alla discussione non ho partecipato. Arrivati al punto del pagamento comincia il tira-e-molla sul prezzo e sui famosi 50 milioni. «Avvocato, scusi, può venire un attimo?», mi dice Bigio. Mi sono presentato al notaio, che era il dottor Mario Altea di Tempio, ai due fratelli Ragnedda e ai proprietari, che saranno stati, non so, otto o dieci. Su richiesta di Bigio ho contestato quello che diceva Sebastiano Ragnedda. A quel punto scoppia una gazzarra. Ma chi ero io, ma che cavolo di avvocato ero? E io: «Lei non si preoccupi chi sono e chi non sono. Però è certo che se insiste sulla richiesta aggiuntiva di 50 milioni non si farà nessun atto». A questo punto Ragnedda invitò i Martini ad andar via. Mi rivolgo al dottor Altea e lo invito a mettere a verbale le mie dichiarazioni: rappresento gli acquirenti, non si fa nessun atto non per colpa nostra, ma per colpa loro, perché rifiutano di adempiere al contratto preliminare.

A quel punto scoppia la rivoluzione: «Ma Lei cos’è venuto a fare qua, ma chi è, ma chi è quest’avvocaticchio?», incalzava Bastiano Ragnedda, che loro erano abituati a grandi avvocati eccetera. La presunzione di Ragnedda era impressionante. Quando era andato per vendere all’Agip la sua stazione di servizio a Porto Cervo, il “Cavallino Bianco”, sembrava che fosse lui il proprietario dell’Agip e l’altro un suo dipendente.

In effetti io ero uno sbarbatello sconosciuto. A un certo momento mi accorgo dell’agitazione dei Martini, che vedevano sfumare i 450 milioni. Uno dei Martini, il più autorevole, preoccupato, si rivolge al notaio, che stava per mettere a verbale le mie dichiarazioni, pregandolo di dare un suo parere. Il notaio Altea, parlando in tempiese: «Ma cosa state aspettando? Ha ragione questo giovanotto. Quindi, se l’atto lo volete fare, fatelo, sennò io sono pronto a raccogliere la sua dichiarazione».

Non ero un ragazzino. Avevo 34 anni. Avevo iniziato a fare pratica legale a 26 anni, per cui avevo un’esperienza piuttosto limitata e fuori di Sassari ero poco conosciuto.

Comunque, l’affare si concluse, e quei 50 milioni non furono pagati.

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

L’avvocato Paolo Riccardi

3
SEGRETARIO GENERALE

Atto terzo. [L’Aga Khan e il fratello Patrick Guinness propongono a Paolo Riccardi di occuparsi del progetto Costa Smeralda]

Chi rema contro. [I Giovani Turchi, area interna politica della Democrazia Cristiana in Sardegna]

Dalla collina di Porto Cervo. [Settembre 1963: si progetta il villaggio e il primo porto]

Una cittadinanza onoraria. [Il sindaco di Arzachena, Giorgino Filigheddu, conferisce all’Aga Khan la cittadinanza onoraria]

Un uomo che aveva tempo per tutto. [L’Aga Khan, un principe infaticabile]

L’avvocato Ardoin e il principe incontenibile

Atto terzo [L’Aga Khan e il fratello Patrick Guinness propongono a Paolo Riccardi di occuparsi del progetto Costa Smeralda]

Il terzo atto, diciamo così, fu la conseguenza di una vicenda simile. Dopo due-tre mesi, sempre nel 1962, mi telefona Bigio e mi fa: «Avvocato, ci sono l’Aga Khan e il fratello, il signor Guinness, che La vorrebbero incontrare. Stasera c’è anche una cena al Jolly Hotel con il comandante del porto». Ovviamente sono stato felice dell’invito.

Dopo le presentazioni di rito ci siamo messi a tavola. L’Aga Khan mi ha fatto sedere fra lui e il fratellastro. Abbiamo chiacchierato del più e del meno, mi hanno fatto diverse domande. Alla fine della serata l’Aga Khan mi dice: «Avvocato, noi ci terremmo molto che Lei venisse a lavorare da noi». Gli ho detto: «Principe, vengo già due volte alla settimana ad Olbia per la consulenza». Infatti avevo iniziato queste consulenze per la Costa Smeralda, andando a Olbia due volte la settimana, nel pomeriggio. Per arrivarci dovevo percorrere per una buona parte strade bianche e passare per Ozieri. Ci volevano due ore e mezza. Naturalmente Bigio, da attento amministratore, non si fidava totalmente di me, come del resto non si fidava di nessun altro. Quindi mi passava un fascicolo per volta, tanto che mi annoiavo. Un giorno gli ho detto: «Guardi, signor Bigio, io adesso me ne riparto per Sassari. Lei non mi conosce bene. Io sono molto molto rapido, e capisco le cose così velocemente che Lei mi deve preparare almeno 50 pratiche da esaminare. Io vengo solo a queste condizioni, perché non ho tempo da perdere». È finita che in seguito Bigio mi caricava di tanti di quei problemi che perdevo la testa. Alla fine di quella cena, prima di andar via l’Aga Khan m’invita ad andare alle otto del giorno dopo in ufficio. Alla riunione oltre l’Aga Khan c’erano Bigio, Ardoin e Patrick Guinness. Inizia l’Aga Khan: «Vorremmo che Lei venisse a lavorare stabilmente per noi. Ci dica quanto dovrebbe essere il suo stipendio». Rispondo: «Io ho uno studio professionale, ho degli obblighi, posso venire tre volte alla settimana». E l’Aga Khan: «No, no, noi vorremmo da Lei un impegno più fisso».

Comunque, dopo un accordo generale ho iniziato a lavorare tre-quattro giorni la settimana. Ma dopo neanche un mese il lavoro da espletare era tanto che ho dovuto lasciare lo studio di Sassari. Intanto l’Aga Khan mi aveva nominato presidente di tutte le sue società e mi aveva chiamato a partecipare come socio con lui in tante altre, naturalmente come prestanome. Per l'”Alisarda” c’era la legge che le compagnie aeree italiane non potevano avere capitali stranieri per più di un terzo: così lui si quotava per il 10%, e a me faceva sottoscrivere 1’80% delle azioni, senza che ci rilasciassimo dichiarazioni reciproche sulla loro reale proprietà. Insomma, c’è stato un grande rapporto di fiducia, continuo e costante, che è durato fino al momento delle mie dimissioni nel 1982.

Nel maggio del 1963 mi hanno nominato segretario generale del Consorzio Costa Smeralda. Non fui nominato presidente della società “Cerasarda”, fra tutte quelle dell’Aga Khan, perché prima che lo incontrassi ne era già stato nominato presidente l’avvocato sassarese Lellè Devilla, su suggerimento dell’on. Nino Costa, che era stato presentato all’Aga Khan dall’on. Segni, quando il professore non era ancora presidente della Repubblica.

L’Aga Khan aveva incontrato l’on. Segni all’aeroporto di Alghero e il professore gli aveva promesso che non gli sarebbe mancato il suo aiuto. Segni aveva capito che il progetto del giovane principe poteva rappresentare un gran vantaggio per la Sardegna, quindi gli aveva detto: «Di qualsiasi cosa avete bisogno, prendete contatto con mio nipote, l’on. Costa». Nino Costa era stato presidente della Federconsorzi: un uomo di destra, intelligentissimo, buonissimo, grande sportivo, allevava cavalli e aveva una grossa azienda alla Crucca, nella Nurra di Sassari. Allora era assessore alla Finanze della Regione sarda. Era cugino della moglie di Segni, donna Laura, una persona straordinaria, una grande signora, di una delle famiglie più importanti di Sassari.

Chi rema contro. [I Giovani Turchi, area interna politica della Democrazia Cristiana in Sardegna]

Così all’inizio l’Aga Khan si rivolgeva all’on. Costa, trascurando di avere contatti con i famosi “Giovani Turchi”. Francesco Cossiga ne era stato l’animatore, assieme a Pietro Soddu, Pietro Pala, Paolo Dettori e Nino Giagu De Martini e altri. Nel 1956 avevano vinto a sorpresa il congresso provinciale della Democrazia Cristiana, ed erano riusciti a prendere le redini di comando. Cossiga era diventato segretario provinciale della DC e dopo pochi anni, giovanissimo, a 29 anni, deputato al Parlamento italiano; dopo qualche anno fu nominato, come primo incarico, sottosegretario all’Aeronautica al Ministero della Difesa. I “Giovani Turchi” appartenevano alla corrente di sinistra della DC, e contrastavano l’on. Costa che era di destra. Naturalmente questo aveva fatto sì che i “Giovani Turchi” non vedessero di buon occhio l’Aga Khan e la sua iniziativa e soprattutto la sua amicizia con l’on. Costa; in realtà non credevano nel turismo, infatti avevano concentrato tutte le loro attenzioni a favorire la nascita delle grandi industrie, come la petrolchimica dell’ingegner Rovelli a Porto Torres in provincia di Sassari, e la Saras di Angelo Moratti a Sarroch, di fronte a Cagliari.

Dalla collina di Porto Cervo. [Settembre 1963: si progetta il villaggio e il primo porto]

Agli inizi si poteva arrivare a Porto Cervo soltanto con una jeep, attraverso la stessa stradaccia che i “montimolesi” facevano con i carri a buoi per andare da Liscia di Vacca ad Arzachena. Ricordo che un giorno di settembre del 1963, con l’Aga Khan, l’avvocato Ardoin e un gruppo di architetti arrivammo sulla collina di Porto Cervo, dove poi è stata edificata la casa del principe Amin. Lì, seduti sulle rocce, l’Aga Khan ha iniziato a illustrarci il suo progetto. Disse come sarebbe stata costruita la banchina, fissando già la data del 14 agosto del 1964 per l’inaugurazione del porto. Ho pensato: «Ma questo sta dando i numeri…». Non c’era luce, non c’era acqua. «Questo è un visionario!». Ho cominciato a preoccuparmi: «Questo è un giovane esaltato! Sì, potranno anche fare i miracoli, ma entro quella data il miracolo non si potrà mai fare».

A questo punto ho preso la prima fregatura della mia vita. Perché l’Aga Khan ha detto: «Allora, scegliete un posto dove farvi la vostra casa a Porto Cervo». L’avvocato Ardoin e l’architetto Vietti scelsero Porto Cervo Nord, e l’architetto Busiri-Vici Porto Cervo centro. E lui: «Avvocato, e lei?» «Mah, La ringrazio, io ho comprato un altro terreno». Pensavo al prezzo che mi avrebbe chiesto e pensai: «Chissà che botta mi dà, questo!». Così proprio come un allocco ho rifiutato il regalo più consistente della mia vita.

Il miracolo, invece, è avvenuto, perché puntualmente il 14 agosto 1964 è stato inaugurato il Porto Est di Porto Cervo.

Il principe era instancabile nel progettare a voce alta: «Avvocato, per favore, prenda appunti, per questo problema e per quest’altro…» Io facevo finta di prenderli. Dopo due o tre riunioni, capì che io appunti non ne prendevo affatto. Quindi, appena arrivava a Parigi o a Ginevra – allora la sua sede era in una bellissima villa a Mermont, a Ginevra, con un parco di 18 ettari vicino all’Hotel Intercontinental – mi mandava un telex: «Avvocato, si ricordi…, «Avvocato, ha pensato a questo…?», «Avvocato, ha fatto quest’altro…?» Era un continuo «Bisogna…», «Si è ricordato…?», «Mi faccia sapere…», «Mi faccia avere notizie…».

E io sempre lì a dettare alla mia segretaria tutto ciò che si faceva durante la giornata, anche perché lui mi richiamava per vedere che cosa avevo fatto. Quando veniva, lavorava dalle 6 del mattino fino a mezzanotte. Una volta mi ha trattenuto sino al 31 dicembre perché c’era una questione importante da risolvere. La mia famiglia era andata per Natale a San Martino di Castrozza: dovevo raggiungerla per la fine dell’anno, ci sono arrivato a notte fonda, dopo un periglioso viaggio in taxi in mezzo a una bufera di neve.

Una cittadinanza onoraria. [Il sindaco di Arzachena, Giorgino Filigheddu, conferisce all’Aga Khan la cittadinanza onoraria]

Un giorno del 1966 l’Aga Khan si era lamentato con me: «Ma guarda questi di Olbia: quando sono stato dal sindaco e dai consiglieri comunali in visita di cortesia mi è stata promessa la cittadinanza onoraria, però non me l’hanno mai data». Ricordandomi di questo fatto, vado dal sindaco di Arzachena, Giorgino Filigheddu, e gli dico: «Caro sindaco, Lei vorrebbe dire al Consiglio comunale che da Lei viene l’Aga Khan e non solo questa scamorza di Riccardi? Se Lei ci tiene, mi autorizzi a dire all’Aga Khan che Lei pensa di concedergli la cittadinanza onoraria di Arzachena».

Lo comunico all’Aga Khan: «Guardi, principe, il sindaco mi ha convocato per darmi una bella notizia. Mi sembra che sia una cosa straordinaria: tutta la Giunta e il Consiglio comunale Le vogliono conferire la cittadinanza onoraria di Arzachena». Si fissa l’appuntamento. Accetta l’invito con grande entusiasmo: «Mi prepari il discorso che dovrò fare». L’avrò scritto, riletto, rifatto minimo dieci volte. Ne correggevo una parte, non andava. Non andava bene quello, non andava bene quell’altro. Alla fine si era riusciti a raggiungere l’accordo. Prima di partire il principe lo ha riletto e se lo è messo in tasca.

Dopo il conferimento dell’onorificenza, avvenuto su un palco appositamente eretto in piazza, l’Aga Khan, rivolgendosi alla gente che aveva occupato tutto lo spazio antistante, trascura il discorso preparato e parla a braccio per almeno mezz’ora. Ha esposto alla folla i programmi della Costa Smeralda, ed è stata veramente una bella festa popolare. Ha parlato in perfetto italiano e il suo discorso è stato interrotto almeno dieci volte dagli applausi. Il sindaco e la giunta al completo, soddisfatti del fatto che l’Aga Khan si era finalmente presentato ad Arzachena, da quel momento cambiarono atteggiamento nei nostri confronti.

Il primo cittadino, Giorgino Filigheddu, mi consigliò: «Guardi, avvocato. Fate quello che volete in Costa Smeralda, purché non ci siano contrasti con Arzachena: perché se ci sono contrasti con Arzachena, è finita». Da allora siamo andati avanti senza problemi. Abbiamo ottenuto le licenze per la costruzione di appartamenti e uffici a Porto Cervo. Era la prima fase.

Erano già stati costruiti gli edifici di Cala di Volpe e della Pitrizza?E chi aveva dato i permessi?

Sì. Io non c’ero ancora. Fu sicuramente la giunta del sindaco Giacomino Tanchis. Penso che i contatti siano stati tenuti fino al mio arrivo, nel 1962, dal signor Bigio. Poi, dal maggio 1963 al 1965, sono stato io a occuparmi di tenere i contatti con Tanchis. I rapporti con lui e la sua giunta sono sempre stati cordiali, di fattiva collaborazione: era una persona gentile, semplice, dimostrava una grande ammirazione per i nostri progetti e vedeva nell’Aga Khan l’operatore che in così poco tempo con le sue iniziative aveva cambiato la vita a tutta la comunità. Il sindaco Giorgino Filigheddu è stato eletto nel 1965 ed è rimasto in carica fino all’agosto 1969. Ci ha aiutato molto.

Un uomo che aveva tempo per tutto. [L’Aga Khan, un principe infaticabile]

Stare dietro all’Aga Khan era veramente faticoso, ma anche intrigante: mi aveva definitivamente coinvolto nel suo grande progetto. La strada che portava da Arzachena ad Abbiadori era completamente bianca. Per asfaltarla la Provincia ne aveva appaltato i lavori ai geometri Gavino Soro, Lelle Rais e Rosas, che erano dei miei amici: la strada è stata finita prima dei tempi previsti. Poi ho intrattenuto ottimi rapporti con l’impresa Guerri, ma ogni giorno dovevo fare all’Aga Khan un rapporto su quanti chilometri avevano sterrato, era preoccupato di non avere la strada pronta alla data dell’inaugurazione del porto.

Per arrivare all’ Abbiadori, a Porto Cervo e a Cala di Volpe c’era un tratturo di campagna. Anche lì un disastro. Il principe: «Avvocato, bisogna fare questo, bisogna fare quest’altro…», sempre per telex, e io, sempre per telex, dovevo rispondere. È stata veramente una fatica giornaliera costante, ma anche molto stimolante, perché vedevo che il mio “padrone” sì, “padrone”, perché per me così è stato, e io lo schiavo che lavorava a comando era eccezionalmente lungimirante, preparato e concreto.

Karim Aga Khan, quarantanovesimo Imam degli Ismailiti, a soli 26 anni era un uomo molto maturo. Il nonno lo aveva voluto suo successore quando aveva solo 18 anni, con il seguito di 30 milioni di fedeli che lo adoravano. Ogni quindici giorni convocava a Ginevra, all’Hotel Intercontinental, i più importanti dei suoi fedeli, un’assemblea di non meno di 300 personalità.

Lei, avvocato, aveva soggezione dell’Aga Khan?

Direi proprio di no. Quando si facevano dei pranzi con le autorità disponevano una tavola a ferro di cavallo. Io mi mettevo sempre di spalle, in un angolo. In genere mi sistemavo con amici, deputati e consiglieri regionali, gente simpatica, e stavamo sempre a ridere per le varie battute che ci scambiavamo. E lui, il principe: «Quali sono gli argomenti che vi fanno tanto ridere?» E io: «Non sono cose per Lei». Mi rigiravo e lui si metteva a ridere. Era simpaticissimo. Questo per dire che no, non ho mai ho avuto soggezione. Il rispetto è un’altra cosa.

L’avvocato Ardoin e il principe incontenibile

Molti dirigenti arrivavano alle riunioni tutti pieni di paura: «Com’è? È di buonumore?» Lo temevano perché era veramente severo e guardava le cose in profondità. In queste riunioni a volte si perdeva molto tempo perché, pignolo com’era, entrava nei minimi particolari. Io non volevo restare fisso li, per seguire i tanti piccoli problemi dei vari dirigenti. Quindi un giorno gli ho detto: «Principe, quando Lei viene in Costa, moltissimi vengono da me per essere presentati a Lei. Li ricevo io e trovo tante scuse per evitarLe di incontrarli, dato che vengono solo per conoscerLa e Le farebbero perdere del tempo prezioso. Per questo non posso stare tutto il giorno in riunione con Lei. Non si preoccupi, quando ha qualche problema mi chiama e lo risolviamo».

In quell’occasione gli ho proposto di consentirmi di fare una riunione con lui ogni volta che arrivava in Costa, unitamente all’avvocato Ardoin, con un preciso ordine del giorno: tutti argomenti che a mio giudizio si sarebbero dovuti discutere e che avrei anticipato preventivamente ad entrambi. All’inizio mi è sembrato contrariato, ma poi per tanti anni abbiamo seguito regolarmente questo sistema. Se nel redigere l’ordine del giorno io dimenticavo qualche argomento mi faceva arrivare via telex quelli che lui voleva trattare. Le riunioni iniziavano al più tardi alle 8 del mattino e finivano anche alle 10 di sera. Per pranzo l’Aga Khan ordinava dall’Hotel Cervo sandwich, acqua e cappuccino. Un giorno io, stanco morto, me la sono squagliata e sono andato a casa mia a dormire. Al rientro in riunione, penso dopo un’oretta, l’Aga Khan mi dice: «Ha dormito bene, avvocato?». E io: «Malissimo, principe, perché in genere dormo anche un’ora e mezza dopo pranzo». Si è fatto una risatina e da quel giorno non mi ha più cercato. Sapeva che all’ora di pranzo io me la squagliavo dalle riunioni per andare a casa a fare una pennichella.

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

L’avvocato André Ardoin

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

Karim Aga Khan con l’avvocato Felix Bigio

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

Karim Aga Khan IV

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

L’avvocato Paolo Riccardi

 4
IMPARANDO A VOLARE
[DALL’ALISARDA A MERIDIANA]

L’ “Alisarda”

«Visto, Romiti»

In lotta al Ministero. [Giuseppe Sitaiolo]

Al Procuratore della Repubblica. [Giuseppe Sitaiolo]

Atterraggio con pecore

Un amico al governo. [Salvatore Cottoni; L’Alisarda è contrastata da Alitalia]

Si chiamava Venafiorita. [Nasce l’aeroporto Olbia-Costa Smeralda]

Nordio ci viene in aiuto. [La richiesta al presidente di “Alitalia” della linea Cagliari-Milano: problemi e contrasti, infine Nordio cede]

Parleremo anche con i comunisti

Cercando altre linee. [Alisarda si estende]

Una foto a cavallo. [Kenia e Tanzania vendono i primi aerei all’Alisarda: Sir Pirbai, il mediatore dell’affare col Kenia; Adjabali Kassan: l’unico ismaelita ammesso alla corte dell’Aga Khan in Costa Smeralda]

La tessera di partito. [Paolo Riccardi ottiene l’iscrizione al partito comunista: una tessera da usare al momento opportuno]

L”Alisarda”

Avvocato, abbiamo lasciato a metà il discorso sull’ “Alisarda”.

È qui che entrano in scena il conte Ranchella, presidente di “Alisarda”, e gli altri comprimari che dovevano risolvere i problemi della società, in modo che si cominciasse davvero a volare. Il conte Ranchella era una figura simpatica. Il classico romano che ha avuto il titolo di conte per meriti vaticani. Il Consiglio d’amministrazione dell”Alisarda” era composto anche da un generale, l’unico veramente bravo, persona capace, non ricordo più il suo nome. Ma le riunioni del consiglio erano un guazzabuglio spaventoso, bisticci e contro-bisticci.

A queste riunioni andavamo io, l’avvocato Ardoin e Bigio. Ci incontravamo quasi sempre a Roma, qualche volta anche ad Olbia. La tiritera con questo conte è durata due o tre anni, finché non siamo riusciti a cambiare il Consiglio d’amministrazione mettendo fine, con la mia presidenza, alle urla del conte vaticanista.

Ricordo che una volta, a ristoro dei suoi compensi, ci chiese una fotografia dell’Aga Khan con una dedica particolare, e insisteva per incontrare l’Aga Khan. Avvenne all’Hotel Excelsior. Puntuale all’appuntamento, il conte Ranchella viene annunciato al telefono dal portiere dell’albergo. Dico all’avv. Ardoin: «Vado per farlo salire su con me». Appena mi vede, il conte inizia: «Faccio un casino, faccio qui, faccio là…». Arrivati davanti all’avvocato Ardoin, uomo dalle battute ad effetto, viene cordialmente anticipato: «Ebbene, conte, come va la raccolta dell’uva? Intendo la vendita del vino. E le botti?» (il conte aveva una proprietà vendeva vino).

Questo incipit lo fulmino. Non ha più parlato, se non di cose che riguardavano I”Alisarda”.

E la fotografia dell’Aga Khan con dedica?

L’Aga Khan non gliel’ha mai mandata. Ranchella fu un incubo per anni.

«Visto, Romiti»

Divenuto presidente, ho cominciato a prendere contatti con le autorità. I primi colloqui li ho avuti con l’on. Salvatore Mannironi, che allora era sottosegretario ai Trasporti. E siamo alle prime battaglie. L’ “Alitalia” non vedeva di buon occhio l’Aga Khan, che con la sua nuova compagnia aerea poteva essere un temibile concorrente. L’ “Alitalia” comandava su tutti. Ricordo sempre la prima lettera che era stata scritta dal direttore del Ministero dei Trasporti in risposta alle nostre richieste di avere in concessione una linea, la Cagliari-Olbia-Roma, per due aerei comprati appositamente, due piccoli Beechcraft. La lettera del Ministero dei Trasporti ci era stata inviata per errore con una annotazione a matita di Romiti, che era amministratore delegato dell’Alitalia”: «Puoi inviarla all”Alisarda”, così va bene».

lo, per far vedere che razza di connubio c’era tra l’ “Alitalia” e Civilavia, ho sottoposto questa lettera all’on. Mannironi. Lui, da buon barbaricino, mi ha guardato senza dirmi neanche una parola. Muto, non si è pronunciato. Io ridendo gli ho detto: «Veda un po’ Lei!». Sono sicuro che un suo intervento è stato quello che ha provocato un incontro a Porto Cervo con Romiti e con il direttore generale di Civilavia. Dopo quell’incontro i rapporti sia con Civilavia che con l’Alitalia” furono improntati ad una maggiore attenzione per i nostri problemi.

Passati forse trent’anni, un giorno, andando a visitare una mostra in via dei Coronari, vedo Romiti e penso: «Ma questo non mi riconoscerà». Stavo tirando dritto, ci siamo trovati faccia a faccia, era con la moglie, e mi ha fermato: «Come sta, avvocato». Ci siamo messi a parlare. Ero molto imbarazzato, perché quasi quasi lo stavo evitando».

Atterraggio con pecore

Quando avete cominciato a volare?

L’inaugurazione del primo volo di linea a pagamento (nel 1964 il biglietto costava 5 mila lire) ha avuto luogo sulla tratta Roma-Olbia. Bigio e una coppia di americani eravamo i primi passeggeri. Al momento di atterrare, la signora statunitense ha cominciato a gridare come una matta. L’aereo stava scendendo sulla pista bianca di terra battuta e in mezzo alla pista c’era un gregge di pecore inseguite dal pastore che cercava di cacciarle via. E Bigio a spiegarle in inglese che quello era l’aeroporto.

Allora per l’accoglienza esisteva solo una agiva, con un addetto, il comandante Izzo, uno dei primi impiegati, che in breve divennero quattro. Quello che ho raccontato è stato il primo volo dei due famosi Beechcraft. Quello che invece non si è mai saputo è che uno dei due Beechcraft, quando stava per atterrare a Ciampino, si è mezzo distrutto: notizia mai apparsa sulla stampa, sarebbe stata la fine di “Alisarda”. Giustamente l’Aga Khan diceva: «Prima di cominciare voglio vedere come vanno le cose». Uno di questi velivoli è ancora lì, abbandonato all’aeroporto di Roma.

Dopo i due Beechcraft “piccoli” vennero acquistati due Beechcraft North Aviation da 18 posti. Quest’acquisto dopo svariate riunioni al Ministero, sempre con l’aiuto dell’on. Mannironi, ci ha consentito, di ottenere dall’Ati (che era la titolare della concessione della linea Olbia-Roma, mai esercita) di poterle subentrare nell’esercizio. Poi siamo passati a due Fokker F27.

In lotta al Ministero. [Il dottor Giuseppe Sitaiolo]

E il Suo ruolo nell’ “Alisarda”?

Era un periodo in cui i miei impegni erano troppi. Tenere tutti i contatti politici e amministrativi era diventato impossibile. Quindi ho pensato di farmi sostituire alla presidenza dell’Alisarda”. Ho suggerito all’Aga Khan e all’avvocato Ardoin il nominativo di un sardo che mi era stato fatto dall’avvocato Pellegrini, legale del CIS, il Credito Industriale Sardo. Parlando poi con Raffaele Garzia, che era il presidente del CIS, lui mi ha confermato il giudizio sul signor Efisio Carta di Oristano, ben conosciuto e apprezzato dai politici sardi, capace di tenere contatti ad alto livello. Dopo due anni di presidenza, Carta si è dimesso e l’Aga Khan mi ha fatto riprendere la guida dell’Alisarda”, che ho tenuto per più di altri 15 anni, fino al 1982.

Uno dei primi contatti, quando ho ripreso la presidenza, doveva servire ad accertarmi a che punto erano le nostre richieste sulla cessione dei voli per la Sardegna concessi all’ATI. Un dirigente che si chiamava Giuseppe Sitaiolo, addetto ai servizi di Civilavia per quel settore, mi venne descritto come un prepotente. Non sentiva ragioni da nessuno. Ma siamo sopravvissuti lo stesso.

Chi mi informava era soprattutto il ragionier La Manna, un nostro dipendente che teneva i contatti con i ministeri. Un giorno mi disse: «Avvocato, Sitaiolo è una persona incredibile. Pensi, mia moglie, che è lì al Ministero e che lavora nel suo stesso reparto, si era permessa di aderire ad una riunione della CISL e lui l’ha emarginata. È una persona da prendere veramente con le pinze». Avevo già avuto altre esperienza con i dirigenti dei Ministeri, che in definitiva approfittano del fatto che i ministri durano al massimo un anno, mentre loro sono sempre li. Per cui con i direttori dei Ministeri è necessario avere dei buoni rapporti, anche se in molti casi era molto difficile. «Bisogna avere molta pazienza con il signor Sitaiolo».

Chiedo un appuntamento che mi viene fissato per le nove di un certo giorno. Conoscendo per altre circostanze il comportamento di alcuni dirigenti, all’appuntamento con Sitaiolo mi sono portato dei libri di ippica da leggere, più tre o quattro giornali, sapendo che mi avrebbe fatto fare un’attesa minimo di tre ore. Così è stato. Nove, nove e mezza, dieci. Alle dieci, nella sala in cui io attendevo la sua chiamata, viene un usciere e fa: «Ha bisogno di qualche cosa?» No, grazie, non ho bisogno di niente, semmai una toilette fra poco», dico ridendo, e continuo a leggere. Erano le dodici meno un quarto. Arriva la segretaria che era perfino più supponente, ma molto bella. Prima che lei parlasse, la precedetti: «II dottor Sitaiolo è stato chiamato dal ministro?» A disagio confermò la mia previsione. «Chieda per favore al dottor Sitaiolo, che sta per uscire, se domani alle nove mi può ricevere». Ritorna veloce, tutta imbarazzata: «Sì, sì la può ricevere alle nove». «Signorina», le ho chiesto quando stavo per andare via, «mi può dire che ore sono?» Dice: «È mezzogiorno meno cinque». «Come l’ora del mio orologio. Allora domani alle nove».

Al Procuratore della Repubblica. [Il dottor Giuseppe Sitaiolo]

Vado via. Vado all’ufficio dell”Alisarda” e mi metto alla macchina da scrivere. Inizio: «Al Procuratore della Repubblica del Tribunale di Roma. Il sottoscritto Paolo Riccardi, nato a Sassari…, Presidente dell’Alisarda”, espone quanto segue. L”Alisarda” ha presentato già da tempo una domanda per avere la concessione delle linee Olbia-Roma-Olbia e Genova-Olbia-Cagliari, ma il dottor Sitaiolo, che è il capo del servizio preposto, non si è ancora premurato di riunire la commissione che deve esaminare queste pratiche, sebbene siano passati oltre tre anni dalle richieste. Ritengo che si stia commettendo un reato, penso per omissione di atti d’ufficio, ed espongo alla Signoria Vostra quali sono i danni subiti dall’Alisarda” per questi ritardi…».

L’indomani mattina, per l’appuntamento con il dottor Sitaiolo portò con me una copia della denuncia. Nove precise, nove e cinque, nove e dieci, nove e un quarto. Busso alla porta della segretaria e dico: «Mi scusi, Le dispiace consegnare questa cartella al dottor Sitaiolo? E gli dica che lo posso ricevere domani a mezzogiorno preciso presso gli uffici dell”Alisarda”. Non aspetto neanche cinque minuti di più perché devo andare a consegnare quest’esposto al Procuratore della Repubblica di Roma». Senza dire altro saluto e vado via, Aspettavo la reazione. Mi sono detto: «Qualche reazione ci sarà», Dopo sei o sette ore mi telefona un carissimo amico, il dottor Peppino Leonardi, che era stato capo della segreteria dell’on. Cottoni quando Cottoni era sottosegretario ai Lavori Pubblici e successivamente anche ai Trasporti. «Ma che cavolo mi combini? Sitaiolo è mio carissimo amico, ma che mi fai?» Rispondo: «Peppino, lui non può comportarsi così. Accompagnalo tu, se vuole venire con te, domani al mio ufficio, ma io non recedo. Se viene, bene, e senno sono pronto a presentare la denuncia». «Non mi fare questo, cavolo!» «No, Peppino, lo farò».

L’indomani sono arrivati al mio ufficio, a mezzogiorno e mezzo, Peppino e il dottor Sitaiolo, che aveva una faccia non molto sorridente. Non mi ha guardato neanche un po’. Era accigliato, con un atteggiamento di disgusto. Gli ho detto: «Dottor Sitaiolo, Lei è molto amico di Peppino Leonardi. Per lo meno Peppino mi dice così. È amico da tanti anni, mi conferma?». Rimane un po’ basito e mi dice: «Certo». «E allora gli amici degli amici sono miei amici, ti posso dare del tu, Peppì?» Abbocca all’amo e mi autorizza a dargli del tu E allora gli dico: «Senti, le informazioni che ho è che tu sei un gran prepotente. Non ti dico altro. Se andiamo d’accordo saremo amici. ma amici cari, perché io tengo moltissimo all’amicizia». Beh, da quel momento ha cominciato a cambiare.

Il dottor Sitaiolo diventò presto un esecutore dei miei desideri! Lo avevo schiavizzato, però dovevo pagare dazio. Mi schiavizzava anche lui. L’ho dovuto sopportare almeno quattro volte ospite in Costa Smeralda per una settimana. L’Amministratore delegato dell’Ati, dottor Bornia, un giorno mi aveva detto: «Avvocato, questa è una persona che…, insomma me lo devo sopportare a Capri, a Positano. Lo devo ospitare qui coli, lo devo ospitare colà, lo devo accompagnare. Deve vedere come si presenta, con i pantaloni corti e le calze che gli arri vano al ginocchio. Le figure che faccio. Cosa vuole, d’altra parte?». Siccome chi mi aveva fatto far pace con il dottor Sitaiolo era il dottor Leonardi, che era – come ho detto – capo di gabinetto dell’on. Cottoni, Cottoni incuriosito l’ha voluto conoscere. Mai l’avessi fatto. Sitaiolo è riuscito a schiavizzare anche l’on. Cottoni, il quale mi diceva: «Paolo, bisogna avere pazienza. Questo mi fa tante cose».

Un giorno Sitaiolo viene in Costa Smeralda con la moglie, una persona gentilissima, una bella donna. Lui era antipatico, un despota, si vedeva, proprio un burocrate, anche con la moglie e i figli che erano due bravi ragazzi, un maschio e una femmina. Era un gran mangiatore, gli piacevano le aragoste e tutte le specialità sarde. Mangiava velocemente, una volta si stava strozzando. Io non ero andato con lui con la scusa che ero impegnato, ma me lo ha riferito il direttore dell”Alisarda” che lo aveva portato a mangiare a Siniscola. Si era quasi strozzato con un pezzo di aragosta che gli era andata di traverso. Un giorno gli ho detto: «Pensa che io l’altro giorno, caro Peppino, ho mangiato quattro chili di aragoste». (Non era vero, perché sono allergico alle aragoste). «Io ti ho battuto: otto chili in Portogallo, solo quindici giorni fa!».

Un altro giorno viene in Costa Smeralda con la moglie, ma senza i figli. Vado a prenderlo all’Hotel Cervo con l’intenzione di andare al ristorante “Petra Niedda”, verso Cala di Volpe. Durante il tragitto vede il ristorante “La Fattoria”. Mi impone di fermarci lì. Da tempo non c’ero più andato perché l’ultima volta mi avevano presentato un conto esagerato. Me ne ero lamentato con il titolare, che mi fa: «Avvocato, chi paga il conto, Lei oppure il Consorzio? Se paga Lei, Le faccio un bello sconto». In risposta gli chiedo: «Ce l’hai una macchina fotografica?» «Perché?» «Mi dovresti fare una fotografia, perché non mi vedrai mai più; io qui non ci metterò più piede». Cosa che avevo fatto. Però non potevo scontentare Sitaiolo, e così entriamo alla “Fattoria”. Sitaiolo, prepotente com’era, va avanti senza aspettare il mâitre per farsi assegnare il tavolo: si siede a capotavola di un tavolo da 12 e assegna la destra a me e la sinistra alla moglie. Ci sediamo. Arriva il mâitre e fa: «Scusate, quanti siete?» e lui, Sitaiolo: «Ci vede, siamo tre». «No, questo è un tavolo per 12. Non possiamo darvelo». Ci alziamo. Io, sempre ridendo sotto i baffi, pensavo: «Vediamo come andrà a finire questa storia…». Lui si stava sedendo ad un tavolo e gli dico: «No, mettiamoci qua, si sta meglio», perché avevo visto che lui guardava l’altro tavolo. Allora ci siamo seduti. Il mâitre: «No, scusi, vi dovete mettere qua». «O ci dà questo tavolo», insiste Sitaiolo, «o noi ce ne andiamo». «Prego, la porta è aperta», risponde il mâitre. E così ci cacciano, lui avanti e io dietro con la moglie, con mia grande soddisfazione! […] … […]

Un amico al governo. [Salvatore Cottoni; L’Alisarda è contrastata da Alitalia]

Nel frattempo Salvatore Cottoni era diventato sottosegretario ai Trasporti. Per l'”Alisarda” è stata l’occasione della vita. Perché Cottoni era mio amico carissimo ed era un antifascista come mio padre. Era stato sindaco di Sorso, e anche assessore al Turismo della Regione sarda con l’on. Efisio Corrias, presidente nel 1964, quando venne varato il primo centro-sinistra in Sardegna. Lui era socialdemocratico.

Dal momento della sua nomina, sono cominciati i primi contatti importanti con i piani alti romani. Dissi: «Noi abbiamo questo aeroporto che non va». Beh, era un uomo che non andava mai in Parlamento. Stava sempre nel suo ufficio a coordinare le cose. Era un grande politico, un uomo che lavorava molto, che riusciva ad avere quello che voleva perché riusciva a coinvolgere nella sua amicizia tutti i funzionari possibili ed immaginabili.

Per dire un particolare. Quando era stato appena nominato sottosegretario ai Lavori Pubblici, fresco di giornata, in Costa avevamo bisogno di un documento importante. Sono andato da lui e gli ho detto: «Onorevole, ho bisogno di un aiuto dal suo Ministero». Mi ha detto: «Vieni a prendermi domani mattina⟫, Vado, facciamo colazione insieme all’Hotel Quirinale di via Nazionale. Grande gourmand: mangia questo, mangia quest’altro. Era un giocondo gran mangiatore. Arriviamo al Ministero. Era uno spettacolo. Chi lo conosceva se lo ricorderà, non si toglieva mai il cappello, in nessuna occasione. Lui. sottosegretario, anziché chiamare il funzionario andava lui a trovarlo. «Dov’è il dirigente di questo servizio?». Gli dicevano: «Onorevole. L’accompagniamo noi!», e lui: «Lascia perdere, vado io». Non bussava neanche. Aperta la porta del dirigente che stava leggendo il giornale esordiva: «Senti un momentino» (era la sua frase tipica di introduzione). «Cosa volete?» «Sono Cottoni, il sottosegretario». «Ah, Eccellenza!» «Ma che Eccellenza. Senti un momentino, ho bisogno di te. Vieni all’una e mezza di fronte a Porta Pia che c’è un bellissimo ristorante, così parliamo con calma». Quello rimaneva trasecolato e all’una e mezza precisa andavano a pranzo. Così si faceva amici questi funzionari e risolveva tutti i problemi.

Quando poi è passato ai Trasporti, usava lo stesso sistema. Ha fatto mettere in bilancio un finanziamento di 8 miliardi e mezzo per l’aeroporto di Olbia. La cosa suscitò diverse polemiche: Alghero aveva delle strutture ridicole, Cagliari non se ne parla. E lui, Cottoni, facendosi amico di tutti i dirigenti (i politici erano già suoi amici), riuscì a completare l’aeroporto di Olbia a tempo di record. Gli ingegneri ministeriali li invitava a pranzo anche a Sassari, a casa sua. Li accompagnava a Olbia e con questo sistema di cordialità e bonomia tutti si sentivano coinvolti e partecipavano con entusiasmo a mandare avanti le cose. Un uomo intelligente, costruttivo, un personaggio veramente eccezionale, che ci ha consentito di fare l’aeroporto

Si chiamava Venafiorita. [Nasce l’aeroporto Olbia-Costa Smeralda]

Ma da chi è nata l’idea di realizzare un nuovo, grande aeroporto ad Olbia, dopo che Antonio Segni aveva detto del vecchio aeroporto militare di Venafiorita: «Tanca è, e tanca rimane»?

Ma è chiaro, l’idea non poteva che nascere da lui, dall’Aga Khan. «Qui dobbiamo far nascere un grande aeroporto. Si dia da fare, avvocato». Quando poi finalmente ci fu l’inaugurazione dell’aeroporto, si lamentava delle dimensioni: «Come facciamo ad occupare tutto questo spazio? Ce ne basta una piccola parte, altrimenti i costi saranno troppo elevati». Lo ricordo benissimo.

Poi invece si è dovuto ingrandire. E il nome?

Ecco, il nome “Olbia-Costa Smeralda” è nato da una battaglia che ho fatto io. Il progetto era intestato “Aeroporto Colcò”: era la sua denominazione catastale, un nome allucinante. Il Comune di Olbia si opponeva a che si chiamasse “Costa Smeralda”. Il cambio di denominazione è stato portato a termine per merito dell’on. Salvatore Campus, che era l’assessore ai Lavori Pubblici di una giunta regionale presieduta dall’on. Nino Giagu. Fece emettere un decreto con il quale il nome veniva cambiato definitivamente in “Olbia-Costa Smeralda”.

Nordio ci viene in aiuto. [La richiesta al presidente di “Alitalia” Nordio della linea Cagliari-Milano: problemi e contrasti; infine Nordio cede]

Per riequilibrare i bilanci avevamo chiesto l’assegnazione della linea Cagliari-Milano, anche se l’Aga Khan diceva «Chiediamo questo e quest’altro…», senza fare esattamente i conti. Avevamo un bilancio di due miliardi e ottocento milioni, allora, e chiedevamo l’assegnazione della Cagliari-Milano, che pesava otto miliardi di fatturato. Con il presidente “Alitalia” Nordio c’era stato un rapporto particolare all’inizio. Lo conobbi in una commissione parlamentare, dove eravamo convocati, in un corridoio. «Buon giorno, presidente». Non mi ha neanche guardato in faccia. Me lo fa un’altra volta. Alla terza ci convoca Formica. Alla riunione c’erano il direttore di Civilavia, l’avv. Davanzali proprietario dell’Itavia”, altri dirigenti e soprattutto un magi strato molto bravo del Consiglio di Stato. C’era anche il capo di gabinetto del ministro Formica. Io arrivo apposta per ultimo. Quando si erano tutti seduti, saluto tutti e salto Nordio.

Questo fatto l’ha lasciato un po’ perplesso. Il giorno dopo mi chiama l’on. Carlo Molè, che allora era questore della Camera. Romano, era stato a Cagliari, forse col padre, ed era venuto a studiare a Sassari. Siccome a Sassari io ero stato uno dei dirigenti della goliardia, mi eleggevano sempre a tutti i congressi. Ero abbastanza conosciuto da tutti quei 200 studenti che gravitavano attorno all’Università di Sassari. Molè mi dice: «Paolo, vieni che ti faccio incontrare con Nordio». «Per carità, mi è antipatico. Chi si crede di essere? Guarda che sbagli. Dài, vieni a pranzo alla Camera, dopodomani all’una e mezza, non rompere le scatole. Ti ho già fissato l’appunta mento».

Evidentemente era Nordio che lo aveva chiesto, perché Molè era stato sottosegretario ai Trasporti, quindi lo conosceva bene. Pensando al mio carattere mi sono detto: «Non si sa mai che cosa può succedere. Sarà meglio che venga anche l’avvocato Ardoin, così riequilibra le cose». Faccio arrivare l’avvocato Ardoin a Roma e gli raccomando di fare lui un’introduzione generale, dicendo che noi siamo nati come società solo per voli charter e che la Regione ha insistito per farne una compagnia passeggeri. Poi, al momento di toccare il nervo dell’assegnazione della Cagliari-Milano, avrei parlato io.

Nordio arriva puntualissimo all’una e mezza alla Camera con una faccia noncurante. Prendiamo l’aperitivo ed andiamo all’attacco. Nordio lo avevo alla mia destra. Inizia l’avvocato Ardoin. Fa tutta la premessa che gli avevo suggerito, poi arriva il mio momento. Mi rivolgo a Nordio: «Senta, presidente, con l’assegnazione della Cagliari-Milano noi riequilibriamo i bilanci. Non mi ha lasciato finire e mettendomi un dito davanti agli occhi, con un tono di voce molto alto mi intima: «Se Lei si è messo in testa la Cagliari-Milano, se la tolga. Parola mia. Perché non l’avrà mai!».

A quel punto scatta il carattere di Riccardi: «Senta, intanto usi un tono diverso per l’ospite. Secondo punto, io sono più testardo del granito della Sardegna. Per cui, parola mia, avrò la Cagliari-Milano. E se Lei pensa all’appoggio dei comunisti, faremo cambiare parere anche ai comunisti».

La discussione si è svolta sempre tua me e lui, quando si è permesso di parlare l’on. Molè Nordio l’ha messo immediatamente a tacere. A un certo momento, però, crolla: «Avvocato, sono anche disposto a darvi la Cagliari-Milano, ma se la do a Voi, dovrei dare ad “Itavia” cinque volte di più, stando alla grandezza della compagnia». Da quel momento il rapporto con Nordio è completamente cambiato.

Parleremo anche con i comunisti

È stata determinante la telefonata che ho fatto una sera mi ricordo, era un venerdì all’on. Giovanni Berlinguer. Eravamo legati da una vecchia amicizia, con lui ma anche col padre che era massone come mio padre. Conoscevamo bene anche il fratello Enrico. C’era uno stretto rapporto di grande amicizia, e Giovanni è una persona deliziosissima, molto aperta, non come il fratello, sempre abbastanza chiuso. Insomma, gli ho telefonato e gli ho detto: «Guarda, ho bisogno di un tuo aiuto. La Commissione Libertini ci sta convocando, ma vedo un certo atteggiamento che non mi piace. Ti ricordi il primo viaggio che abbiamo fatto col Moncenigo, nel 1947?». Il primo viaggio che ho fatto in Continente l’ho fatto con Giovanni Berlinguer. Abbiamo impiegato qualcosa come 15 ore per arrivare da Olbia a Civitavecchia con questo Moncenigo, che era una specie di carretta del mare. Gli ho detto: «Giovanni, succede questo: ci vogliono ammazzare. Siccome “Alisarda” è una compagnia privata, se non prende delle linee finisce che l’Aga Khan la converte in società di charter per trasporto di soli miliardari, come era all’inizio. E quindi noi sardi dovremo tornare a prendere il Moncenigo. Perché se 1″Alitalia” pensa di poter atterrare a Olbia, io assieme a 656 dipendenti che siamo ci mettiamo di traverso sulla pista e l’aereo non scende, perché ci ammazzerebbe tutti quanti, per cui forse è meglio…». Mi ha detto: «Vai lunedì in Parlamento, ti riceveranno l’on. Pani, che è sardo, e l’on. Ottaviano, che sono componenti della Commissione Trasporti».

Vado puntualmente e mi ricevono l’on. Pani di Nuoro e l’on. Ottaviano. L’on. Ottaviano mi ha fatto un’impressione di quelle, sai, era un capellone, aveva una faccia… Ha iniziato con una certa violenza, attaccando le nostre carenze: che non avevamo motori di ricambio, non avevamo questo, non avevamo quello. Tutte informazioni che gli erano state date dai comandanti del sindacato Fulat, che erano dei comunisti. Erano giovanotti che avevamo istruito, pagando un sacco di quattrini, mandandoli nelle migliori scuole, alla “Klm”, “Airfrance”, “Swissair” ecc. Giovanotti che erano diventati capitani, e quindi se 1″Alisarda” chiudeva venivano assunti dall” Alitalia”. L’ho lasciato parlare e poi gli ho detto: «Senta, on. Ottaviano, Lei è veramente un esperto dei problemi dell”Alisarda”. Io non li conoscevo, so soltanto che sono il presidente. Quando devo viaggiare mi prenoto una mia poltrona personale. Mi assegnano l’IC, che è quella dove posso allungare la gamba sinistra, che sanno che mi fa male. Dopo di che so che ci sono sette gradini per salire sul DC9. Mi siedo e mi addormento per quanto sono stanco. Mi creda, lavoro abbastanza. Non so come è fatto l’aereo, non so quanti posti ci sono, mi creda. Io so soltanto una cosa molto precisa, che siamo 680 impiegati compreso il presidente. L”Alitalia” non c’entra con questo discorso, perché sono questi giovanotti della Fulat che stanno aizzando voi ad assumere questo atteggiamento nei confronti delle società private, per ammazzare 1″Itavia” e noi. Ma a noi non ci ammazzate. Perché 1″Alitalia” non scende in Sardegna, prima di tutto, e noi ci convertiremo in società di trasporto charter. E Lei, caro on. Pani, non si prenderà il Moncenigo, si prenderà la “Tirrenia” per andare a Nuoro!». Lui, intelligentissimo, mi ha fatto l’occhietto. Morti! Non hanno più parlato, né lui né quell’altro. Dopo di che hanno cominciato con il sì alle Compagnie private, sì all’assegnazione e hanno deliberato la concessione della Cagliari-Milano. Ottenuta la Cagliari-Milano, purtroppo è successo il noto incidente dell’aereo “Itavia” caduto ad Ustica nel 1980 con la perdita di 81 vite umane. L’avvocato Davanzali, proprietario dell'”Itavia”, era indebitato per 25, 28 miliardi e vedeva che noi eravamo abbastanza in accordo con Nordio, e allora mi telefonava e mi diceva: «Avvocato, noi siamo delle compagnie private, cerchiamo di allearci. Ci dobbiamo incontrare, vediamoci». «Avvocato, io devo pensare alla nostra società. Le dico sinceramente che non posso allearmi con Lei, lo, se posso, devo attaccarmi all”Alitalia”. Mi scusi, avvocato, ma non posso fare nessuna alleanza con Lei».

Cercando altre linee. [Alisarda si estende]

La prima linea che abbiamo sottratto all”Ati” è stata la Olbia-Genova, poi è seguita la Olbia-Roma. Erano linee che non rendevano molto, perché i consumi erano elevatissimi rispetto alla tariffa e al percorso, soprattutto in considerazione del fatto che i piloti non facevano più di quattro tratte e difficilmente riuscivamo a convincerli a farne sei nel periodo estivo, anche pagando delle cifre enormi.

In concomitanza con l’assegnazione della tratta Cagliari-Milano sono stati acquistati due DC9. Dopo, quando l’Itavia” è stata dichiarata fallita, si è pensato di estenderci anche sul continente, chiedendo l’assegnazione della Bologna-Catania. L'”Alitalia”, ovviamente, non era d’accordo. Negli incontri che ho avuto con lui, Nordio era disposto a non fare obiezioni sulle concessioni di tutte le linee della Sardegna, ed in particolare sulla Cagliari-Roma, che a noi però non faceva gola. A noi interessava la Bologna-Catania. Nordio era contrario, perché giustamente si preoccupava che ci estendessimo in continente.

Dopo tante discussioni e tante riunioni con il ministro dei Trasporti e la dirigenza di Civilavia e “Alitalia” siamo riusciti a farci dare la Bologna-Catania. Però ci preoccupava il fatto che l'”Itavia” a Catania aveva più di 150 dipendenti, mentre avevamo fatto il calcolo che ne bastavano soltanto 56. Ho telefonato a Nordio per fissare un appuntamento e discutere dell’argomento. Alla riunione erano presenti anche l’amministratore delegato dell’Alitalia”, dottor Maspes, e il direttore. Quel giorno l’umore di Nordio era veramente pessimo. All’appuntamento venne anche il direttore dell’Alisarda”, il ragionier Trivi. Chiedevamo all”Alitalia” di assorbire l’esubero del personale, assumendo almeno 100 ex-dipendenti di “Itavia”. La risposta di Nordio è stata: «Ma siete forse i miei figli, per pretendere questo?» Io gli ho detto: «Dottore, ci aiuti perché per noi è impossibile avere a Catania tanto personale». Finita la riunione, Nordio ci accompagnò alla porta, e salutandolo gli ho detto: «Mi raccomando, papà, ci venga incontro, ci aiuti!» Mi ha urlato un: «Vaffan…, avvocato!». Io ridevo come un pazzo, con Trivi scandalizzato: «Ma, avvocato, come si è fatto trattare così? Ne va della Sua dignità». Gli ho detto: «Senta, alla mia dignità ci penso io. Lei pensi alla Sua». Dopo altri incontri con Nordio, la nostra richiesta è stata accettata.

Una foto a cavallo [Kenia e Tanzania vendono i primi aerei all’Alisarda: Sir Pirbai, il mediatore dell’affare col Kenia; Adjabali Kassan: l’unico ismaelita ammesso alla corte dell’Aga Khan in Costa Smeralda]

In Uganda c’era una società aerea di cui facevano parte Kenia, Uganda e Tanzania, che vendeva i propri velivoli. L’Uganda non volle vendere il suo, mentre le altre due nazioni, per il prezzo di undici miliardi, vendettero i loro mezzi all”Alisarda”. Si doveva fare il pagamento per un acquisto di 6 miliardi e il ragionier Trivi, andato in Kenia per effettuarlo, si trovò in grosse difficoltà perché la somma necessaria non era stata accreditata nelle banche. Il pagamento fu effettuato per l’intervento di un fedelissimo dell’Aga Khan, un certo sir Ibu Pirbai, che senza alcuna difficoltà emise un assegno di 6 miliardi a favore dei venditori. Ho saputo poi che sir Pirbai, un pakistano, era stato autista del vecchio Aga Khan, nonno di Karim Aga Khan. Un uomo generosissimo, che aiutava tutti, aveva aiutato anche Pirbai, che aveva fatto diventare, finanziandolo, uno dei più importanti commercianti del Kenia. Passato un po’ di tempo, l’Aga Khan, durante una riunione dell’Alisarda”, mi dice: «Avvocato, bisogna scrivere una lettera a sir Pirbai per ringraziarlo di quello che ha fatto per 1″Alisarda”. La scriva Lei, come presidente». Gli ho detto: «Principe, io non so parlare inglese e tanto meno scriverlo. Lo faccia Lei, per favore». Non ha esitato un momento ed ha iniziato a scrivere la lettera. Mentre l’Aga Khan scriveva la lettera, mi rivolgo all’avvocato Ardoin: «Avvocato, è il caso che gli mandiamo anche una mia fotografia, magari a cavallo, con una mia dedica?». Il principe mi ha guardato con una faccia tutt’altro che sorridente. E io, sempre rivolto all’avvocato Ardoin: «Ma forse è bene mandare solo la fotografia»,

Ma perché questa battuta?

Ma perché quella era l’abitudine dell’Aga Khan. Usava normalmente una sua foto grande con dedica.

Ma l’Aga Khan pensava di estinguere questo debito con la lettera?

Una lettera di ringraziamento dell’Aga Khan a un suo fedele ismaelita equivaleva per chi la riceveva al massimo dei premi. Una volta mi disse: «Avvocato, bisogna che Lei dia una mano al signor Kassam». Il principe era molto amico del fratello del signor Kassam, che era morto in un incidente automobilistico in Congo. Lui, l’Aga Khan, non voleva che gli ismaeliti investissero in Costa Smeralda. Lo ha concesso solamente ai Kassam per via dell’amicizia di famiglia. Allora mi ha detto: «Avvocato, bisogna che Lei costituisca una società per loro. Lei prenda il 10% delle azioni».

Con il signor Adjabali Kassam (il nonno di Farouk Kassam, il bambino che fu sequestrato nel 1992) abbiamo stabilito un rapporto di grande amicizia, di grande considerazione e di grande affetto. Passano un po’ di anni e nel 1965 viene inaugurato l’albergo “Luci di la Muntagna” sulla collina di Porto Cervo. All’inaugurazione sono stato invitato soltanto io, oltre i famigliari e, naturalmente, l’Aga Khan. II principe era vestito con una tunica completamente bianca. La madre del signor Kassam gli ha messo al collo una corona di fiori bianchi.

Un giorno il signor Kassam mi dice: «Avvocato, quando ci possiamo vedere per una cosa urgente?». «Signor Kassam, ho un appuntamento con l’Aga Khan alle sette, lavorerò tutto il giorno e spero di poter venire da Lei alle 21.00, quando avrò finito. Normalmente con l’Aga Khan finiamo verso le 20.30, 21.00». Era d’estate, e purtroppo la riunione è durata fino alle 22.30. Avevo chiesto alla mia segretaria di avvertire il signor Kassam che ero in ritardo: e così, appena arrivato, gli ho detto: «Signor Kassam, sono mortificato, mi dispiace tanto d’aver mancato così, ma, guardi. sono stato tutto il giorno col principe». Lui mi guarda: «Quanto avrei desiderato poter stare una giornata intera con lui!». Come mi ha visto un po’ imbarazzato, mi fa: «Per me, caro avvocato, se oggi il principe mi dicesse ‘Adjabali, rinuncia all’albergo e torna a casa’, io non esiterei un attimo». Per sdrammatizzare gli dico: «Signor Kassam, Lei è venuto a casa mia. Ha visto entrando quella casa piccola? Quella è la casa del cane. Ma se il Papa mi dicesse ‘Paolo, sfratta il cane’, io gli farei il gesto dell’ombrello! II signor Kassam scoppia in una risata e mi dice: «Per noi è molto diverso, il principe è il nostro Dio».

L’Aga Khan ha acconsentito soltanto ad un altro suo fedele di venire in Sardegna, il signor Pirbai (forse parente del famoso Pirbai del Kenia, che aveva anticipato i soldi per l'”Alisarda”). L’Aga Khan, come per il signor Kassam, mi ha pregato di assisterlo se ne avesse avuto necessità. Anche per Pirbai ha fatto costituire una società per un acquisto immobiliare a sud di Olbia, ma io non vi ho preso parte.

La tessera di partito. [Paolo Riccardi ottiene l’iscrizione al partito comunista: una tessera da usare al momento opportuno]

Ma è vero, come si diceva, che Lei era iscritto al Partito Comunista?

È necessario fare una premessa. Era il periodo che ogni volta che nella mia qualità di presidente dell”Alisarda” venivo chiamato per partecipare alle riunioni con i sindacati, per via delle controversie chiamate “Aquila Selvaggia”, venivo accusato d’essere fascista. Per me era un’offesa intollerabile, perché mio padre era antifascista e così tutti i miei parenti più stretti. Mio padre era stato arrestato più volte, perché non indossava la camicia nera in occasione delle manifestazioni del ventennio. Per fortuna tutti i componenti della commissione di Sassari per il confino lo conoscevano e non avevano mai accettato di mandarlo al confino: si limitavano solo ad un avvertimento che lo obbligava a mettersi la camicia nera. Però mio padre non la indossava lo stesso, irremovibile. Chi mi accusava più degli altri, e rappresentava la parte maggioritaria dei dipendenti, era il geometra Pasqui, che era iscritto al Partito Comunista Italiano. Allora mi sono rivolto ad un mio carissimo amico (gli avevo promesso che non avrei mai rivelato il suo nome, e rispetto la parola data), chiedendogli di farmi rilasciare una tessera del Pci da usare al momento opportuno.

Il mio intervento era richiesto dalla direzione dell”Alisarda” quando le minacce di scioperi si facevano concrete. Vengo chiamato dal direttore generale ragionier Trivi: dieci hostess della compagnia avevano chiesto una sala dove riunirsi, per discutere sulla possibilità di costituire un loro sindacato, uno dei cosiddetti “sindacati gialli”. Arrivai da Roma quando la riunione era già iniziata. Erano presenti anche i rappresentanti dei piloti “Fulat” (un sindacato comunista), capitanati da Pasqui, e tutte le altre componenti sindacali. A portata di mano tenevo la tessera comunista. Chiedo le ragioni della convocazione come se non ne fossi stato già informato. Dopo l’esposizione del ragionier Trivi e del capo del personale, prende la parola Pasqui e attacca la direzione per aver consentito la riunione delle hostess. Lo interrompo, esibisco la tessera del Partito Comunista Italiano e lo addito come fascista, dicendo che lo avrei denunciato ai probiviri del partito per la posizione illiberale che aveva assunto. E alla presenza di tutti i partecipanti approvo il comportamento della direzione.

In quella occasione lo sciopero non si fece. E debbo dire che, nonostante il periodo caldo di “Aquila Selvaggia”, i nostri piloti non hanno mai fatto uno sciopero, a differenza di quelli dell” Alitalia”, Molte volte convocavo a casa mia in maniera segreta i più facinorosi (per intenderci, proprio quelli della Fulat) e, dopo discussioni che si protraevano per ore, riuscivamo sempre a trovare una via d’incontro.

Dimenticavo di dire che, dopo quella riunione in cui avevo esibito la tessera del Pci, venni avvicinato dal capo degli autisti e dei bagagisti, che erano in maggioranza rispetto agli altri dipendenti: «Compagno presidente mi fa, abbiamo saputo del comportamento di Pasqui con te. Ti assicuro che alle prossime elezioni non lo voteremo». Ha mantenuto la promessa, e il geometra non è stato più eletto.

Dopo questi fatti si è sparsa la voce della mia appartenenza al Pci. Vennero fatte delle indagini per scoprire quale fosse la sezione che aveva rilasciato la tessera: sezione Arzachena, sezione Sassari, sezione Cagliari, tutto negativo. Alla Direzione generale hanno pensato, data la mia amicizia con Giovanni e Luigi Berlinguer, che probabilmente fosse stata la sezione di Roma, ed hanno interpellato Giovanni Berlinguer, il quale ha assicurato di non essere stato lui, ma che sarebbe stato felice se qualche sezione l’avesse fatto.

La voce della mia appartenenza al Pci arrivò anche ai consorziati della Costa Smeralda. All’inaugurazione del Pevero Golf, durante il pranzo ufficiale, si avvicinò al tavolo dove stavo pranzando, la moglie dell’ingegner Frigeri e, in maniera piuttosto aggressiva, mi chiese se fossi veramente comunista. Le mostro la tessera. Infuriata dice solo: «Roba da matti». Si dirige verso il tavolo dell’Aga Khan, poco distante, e gli chiede se ne è a conoscenza. L’Aga Khan ovviamente era stato informato da me di tutta la vicenda e conferma. In seguito con la signora Frigeri e il marito (proprietari di una delle più importanti ville di Porto Cervo, passata in seguito a Berlusconi e oggi di un magnate russo) diventammo amici, e quando andavo a casa loro invitato a qualche pranzo, appena arrivavo esibivo la tessera alla signora, pregandola di dare un piccolo contributo al partito, è meglio non dire come mi rispondeva!

Un aiuto comunista. [Antonio Puggioni]

Avvocato, Lei era molto amico dell’on. Puggioni, del Pci, nel periodo universitario?

No. Ho conosciuto l’on. Puggioni nel periodo che frequentavo Cagliari e alloggiavo all’Hotel Mediterraneo, dove incontravo quasi tutti i consiglieri regionali delle provincie di Sassari e di Nuoro. Era nel 1970-’72, quando si trattava con la Regione per l’approvazione del Piano di fabbricazione di Arzachena.

Un giorno un amico funzionario della Regione mi ha informato che alcuni dei consiglieri del Partito comunista avevano avanzato delle obiezioni all’approvazione del nostro piano e chiedevano ai loro colleghi di ridurre le cubature che avevamo chiesto. L’amico Dino Boi mi ha suggerito di rivolgermi a Puggioni, che mi avrebbe aiutato a superare questa difficoltà. Ed io: «Ma, scusami, io non lo conosco». Risata di Dino Boi: «Ma tu quasi ogni sera giochi a poker con Puggioni e molte volte siamo stati tutti e tre a cena assieme!». Sì, era vero, ma conoscevo soltanto il suo nome di battesimo, ed ero sicuro, data la sua eleganza, e anche da come parlava di politica, che fosse un consigliere del Partito liberale e non un comunista.

Antonio Puggioni mi ha fissato un appuntamento con l’on. Raggio e all’incontro è venuto anche lui. Per più di due ore ho spiegato quale fosse il nostro Master Plan, che prevedeva in vent’anni investimenti per 750 miliardi e lavoro per più di 25.000 persone tra assunzioni dirette e indotto.

L’amico Puggioni mi ha quindi messo in contatto con il capogruppo del suo partito in Consiglio regionale, con il quale ho avuto diversi colloqui per illustrare i nostri programmi, e da quel momento l’atteggiamento del Partito comunista è cambiato. In sede di discussione per l’approvazione del piano di Arzachena, avvenuta alla presenza del presidente della Regione, Nino Giagu, di tutti i capigruppo della Regione e dei componenti della giunta comunale di Arzachena, non c’è stata alcuna presa di posizione contraria. L’amicizia con Puggioni si è consolidata nel tempo, anche quando io non facevo più parte del Consorzio Costa Smeralda. Purtroppo è stato colto da una grave malattia e ci ha lasciato prematuramente.

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

L’on. Salvatore Cottoni, Sottosegretario ai trasporti con l’Aga Khan

Foto Archivio Enzo Satta, in COSTA SMERALDA - Anna Nele Dechmann

Foto non nel libro: QUI ⇒

5
IL PORTO, L’ACQUA, LE STRADE

 

Il Porto Vecchio. [I rapporti difficili col commendator Ghiglia, direttore generale del Ministero della Marina Mercantile, per l’autorizzazione alla realizzazione del primo porto privato a uso turistico – I lavori senza autorizzazione e il rischio di sospensione]

«Avvocato, vuole la guerra?». [Continuano le difficoltà col commendatore Ghiglia – L’Aga Khan vieta l’invito ai politici della Regione per l’inaugurazione]

La Cassa per il Mezzogiorno. [La questione delle strade. Democristiani contro democristiani: il Ministro Pastore lancia l’ultimatum al presidente della Provincia Michelino Corda]

La scarpa bucata. [L’Aga Khan dal ministro Pastore col buco nella scarpa]

Il principe nullatenente. [L’onorevole Raffaele Garzia prima Presidente del CIS – Credito Industriale Sardo e “amico” della Costa Smeralda; poi presidente dell’Etfas e ostile alla Costa Smeralda: risentimenti personali influenzano la sua condotta di amministratore pubblico nell’approvvigionamento idrico].

Le nuove società. [La Biancasarda; La Cerasarda]

Storia dell “Acquasarda”

Il Porto Vecchio. [I rapporti difficili col commendator Ghiglia, direttore generale del Ministero della Marina Mercantile, per l’autorizzazione alla realizzazione del primo porto privato a uso turistico – I lavori senza autorizzazione – La sospensione dei lavori e il successivo sblocco – L’Aga Khan vieta l’invito ai politici della Regione per l’inaugurazione].

Parliamo del 1963

Ero stato appena nominato segretario generale del Consorzio, quando il principe mi ha convocato e mi ha detto: «Avvocato, bisogna che Lei vada a Roma al Ministero della Marina Mercantile e parli col direttore generale, dal quale sono già stato un anno fa per la consegna dei progetti del porto».

Nel frattempo noi, cioè la Società “Porto Cervo” di cui era presidente l’Aga Khan, avevamo già appaltato i lavori alla “Società Serra”, che aveva iniziato immediatamente costruendo dei grossi blocchi di cemento, dragando i fondali e installando un pontile galleggiante su cui lavorare. Vado a Roma e chiedo di essere ricevuto dal direttore generale, che era il commendator Ghiglia, un genovese basso, brutto, molto antipatico. «Buongiorno, sono l’avvocato Riccardi, segretario generale del Consorzio Costa Smeralda. Sua Altezza l’Aga Khan mi ha inviato da Lei per sapere notizie del progetto che è stato presentato». «Quanto tempo fa è stato presentato?» «Mi dice l’Aga Khan, circa un anno fa». «Bravo, allora, dica all’Aga Khan di tornare fra un anno, lui o Lei».

Resto di sasso. Non sapevo che cosa fare, come riprendere la questione. Mi è venuta un’idea e ho detto: «Ma commendatore, Lei, se capita in Sardegna…». «Io vengo il 3 novembre per l’inaugurazione del porto di Rovelli a Porto Torres». «Allora, se mi consente, potrebbe, non so, fare uno strappo a Porto Cervo?». Con fare sempre antipatico e rude mi fa: «Va bene, mi telefoni a mezzogiorno lì da Rovelli». Riferisco all’Aga Khan, che non fa commenti. Continuiamo con tutti i lavori. Il 3 novembre telefono a Porto Torres all’ufficio dell’ingegner Rovelli, risponde lui, il commendatore, e mi fa: «Quanti chilometri ci sono da Porto Torres a Olbia?». Faccio velocemente dei calcoli e gli dico che sono esattamente 124. «Quanto ci s’impiega?» Prudenzialmente gli dico due ore. «Va bene, mi aspetti alla capitane ria di porto».

Avevo comprato per il Consorzio una Renault R4. Per arrivare a Porto Cervo era la macchina più adatta, perché le strade erano difficili da percorrere. Vado a Olbia e aspetto l’arrivo di Ghiglia. Arriva esattamente con tre quarti d’ora di ritardo. Come scende dalla macchina della capitaneria, che lo aveva portato fino ad Olbia, inizia a urlare come un pazzo: «Lei mi aveva detto che erano 114 chilometri e invece sono 138 e quindi Lei…». Gli ho detto: «Guardi, commendatore, forse Lei ha visto un segnale 136 a Sassari, ma era la distanza di quando si percorreva la vecchia strada che passava a Bonnannaro e ad Ozieri. Adesso con la direttissima sono 106, più 18 da Porto Torres a Sassari. Ad ogni buon conto Le chiedo scusa. Non ho sbagliato, ma Le chiedo scusa lo stesso».

Sale in macchina con il capitano Marinelli e l’archivista, che era il signor Canu, persona gentilissima, competente, diventato poi mio grande amico. Arriviamo per il pranzo al Cala di Volpe. Come arriva lì e vede Cala di Volpe, che era costruita su un’isola: «Voi avete costruito su un’isola, quindi l’albergo è di proprietà del demanio». Gli ho detto: «Commendatore, io credo di no, perché si erano fatte tutte le domande e si era scavato questo canale, realizzando l’isola». Passato un po’ di tempo ha mandato un ispettore del demanio per verificare se quanto gli avevo detto era vero.

Dopo pranzo andiamo a Porto Cervo. Pioveva intensamente. Arriviamo verso le quattro. Sceso dalla macchina, Ghiglia appena vede non meno di cento operai che stavano lavorando alla costruzione del porto, inizia di nuovo a gridare: «Chi è il responsabile qui? Chi è il direttore dei lavori? Voglio saperlo, lo denuncio, questo è un abuso, questa è una vergogna!». Li sono scattato anche io come un pazzo: «Senta, il responsabile sono io. Siccome sta piovendo, adesso monti in macchina sennò la lascio qua». Entro in macchina seguito da Ghiglia, Marinelli e Canu. Arrivati al bivio Olbia-Pitrizza, mi rivolgo a Ghiglia: «Commendatore, vuole vedere l’albergo Pitrizza?». Immaginate la risposta, ha fatto un grugnito: «No». Giro a sinistra e non abbiamo più parlato. Arriviamo ad Olbia. Alla capitaneria scende sbattendo la porta, senza dire una parola. Ma io mi sono permesso di dirgli: «Commendatore, mi scusi, potrebbe ricevermi lunedì a Roma?». Gli scappa un: «Venga alle nove».

Dopo la partenza per Roma di Ghiglia, mi chiama al telefono l’amico Canu che mi riferisce delle denunce presentate da Ghiglia al comandante Linaro, responsabile della capitaneria di porto di Olbia, per non aver bloccato i lavori eseguiti senza alcun permesso. Aveva dato disposizione per l’immediata interruzione. Mi sono messo a riflettere su che cosa si poteva fare. Bisognava prendere qualche decisione. Mi sono fatto prestare il Codice della Navigazione. Trovo l’articolo 56, perfetto per noi. L’articolo 56 dice, o diceva allora, che in caso di vera urgenza si può procedere ai lavori, salvo il ripristino nel caso non venissero approvati dalle autorità tecniche competenti. Immediatamente preparo un ricorso e ne predispongo alcune copie, una per Ghiglia, una per il presidente Segni e una serie di altre per il presidente della Regione Corrias, per i sindacati di Sassari e della Sardegna, per il ministro della Marina mercantile, il comandante del porto di Olbia. Racconto quanto è avvenuto a Porto Cervo e a Olbia, facendo riferimento all’articolo 56. Chiedo di essere autorizzato a riprendere i lavori che sono stati sospesi per ordine di Ghiglia. Manifesto la nostra preoccupazione per il licenziamento di oltre 800 operai che hanno trovato lavoro a Porto Cervo anziché emigrare all’estero (forse gli operai erano 30, non di più).

«Avvocato, vuole la guerra?»

Il lunedì alle nove, puntualissimo, vado da Ghiglia. Sapendo quale poteva essere l’atteggiamento di questo personaggio, ero sicuro che mi avrebbe ricevuto alle due-due e mezza. Ormai esperto di attese ministeriali, ho portato un bel carico di libri di ippica, giornali, riviste, per passare il tempo. Mi ha ricevuto alle due meno un quarto precise. Entro. Lì, in piedi, non mi dice «Si accomodi», niente, solo: «Che cosa vuole?». Gli ho detto: «Scusi, ho un callo a un piede, posso sedermi?». Rimane un po’ così e io mi seggo. «Le dispiace consegnare la copia di questo ricorso al signor ministro?». E gli consegno il documento. Lo prende e comincia a leggerlo. Arriva all’articolo 56, mi guarda e mi dice con un tono dimesso, che mi ha perfino fatto pena: «Ma allora Lei vuole la guerra!». Immediatamente prendo la copia che ha in mano e gliela straccio sotto gli occhi (avevo saputo da Canu che Ghiglia aveva fatto uno scandalo enorme, dicendo che si erano tutti venduti alla Costa Smeralda, compreso il comandante Linaro) e gli dico: «Adesso Lei, caro commendatore, telefona a quel galantuomo del colonnello Linaro e gli dice che possiamo continuare a lavorare». «Sì, va bene».

Mi alzo e vado via. Passano due giorni e vengo chiamato dal comandante generale delle capitanerie della Sardegna, l’ammiraglio D’Agostino: «Avvocato, che cosa è successo con Ghiglia?» Gli racconto tutto e lui dice: «Ma guarda questo!» Era antipatico anche a lui. Ghiglia non aveva avuto il coraggio di telefonare al colonnello Linaro, per quante gliene aveva dette prima, e ha preferito che fosse D’Agostino a parlare con Linaro per revocare l’ordine di sospensione dei lavori.

Passano i mesi. Naturalmente, non arrivava nessun permesso. Questo mi preoccupava perché stavamo per finire. Avevamo iniziato a novembre e l’inaugurazione del porto era prevista per il 14 agosto del 1964, tra l’incredulità di tutti. Si è lavorato veramente giorno e notte. L’Aga Khan era sempre sul posto a sorvegliare. Veniva a tutte le ore, notte e giorno, così coinvolgeva gli operai che vedevano il mitico Aga Khan in carne e ossa.

E così verso maggio del 1964 sono tornato da Ghiglia. Non mi ha fatto aspettare molto. Questa volta sono stato ricevuto dopo un quarto d’ora, anche senza aver fissato un appuntamento. Sono andato dalla segretaria che mi ha detto: «Sì che la riceve, tra cinque minuti-un quarto d’ora al massimo. Abbia un attimo di pazienza». Anche lui era molto gentile, e gli ho detto: «Commendatore, noi stiamo andando molto avanti con questi lavori e quindi vorrei sapere quando arriverà l’autorizzazione». E allora lì, lui, tutto stupito: «Ah, io non so niente!» Questo mi ha preoccupato. Faceva il Ponzio Pilato?

In quel momento non ho detto niente. Sono andato via e dopo 15 giorni gli ho mandato una lettera raccomandata con le fotografie del porto: «Carissimo Commendatore, come vede noi stiamo finendo e avremo finito per il mese d’agosto».

Non ricevo alcuna risposta, niente. Passa un altro mese, vado nuovamente per dirgli: «Guardi, l’inaugurazione è il giorno 14 di agosto, venga anche Lei, ci teniamo tanto». Nel frattempo si lavorava col Ministero per vedere che tipo di concessione ci potevano dare, perché era la prima concessione per un porto privato di carattere turistico. La concessione poi è arrivata, ma sapete quando? Dopo anni. Siamo stati autorizzati ai lavori nel 1969, quando abbiamo costruito l’altro porto, il Porto Cervo Marina, che nel 1976 è stato inaugurato dal mio carissimo amico on. Adolfo Sarti, che allora era il ministro del Turismo.

Per la festa dell’inaugurazione nel 1964 del Porto Est (che oggi chiamiamo Porto Vecchio), dissi all’Aga Khan: «Principe, bisogna invitare il presidente della Regione e gli assessori regionali». «Avvocato, non si invita nessuno nella maniera più assoluta» (e in effetti fu fatta una sola eccezione, per il sindaco di Arzachena, Giacomino Tanchis), «nessun politico, soltanto le autorità marittime. Cosa c’entrano gli altri, per fare che?». «Ma così, principe, ci stiamo inimicando tutti i politici che contano in Sardegna. Sono tre mesi che stanno telefonando perché io li inviti». Mi dicevano: «Paolo, guarda che noi ci teniamo a venire». Poi, negli anni seguenti, quando li si invitava, prima di riuscire a riagganciarli e a farne venire qualcuno mi ci sono voluti cinque anni. Dicevano: «Ma che caspita, fanno le feste, le pubblicano su tutti i giornali, c’era Tizio, c’era Caio, è sempre tutta gente di fuori e noi no». È stata veramente un’offesa grandissima, per i politici sardi.

La Cassa per il Mezzogiorno. [La questione delle strade. Democristiani contro democristiani: il Ministro Pastore lancia l’ultimatum al presidente della Provincia Michelino Corda]

Da Olbia per arrivare a Porto Cervo si percorrevano credo un 37 chilometri. Abbiamo avuto fortuna. Un giorno l’on. Mannironi, sottosegretario ai Trasporti, con il quale avevamo stabilito rapporti amichevoli, ha voluto farci una piacevole visita a sorpresa a Porto Cervo, accompagnando il ministro della Cassa per il Mezzogiorno, l’on. Pastore, il direttore generale, il presidente della Cassa per il Mezzogiorno Pescatore ed il consigliere on. Monni.

In quel periodo a Porto Cervo erano in corso i lavori di costruzione sia del Porto Vecchio che dell’Hotel Cervo. Mi trovavo in ufficio e sono stato chiamato dall’on. Mannironi per accompagnare gli ospiti in una breve visita. Per puro caso ci fu un incontro non previsto con l’Aga Khan, che assieme agli architetti stava esaminando una mappa stesa a terra. L’Aga Khan era inginocchiato, in maniche di camicia. Il colloquio con l’Aga Khan ha colpito favorevolmente il ministro Pastore: «Ma questo è un gran lavoratore!». L’Aga Khan ha cominciato a parlare, e ha trasmesso subito il suo entusiasmo. Pastore chiede: Ma Voi che cosa volete?». Io rispondo immediatamente: «Vogliamo che l’acqua arrivi fin qua, e vogliamo anche – l’Aga Khan mi guardava lasciandomi parlare – la strada, una strada che passi sotto San Pantaleo, che arrivi ad incrociare l’Abbiadori e prosegua per Porto Cervo. Sono 8 o 10 chilometri», «Sarà fatta, Venga, avvocato, venga a Roma», «Quando posso venire?» «Anche domani Qualche giorno dopo mi chiama il suo segretario, il dottor Balla rini, e m’invita ad andare a Roma per incontrare il ministro. L’incontro, presente anche il presidente Pescatore, è durato più di due ore. Ha voluto sapere tutto sull’organizzazione del Consorzio e sul nostro Master Plan. Fra le cose più urgenti ho prospettato la necessità di costruire una strada che abbreviasse la distanza per arrivare in Costa e di gettare delle tubazioni per portare l’acqua dal bacino del Liscia. Per il finanziamento della strada la decisione è stata immediata. E per abbreviare i tempi il ministro mi ha consigliato di procedere noi alla progettazione.

«E per l’acqua?», chiedo. Pescatore dice: «Come possiamo fare? Se non ci sono ancora le tubazioni, è una spesa enorme che in bilancio non abbiamo previsto». Appena informato, l’Aga Khan ha immediatamente convocato il Comitato Architettura ed ha fissato l’appuntamento dei componenti del Comitato per il giorno successivo all’altezza dell’attuale bivio di San Pantaleo-strada panoramica, per studiare il percorso della futura strada panoramica, che dal bivio San Pantaleo porta ora a L’Abbiadori-Cala di Volpe. Per tutta l’estensione di 8.500 metri non esisteva neanche un tratturo, un sentiero di campagna: solo rocce, macchia, alberi e arbusti vari.

Partiti a piedi alle 6 del mattino siamo arrivati a Cala di Volpe alle due del pomeriggio. Dopo un paio di giorni l’Aga Khan ha fissato un altro appuntamento, sempre alle 6 del mattino. Memore della fatica precedente, ho pensato bene di mancare all’appuntamento. Verso mezzogiorno mi sono recato all’Hotel Cala di Volpe, dove tenevamo le riunioni perché i nostri uffici, che allora erano a Olbia, a Porto Cervo erano ancora in costruzione. Verso l’una e mezza arriva la comitiva. L’Aga Khan mi viene incontro e mi chiede perché non ero andato. Purtroppo, principe, ho avuto un imprevisto appuntamento con il comandante Linaro della capitaneria di porto e non mi è stato possibile venire».

Al successivo appuntamento anche questa volta ho deciso di non andare. Appena arrivato a Cala di Volpe il principe mi dice: «Anche questa volta ha avuto un appuntamento con il comandante Linaro No, questa volta è venuto a Olbia l’ingegnere progettista dell’aeroporto e non potevo mancare all’incontro».

Le volte successive faceva finta di non vedermi. Così ho evitato una fatica enorme, anche perché la mia presenza non era indispensabile, visto che non sono un tecnico e che in effetti ero più utile a seguire le trattative politiche. Il progetto dell’attuale strada panoramica è stato approvato dalla Provincia di Sassari e finanziato dalla Cassa per il Mezzogiorno.

La scarpa bucata. [L’Aga Khan dal ministro Pastore col buco nella scarpa]

Si dice che la Provincia di Sassari fosse contraria a quella strada.

È vero: Il nuovo presidente della Provincia, Michelino Corda, un altro dei “Giovani Turchi”, non potendo opporsi a quanto era stato approvato dalla Cassa per il Mezzogiorno, dava l’impressione che per rallentare la costruzione della strada già finanziata avesse cercato di non appaltare i lavori per far decadere i finanziamenti a disposizione.

Per fortuna sono stato informato in via confidenziale delle sue intenzioni dagli amici geometri Soro, Rais e Rosas. Allora sono subito andato a Roma e al ministro Pastore ho raccontato quanto ero venuto a sapere. La reazione del ministro è stata immediata: ha chiamato il dottor Ballarini, pregandolo di passargli al telefono il presidente della Provincia. Il colloquio è stato breve e preciso: «Presidente, se entro 15 giorni Lei non appalta i lavori della panoramica per la Costa Smeralda, Le revoco la concessione di farlo per tutti i finanziamenti che riguardano la Provincia di Sassari». Dopo questa minaccia, l’appalto è stato fatto nei termini dettati dal ministro.

Perché il presidente Corda voleva che i finanziamenti per la strada panoramica decadessero?

Perché era contrario al finanziamento a favore dell’Aga Khan, che in quel periodo non era in rapporti amichevoli con i “Giovani Turchi”. Ovviamente l’Aga Khan, che era stato informato di quanto era accaduto, decise di recarsi a Roma per ringraziare di persona il ministro.

L’incontro avvenne in via Boncompagni, nell’ufficio del ministro. Sia l’Aga Khan che l’avvocato Ardoin erano scesi all’Hotel Excelsior. Da lì abbiamo raggiunto a piedi via Boncompagni. L’Aga Khan, nel camminare, ogni tanto zoppicava. Più tardi ho scoperto la ragione: aveva un grosso buco nella scarpa.

E Lei come si è accorto che la scarpa era bucata?

Quando era seduto di fronte al ministro ed era coperto dalla scrivania, ogni tanto si toccava la scarpa controllando il buco col dito! La riunione con il ministro è durata almeno due ore e si è svolta in maniera cordiale ed affettuosa, come tra vecchi amici. Fra le altre cose importanti, l’Aga Khan si era soffermato molto su come risolvere il problema dell’acqua. Il ministro Pastore ha promesso all’Aga Khan che l’avrebbe risolto e mi ha fissato un appuntamento per la settimana successiva. Mentre rientravamo all’albergo faccio: «Principe, la informo che a 20 metri dall’albergo, in via Veneto, c’è uno dei migliori negozi di calzature di tutta Roma. Forse è il caso di comprare un paio di scarpe nuove». Si era accorto che l’avevo visto quando s’infilava il dito nel buco della scarpa. «Se non può permettersi l’acquisto per mancanza di denaro, sono disposto a farLe un regalo», «Grazie, ma non abbiamo tempo da perdere», passa e chiude.

Dopo l’incontro con il ministro Pastore, come è stato risolto il problema dell’approvvigionamento dell’acqua?

All’appuntamento col ministro c’era anche il direttore generale della Cassa per il Mezzogiorno, il consigliere di Stato dottor Pescatore. In quel periodo andavamo avanti con i pozzi, ma la preoccupazione per la scarsità d’acqua era costante. Iniziata la discussione, il dottor Pescatore aveva fatto presente che erano state appaltate le opere che avrebbero consentito l’arrivo dell’acqua fino a Cannigione, a 10 chilometri da Porto Cervo. Il ministro, dopo aver sentito da me che non si risolveva in questo modo il problema, ha dato ordine al dottor Pescatore di procedere all’appalto dei lavori per far arrivare l’acqua fino alla nostra zona. Pescatore ha fatto presente al ministro che per il momento non era possibile farlo perché mancavano le somme necessarie. Testuali parole del ministro: «Le opere vanno appaltate subito, trovi Lei le somme sufficienti, da altri capitoli del bilancio, se è necessario».

Il risultato è stato che la Cassa per il Mezzogiorno ha appaltato i lavori del ramo est, che praticamente attraversava tutta la nostra zona. Successivamente vennero appaltate le opere necessarie a raggiungere la zona di Cannigione. […]

Il principe nullatenente. [L’onorevole Raffaele Garzia prima Presidente del CIS – Credito Industriale Sardo e “amico” della Costa Smeralda; poi presidente dell’Etfas e ostile alla Costa Smeralda. Risentimenti personali influenzano la sua condotta di amministratore pubblico nell’approvvigionamento idrico].

Sappiamo che per la costruzione del Porto Vecchio ci fu un finanziamento del CIS. L’Aga Khan doveva essere fideiussore, perciò la banca richiese il suo stato patrimoniale.

Per un finanziamento alla Società “Porto Cervo” avevo consigliato all’Aga Khan che era preferibile rivolgersi al Credito Industriale Sardo perché avevo conosciuto il presidente, l’on. Raffaele Garzia.

Il direttore del CIS, alla riunione con l’Aga Khan, ha chiesto: «Altezza, bisogna che Lei ci faccia un elenco delle Sue proprietà». E l’Aga Khan: «Guardi, io intestato a me non ho niente». Lì c’è stato un attimo di imbarazzo: «Mi avverta, ha aggiunto, se per caso riesce a trovare qualche proprietà a mio nome, nel caso il mio sistema finanziario dovrà essere rivisto!».

Passa del tempo ed interpello di nuovo il direttore: «Beh, avete fatto degli accertamenti?» «Sì, purtroppo le notizie sono che non ha niente intestato a lui. Risulta solo una collezione di quadri di grande valore nella sua abitazione a Parigi. Però, devo dire, ma si suppone che abbia una grande disponibilità finanziaria».

Il presidente del CIS e la signora venivano all’Hotel Cala di Volpe per andare a pescare. Quando ritornavano dalla pesca, chiedevo: «Beh, cosa avete preso?». «Non si trova niente qua, non si trova niente». Allora un giorno gli ho fatto uno scherzetto. Avevamo a Cala di Volpe un subacqueo belga, un certo Albert. L’ho chiamato e gli ho detto: «Albert, tu segui Garzia, porta con te dei pesci, anche morti, e attaccaglieli all’amo». Due glieli ha attaccati davvero. La moglie mi chiamava “scuccetto”, perché io scherzavo sempre con lei e mi guardava con molta diffidenza.

In seguito l’Aga Khan decide di farsi finanziare la costruzione di Porto Cervo Marina non dal CIS, ma dalla Banca Nazionale del Lavoro. L’on. Garzia continuava a venire a Porto Cervo e chiedeva di incontrare l’Aga Khan, o quanto meno l’avvocato Ardoin. L’Aga Khan rifiutava sempre. Diceva: «Per favore, avvocato, veda Lei, io non ho tempo da perdere». L’avvocato Ardoin idem. Ed io dovevo essere naturalmente pronto a parare i colpi: «Guardi, presidente, purtroppo l’Aga Khan è occupato, e anche l’avvocato Ardoin è occupato», «Ah, quando avevano bisogno di me, il tempo lo trovavano!» Ed io a tranquillizzarlo: «Però, ci sono io a Sua disposizione».

Passato del tempo, Garzia è diventato presidente dell’Etfas, l’ente regionale che aveva anche il controllo della distribuzione dell’acqua per l’agricoltura. Un giorno, ero a Cagliari, mi telefona l’Aga Khan per dirmi di intervenire presso l’Etfas, perché dai loro uffici di Arzachena ci era stato comunicato che era stato dato l’ordine di cessare la fornitura dell’acqua alla Costa Smeralda.

Che anno poteva essere?

Era il 1976. Il presidente della Regione era l’on. Del Rio. Dopo la telefonata dell’Aga Khan, vado all’ufficio del presidente dell’Etfas e Garzia mi riceve come si può ricevere uno sconosciuto: «Avvocato, che cosa vuole?» «Abbiamo dei problemi, pare che l’Etfas non voglia più fornirci l’acqua». «È vero, l’acqua è per l’agricoltura, non per il turismo». E io di rimando: «Ma sta scherzando o sta parlando seriamente?» «No, no, io non scherzo mai, quindi fra poco vi chiuderemo l’acqua!»

Mi precipito dal presidente Del Rio, una persona eccezionale. Gli espongo il caso e lui: «Ma scherziamo?» Telefona immediatamente a Garzia, in mia presenza: «Ho qui l’avvocato Riccardi», e gli dice esattamente: «Lei non è il padrone dell’acqua, l’acqua è della Regione Sarda. Lei non si permetta di minacciare che non dà più l’acqua alla Costa Smeralda e al turismo, ha capito?». Tutto risolto. Ha chiamato il segretario e gli ha dettato una lettera per Garzia, confermando quanto gli aveva detto al telefono. Questo era l’amico Garzia.

Le nuove società

[La Biancasarda]

Ricordo bene che Lei è stato presidente di molte altre società. Come sono nate?

La prima società mi sembra fosse la “Biancasarda”, per la fornitura e il lavaggio della biancheria. Era stata costituita dall’Aga Khan assieme a due francesi, non mi ricordo come si chiamavano. Poi questa società è stata completamente ceduta all’Aga Khan e successivamente venduta, a un prezzo molto basso, ai signori Iervolino e Lintas di Olbia.

I due francesi volevano fare uno stabilimento molto grande: l’idea era di servire tutta la Gallura, e non soltanto i nostri pochi alberghi, per i quali potevamo benissimo mettere quattro lavatrici in più. Il loro era invece un progetto grandioso. Avevano fatto il conto che la “Biancasarda” poteva avere uno sviluppo enorme, con l’affitto delle lenzuola e servizi annessi a mezza Sardegna. Certamente una cosa in grande. Senonché l’accordo non c’è stato: l’Aga Khan non aveva fiducia nei due soci, così decise di liquidarli e vendere.

[La Cerasarda]

Com’è la storia della “Cerasarda”?

Quanto alla “Cerasarda”, su suggerimento dell’on. Costa era stato nominato presidente un suo parente, l’avvocato Lellè Devilla, una persona seria, un ottimo professionista sassarese. Dopo di lui come presidente hanno nominato me. All’inizio era un’impresa fantastica, perché avevano ingaggiato un francese, il professor Picaut, che era un genio. Faceva delle piastrelle meravigliose. Mi ricordo la prima volta che siamo andati con l’Aga Khan a vedere i modelli: uno spettacolo, erano stupendi.

Poi l’impresa si è un po’ persa per strada. Non c’era più il professor Picaut. Anche gli architetti della Costa Smeralda hanno iniziato a farsi produrre delle piastrelle. Vietti ne ha fatte di bellissime. Ma non erano al livello di quelle di Picaut. Forse i modelli costavano molto, e ciò ha inciso in una certa trasformazione della “Cerasarda”. Da uno studio d’élite che poteva impiegare da venti a quaranta persone, hanno convinto l’Aga Khan a farne una vera e propria fabbrica industriale, tipo quelle della zona di Modena. Hanno snaturato il tutto e sono arrivati ad avere, mi sembra, 150 dipendenti. Così la “Cerasarda” è entrata in una crisi pazzesca.

Era altamente sindacalizzata. Il consiglio di fabbrica era capitanato da un certo Monaco, figlio di un’ottima famiglia di Olbia che vendeva delle birre speciali. Era veramente un sovversivo. I dipendenti iniziarono a dettar legge. L’Aga Khan si stufò. Diceva che non si poteva andare avanti così. Eravamo completamente in perdita, perché non potevamo fare concorrenza alle mattonelle prodotte in continente. Tra l’altro per fare le ceramiche si era usata della terra che proveniva da una cava del Nuorese che non era adatta: i prodotti si sgretolavano.

Davanti a queste grandi perdite di denaro si decise che la “Cerasarda” doveva essere ridimensionata. Immaginate voi dire che si procedeva ai licenziamenti. E chi era che andava a fare le riunioni con i sindacati? Il sottoscritto, che si attirava naturalmente anche le allusioni di questo Monaco: «Sappiamo dove Lei abita!».

Un giorno gli ho detto: «Guarda, caro mio, che devi stare molto attento. Io abito in via Di Pietro, 87, a Roma. Se devono spararmi che mi sparino alle spalle. Non si presentino faccia a faccia perché io vado armato. Avverti i tuoi compagni».

Sono insorti i sindacalisti, Valeri, Fadda e Pasquino, in mia difesa, come per dire: «Ma come ti permetti di fare queste minacce?». La proposta che presentavano in queste riunioni era di ridurre il personale da 160 a 56 operai.

A un certo punto i sindacati ed i dipendenti, constatata la nostra determinazione, decidono all’unanimità di occupare la fabbrica. Allora l’Aga Khan prende la decisione di chiudere definitivamente la “Cerasarda”. Io intanto andavo a parlare con gli occupanti: «Guardate che l’Aga Khan ha preso una decisione seria. State attenti, non fate così. Qui finisce veramente che si chiude».

Lo dicevo in confidenza, parlando a un gruppo di operai. Però nessuno ci credeva. Ad un certo punto si fissa un giorno per una riunione con i sindacati. Nel frattempo, però, chiediamo al Tribunale di Tempio di nominare un amministratore per la liquidazione. Avevamo indicato in via riservata al presidente del Tribunale la persona del mio amico Lino Acciaro, commercialista.

Quindi, al posto dell’avvocato Riccardi, che doveva cercare di raggiungere l’accordo, si è presentato il liquidatore.

Lì è cascato l’asino. Immaginate la scena. Subito dopo la riunione con Acciaro, piombano a casa mia i sindacalisti: «Ma, avvocato, che cosa è successo?» «Ve lo avevo detto, signori, vi avevo anticipato che poteva succedere l’irreparabile». «E adesso che cosa facciamo?». Allora ci siamo seduti a un tavolo e abbiamo iniziato le trattative, che ho portato avanti io: riduzione del personale da 160 a 56. I sindacati, a malincuore, accettano la riduzione richiesta, pretendendo che la scelta della gente da licenziare (o tenere) dovesse essere fatta con loro. Cosa che non abbiamo accettato.

Per Monaco c’è stato addirittura un loro «No, Monaco deve rimanere». «No, Monaco è il primo che parte. È una decisione personale dell’avvocato Riccardi. L’Aga Khan non sa niente. Sono io che lo impongo. Mi dispiace, diteglielo pure al signor Monaco che è un elemento non gradito da me personalmente. Non per le sue minacce, ma perché è lui che ha fatto nascere tutto questo subbuglio. Per gli altri facciamo una battaglia, vediamo come fare». Purtroppo, però, sono rimasti solo 57 operai dei 160 che erano.

Succede poi che l’Aga Khan s’innamora di un altro direttore. Inizia la sofferenza. Non ricordo il nome. Si riparte con la produzione delle mattonelle. E si riportano le persone a 150-160. Hanno cambiato tutto il sistema, non si facevano più quelle belle mattonelle ed i famosi piatti. Non si sono usati più i disegni del prof. Picaut e di Vietti. La “Cerasarda” ha tirato avanti per un altro po’, ma il sogno era finito.

Storia dell’ “Acquasarda”. [Il dottor Ventura e il rabdomante Martino Azara]

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan
Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan
Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan
Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

L’Aga Khan illustra i suoi progetti all’on. Efisio Corrias, presidente della Regione Sardegna

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

L’on. Giulio Pastore con l’Aga Khan

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

Al centro, Salvatore Mannironi, Ministro della Marina Mercantile, e Giovanni Filigheddu

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TUTTI GLI UOMINI DEL PRINCIPE

Una piccola Trimurti

L’avvocato André Ardoin

Il signor Felix Bigio

Il signor René Podbielski

Il dottor Mentasti

Il dottor Peter Hengel

Patrick Guinness

Il “parroco dei ricchi”. [Don Raimondo Fresi]

Pino Careddu, un amico [e il suo speciale saluto all’avvocato Ardoin]

Una piccola Trimurti

Per lunghi anni al vertice del Consorzio, sotto l’ala dominante dell’Aga Khan, c’era una specie di Trimurti: Ardoin, Bigio, Riccardi.

Ardoin è stato il numero due dopo l’Aga Khan, come “padre fondatore” bis della Costa Smeralda.

L’avvocato André Ardoin

Diciamo subito chi è l’avvocato Ardoin. L’avvocato André Ardoin, francese, dopo la laurea, si era trasferito in Inghilterra, dove lavorava all’ufficio legale della Lloyds Bank.

Il nonno dell’Aga Khan doveva fare testamento ed aveva chiesto al direttore della Lloyds Bank di mandargli un legale che potesse parlare con lui e impostarlo. Il vecchio Aga Khan, vedendo che Ardoin era un giovanotto, è rimasto trasecolato: «Ma chi mi avete mandato?». Guardava con aria perplessa questo giovane avvocato, che invece era un uomo di grande intelligenza: soprattutto aveva un carattere eccezionale, come pochi. L’ho sentito alzare la voce una volta sola, sennò era sempre la persona che, in una grande riunione dove magari si discuteva ad alta voce, o magari si urlava, arrivava lui e con una battuta raffreddava tutti.

Soltanto un giorno, ricordo, ha battuto un pugno sul tavolo. A casa sua. Ce l’aveva con il ragionier Virdis, che era il nostro fiscalista. Ma solo quella volta, in venti anni che gli sono stato vicino. Altrimenti agiva solo con le battute. Il vecchio Aga Khan, da persona intelligente qual era, ha capito subito che era un elemento che non poteva farsi sfuggire, e gli ha offerto immediatamente il doppio dello stipendio della Banca e lo ha preso come suo collaboratore.

Quando è morto il nonno, il principe Karim aveva 18 anni. Così l’avvocato Ardoin si è trovato a dover amministrare tutto il patrimonio della famiglia. Tant’è vero che, quando il giovane Aga Khan era in America a studiare ad Harvard e gli venne in testa di disfarsi della scuderia dei cavalli da corsa del nonno, perché i cavalli non gli interessavano, so direttamente da Ardoin che è stato lui a convincerlo a tenere le scuderie ereditate dal nonno e dal padre, entrambi grandi appassionati e grandi intenditori.

Con il tempo poi l’Aga Khan si è appassionato anche lui ai cavalli ed ha acquistato tre importanti scuderie, come quelle di Madame Dupré, Marcel Boussac, Monsieur Lagardère. Fra i proprietari dei cavalli da corsa l’Aga Khan è ora uno dei più importanti. Ha vinto tutte le corse più prestigiose, sia in Francia che in Inghilterra e in Irlanda.

«Cedere le sue scuderie è come cedere una collezione di quadri antichi», avrebbe detto l’avvocato Ardoin all’Aga Khan, il quale rispose: «Accetto la sua proposta, ma a condizione che sia Lei ad occuparsi di quanto è necessario per mandare avanti la scuderia». L’avvocato Ardoin ha accettato e per tanti anni la scuderia ha ottenuto dei grandi successi, fino a quando l’Aga Khan, ritornato in Europa, ha iniziato ad appassionarsi ai suoi cavalli, dopo le tante vittorie che avevano ottenuto, e ha continuato a tenere le scuderie sempre ad altissimi livelli.

L’avvocato Ardoin ha poi iniziato ad acquistare delle proprietà assieme all’Aga Khan. A quello che mi è stato detto a Porto Cervo aveva una partecipazione del 35%, nel Pevero Golf al 50%. Un uomo di una grande intelligenza: si sedeva al tavolo con gli architetti e sembrava che fosse lui l’architetto. Parlava di cose legali, bravissimo, con una grande preparazione. Era un grande lavoratore, è stato il consigliere più importante che ha avuto l’Aga Khan: riusciva sempre a farlo riflettere.

Spesso si è sentito dire che Ardoin approfittava della sua posizione accanto all’Aga Khan per speculare, e pare che i risultati economici più fruttuosi di questa grande “avventura” sarda siano stati i suoi. Si dice che riusciva a guadagnare più di quanto sia riuscito a guadagnare l’Aga Khan. A Lei risulta?

Lo escludo nella maniera più assoluta. A un certo punto a Porto Cervo si sparse la voce che fra l’Aga Khan e l’avvocato Ardoin era finito il rapporto di fiducia, e che l’Aga Khan aveva nominato il dottor Hengel per controllare l’operato dell’avvocato Ardoin e del signor Bigio. Tanto è vero che, mi ricordo, mentre prima quando l’avvocato Ardoin arrivava ad Olbia con la nave della “Tirrenia” alle sei del mattino, c’erano ad accoglierlo l’ingegner Grassetto e tanti altri impresari, a un certo punto, invece, sono spariti tutti. Allora, chi andava alle sei del mattino all’Isola Bianca a prendere l’avvocato Ardoin? Sempre e solo l’avvocato Riccardi, perché non mi sembrava giusto abbandonarlo. Una volta sono partito alle due di notte dopo una cena a Cagliari, e senza dormire neanche un attimo sono stato puntualissimo a riceverlo e portarlo a Porto Cervo. I fatti mi hanno poi dato ragione, perché presto i rapporti tra l’Aga Khan e l’avvocato Ardoin si sono chiariti e sono filati lisci per altri venti anni, quanti sono stati gli anni che ho lavorato per loro.

Allora diciamo così: che probabilmente l’avvocato Ardoin, quando progettava lo sviluppo di un suo terreno, era forse meno rigoroso nel mandare avanti le infrastrutture della lottizzazione, e forse per questo i costi diminuivano di molto rispetto a quelli che potevano risultare quando si metteva di mezzo l’Aga Khan. Il principe era molto puntiglioso, molto esteta, quindi se tutto non era fatto perfettamente non procedeva alla vendita dei lotti.

L’Aga Khan negli appalti esagerava. Non dava mai retta a nessuno, prendeva sempre lui le decisioni. Tante volte sono intervenuto dicendogli: «Principe, non si può continuare così. Appaltiamo i lavori pagandoli una somma enorme. Non mi sembra conveniente. Si dovrebbero chiedere delle offerte in busta chiusa. Come in piccolo ho fatto io, prima di venire da Lei, per dei terreni da edificare a Punta Sardegna: invitavo 4 o 5 imprese a presentare delle offerte in busta chiusa, da aprire poi alla loro presenza. Questo Lei dovrebbe fare!». Ma lui continuava a fare di testa sua.

L’avvocato Ardoin partecipava alle riunioni del Consiglio d’amministrazione di “Alisarda”?

Come no?, lui partecipava dappertutto. In alcune riunioni lui entrava come socio, in altre solo come consigliere. Non ho mai fatto indagini su di lui. Capitava che qualche volta me ne parlasse lui, ma io non sono stato mai a frugare tra le sue cose.

Io lo inquadro come una persona fedelissima. Invece l’Aga Khan pensava che chissà quale complicità ci fosse tra me e l’avvocato Ardoin. Forse nasceva dal fatto che, per esempio, quando l’Aga Khan arrivava con l’avvocato Ardoin, io salutavo l’Aga Khan ma poi solo Ardoin saliva nella mia macchina e lì in viaggio iniziavamo a parlare delle cose che avevamo in ballo. Lo portavo a casa sua, facevamo il punto delle questioni da trattare e poi ci incontravamo con il principe, quando già avevamo dato un’impronta all’ordine del giorno.

Il signor Felix Bigio […]

Il signor René Podbielski

Mi parli del signor René Podbielski: della sua figura, di quando è arrivato, e se è vero che è arrivato prima dell’Aga Khan.

Si, è arrivato prima. Aveva comprato 40 ettari nella zona di Liscia di Vacca. Era una persona molto intelligente. Faceva parte del consiglio d’amministrazione del Consorzio come membro fondatore. Però non veniva ascoltato, neppure per le cose giuste che diceva. L’Aga Khan, come dire?, lo snobbava. Come snobbava un po’ tutti, diciamo la verità. Siccome mancava un membro nel consiglio di amministrazione, avevo consigliato di nominare Vittorio Merloni, che aveva acquistato la villa di un certo Salmon, inglese, a Romazzino. Dopo aver constatato che l’Aga Khan era un accentratore, che si addossava tutto il lavoro, Merloni ha pensato che sarebbe stato meglio, da buon industriale qual era, suddividere il lavoro fra tutti i partecipanti. Un giorno prende la parola e secondo un suo punto di vista assegna a ciascuno dei presenti un compito diverso. L’Aga Khan lo ringrazia e rinvia ad un’altra riunione per approfondire le mansioni da attribuire a ciascuno di noi. Finita la riunione, usciamo assieme. Inizio a ridere. Merloni mi guarda e mi chiede il motivo: «Carissimo Vittorio, ma davvero credi che l’Aga Khan riparlerà dell’argomento? Lui non accetterà mai di delegare a qualcuno di noi delle attribuzioni, neppure le meno importanti». Così è stato. Sull’argomento non si è più tornati.

Ma parliamo di Podbielski. L’Aga Khan ce l’aveva con lui perché aveva venduto un lotto dei suoi terreni ad un’americana per 10 mila lire al metro quadro: un prezzo che, secondo l’Aga Khan, era una vergogna, non si potevano chiedere prezzi così alti. Quando poi Podbielski vendeva a prezzi più contenuti, lo criticava perché vendeva a un prezzo inferiore di quello che si praticava in Costa Smeralda. Podbielski faceva i suoi interessi, frequentava il Comune, conosceva i passaggi giusti, non disturbava mai. Solo qualche volta ha chiesto il mio aiuto. Normalmente si sapeva arrangiare, da solo, con diplomazia e capacità.

Il dottor Mentasti

È vero che prima di tutti gli altri è arrivato qui Mentasti, con il suo veliero “Croce del Sud”?

Il dottor Mentasti era stato segretario del dottor Granelli, proprietario dell’Industria Farmaceutica Granelli, di cui faceva parte la società dell’acqua minerale “San Pellegrino”. Era un bellissimo uomo, era stato un grande tennista. Si era innamorato, ricambiato, della figlia del padrone dottor Granelli, e si erano sposati.

Nel 1959 aveva comprato a Porto Cervo per 19 milioni e mezzo 140 ettari di terreno, che comprendevano tutta la baia di Porto Cervo e terminavano verso Porto Paglia, all’ingresso di Porto Cervo. Poi aveva comprato l’isola di Mortorio da Luigino Demuro di Arzachena. E nel 1960 l’isola Piana, da “zio” Battista Azara. A proposito di Mentasti: nei primi mesi del 1964 l’Aga Khan mi fece una confidenza. Stavamo percorrendo con una jeep una strada sterrata per arrivare a Porto Cervo, per verificare e controllare il lavoro dell’impresa appaltatrice del Porto Vecchio. Mi raccontò che lui aveva pensato di far fare il porto a Cala di Volpe perché riteneva che fosse più riparato dal vento di maestrale e poi perché il terreno di Porto Cervo non era di sua proprietà. Mi raccontò che era stato avvicinato dal dottor Mentasti, che lo aveva convinto a costruire il porto di Porto Cervo in società con lui. Mi disse anche che poi il dottor Mentasti aveva cambiato idea e gli aveva proposto di vendergli il terreno per un’estensione di 100 ettari, trattenendo per sé gli altri 40. L’Aga Khan accettò l’offerta. Una persona a lui vicina mi ha parlato di una somma attorno al miliardo e 400 milioni. Un bell’affare per Mentasti, in quegli anni, ma anche per l’Aga Khan.

Quand’è che il dottor Giuseppe Kurt Mentasti ha venduto quei 100 ettari all’Aga Khan?

Penso nel 1962. Il dottor Mentasti era una persona squisita, eссеzionale, intelligentissima. Però c’è anche un “ma”: i primi tempi veniva in ufficio da me a parlare dei problemi della Costa, mi dava dei consigli e in generale concordavamo su tutti gli argomenti da portare al consiglio. E invece anche su problemi che venivano risolti in senso contrario a quanto avevamo concordato nelle nostre riunioni, non l’ho mai sentito contrastare l’Aga Khan.

Non aveva abbastanza coraggio per farlo?

Assolutamente no. Ci sono delle persone che non vogliono rotture di scatole e molti hanno soggezione dell’ Aga Khan. Devo dire, però, che l’unica persona che riuscisse a parlare liberamente nelle riunioni, e nello specifico in quelle del Comitato di architettura, era Jacques Coüelle.

Il dottor Peter Hengel

Mi parli del dottor Peter Hengel.

Il dottor Peter Hengel, tedesco di nazionalità, era stato chiamato dall’Aga Khan per integrare il Comitato di direzione della Costa Smeralda. Era il periodo che si diceva che l’Aga Khan voleva controllare l’operato del signor Bigio e dell’avvocato Ardoin. Appena ricevuto l’incarico di far parte del board, aveva mandato dalla Germania un gruppo di persone di sua fiducia, almeno sette. Avevano cominciato a fare i controlli nell’ufficio del signor Bigio. Nessuna irregolarità riscontrata. Non ne avevo mai dubitato, ben conoscendo l’onestà, lo scrupolo, la devozione che il signor Bigio aveva nei confronti del padre dell’Aga Khan e dello stesso Karim. Naturalmente il signor Bigio mal tollerava la maniera poco educata con cui si muoveva questo gruppo di “ispettori” tedeschi, che occuparono per molto tempo il suo ufficio, convinti di poterci trovare qualche magagna.

Siccome sapevo che i controlli venivano effettuati in tutti gli uffici delle società del gruppo, dall’Agenzia immobiliare della Costa Smeralda alla “Cerasarda”, dalla “Stegcs” alla “Porto Cervo Spa”, pensavo che un giorno sarebbero venuti anche nel mio ufficio per controllare i conti del Consorzio. Ho chiamato il ragionier Franco Moretti, che teneva la contabilità, e gli ho ordinato di comprare tante valigie quante fossero state necessarie per contenere tutti i giustificativi delle spese. Arriva e mi consegna quattro grandi valigie piene di documenti. Come avevo previsto, dopo circa un mese si presentano in forza sette contabili tedeschi. Questa volta, per riguardo verso di me, erano accompagnati da un tedesco che parlava un po’ d’italiano. Non li ho neanche fatti accomodare, ho indicato loro le quattro valigie e ho detto: «Per non far perdere tempo a voi. ma soprattutto a me, vi prego di portar via quelle valigie. Quando avrete esaminati i documenti, restituitemeli». Se ne sono andati senza portar via i documenti.

Effettivamente la presenza del dottor Hengel e dei suoi dipendenti aveva cambiato l’atmosfera. Alle riunioni, qualche volta, il signor Bigio era contestato anche dall’Aga Khan. Un giorno l’Aga Khan fa una domanda al signor Bigio, che prima di rispondergli prende un registratore. Inizia a parlare registrandosi. Esaurito l’argomento, inizia a parlare l’Aga Khan. Il signor Bigio, che gli era vicino, gli mette il registratore vicinissimo per registrare quanto stava dicendo. L’Aga Khan ha continuato per un po’ a parlare senza dire niente. A un certo punto io sono scoppiato in una risata. L’uso del registratore è continuato per diverse riunioni, senza che l’Aga Khan battesse ciglio.

Patrick Guinness

E che cosa ci può dire, adesso, di Patrick Guinness, il fratellastro dell’Aga Khan?

È morto in un incidente automobilistico mentre andava da Milano a Ginevra. Era molto giovane: un bellissimo ragazzo, occhi celesti, alto, biondo. Non aveva il carisma dell’Aga Khan, però era un uomo molto piacevole. Originariamente la Costa Smeralda è stata comprata metà dall’Aga Khan e metà da lui. A un certo punto si sono creati dei contrasti, non so di quale genere, tra loro. Purtroppo, in seguito a questo malumore, quando doveva arrivare Guinness non c’era sempre la solita corte a prenderlo all’aeroporto. Nel loro malumore non ci volevo entrare, e poi, ripeto: era una persona gentile con me, tanto che nel corso di una riunione gli dicevo: «Scusi, principe, devo andare a prendere il signor Guinness, che arriva alle quattro». Mi alzavo e me ne andavo: «Tra un paio d’ore rientro».

Il signor Guinness cominciò a prendere confidenza con me. Si fidava, vedeva che io non ero interessato a fargli proposte di alcun genere o ad aumentare le incomprensioni tra loro. Una volta si è sfogato dicendomi: «Avvocato, sa, sono un po’ dispiaciuto con mio fratello». «Perché, signor Guinness?» «Perché ha costituito questa società aerea “Alisarda”. Io sono proprietario della “LT”, una compagnia aerea inglese. Mi avrebbe fatto piacere partecipare a questa nuova società, ma mio fratello non me ne ha neppure parlato». Io, naturalmente, non sono stato lì a commentare.

Aveva acquistato tanta fiducia in me che diceva: «Avvocato, ho un’idea. Vorrei costruire a Olbia un grande frigomacello importando poi il bestiame dall’Argentina. Comprerei una nave attrezzata da trasporto per macellare il bestiame ad Olbia. Mi creda, è un grosso affare. Mi è venuta questa idea dalla sua relazione sulla possibilità di finanziamenti a fondo perduto. Cosa ne pensa Lei?». «Fantastico, eccezionale». «Lei mi potrebbe aiutare?». «Certamente, io sono a vostra disposizione, sono un vostro dipendente e quindi vi aiuto». «No, no, ma anche a titolo personale». «Ne parleremo…». E aggiunse: «Guardi, addirittura dalle corna si fa non so che cosa, della pelle non si butta nulla, dal sangue si fanno le pitture… La carne è meravigliosa, la possiamo esportare in tutta Europa». L’idea era davvero grandiosa.

Tra le altre cose, così parlando, un giorno lui voleva cambiare la sua barca, quella con cui era venuto la prima volta in Sardegna, la famosa Zaira, che batteva bandiera inglese (aveva una figlia che si chiamava Zaira). E mi fa: «Avvocato, ha qualcuno che possa essere interessato all’acquisto della mia barca? Perché io devo comprare un Baglietto e, sa, della Zaira non so cosa farne». Gli ho detto: «Vediamo, ci provo». E poi mi guarda e mi dice: «Avvocato, perché non la compra Lei? Mi faccia un’offerta». Gli chiedo: «Quanto sarebbe?». «Avvocato, è Lei che mi deve fare l’offerta». Io, così per ridere: «Cinque milioni». «D’accordo». E mi dà la mano. «No, no, signor Guinness, io stavo scherzando, ma per amor di Dio». Lui insiste: «Ho detto che sono d’accordo». Mi dà la mano, prende a forza la mia e quasi mi regala questa barca che poteva valere cinque volte e forse anche di più, perché era bellissima, 16 metri e mezzo. I miei figli, soprattutto Piero che era bambino, mi dicevano: «Papà, questa barca è vecchia!». Mentre adesso, quando vedo una barca così, dico: «Che stupido sono stato a venderla!». A un certo punto Patrick mi dice: «Però, avvocato, vorrei prendere “Alisarda”. Io sono proprietario della “LT”, una compagnia aerea inglese. Mi avrebbe fatto piacere partecipare a questa nuova società, ma mio fratello non me ne ha neppure parlato». Io, naturalmente, non sono stato lì a commentare.

Aveva acquistato tanta fiducia in me che diceva: «Avvocato, ho un’idea. Vorrei costruire a Olbia un grande frigomacello importando poi il bestiame dall’Argentina. Comprerei una nave attrezzata da trasporto per macellare il bestiame ad Olbia. Mi creda, è un grosso affare. Mi è venuta questa idea dalla sua relazione sulla possibilità di finanziamenti a fondo perduto. Cosa ne pensa Lei?». «Fantastico, eccezionale». «Lei mi potrebbe aiutare?». «Certamente, io sono a vostra disposizione, sono un vostro dipendente e quindi vi aiuto». «No, no, ma anche a titolo personale». «Ne parleremo…». E aggiunse: «Guardi, addirittura dalle corna si fa non so che cosa, della pelle non si butta nulla, dal sangue si fanno le pitture… La carne è meravigliosa, la possiamo esportare in tutta Europa». L’idea era davvero grandiosa.

Tra le altre cose, così parlando, un giorno lui voleva cambiare la sua barca, quella con cui era venuto la prima volta in Sardegna, la famosa Zaira, che batteva bandiera inglese (aveva una figlia che si chiamava Zaira). E mi fa: «Avvocato, ha qualcuno che possa essere interessato all’acquisto della mia barca? Perché io devo comprare un Baglietto e, sa, della Zaira non so cosa farne». Gli ho detto: «Vediamo, ci provo». E poi mi guarda e mi dice: «Avvocato, perché non la compra Lei? Mi faccia un’offerta». Gli chiedo: «Quanto sarebbe?». «Avvocato, è Lei che mi deve fare l’offerta». Io, così per ridere: «Cinque milioni». «D’accordo». E mi dà la mano. «No, no, signor Guinness, io stavo scherzando, ma per amor di Dio». Lui insiste: «Ho detto che sono d’accordo». Mi dà la mano, prende a forza la mia e quasi mi regala questa barca che poteva valere cinque volte e forse anche di più, perché era bellissima, 16 metri e mezzo. I miei figli, soprattutto Piero che era bambino, mi dicevano: «Papà, questa barca è vecchia!». Mentre adesso, quando vedo una barca così, dico: «Che stupido sono stato a venderla!». A un certo punto Patrick mi dice: «Però, avvocato, vorrei prendere

delle cose mie personali dalla barca», «Ci mancherebbe, prenda tutto quello che vuole». C’erano quadri, posate d’argento, un sacco di oggetti bellissimi. Un giorno avverto il mio marinaio che il signor Guinness sarebbe andato ad Olbia per prendere delle cose che voleva portare via. «E arrivato puntualissimo», mi dice dopo qualche giorno. «E che cosa ha preso?». «Due bottiglie di whisky, un paio di pantofole e una vestaglia». Di tutto il resto non ha toccato nulla. Ho lasciato la barca al porto di Olbia per altri due giorni, e così ho dato ai ladri il tempo di portare via tutto ciò che c’era. Voi sicuramente vi chiederete: come è andato a finire il progetto del bestiame importato dall’Argentina? Purtroppo la sfortuna ha voluto che due mesi dopo il signor Guinness morisse. Altrimenti l’avrebbe realizzato senz’altro.

Torniamo al discorso che lui aveva comprato tutto al 50% con il fratello. Come è finita?

Lord Guinness, padre di Patrick, dopo la morte del figlio voleva disfarsi dei terreni che aveva al 50% con l’Aga Khan. A sostituire il fi glio nell’amministrazione delle proprietà in comune con l’Aga Khan aveva delegato un suo dipendente, il signor Nuñez. Era stato nominato per contrastare tutto ciò che proponeva l’Aga Khan. Se l’Aga Khan diceva nero, lui diceva bianco. Le riunioni erano un continuo litigio. Questo tira e molla è durato per oltre un anno. Poi è finito che l’Aga Khan ha comprato la quota del signor Guinness.

Al prezzo che ha voluto?

All’Aga Khan non ho mai chiesto a quale prezzo l’avesse comprata. Ci mancherebbe, non mi sarei permesso. Però è stata una lotta molto, molto dura. Proprio una lotta a coltello.

Il “parroco dei ricchi”. [Don Raimondo Fresi]

Cosa ci può dire di don Raimondo Fresi, che per tanti anni è stato il parroco della chiesa di Stella Maris?

Era il parroco giusto per la Costa Smeralda. Molto disponibile, non invadente, con il suo savoir faire riusciva sempre ad avere ciò che voleva. Dobbiamo a lui se è stata edificata la chiesa di Stella Maris. Il progetto è dell’architetto Busiri-Vici. L’Aga Khan e l’avvocato Ardoin avevano aperto un conto corrente presso il Credito Italiano per un importo di 15 milioni. Il costo previsto era di 65 milioni. Eravamo tutti convinti che al momento dell’inaugurazione della chiesa, i consorziati, che erano stati invitati, avrebbero fatto offerte considerevoli, e così avrebbero coperto tutte le spese. Non ricordo quanto sia stata la raccolta delle offerte, ma posso dire che raggiunsero una somma ridicola. Il saldo per tutti i lavori della costruzione è stato pagato dall’Aga Khan e dall’avvocato Ardoin.

Mi ricordo che Lei aiutò don Fresi a trovare il denaro per pagare lo scultore Manzù, che è l’autore del portone della chiesa.

È vero. In quel periodo, 1982, mi ero dimesso da tutte le cariche che ricoprivo nella Costa Smeralda, quando un giorno viene a casa mia don Fresi chiedendomi di aiutarlo a trovare 300 milioni di lire. Era la somma che si doveva pagare a Manzù per la porta principale della chiesa. Sapevo che in quel periodo era in Costa, nel suo appartamento al campo di golf, il presidente dell’Alitalia” Nordio. Vado a trovarlo assieme a don Fresi e riusciamo ad avere un contributo di 30 milioni di lire: ma ci mancavano altri nove contributi di quell’importo. Ne parlo con gli amici Vittorio Merloni, Gino Coccioli, che era il presidente dell’Istituto San Paolo di Torino e successivamente del Banco di Napoli, e con l’amico fraterno Salvatore Paolucci, consigliere della Banca Nazionale del Lavoro. Complessivamente sono riuscito a portare il contributo a 150 milioni di lire. Poi don Fresi con le sue amicizie è riuscito a trovare gli altri 120 milioni, completando così il pagamento delle bellissime porte della chiesa.

[Henry Bestard, Angus Ogilvy, Riccardo Parodi-Delfino]

Altri personaggi che Le vengono in mente?

Henry Bestard era un francese simpaticissimo, un po’ particolare. Gestiva per conto del nostro gruppo “Alberghiera Costa Smeralda” il ristorante sul mare al Porto Vecchio di Porto Cervo (oggi “Il Pescatore”). Aveva la mania di allevare maiali e di mettergli nomi di persona. Mi aveva onorato battezzando Paolo Riccardi il porco più grosso. Aveva ragione, perché in quel periodo pesavo 134 chili. Poi ha lasciato Porto Cervo e si è trasferito in Costa d’Avorio.

E il signor Ogilvy, marito della duchessa Alessandra di Kent?

Angus Ogilvy, della Rank Organisation, era stato ingaggiato per fare la pubblicità. Era il marito della duchessa Alexandra di Kent, avevano acquistato un lotto sul mare al Piccolo Romazzino e aveva costruito una bellissima villa, progettata dall’architetto Vietti. Dopo un paio d’anni, quando l’Aga Khan gli ha revocato il contratto di collaborazione con lui, ha venduto la villa.

È vero che il dott. Riccardo Parodi-Delfino aveva fatto domanda al Consorzio Costa Smeralda perché accettasse come consorziato il complesso di Portisco?

È verissimo. A una riunione del Comitato di architettura è stato proposto di accettare la richiesta di Parodi-Delfino, che era il proprietario del complesso di Portisco. A parte l’Aga Khan, tutti i componenti del Comitato hanno apertamente manifestato la loro contrarietà per motivi tecnici. Il complesso, effettivamente, contrastava con i nostri canoni; era generalmente considerato “un obbrobrio”. Io ero particolarmente contrario: feci presente che in quel periodo venivamo attaccati come “cementificatori”, e che se avessimo accettato avremmo dato prova di esserlo. Fu dato incarico a Vietti di consigliare delle modifiche alla struttura: consigli che Parodi non accettò, e il caso fu archiviato.

Pino Careddu, un amico [e il suo speciale saluto all’avvocato Ardoin]

Adesso parliamo di Pino Careddu, l’editore-direttore di “Sassari sera”, tutto quello che lui ha rappresentato per il Suo lavoro e come amico.

Soprattutto come amico.

Sì, certo, ma anche come persona che riusciva a capire l’importanza dello sviluppo turistico per la Sardegna.

Penso che per la Costa Smeralda il contributo di Pino Careddu sia stato il più importante di tutti. Con il suo giornale “Sassari Sera” e con le sue amicizie politiche portava i deputati e i consiglieri regionali sardi a vedere nella Costa Smeralda non l’aggressione “coloniale” o lo sfruttamento del territorio ma una potenziale, futura risorsa economica molto importante. Ha fatto capire l’importanza del turismo in Sardegna, quando si pensava solo ad agevolare la petrolchimica. A parte “Italia Nostra”, che ci osteggiava, erano anche i politici della Sardegna, soprattutto quelli di destra, che temevano eventuali critiche: «Ma come?, stanno proteggendo l’Aga Khan, chissà quanti denari prenderanno!». Questa era la filosofia. Temevano di prendere posizione a nostro favore per non essere accusati di chissà quali traffici. E invece non c’è mai stato un politico che abbia chiesto o abbia avuto dalla Costa Smeralda dei favori di carattere finanziario. Non uno, nella maniera più assoluta. Sì, a me si rivolgevano per chiedere l’assunzione di un operaio, oppure di un pilota dell’Alisarda”, oppure di una hostess. Cose normali. Ed alcune volte ero costretto a dire no, quando non era possibile farlo. Per cui Pino Careddu c’è stato di grande aiuto quando, in questo clima generale, ha iniziato a prendere posizione. E questo lo ha fatto esclusivamente per la grande amicizia che ci ha sempre legato.

L’ho sempre considerato una persona di grande intelligenza, di grande capacità giornalistica, soprattutto di totale indipendenza. Quando c’era da attaccare qualcuno non guardava in faccia a nessuno, e questo era un suo grande pregio. Avrà subito almeno cinquanta querele, ed è sempre stato assolto. Mi ha aiutato in varie occasioni, e di qualunque cosa avessi necessità lui risolveva il problema.

E, soprattutto, Pino Careddu mi ha messo in contatto con i politici sardi: Raggio, che era capogruppo del Pci, Armando Zucca, del Psiup, che era stimato da tutti ed era determinante nella politica regionale, e l’on. Armandino Corona. Pino ci ha sostenuti con il suo giornale anche quando c’è stata una divergenza d’opinioni con il Comune di Arzachena. Ghinami diceva: «Avvocato, voi prendetevi un milione di metri cubi, li mettete lì e poi si vedrà». Mentre io: «No, l’Aga Khan ha questo territorio e vuole sapere come deve programmare… (ripetendo le parole dell’Aga Khan), se per sviluppare cinque milioni di metri cubi, o quattro, o tre, o due o uno, che tipo di tubazioni programmare per le infrastrutture ecc».

Invece il Comune voleva seguire una traccia approssimativa, all’italiana. Era, debbo dire, un po’ anche il mio pensiero. Dicevo all’Aga Khan: «Principe, non stiamo a fare questioni. Prendiamo un milione di metri cubi e poi si vedrà». E lui: «Avvocato, io non sono venuto qui per fare ragionamenti di questo genere». Perciò devo riconoscere il grande merito di Pino Careddu, che mi ha messo in contatto con questi politici. Poi ha fatto degli articoli contro “Italia Nostra” e contro il “Corriere della Sera”, quando ci accusavano. Il suo è stato l’unico giornale che ha preso posizione a nostro favore.

Perché ci credeva?

Ci credeva veramente. Andavo a casa sua, sul mare di Baia Sardinia, ed era una felicità per me. Era un cuoco straordinario, e mi aiutava tantissimo con preziosi consigli politici per il futuro della Costa Smeralda. Dopo le mie dimissioni, nel febbraio 1982, tenevo ancora i contatti con l’avvocato Ardoin, e gli dicevo: «Avvocato, cercate di mantenere l’amicizia con Pino Careddu. Lei lo conosce, cerchi di riprendere le chiacchierate con Pino, lo inviti a casa sua, lo faccia venire a Porto Cervo da Lei». Alla fine, a forza di insistere, nell’ottobre 1982 sono riuscito a combinare questo incontro. Ho detto: «Pino, fammi il piacere, guarda che l’avvocato Ardoin ti vuole parlare. Vai a casa sua, ti riceve quando vuoi tu». Lui è andato. Mi ricordo ancora che l’appuntamento era stato fissato per il 27 ottobre. Naturalmente, il carattere di Pino Careddu era quello che conosciamo: così ha fatto un discorso abbastanza duro: «Avvocato, io sono venuto da Lei perché mi ha pregato di venire l’avvocato Riccardi, che mi ha detto di tenerci molto che io collabori ancora con la Costa e che cerchi la Sua amicizia. Io continuerò, certamente, ma sappia che ho la piena disistima di Lei, come Lei ce l’ha di me». Immaginate, Ardoin si è fatta una risata. Dopo quell’incontro gli chiedo: «Ma, Pino, vi siete sentiti o visti un’altra volta?» «Ma no, manco per idea. Ma mandalo a quel paese».

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

In primo piano don Raimondo Fresi, parroco di Porto Cervo

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan
Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan
Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

Pino Careddu con l’Aga Khan

7
GLI ARCHITETTI DELLA COSTA

Il Comitato di architettura:

[Jacques Coüelle si dimette dal Comitato per dissapori con l’Aga Khan]

[Savin Coüelle]

[Luigi Vietti]

[Giancarlo Busiri-Vici]

[Antonio Simon Mossa]

Un Regolamento severo

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan
Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan
Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

L’Aga Khan con l’architetto Luigi Vietti

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

8
PALCOSCENICO DELLA COSTA SMERALDA

La selezione. [Assunzioni e collaborazioni: il comandante Perotti dell’Alisarda; il dottor Berti e le divergenze con l’Aga Khan; l’ingegner Gilgenast; le raccomandazioni – respinte – dei politici di Arzachena]

Nicol Bertorino

Un Savoia sulla spiaggia

Il presidente [Pierre] Trudeau

Iva Zanicchi

Alberto Sordi

Adolfo Sarti

Il presidente Cossiga

La principessa Salima. [Un fotografo denuncia e porta in Tribunale a Tempio Pausania l’Aga Khan]

La principessa sul battello. [La disavventura della principessa Margaret in barca col marito Lord Snowdon e l’Aga Khan; il comandante militare di La Maddalena]

Pierino Tizzoni. [Il proprietario dell’isola dei Cappuccini e Budelli e promotore di Costa Paradiso, e le nove ville-palle di cemento nell’isola dei Cappuccini dell’architetto Dante Bini]

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan
Pierre Elliot Trudeau - Wikipedia

Immagine non nel libro: Pierre Trudeau 

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

L’Aga Khan con la principessa Margaret d’Inghilterra all’Hotel Pitrizza

Sulla principessa Salima Aga Khan, si veda   QUI  e   QUI

9
CUBATURE, CHE PASSIONE

La “guerra dei piani”

Il Sindaco buono. [Giorgino Filigheddu, sindaco dal 1965 al 1970]

 Una visita in campagna [dal presidente della regione Del Rio]

Il progetto Cala Razza di Juncu [senza esito, col comune di Olbia]

La “guerra dei piani”

Nei primissimi anni della Costa Smeralda gli imprenditori immobiliari capeggiati dall’Aga Khan erano ben visti dalle autorità locali e non incontravano ostacoli burocratici nella realizzazione dei loro progetti, sia alberghieri che residenziali. L’allora presidente della Regione, Efisio Corrias, e i sindaci di Arzachena, prima Giacomino Tanchis e poi Giorgino Filigheddu, erano ben predisposti nei confronti di questi investimenti, in cui vedevano una nuova possibilità di sviluppo economico per una zona che era ancora prettamente agropastorale. E tanta era la stima nei confronti del giovane principe Karim che nel 1966 gli fu conferita dal Comune di Arzachena la cittadinanza onoraria, e qualsiasi licenza di costruzione venisse richiesta gli veniva immediatamente concessa.

Però nella seconda metà degli anni Cinquanta, in seno alla Democrazia Cristiana, si coalizzò un gruppo di “ribelli” guidato da Francesco Cossiga, denominato scherzosamente “Giovani Turchi”, che comprendeva Pietro Soddu, Paolo Dettori, Nino Giagu de Martini, Piero Are e molti altri, al quale aderi Gian Michele Digosciu di Arzachena. Essi si mettevano in contrapposizione a Segni e a suo nipote Nino Costa, ai quali si era appoggiato sino ad allora il gruppo dell’Aga Khan. Con la sua nomina a segretario provinciale del partito, Cossiga prese il controllo della DC sassarese; gruppo che dominò la scena politica sarda per i successivi vent’anni, occupando in alternanza tutte le poltrone politiche, dalla presidenza regionale a quelle provinciali, tutti gli assessorati e quasi tutte le dirigenze dell’apparato burocratico isolano.

In quel periodo erano sbarcati in Sardegna anche i grandi industriali italiani della petrolchimica, come Nino Rovelli al nord e Angelo Moratti al sud, per approfittare dei grossi finanziamenti statali della Cassa per il Mezzogiorno. Nacquero così dei mega-stabilimenti industriali, la Saras a Sarroch nel golfo di Cagliari, e la Sir a Porto Torres.

Da parte loro i politici sardi vedevano di buon occhio queste iniziative industriali, che promettevano di portare le arretrate campagne fuori dal Medioevo e di produrre un certo benessere. Ma c’era anche un altro motivo per il loro appoggio: gli operai industriali erano molto più sindacalizzati rispetto agli agricoltori e quindi più facilmente influenzabili politicamente. In altre parole, erano un grande serbatoio di voti.

Nel 1971 si aggiunse una campagna denigratoria della stampa (“Corriere della Sera”, “Espresso”) contro la Costa Smeralda, accusata d’aver fatto calare «una colata di cemento» sulle coste. Ci fu una causa per diffamazione, conclusasi con la giusta marcia indietro dalla stampa, e con articoli riparatori.

Il gruppo dei “Giovani Turchi”, influenzati in particolare da Soddu, grande sostenitore dell’industrializzazione della Sardegna, hanno quindi preferito appoggiare la grande industria piuttosto che la nuova ed evanescente industria del turismo che si stava affacciando in Gallura. Hanno così dato battaglia ai programmi di espansione che l’Aga Khan aveva per la Costa, battaglia che ebbe uno dei suoi momenti chiave nell’elezione di Digosciu a sindaco di Arzachena.

Questo sindaco trovò facile appoggio nella Giunta regionale quando si trattava di ostacolare l’Aga Khan, e così tutti i progetti presentati dalla Costa Smeralda venivano sistematicamente bocciati.

C’è voluto un lunghissimo, astuto e paziente lavoro, durato almeno una decina di anni, di avvicinamento e di convinzione della bontà dell’industria del turismo per la collettività, da parte del l’avvocato Paolo Riccardi verso i “Giovani Turchi”, tra i quali per fortuna c’erano alcuni (Cossiga, Giagu, Are e Soddu) che erano stati suoi compagni di liceo e di Università a Sassari. Con molta difficoltà Riccardi riuscì poi ad ottenere tutte le approvazioni per le lottizzazioni e le costruzioni che oggi vediamo realizzate in Costa Smeralda.

Il suo lavoro è stato però interrotto nel 1982, quando si sono interrotti i suoi rapporti con il principe, e non si è potuta conseguire l’approvazione del cosiddetto “Master Plan” per il completamento della Costa Smeralda. Questa parte del piano riguardava i terreni da Cala di Volpe fino a Portisco, comprendeva altri tre campi da golf e si sarebbe concretata nel raggiungimento di una stabilità insediativa che avrebbe consentito alla Costa Smeralda di vivere tutto l’anno, invece dell’attuale brevissima stagionalità.

Questa disfatta ha contributo al disimpegno e poi al definitivo abbandono della guida del Consorzio Costa Smeralda da parte dell’Aga Khan. Il principe ha ceduto il suo ruolo alla Sheraton americana, che a sua volta è stata assorbita dalla Starwood, che infine ha ceduto alla Colony Capital. Il principe ha conservato l'”Alisarda”, che nel frattempo era diventata “Meridiana”, nonché lo Yacht Club Costa Smeralda ed una casa a Porto Cervo.

Le reminiscenze di Riccardi ci danno un’indicazione dei suoi sforzi e dei retroscena delle trattative, che aprono una finestra sulla realtà politica italiana di quegli anni.

Il Sindaco buono. [Giorgino Filigheddu, sindaco dal 1965 al 1970]

È vero che Lei, quando era sindaco Giorgino Filigheddu, come segretario generale del Consorzio andava a tutte le riunioni del Comune?

Si, è vero. Ma non a tutte, solo a quelle nelle quali venivano trattate le questioni che riguardavano la Costa Smeralda. Mi ricordo che una volta durante una riunione del Consiglio comunale il nostro dipendente signor Cabula, che apparteneva al Pci, ha preso la parola e ha sostenuto le nostre ragioni, debbo dire molto efficacemente. Molti consiglieri comunali lo hanno apostrofato: «Stai parlando così perché hai il tuo padrone dietro di te che ti controlla». La risposta di Cabula, infuriato, non si fece attendere: «Io non ho padroni!» A quel punto, per sdrammatizzare, perché tutti mi guardavano sorridendo, ho fatto una battuta: «Povero Cabula, se il padrone sono io sta messo proprio male!».

[Il disastroso rapporto con l’assessore ai lavori pubblici on. Ghinami e col direttore dell’Ufficio Urbanistico ingegner Bagnolo]

Qual è stato il rapporto con i tecnici della Regione, e in particolare con il direttore dell’Ufficio Urbanistico?

Un vero disastro. Nel 1968, quando doveva essere predisposto il progetto del Piano di Fabbricazione imposto dalle leggi regionali, il direttore era l’ingegner Bagnolo, che ha diretto l’ufficio sino al 1972, fino a quando non è stato allontanato dal presidente Giagu. Successivamente è stato rimesso nelle sue funzioni dall’on. Pinuccio Serra.

Il primo scontro è stato quando il Comune ha predisposto il Piano di Fabbricazione ed io mi sono recato a Cagliari per sollecitarne l’approvazione da parte della Regione. Dopo averne parlato con l’assessore ai Lavori Pubblici, che era l’on. Ghinami, lo stesso Ghinami mi ha messo in contatto con l’ingegner Bagnolo. Dal primo incontro ho immediatamente capito che forse era un bravo ingegnere, ma, a mio modesto giudizio, un pessimo urbanista. Soprattutto non vedeva di buon occhio la Costa Smeralda, forse perché l’Aga Khan aveva preferito fare gli investimenti al nord piuttosto che al sud. Contestava l’eccesso delle volumetrie programmate.

Era contrario all’idea che in Costa Smeralda dovessero essere costruite delle ville. A suo giudizio dovevano essere realizzati solo villaggi ed alberghi, concentrando tutte le cubature in alcune zone e lasciando libero il più possibile il resto del territorio. Il nostro programma, invece, prevedeva al massimo solo tre villaggi e un numero limitato di alberghi: questo perché diversamente l’impatto sul territorio sarebbe stato eccessivo (stando a quello che voleva Ghinami), mentre con la costruzione delle ville questo non sarebbe successo.

Cosa che poi è avvenuta. Infatti anche dal mare, vedi il caso delle ville di Romazzino, Liscia di Vacca e Pevero, le ville con i giardini alberati quasi non si vedono.

Un giorno, dopo almeno altri dieci incontri, nell’ufficio dell’ingegner Bagnolo, seduto al suo fianco alla scrivania, Ghinami mi presenta un giovane architetto. che prende la parola ed inizia a pontificare. Chiedo: «Mi scusi, non ho capito, Lei è un funzionario della Regione?» «No, io sono il consulente». Era un certo Mainini. Che poi ho accertato era di “Italia Nostra”, la più potente lobby italiana ostile all’Aga Khan. L’incontro è stato un disastro. L’architetto Mainini voleva assegnarci un milione di metri cubi in via provvisoria, per poi riprogrammare un nuovo Piano di Fabbricazione con cubature limitate. Ho perso un po’ la pazienza e ho detto all’ingegner Bagnolo: «Ingegnere, mi sembra che tra noi non ci si possa capire. Mi lasci riflettere. Forse sbaglierò io. Verranno i nostri tecnici a spiegarLe meglio le cose». Ero a Cagliari, ho pensato: «Ma come si comporterà questo signore con i piani di fabbricazione degli altri Comuni?». I cagliaritani parlavano solo di Villasimius.

Dopo quest’incontro ho preso contatto con l’on. Ghinami per riferirgli quale era la preoccupazione dell’Aga Khan e di tutti i consorziati: l’impossibilità di mettere capo a una programmazione seria che prevedesse un’assegnazione complessiva di cubature, non parziale come volevano lui e Bagnolo, per poter costruire le infrastrutture. Ghinami aveva detto: «Fate quello che volete. Noi non vi diamo più di un milione di metri cubi». Sosteneva che in questa prima fase di preparazione del piano non era necessario che noi avessimo più di un milione di metri cubi. Che senz’altro avremmo impiegato tanto tempo per costruire questo milione di metri cubi. Nel frattempo lui avrebbe fatto lo studio generale di tutta la costa ed avrebbe assegnato altre cubature.

L’Aga Khan invece sosteneva giustamente: «No, io voglio sapere sin dall’inizio quanti metri cubi posso sviluppare, per determinare le infrastrutture che servono per portare l’acqua, gli impianti fognari e i relativi depuratori, il potenziale che dobbiamo chiedere per l’elettricità ecc…

L’Aga Khan diceva che doveva essere un piano ventennale. Chiaro. Anzi con l’aiuto del professor Coccioli avevamo predisposto il Piano economico da allegare al piano urbanistico da presentare alla Regione: aveva fatto uno studio che prevedeva 25 mila addetti e prevedeva un investimento di 700 miliardi di allora.

È lì che nacque la bagarre?

La bagarre nasceva dal fatto che Vietti aveva fatto il Piano di fabbricazione di Arzachena e cominciavano i sussulti interni all’Amministrazione comunale, perché era legato a noi. Disse: «Non posso approvare questo piano perché c’è l’assessore Soddu». Pietrino Soddu, antagonista moroteo, proteggeva Demuro, che era della corrente morotea. Io ero andato a Sassari da Soddu, dopo aver telefonato alla moglie che era mia amica. «Per favore, bloccalo», perché era una cosa molto urgente. Sono stato lì sino alle due di notte: «E proprio a Lei che nel 1964 è stato nominato assessore alla Programmazione sono venuto a portare il nostro piano, e ora dice che la Sua preoccupazione principale è solo l’industria».

Torniamo a Giorgino Filigheddu, sindaco di Arzachena dal 1965 al 1970.

Giorgino Filigheddu è andato avanti benissimo per tutti i cinque anni che è stato sindaco. Quando trattavo con lui non c’erano problemi. Noi presentavamo i progetti e lui non faceva ostruzioni di nessun genere. Aveva dato l’incarico di redigere il Piano di fabbricazione del Comune di Arzachena al nostro architetto Vietti, tanta era la fiducia che aveva nel corretto operato dell’Aga Khan. Siccome il sindaco Filigheddu aveva ben operato, eravamo sicuri che con le nuove elezioni del 1970 sarebbero stati confermati sia lui che la nuova giunta comunale.

[La corrente della Democrazia Cristiana, cosiddetta dei “morotei” dal nome dell’onorevole Aldo Moro a cui pretendevano di ispirarsi, conquista la guida di Arzachena. Dal 1970 al 1975 sindaco di Arzachena sarà Gian Michele Digosciu].

Ad un certo momento scatta il campanello d’allarme. Viene nel mio ufficio don Fresi e mi dice: «Guardi, avvocato, stia attento, organizzatevi, organizziamoci, perché sicuramente se non stiamo attenti Giorgino Filigheddu cade, e i giovani si stanno organizzando per cospirare contro di voi». Erano Chiodino, Digosciu, Demuro, Baffigo, Ruzzittu e altri. Erano tutti giovani, non ricordo quanti fossero. Anche Gemelli era con loro, ma poi li ha lasciati. Gemelli era sveglio, un furbone di quattro cotte.

Ne ho parlato immediatamente con l’Aga Khan e l’avvocato Ardoin: «Stiamo attenti. Sono sicuro che se candidiamo quattro nostri dipendenti della zona (che io avevo già individuato) riusciamo a farli eleggere, così potremo condizionare in nostro favore il sindaco e la nuova giunta, con l’appoggio di Giorgio Filigheddu e altri».

Avevo in mano tutti i dipendenti della zona e ora anche gli impresari che cominciavano a lavorare per noi. Ero sicuro di riuscire nell’ipotesi che avevo prospettato all’Aga Khan e Ardoin. «Glielo proibisco assolutamente! Noi non siamo venuti in Sardegna per fare politica!»: questa è stata la decisione, purtroppo infausta, dell’Aga Khan. Infatti, i giovani hanno avuto la maggioranza ed hanno nominato uno di loro: Gian Michele Digosciu. Da allora le decisioni erano contrarie a noi, palesemente o sottobanco. Dicevano sì tutti sorridenti e poi andavano dai vari consiglieri regionali della loro corrente per dire «non fate questo, non fate quest’altro».

Praticamente è a partire dal 1968 che la Regione sarda con un suo decreto aveva fissato le norme per la redazione dei Programmi di fabbricazione dei Comuni. Con il Comune di Arzachena è stata combattuta una battaglia che si è risolta nel 1971 con una manifestazione popolare contro l’amministrazione comunale di Arzachena (ne parlerò più avanti).

Al Comune di Arzachena erano stati assegnati in tutto 12 milioni di metri cubi. Loro ne volevano minimo 8 milioni, quindi la battaglia mirava a equilibrare la distribuzione e fare sei milioni per gli arzachenesi e sei milioni per la Costa Smeralda; cosa che poi è avvenuta nel 1972, dopo infinite discussioni, con l’approvazione da parte della Regione sarda, presidente Nino Giagu, del Piano di fabbricazione del Comune di Arzachena.

L’opposizione alle nostre legittime richieste era dovuta, a mio parere, al fatto che l’interesse degli amministratori comunali era favorire i proprietari che avevano acquistato i terreni nella zona di Baja Sardinia, e principalmente nella zona di Cannigione. Molti proprietari che avevano venduto i loro terreni ai nostri soci fondatori del Consorzio avevano investito in quelle zone. A nostro parere, per una ragione di principio, l’assegnazione della cubatura doveva essere fatta col criterio di equità. La Costa Smeralda ha un’estensione di 50 chilometri, contro i 35 chilometri restanti della zona costiera del Comune, che da Poltu Quatu arrivava fino al territorio di Palau. Quindi la Costa Smeralda, avendo un’estensione maggiore, aveva diritto a un numero maggiore di metri cubi.

Però in seguito, a partire dalla legge nazionale sul divieto di costruzione a meno di 150 mt dal mare e dal decreto Soddu del 1977, le restrizioni diventarono più severe e risultava sempre più difficile ottenere l’approvazione di una lottizzazione.

Ma nel 1976 fu approvata (sebbene a fatica, si diceva) una serie importante di lottizzazioni.

Al presidente della Regione sarda Del Rio e all’on. Pinuccio Serra, assessore all’Urbanistica nella sua giunta dal dicembre 1973 al giugno 1974, la Costa Smeralda deve l’approvazione delle lottizzazioni di Porto Cervo Marina, Porto Cervo Villaggio, Cala Romantica, Pitrizza e Cala del Faro

Vale la pena di raccontare come è stata complicata l’approvazione di quelle lottizzazioni, che hanno consentito alla Costa Smeralda la possibilità edificatoria che dura fino ad oggi. In seguito non è stato più possibile costruire a meno di 150 metri dal mare, e dal 1985 si è dovuto rispettare il criterio dei 300 metri.

Per la Costa Smeralda non è mai stato facile il rapporto con l’Ufficio urbanistico regionale diretto dall’ingegner Bagnolo. C’era un orientamento a favorire gli operatori della zona sud della Sardegna, da Torre delle Stelle a Villasimius. Bagnolo era legato soprattutto ai dirigenti di “Italia Nostra”, ed il suo migliore consigliere era l’architetto Mainini, che condivideva la campagna contro la Costa Smeralda, guidata da “Italia Nostra”, che ci additava come coloro che stavano distruggendo la Sardegna con «le colate di cemento». Il presidente Giagu nel periodo della sua presidenza, e cioè dal settembre al novembre 1973, lo aveva rimosso dall’incarico di direttore dell’assessorato all’Urbanistica.

Alla giunta dell’on. Giagu subentrò quella presieduta dall’on. Del Rio, che durò dal dicembre 1973 a giugno 1974. Assessore all’Urbanistica fu nominato l’on. Pinuccio Serra. Per noi è stata un grande fortuna, perché Pinuccio Serra, presentato da Dino Boi, era diventato un carissimo amico. Appena nominato, mi telefona e mi chiede di andare da lui a Cagliari. Ricordo che mi invitò a pranzo “Da Giovanni”, alla Spiaggiola, a Sant’Elia. Avevamo quasi finito di pranzare che inizia: «So, perché me ne hai parlato tante volte, dell’ingiustificata contrarietà dell’ingegner Bagnolo nei vostri confronti, che come sai ho sempre condiviso. Ho intenzione di rinominarlo direttore all’Urbanistica e ti ho chiamato per garantirti che d’ora in avanti sarò io a controllare il suo operato nei vostri confronti, soprattutto perché ho visto che l’Ufficio si sta confrontando con voi su quattro grosse lottizzazioni che avete da tempo inoltrato per l’approvazione. Stai tranquillo, Bagnolo fa quello che gli ordino io, perché l’assessore sono io e non lui».

I nostri tecnici stavano trattando già da tempo con Bagnolo quali dovevano essere, a nostro giudizio, le clausole da inserire nella concessione, e non riuscivamo ad arrivare ad un accordo. Questo fatto mi preoccupava moltissimo, perché la Regione era sul punto di adottare la famosa Legge Galasso (quella della distanza dal mare). Ho informato l’on. Serra, che ci ha convocato a Cagliari. Alla riunione hanno partecipato da parte nostra il geometra Monagheddu e da parte della Regione l’ingegner Bagnolo. La riunione si tenne all’Hotel Mediterraneo. Prima di incontrare i due tecnici, Serra mi chiese quali fossero la clausole che noi richiedevamo e che non venivano accettate da Bagnolo. Constatato che erano accettabilissime, furono introdotte nelle convenzioni. Una volta introdotte, l’assessore chiamò Bagnolo e dopo averle firmate gli ordinò di completare in ufficio le formalità necessarie.

Una visita in campagna [dal presidente della regione Del Rio]

Quando seppi che il presidente della giunta, on. Del Rio, stava per pubblicare da un giorno all’altro la legge nazionale con il divieto di edificare entro la distanza di 150 metri dal mare voleva dire che le nostre lottizzazioni avrebbero subito un grave danno mi precipitai da lui che passava qualche giorno nella sua campagna, a Sindia. Gli esposi il nostro caso e lo pregai di attendere qualche giorno per la pubblicazione della legge, spiegandogli le nostre ragioni e le difficoltà che avevamo avuto con Bagnolo.

Mi ricordo che mi disse: «Stia tranquillo, avvocato, perché voi, dopo quanto state facendo per la Sardegna, non meritate questo». La legge fu pubblicata dopo qualche giorno dal rilascio delle nostre concessioni. Successivamente a queste lottizzazioni che riguardavano Porto Cervo, Cala del Faro, Pevero Golf, l’ampliamento Romazzino, Pitrizza (Bagaglino) da quello che so, alla Costa Smeralda non ne sono state rilasciate altre. Quanto ancora si sta edificando a Porto Cervo Marina e Porto Cervo Villaggio si deve a quelle concessioni!

Il progetto Cala Razza di Juncu [senza esito, col comune di Olbia]

Nel 1967 fu emanato la cosiddetta “Legge Ponte”, nella quale si introducevano dei limiti per la formazione degli strumenti urbanistici: limiti provvisori di edificabilità di 0,10 metri cubi per metro quadro. Io, da buon italiano, prevedendo che sarebbe trascorso un certo tempo perché le autorità predisponessero un nuovo Piano di fabbricazione. avevo consigliato di presentare al Comune quanti più progetti possibile in modo da non restare bloccati per anni.

L’Aga Khan, con la rigorosa serietà che ha sempre dimostrato contro quelle che gli sembravano improvvisazioni, non seguì i miei consigli. Purtroppo la sua serietà non fu ripagata, perché moltissimi proprietari presentarono al Comune dei progetti fotocopiati da altri precedenti e ci fu una corsa all’approvazione. Il sindaco del tempo era Gian Michele Degosciu. Sarò andato da lui almeno venti volte per sollecitargli l’approvazione dei nostri progetti “normali” (voglio dire non “fotocopiati”, dato che il principe non ne voleva sapere). La risposta è sempre stata la stessa: «Ci sono tante richieste prima delle vostre».

I nostri erano progetti di importanza vitale, come la costruzione del cantiere navale. I consiglieri comunali sembravano preoccupati soltanto dei progetti dei loro elettori. Per l’intervento personale dell’avvocato Ardoin fu possibile ottenere l’approvazione del progetto del cantiere. A una riunione con il board, composto dall’Aga Khan, l’avvocato Ardoin e il dottor Hengel, per sbloccare questa situazione di stallo con Arzachena ho consigliato di predisporre immediatamente un progetto sui terreni ricadenti nel comune di Olbia, nella zona di Cala Razza di Juncu, dell’estensione di 500 ettari, sui quali si sarebbe potuto costruire un importante villaggio. L’Aga Khan e l’avvocato Ardoin presero invece la decisione di costruirci un grande albergo. Diedero immediatamente l’incarico all’architetto Vietti di redigere un progetto per un albergo fatto di villette, sul modello di Pitrizza. L’hotel sarebbe stato così grande che era stato previsto che al momento dell’assegnazione dell’alloggio da parte dei portieri venisse consegnata ai clienti una piccola macchina per gli spostamenti nello spazio interno.

La quantità di personale necessario era stata stabilita in 1400 persone. Era un progetto straordinario. Viene presentato al Comune di Olbia. Allora il sindaco era Peppino Carzedda. Avevo un rapporto amichevole con il cognato, l’on. Francesco Asara, sicché un giorno lo incontro a Cagliari e lo prego di sollecitare il sindaco per l’approvazione.

Ma questo progetto stupendo, mi risulta, non è stato mai approvato. Come mai?

Domanda da un milione di euro. Alla seconda sollecitazione, all’on. Asara mi chiese: «Quanti metri cubi dovete costruire?». Gli rispondo: «Non lo so». Ma ti pare che non sapevo quanti metri cubi fossero! Lì intuisco che forse c’era sotto qualcosa. Siccome non eravamo abituati a ricevere questo tipo di domanda, non ho voluto chiarire nulla nella maniera più assoluta, e purtroppo il progetto non è andato avanti. Si sono fatti dei telegrammi che addirittura dicevano: «Se entro questa data il progetto non viene approvato, noi non siamo più interessati». Ma il progetto non è mai arrivato alla Commissione Urbanistica.

Che anno era?

Credo il 1976-77. In seguito a queste difficoltà i venti miliardi previsti per l’investimento furono dirottati in Persia. Passati degli anni, un giorno, parlando del mancato investimento ad Olbia, l’avvocato Ardoin mi ha detto: «Bisogna ringraziare di questo sia Asara che Carzedda, perché quello della Persia è stato un investimento che ci ha reso moltissimo. Peccato, però, per la Sardegna».

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

Giorgino Filigheddu, sindaco di Arzachena dal 1957 al 1960

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

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ALTRI PROGETTI, ALTRE DIFFICOLTÀ

 

«Due pesi e due misure». [Italia Nostra, il Corriere della Sera di Giulia Maria Crespi, l’Espresso e altri media prendono di mira la Costa Smeralda; Manifestazione di protesta popolare ad Arzachena organizzata dal Consorzio Costa Smeralda]]

Il Casinò a Porto Cervo [, l’albergo al Pevero, la villa alla Spiaggia del principe: l’Aga Khan ci rinuncia]

 «Due pesi e due misure». [Italia Nostra, il Corriere della Sera di Giulia Maria Crespi, l’Espresso e altri media prendono di mira la Costa Smeralda; Manifestazione di protesta popolare ad Arzachena organizzata dal Consorzio Costa Smeralda]

Dopo gli incontri all’Ufficio Urbanistico della Regione, nel 1971 è partita la campagna di “Italia Nostra” contro di noi. Sono stati sempre nostri nemici, non vedevano le bruttezze e le porcherie che si facevano all’esterno del territorio del Consorzio Costa Smeralda. Per “Italia Nostra” le schifezze, le cementificazioni, le facevamo solo noi. Chi ci attaccava di più era l’architetto Luisa Anversa, che addirittura non era mai venuta in Sardegna, non aveva mai visto niente, così come il presidente di “Italia Nostra”, Giussani, a cui io, tra l’altro, avevo scritto una lettera invitandolo a venire a visitare la Costa per rendersi conto che le cose non stavano come lui credeva. Non ha mai risposto.

Il “Corriere della Sera” pubblicava degli articoli contro di noi dell’architetto Antonio Cederna, anche lui di “Italia Nostra”. Sull”Espresso” Giorgio Bocca che invitava i sardi, persone orgogliose, a cacciare l’Aga Khan dalla Sardegna, scrisse: «I sardi mi deludono! Persone di grande dignità che ancora non hanno preso a calci nel sedere quello sfruttatore di morti di fame che risponde al nome dell’Aga Khan».

Il Comune di Arzachena, anziché prendere le nostre difese, era schierato sulle stesse posizioni dell’on. Ghinami, ed aveva accettato la possibilità di farsi assegnare una cubatura limitata pur di partire immediatamente con le costruzioni a Baja Sardinia e Cannigione. Poco dopo l’incontro con Bagnolo e Ghinami mi trovavo a Cagliari, e leggendo l’Unione Sarda” apprendo che la Regione aveva approvato il Piano di fabbricazione del Comune di Villasimius.

Ma a Villasimius, il marito di Giulia Maria aveva fatto tre volte il pieno.

Vado a Villasimius. Faccio una scoperta utilissima. Anche lì combattevano con le cubature. Naturalmente non potevo dire, a chi ho incontrato, che venivo dalla Costa Smeralda e che volevo vedere i piani. Invece ho detto: «Sono l’avvocato (ho inventato un altro nome). Ho dei clienti interessati a degli acquisti e sono incantato da queste belle spiagge».

Effettivamente le spiagge erano bellissime. Telefono al sindaco e mi dice: «Venga pure, Le faccio vedere i piani. Le faccio vedere tutto, comprese le cubature che ci sono state assegnate». Per rassicurarlo confermo la prima versione del mio interessamento: «Vogliamo fare un grande albergo e tante altre case sul mare. Si tratta di un grosso cliente svizzero. Si parla di miliardi di investimenti». Funziona. Dice il sindaco: «Sono disponibile anche alle sei di mattina». «No, no, facciamo alle nove, nove e mezza, le dieci. Nelle prime ore del mattino voglio godermi le bellezze di Villasimius. Forse resterò anche un’altra settimana». Vado e scopro per prima cosa che chi aveva fatto il Piano di fabbricazione di Villasimius era un certo architetto Mozzoni. Era il marito di Giulia Maria Crespi, la maggiore azionista del “Corriere della Sera”, la pasionaria numero uno di “Italia Nostra”. Guardo il piano. Mi sembra che Villasimius avesse 15 o anche meno di 15 mila ettari. Noi ne avevamo 53 mila. La cubatura che gli era stata assegnata, se non sbaglio, era di 22 milioni di metri cubi: molti. anzi moltissimi, più di noi.

Allora ho cercato di riprendere i contatti con Bagnolo. Gli propongo, sicuro del fatto mio: «Guardi, ingegnere, forse Lei non ha mai visto bene il nostro territorio. Perché non fa un sopralluogo e vediamo un po’ tutto sul posto?». In effetti poi è venuto e ha visto: ma non si è concluso niente lo stesso. Non era venuto per aiutarci.

Giulia Maria Crespi era, come è stata fino a poco tempo fa, la presidentessa del Fai (Fondo per l’Ambiente italiano) e grande amica degli architetti Cederna e Mainini. Era lei che aveva sollecitato Giovanni Spadolini, allora direttore del “Corriere della Sera”, a pubblicare gli articoli che ci attaccavano. Non potevamo non approfittare di questa grande occasione che ci aveva regalato il Comune di Villasimius per portare questo fatto a conoscenza dei politici.

In effetti la scoperta mi è servita per rafforzare la nostra causa quando abbiamo fatto una grande manifestazione contro il Comune di Arzachena e contro la Regione. Ma soprattutto contro il Comune, che ci osteggiava, per poi andare alla Regione e affermare con dispetto non irragionevole: «Basta! Dovete approvare i piani, bisogna farla finita con i due pesi e le due misure».

Dopo aver ottenuto l’autorizzazione dell’Aga Khan e di Ardoin, in due giorni, con l’aiuto dei dipendenti, abbiamo organizzato la manifestazione. Avevamo anche deciso di occupare il Comune. Alla manifestazione, oltre ai nostri dipendenti, parteciparono anche molti arzachenesi. Vista la numerosa partecipazione, la giunta comunale e quasi tutti i consiglieri, molto astutamente, si sono uniti anche loro alla sfilata per le vie di Arzachena.

Mi ricordo che il geometra Gemelli, nostro dipendente e anche consigliere comunale, aveva redatto dei cartelli: «Due pesi due misure, abbasso Ghinami e Bagnolo». E tanti altri altrettanto efficaci.

Che cosa è successo dopo la manifestazione?

Da parte del presidente Giagu e d’accordo con il presidente del Consiglio regionale, dietro nostra richiesta, fu fissata una riunione dei capigruppo del Consiglio con una nostra delegazione. Oltre a un gruppo di nostri dipendenti vi hanno partecipato i rappresentanti dei sindacati Cisl, Uil e Cgil, nelle persone di Fadda, Pasquino e Valeri.

Lei ha avuto contatti con altri politici in previsione dell’incontro per il Piano di fabbricazione di Arzachena?

Ho tormentato tanti amici fra i democristiani, ma soprattutto l’amico presidente Giagu, che doveva presiedere l’incontro.

A quell’incontro con il presidente Giagu e i capigruppo del Consiglio regionale, chi era presente?

Hanno partecipato la giunta comunale di Arzachena al completo, i sindacalisti delle tre confederazioni e un gruppo dei nostri dipendenti. Tutti i politici presenti, nessuno escluso, hanno manifestato il loro interessamento ad essere informati di tutti i lati positivi del nostro Master Plan. Ma certamente l’intervento più determinante e più efficace è stato quello dell’on. Zucca. Senza di lui a nostra difesa forse gli altri non sarebbero intervenuti. L’appuntamento con l’on. Zucca mi è stato fissato da Pino Careddu. L’incontro è durato oltre tre ore. Con me era venuto anche Pino. Dopo le mie spiegazioni, Zucca mi ha assicurato il massimo del suo impegno a nostro favore.

Sia il sindaco Digosciu che tutti i componenti della giunta non si aspettavano che i rappresentanti del Partito comunista e del Psiup si schierassero a nostro favore. Passato un po’ di tempo, un componente della giunta comunale arzachenese, precisamente Roich, soprannominato “Prinz”, mi ha confermato quanto avevo già intuito durante la riunione, e cioè che non si aspettavano che Zucca intervenisse a nostro favore. Dopo quest’incontro eravamo certi di avere risolto tutte le ostilità contro l’approvazione del Piano di fabbricazione del Comune, soprattutto quelle che, senza mai venire allo scoperto, erano sponsorizzate dai componenti della maggioranza del Consiglio comunale.

Sono stato convocato a Cagliari dal presidente Giagu, che mi dice che tutti i partecipanti all’incontro si erano dichiarati d’accordo per l’approvazione del Piano, ma che purtroppo c’era l’assoluta opposizione dell’on. Soddu, che allora era il segretario regionale della Democrazia cristiana. Ho saputo poi dall’amico Isoni, che era della stessa corrente morotea di Soddu, che erano stati i morotei di Arzachena, capitanati da Martino Demuro, a rivolgersi a Soddu perché impedisse l’approvazione del Piano.

Rientrato a Porto Cervo ho pensato che dovevo intervenire casualmente per cercare di convincere Soddu che stava sbagliando. Con lui non ho mai avuto un rapporto amichevole. Soddu ha sposato una mia amica dei tempi dell’Università, Telene Doveri. Erano le nove della sera e da Olbia per arrivare a Sassari, non era ancora completata la direttissima Olbia-Sassari si impiegavano non meno di due ore. Telefono a casa Soddu, chiedendo di passarmi la signora Telene. Rimane sorpresa dalla mia telefonata, dato che non avevamo avuto occasione di sentirci o vederci da almeno dieci o dodici anni. Dopo una cordiale chiacchierata, le chiedo: «Telene, per caso tuo marito è a casa?». «Sì, è a casa». «Per favore, lo puoi tenere sveglio, almeno fino alle 23.30, il tempo di arrivare da Olbia a Sassari?», «Certamente, lo terrò legato! Vieni pure, così avrò il piacere di incontrarti».

Dopo una breve conversazione con Telene, vengo ricevuto nello studio del marito. Parto in quarta: «Quando Lei era assessore della Regione sarda, nel 1964, sono venuto da Lei, appena era stato nominato assessore alla Programmazione, per presentare il nostro Master Plan. Le chiedo, lo ha mai esaminato? Certamente no. Forse mi ha ricevuto quando per tante volte ho chiesto poi un incontro con Lei? Tutte le persone che Lei ha avuto occasione di incontrare mi hanno sempre detto: “Avrà un carattere benetuttese, ma è molto intelligente”. Io ne dubito». Giuro, gli ho detto proprio così. Abbozza una risatina e sta zitto. Continuo: «Mi dica almeno ora quale è la ragione della Sua contrarietà al nostro piano di sviluppo».

Era rimasto molto male per ciò che gli avevo detto in maniera non certo diplomatica. D’altra parte, più ostile di come si era comportato nei nostri confronti non poteva certamente essere. Dopo questa mia sfuriata mi dice: «Ma quale vantaggio potrebbe venire da voi alla Sardegna?». «Onorevole, Lei mi parla di vantaggi economici per voi?». «No, no, assolutamente no». «Allora vuole che Le parli dei vantaggi che hanno ottenuto sino ad ora Arzachena ed Olbia? O quelli che certamente otterranno quando il nostro piano di investimenti potrà svilupparsi? Lei, onorevole, non può ignorare quanto è stato fatto finora. Quanta gente, anche della provincia di Nuoro, sta lavorando in Costa Smeralda. Il nostro piano prevede un’occupazione di almeno 25.000 persone. Penso che anche la Democrazia cristiana ne potrà trarre dei vantaggi, così come già ne ha tratto la popolazione della Gallura. Penso a com’era Arzachena nel 1962, quando ho iniziato a lavorare per l’Aga Khan. La strada per arrivare da Olbia era praticamente impraticabile. La strada dall’Abbiadori fino alle poche case di Liscia di Vacca si poteva percorrere soltanto con il carro a buoi, così come la strada piena di buche che portava alla spiaggia di Capriccioli». Ho continuato a esporre i vantaggi che aveva avuto la Gallura dalla sola presenza dell’Aga Khan in Sardegna. Dopo due ore di colloquio saluto Soddu pregandolo di leggersi il Master Plan, questa volta.

Passata una settimana, incontro l’on. Giagu, che mi dà la buona notizia che Soddu aveva dato l’OK all’approvazione del Piano di fabbricazione e, implicitamente, al nostro Master Plan. Ottenuto l’OK di tutte le componenti politiche, Giagu ha nominato una commissione composta da tre professionisti di alto livello, i quali hanno approvato all’unanimità il piano del Comune, e così Giagu, nel 1972, ha potuto mettere la sua firma sotto il Piano di fabbricazione, che concedeva alla Costa Smeralda sei milioni di metri cubi.

Secondo Lei, quali potevano essere le ragioni della scarsa attenzione che quasi tutti i politici sardi hanno quasi sempre avuto nei confronti del turismo?

La loro attenzione era concentrata a favorire le industrie, vedi per la provincia di Sassari la petrolchimica di Rovelli, per la provincia di Nuoro l’Eni ad Ottana, per la provincia di Cagliari la Saras di Moratti. Sappiamo tutti com’è andata finire: la Petrolchimica di Rovelli è fallita, a Ottana è finito tutto. L’unica che è sopravvissuta è l’industria di Moratti a Cagliari.

C’erano forse ragioni di finanziamento ai partiti?

Molte malelingue sostenevano che Rovelli, quando incassava i contributi a fondo perduto, ne distribuiva una quota fra i partiti, in percentuali diverse, secondo l’importanza di ciascuno.

Il Casinò a Porto Cervo, [l’albergo al Pevero, la villa alla Spiaggia del principe: l’Aga Khan ci rinuncia]

Che fine ha fatto il progetto del casinò a Porto Cervo?

Quando era ministro del Turismo, Adolfo Sarti immaginava che ogni Regione dovesse avere un casinò per incrementare il turismo. Non c’è riuscito. Purtroppo allora i ministri duravano al massimo un anno, un anno e mezzo. E non poteva concederlo solo a noi, perché allora sarebbe stato uno scandalo. E poi, tra l’altro, al principe non interessava. Credo soprattutto per ragioni di carattere religioso.

Si parla di un progetto per fare albergo e casinò dietro il Pevero…

A proposito di quell’albergo. All’Aga Khan gli è costato 500 milioni solo per il progetto, 800 camere, fatto da un architetto svizzero. Doveva sorgere dove c’è lo stagno, al Grande Pevero. Ricordo che il progetto era stato approvato dal Comitato di architettura, ma il Comune non aveva concesso la sua autorizzazione, se non ricordo male, per soli 1000 metri cubi di differenza, una stupidaggine rispetto a tutto il complesso. E l’Aga Khan disse: «Mi dispiace, allora non lo faccio». E così è stato.

Mi sembra che questa fosse una posizione che l’Aga Khan prendeva spesso quando non otteneva quello che voleva.

L’Aga Khan si era appena sposato e voleva farsi la sua nuova casa, una grande villa di rappresentanza, perché la casa di Porto Cervo era piccola. Aveva fatto progettare da Savin Coüelle un edificio di 1400-1500 metri quadrati, bellissimo, fantastico, nell’insenatura denominata “Spiaggia del Principe”, a Romazzino. Aveva previsto addirittura delle grandi opere di protezione, perché allora imperversava il banditismo, c’erano i sequestri: c’era un sistema di invalicabilità dei muri e una specie di fossato. Poi la casa non è stata fatta. È andata così. Mi ha incaricato di trattare con le autorità portuali per avere la concessione in esclusiva della spiaggia. Mi diceva: «Devo ospitare delle autorità di Stato e non voglio intromissioni nella spiaggia di fronte a casa mia». Vado prima alla capitaneria di porto, poi al Ministero della Marina mercantile e alla presidenza della Regione. Purtroppo la regola che era stata adottata dalle autorità, soprattutto quelle regionali, era di non dare concessioni di spiagge ai privati. Consentivano di mettere il numero necessario di corpi morti per l’attracco di non meno di dieci barche piccole, o gommoni, che quindi non consentivano l’arrivo di eventuali altri natanti sulla spiaggia antistante la casa. L’Aga Khan non ha accettato questi limiti e ha abbandonando il progetto.

E invece, su altre cose?

Su altre cose perdeva tempo, ci lavorava con pazienza, ricuciva. Ma se s’intestardiva non c’era niente da fare!

Diceva: «o questo o niente». Certamente dato quanto aveva fatto fino ad allora per tutta la Sardegna, considerava, anche giustamente, che avrebbe meritato una maggiore attenzione da parte delle autorità comunali e regionali.

Certo.

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

Il nuovissimo villaggio di Porto Cervo e il “Porto Vecchio”

11
STORIA DEL MASTERPLAN

La legge urbanistica

Aspettando una firma. [Con il nuovo assessore all’urbanistica, il comunista Muledda, si arriva ad un passo dalla firma]

«Non un metro in meno». [L’Aga Khan rifiuta l’accordo che per Riccardi era invece un sospirato traguardo]

La legge urbanistica

La prima legge urbanistica della Sardegna è del 1968, ma la sua applicazione pratica in Gallura risale al 1972. Nei primi dieci anni di attività, quindi, la Costa Smeralda si è urbanisticamente autodisciplinata attraverso il proprio Regolamento edilizio, che è ancora in vigore. La filosofia di base era di impedire uno sviluppo frammentario, in cui ogni proprietario potesse costruire in maniera del tutto autonoma, facendo quello che gli pareva, invece di privilegiare uno sviluppo immobiliare turistico omogeneo ed integrato, armonizzando gli insediamenti con la natura. All’epoca era un indirizzo insolito e molto avanzato, se si considera che in Italia l’edificazione non era in pratica soggetta ad alcuna regola paesaggistica ed ecologica.

L’Aga Khan aveva acquistato i primi computer all’avanguardia, in cui erano stati inseriti tutti i rilievi topografici e fotogrammetrici dell’intero territorio della Costa Smeralda, circa 3000 ettari, ed aveva redatto un programma di investimento a lungo termine. Si doveva realizzare una realtà economica autopropulsiva, in cui le attività turistiche dovevano integrarsi con altre attività di servizi e di infrastrutture sociali e civili. Si trattava del “Master Plan”, un progetto unico a livello europeo per ampiezza economica, per tipologia e sostenibilità ambientale.

Chi ne è stato, poi, l’esecutore?

Oltre al progetto urbanistico, che ha fatto l’architetto Enzo Satta (un progetto eccellente, studiato in tutto il mondo come esempio di intelligente e moderno sviluppo urbanistico), lo studio economico del Master Plan è stato redatto dal prof. Gino Coccioli, un famoso economista che per anni ha lavorato a Ginevra al Fondo Mondiale, poi è stato, in Italia, prima presidente dell’Istituto San Paolo di Torino, e quindi del Banco di Napoli. Negli anni abbiamo consolidato una grande amicizia. Persona intelligentissima, simpatico, affettuoso e grande amico. Coccioli aveva studiato il potenziale economico dello sviluppo del nostro territorio in un programma di 25 anni, con una spesa di realizzazione stimata in circa 2.900 miliardi di lire. Avrebbe creato circa 14.000 posti di lavoro tra diretti e indotti a livello regionale, con un introito turistico di 780 miliardi di lire annuali.

Vuol parlare di Nino Giagu?

I rapporti che abbiamo intrattenuto con i dirigenti comunali arzachenesi nel periodo in cui era sindaco Digosciu, “borgomastro” cazzuto, sono stati sempre di grande incomprensione. Noi dicevamo bianco e loro dicevano nero. Un disastro. La corrente politica di Base aveva, a monte, Francesco Cossiga. Con Giagu ci si conosceva perché eravamo entrambi sassaresi. C’era tra noi, insomma, un rapporto di grande conoscenza, come succedeva allora a Sassari, che era una piccola città di settantamila abitanti dove, all’interno di una stessa classe sociale, tutti conoscevano tutti.

Nino Giagu è stato, col tempo, di grande e amichevole aiuto ai nostri progetti, anche per merito di Cossiga. Improvvisamente, caduta la diffidenza politica, i miei contatti con Nino Giagu si sono intensificati notevolmente. Questo ha giovato moltissimo alla Costa Smeralda, nonostante Giulia Maria Crespi, i residui sostenitori del re della petrolchimica Rovelli e del capo dell’Ufficio Urbanistico regionale ingegner Bagnolo.

È vero che anche Andreotti si adoperò per il Master Plan?

A Sergio Berlinguer, consigliere diplomatico del presidente del Consiglio, avevo suggerito che Andreotti insignisse l’Aga Khan di un’onorificenza, che fosse però tra le massime della Repubblica, cioè cavaliere di Gran Croce. Sarebbe stato utilissimo per noi. Sergio Berlinguer ne ha parlato con Andreotti, che ha accettato immediatamente e ha fissato il conferimento dell’onorificenza il giorno 27 ottobre del 1979, alle ore 11.00.

Io e l’avvocato Ardoin siamo andati all’aeroporto di Roma a prendere l’Aga Khan, che arrivava col suo aereo personale. Mentre andavamo ad incontrare il presidente del Consiglio io guidavo la macchina blindata che mi ero fatto prestare dal mio amico, presidente dell’Autostar della Mercedes di Roma gli ho detto: «Principe, questa è l’occasione perché Lei parli del piano economico del prof. Coccioli e delle nostre difficoltà con la Regione». «Avvocato, non cominci con questa storia. Lasci perdere, ché questa occasione non è il caso. Anzi Le proibisco assolutamente di parlarne».

Arriviamo a Palazzo Chigi. Andreotti ci riceve puntualissimo, alle 11.00. Si scusa con l’Aga Khan, quando l’Aga Khan lo ha ringraziato per averlo insignito di una così alta onorificenza: «No, sono io che mi scuso con Lei, perché nessuno ci aveva pensato prima a darLe questo riconoscimento che Lei merita ormai da molto tempo». Continuando, molto gentilmente: «Ma Lei ha bisogno di qualche aiuto, per la sua attività lì in Sardegna?». «No, no, tutto bene, grazie». Ed io allora: «Mi scusi, presidente, Le chiedo di poterLe parlare». E l’Aga Khan, quasi spaventato: «Avvocato, avvocato, che fa?». E Andreotti: «No, lo lasci parlare». Ed io: «Io forse perderò il posto di lavoro, però da sardo Le voglio dire che è una vergogna che questa Regione…». «Avvocato, avvocato!», insiste incalzandomi l’Aga Khan. Proseguo: «Ma io parlo da sardo. È una vergogna che la Regione sarda si comporti come si comporta nei confronti della Costa Smeralda, non interessandosi del nostro progetto che potrebbe risultare così importante per l’isola». Andreotti: «La ringrazio, avvocato, per avermi informato di questo problema».

Dopo qualche mese, verso gennaio, mi chiama il presidente della Regione, che allora era l’on. Soddu: «Avvocato Riccardi, basta con queste sollecitazioni continue da Roma. Il presidente Andreotti non fa altro». Rispondo: «Io l’ho visto il 27 ottobre scorso. Finalmente una persona che si occupa delle cose che devono essere fatte!». Quando l’incontro di persona, Soddu mi fa un’autentica piazzata: «Ancora con questa storia!». Finisce che Soddu dà incarico al suo vicepresidente e assessore agli Affari generali, Armando Corona, di seguire lui il nostro piano economico-finanziario. Corona esordisce ponendomi una condizione: «Avvocato, io non mi fido né dell’Aga Khan né dell’avvocato Ardoin. Mi fido di Lei. Mi dia la Sua parola d’onore che non ci sono movimenti di finanziamenti sotterranei».

All’on. Sandro Ghinami nella guida dell’assessorato all’Urbanistica era succeduto il comunista Gesuino Muledda, professore di filosofia. Aveva posto nell’incarico un impegno politico e giuridico tale da ottenere dall’on. Corona la delega a portare a termine l’approvazione del nostro Master Plan. Esisteva una triangolazione Regione-Comune di Arzachena-Costa Smeralda, che non ammetteva sconti di competenza e di assunzione di responsabilità. Un team di specialisti aveva studiato la conclusione dell’evento nei minimi particolari. Due giorni prima del rush finale, era il 5 ottobre del 1981, Muledda mi convoca d’urgenza a Cagliari. C’era chi osteggiava il nostro Piano. C’era in vista una notevole riduzione degli indici di fabbricazione rispetto alla precedente cura dimagrante impostaci nel Piano di fabbricazione del 1972. Ad osteggiarci erano alcuni leader della DC, che pure otto anni prima avevano caldeggiato il Piano.

Anche l’on. Giagu mi aveva avvertito: «Sta’ attento, Paolo, che Soddu (che era allora il segretario regionale della Democrazia cristiana) è contrario all’approvazione, perché lo sono Demuro e i morotei». Ho pensato: «Bisogna affrontare Soddu e prenderlo di petto». Lo incontrammo all’Hotel Mediterraneo. A parlare furono i dipendenti, infuriati per la presa di posizione dell’on. Soddu, che, si capiva da come rispondeva agli intervenuti, era contrario.

Il miglior intervento è stato quello di Antonio De Luca, olbiese, proprietario di taxi ed anche di autobus: «Si rende conto, onorevole, che volete che l’Aga Khan faccia le valigie e se ne vada? Se questa è la vostra volontà, certo non è la nostra. Prima che venisse l’Aga Khan, io stentavo a pagare l’affitto di un appartamento, ed ora sono proprietario di taxi e di vari autobus. Stia tranquillo che Olbia, Arzachena e tutta la Gallura, non lo permetteranno». Soddu, ho saputo, ha poi convinto Demuro e tutta la giunta ad accettare e firmare il Master Plan.

Aspettando una firma. [Con il nuovo assessore all’urbanistica, il comunista Muledda, si arriva ad un passo dalla firma]

Se non sbaglio, Lei un’altra volta è dovuto intervenire in maniera dura con i consiglieri regionali democristiani e in particolare se non sbaglio con l’on. Soddu.

Come no? Nel 1981, quando l’assessore all’Urbanistica era il comunista on. Muledda. In una riunione a Cagliari, Muledda mi ha fatto presente che i democristiani (si riferiva in particolare all’on. Soddu) erano contrari ad approvare il nuovo Piano di fabbricazione e prospettavano la riduzione della cubatura, come voleva il Consiglio comunale di Arzachena, da 5 milioni e 700 mila metri cubi previsti dal decreto Soddu a un milione e 900 mila metri cubi. (Bisogna ricordare che con il decreto Soddu c’è stato il cambiamento del primo Piano di fabbricazione, che diminuiva la cubatura).

Quello stesso giorno c’era una seduta del Consiglio regionale. Vado al Consiglio e aspetto che escano i consiglieri democristiani che conoscevo. Avvicino Giagu, Gianoglio, Floris, Isoni, Serra, Campus ed altri, e su proposta dell’amico Battista Isoni ci riuniamo nella sala del gruppo democristiano. Faccio presente che l’on. Muledda mi aveva riferito che erano loro, in special modo l’on. Soddu, che si opponevano al piano, proposto da lui stesso. Ho ricordato quanto avevamo dovuto battagliare per ottenere il primo Piano di fabbricazione, quando Nino Giagu era presidente e le sinistre erano all’opposizione. Non era quindi giusto che ora fossero i democristiani ad essere contrari.

Mi ricordo che Battista Isoni prese la parola criticando Soddu, che non c’era. Diceva che se Soddu (capo corrente dei morotei, di cui faceva parte anche l’on. Isoni) fosse stato contrario all’approvazione del piano, lui avrebbe spaccato la corrente morotea. Era il sindaco di Arzachena di allora, Martino Demuro, che aveva chiesto a Soddu di aiutarlo a far bocciare il piano.

Dopo l’incontro tutti i partecipanti hanno parlato con Soddu. È stato soprattutto Isoni che è riuscito a convincerlo, sotto la minaccia della spaccatura della corrente morotea. Soddu, poi, ha convinto Demuro ad accettare il piano. Ottenuta l’approvazione di tutti i democristiani, Muledda mi telefona per dirmi che dovevo andare a Cagliari nel suo ufficio alle dieci del 7 gennaio 1982, assieme all’avvocato Ardoin, come delegati del Consorzio Costa Smeralda, per firmare unitamente ai componenti della giunta comunale di Arzachena, presieduta dal sindaco Demuro, il famoso, tanto atteso e sospirato Master Plan.

Dopo la nomina del comunista Muledda ad assessore regionale all’Urbanistica, quelli di Arzachena, venuti a conoscenza degli ottimi rapporti che io intrattenevo con lui, iniziavano una campagna contro il nostro programma, revocando in causa quanto era stato approvato nel 1981 dalla giunta presieduta dall’on. Giagu, che assegnava 12 milioni di metri cubi per tutto il Comune di Arzachena, che era praticamente di 23.500 ettari, con 83 chilometri di coste, di cui 53 chilometri erano nostri. Al Consorzio erano stati assegnati 6 milioni e duecento mila metri cubi.

Muledda l’aveva veramente presa a cuore, perché si era convinto della qualità del nostro piano e dei riflessi importanti che avrebbe avuto per l’occupazione. Fui messo in contatto con l’avvocato Costantino Murgia, comunista, nominato dall’on. Muledda per trattare con noi tutto l’aspetto giuridico della convenzione del Master Plan. Fu un lavoro che si è protratto per oltre un anno, sotto la stretta sorveglianza dell’on. Muledda.

Andiamo a firmare il Master Plan. Telefono all’avv. Ardoin e gli comunico la bella notizia. La risposta di Ardoin è stata: «Avvocato, ma che cosa andiamo a fare?». Non ci credeva. Ho insistito ed alla fine ha accettato.

Viene a prendermi a Roma con l’aereo del principe per andare a Cagliari. Alle dieci precise siamo all’Assessorato all’Urbanistica. Muledda ci riceve, ci saluta e ci dice: «Abbiamo risolto il problema. Anziché assegnarvi 5 milioni e 800 mila metri cubi, siamo d’accordo con la Giunta comunale di Arzachena di darvene 5 milioni e 400 mila, con uno spostamento dal mare di 50 metri per il villaggio che avete previsto per Cala di Volpe, e di 70 metri per quello di Cala Razza di Juncu». A quel punto, vedo che sul tavolo vicino alla scrivania di Muledda c’era il fascicolo del Master Plan, quello che noi avevamo studiato, e che io avevo visto centinaia di volte. Per cui ho detto: «Sono pronto per la firma d’accettazione». Ma l’avvocato Ardoin interviene: «Dobbiamo parlarne con l’Aga Khan». L’assessore fa il gesto: «Prego, telefoni, avvocato». E l’avvocato Ardoin: «No, andiamo all’Hotel Mediterraneo e ritorniamo». E Muledda: «Guardi che all’Hotel Jolly ci sono il sindaco di Arzachena Demuro e tutti gli assessori della sua giunta che aspettano la convocazione per la firma del Master Plan».

«Non un metro in meno». [L’Aga Khan rifiuta l’accordo che per Riccardi era invece un sospirato traguardo]

Quando usciamo dalla stanza di Muledda, nell’ascensore che ci portava dal terzo piano al piano dell’Assessorato all’Urbanistica, io dico ad Ardoin: «Avvocato, ma Lei sta scherzando? Non gli telefoni, non si sa mai che l’Aga Khan non ci autorizzi alla firma, perché prima vorrà valutare meglio il cambiamento relativo all’arretramento dal mare dei due villaggi. Lei sa com’è pignolo, magari si attacca a questo e a quello. Lasci perdere. Se per caso Lei non si vuole assumere questa responsabilità, dica: “Riccardi mi ha fregato. Il solito Riccardi Pasticcione”. Dica quello che vuole: “Mi ha dato dei dati sbagliati ed io ho firmato, purtroppo!”. Dia tutta la responsabilità a me. Mi licenzia?». Era da due anni che avevo deciso di mollare in parte il lavoro. Avevo perso mia moglie, la mia famiglia era sotto minaccia di sequestro, e per questo mi ero trasferito a Roma. Quindi dovevo smettere, magari in maniera graduale. Quando accennavo questo fatto all’Aga Khan ed all’avvocato Ardoin, loro ogni volta mi rispondevano: «Ma noi come facciamo?». «No, avvocato», dico ad Ardoin, «ci ripensi, saliamo su, facciamo telefonare l’assessore, che è meglio». E lui mi dice: «No, faccio io!».

Siamo andati nella stanza 131 dell’Hotel Mediterraneo, che era l’unica che avesse una camera un po’ più grande per le riunioni. In quell’occasione, siccome io non parlo inglese, Ardoin si è messo a parlare inglese per tre quarti d’ora con l’Aga Khan, sottovoce per non farmi capire quello che diceva. Poi a un certo momento si rivolge a me e mi passa il telefono. Io prendo il telefono e parto in quarta. Avevo capito dalla faccia di Ardoin che l’Aga Khan non era d’accordo e non ci autorizzava alla firma: «Lei ha ragione, principe, non un metro in meno, questi mascalzoni di Arzachena!». E l’Aga Khan: «Lei ha detto giusto. Non un metro cubo in meno!». «Ma, principe, l’anno scorso ne chiedevamo al Comune tre milioni e mezzo per averne tre!». L’Aga Khan: «Ho detto che non m’interessa, non mi riguarda!». E io continuavo: «Da dieci anni io ho sempre sentito dire alle riunioni con il suo consulente americano Wheelock, con i suoi studi fatti al computer, che la Costa Smeralda non poteva assorbire più di tre milioni di metri cubi. Cosa ce ne facciamo, principe, di due milioni e quattro in più?». «Ho detto che non m’interessa». E io: «Principe, Le assicuro che farò un anno di lavoro per avere tutto quello che chiede. Però, ne vale la pena? Perdiamo tempo, con tutto quello che dobbiamo fare». «Ho detto che non m’interessa!». E mi chiude il telefono.

Questo avveniva a gennaio. L’avvocato Ardoin ha dovuto telefonare a Muledda dicendo che non avevamo trovato il principe e che si sospendeva ogni decisione.

Poi il 13 febbraio c’è stata la grande litigata a Saint Moritz.

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

L’Hotel “Luci di La Muntagna” prima della costruzione di Porto Cervo Marina

Paolo Riccardi, Alla corte dell'Aga Khan

12
UN FAMOSO PROCESSO

“Italia Nostra” all’attacco. [Le querele del Consorzio Costa Smeralda contro l’architetto Cederna, il presidente di Italia Nostra Giussani, il direttore del “Corriere della Sera” Spadolini e Giorgio Bocca]

Un comignolo tra due massi. [La causa minacciata da parte di Giulia Maria Crespi, azionista di maggioranza del Corriere della Sera]

Giulia Maria Crespi

Giulia Maria Crespi, immagine non nel libro. Prescelse come luogo di villeggiatura Cala di Trana (non lontano da Porto Raphael), dove trascorse tutte le estati.
Su di lei si veda  QUI     –    QUI    –     QUI

13
NÉ CON TE NÉ SENZA DI TE

Quella volta a Saint Moritz [, febbraio 1982]

Una bottiglia di Veuve Cliquot. [La grave lite tra l’Aga Khan e l’avvocato Paolo Riccardi che rassegna le dimissioni]

«Je suis bouleversé». [Ardoin dice a Riccardi che è «sconvolto»]

Quella volta a Saint Moritz [, febbraio 1982]

Avvocato, i malumori con l’Aga Khan come pensa che possano essere iniziati?

Nel periodo invernale facevamo le riunioni due volte al mese. L’Aga Khan veniva per una settimana al mese in Sardegna. Ci convocava a Ginevra o a Gouvieux, oppure a casa sua a Parigi, a rue des Ursins, dietro Nôtre Dame. Era una consuetudine, questa delle riunioni a tre, che è durata almeno tre o quattro anni, forse anche cinque.

Questa volta eravamo all’Hotel Kulm di Saint Moritz. Era febbraio [1982] e lui ci trascorreva un certo periodo di vacanza. L’incontro era fissato a mezzogiorno. Altri impegni non glielo consentirono, e l’Aga Khan si liberò solo alle nove di sera.

Ma c’e un precedente da raccontare. L’Aga Khan andava spesso a Roma e mi chiedeva: «Avvocato, bisogna che Lei mi organizzi delle cene con delle autorità». E allora arrivava a Roma tre o quattro volte a distanza di 15-20 giorni, e ogni volta io organizzavo delle cene con varie autorità. A me faceva anche piacere.

Dove organizzava queste cene e con chi?

Al Grand Hotel di Roma. Invitavo a queste cene, non so, Cossiga, il ministro della Giustizia che era Sarti, Nerio Nesi, che era presidente della Banca Nazionale del Lavoro, Nordio, che era presidente dell”Alitalia”, Formica, ministro dei Trasporti, Coccioli, che era presidente della Banca San Paolo di Torino (nostro consulente per il Master Plan), e altri.

Riferendosi a queste cene, quella sera a Saint Moritz l’Aga Khan a un tratto mi fa: «Avvocato, siccome devo venire a Roma, vorrei incontrarmi con il presidente del Consiglio Spadolini per parlargli dei problemi dell’Alisarda”. Ci accusano di avere degli aerei in affitto che sono immatricolati in Svizzera. i sindacati se ne preoccupano e allora sono disposto a trasferire tutta la proprietà qui in Italia. A una condizione, però. Siccome in Svizzera ci danno un prestito al 10% e in Italia ti chiedono il 20-21%, non ci conviene. Se lo Stato italiano ci pratica un abbattimento di questi interessi al 10%, io trasferisco immediatamente gli aerei qui in Italia, in proprietà, anziché in affitto, all” Alisarda”. Mi prepari un incontro». Avevo già le idee chiare, perché avevamo sottoposto il problema a molti amici influenti, senza però entrare nel dettaglio del problema finanziario.

Poi è stata una trasferta sfigata, o no?

Il giorno fissato sono andato a prendere l’Aga Khan all’aeroporto. C’era anche l’avvocato Ardoin. Siamo arrivati puntuali. Ci viene incontro trafelato (allora non esistevano i cellulari per prendere i contatti) l’ambasciatore Berlinguer: «Purtroppo, principe, il presidente Spadolini si scusa tanto, ma è dovuto partire urgentemente per Milano perché è morta la madre della Mondadori. Lui è stato tra l’altro fidanzato con la figlia della Mondadori. È dovuto partire urgentemente, si scusa».

L’Aga Khan l’ha presa molto male. Era veramente furioso. Ma non ha detto nulla. Siamo andati all’Hotel Excelsior, in attesa della riunione delle tre con l’on. Formica. Per precauzione ho telefonato alla segretaria di Formica, la signora Volpe, per dirle: «Allora confermiamo per le tre precise oppure c’è uno spostamento?» «Si, avvocato La stavo cercando: purtroppo l’on. Formica non può riceverVi».

È stata una botta pazzesca! Il principe è partito su due piedi. lo vado a parlare con Formica. «Rino, ma che cavolo è successo?». Formica mi risponde: «Ma, abbiamo litigato con un ministro democristiano: ha avuto un ictus ed è ancora in coma. Poi sono andato a “Mondo Operaio” che dovevo dargli una risposta, c’è stata una polemica sui giornali e non ho potuto ricevervi. Guarda, Paolo, quando vuoi, andiamo per un fine settimana a Parigi a incontrare l’Aga Khan e buona notte. Tranquillizzalo».

Vado anche a trovare Spadolini, che mi dice: «Avvocato, sono veramente mortificato. Faccia venire l’Aga Khan quando vuole. Se sono in consiglio dei ministri, mi alzo e vengo immediatamente. Una vergogna, mi deve scusare».

Questo succedeva quando?

Sarà stato il 1981. Spadolini mi ha fatto chiamare a Palazzo Chigi: «Avvocato, ma che cosa volevate?». «Eravamo venuti per portarLe questi appunti preparati dall’Aga Khan». «Avvocato, se può darmeli, me li dia che comincio a lavorarci sopra. Così quando viene la prossima volta abbiamo già un indirizzo». Erano appunti, per la verità, che avevo già consegnato a 500 o 600 tra deputati e consiglieri regionali.

Una bottiglia di Veuve Cliquot. [La grave lite tra l’Aga Khan e l’avvocato Paolo Riccardi che rassegna le dimissioni]

Torniamo a Saint Moritz.

Nell’elenco delle cose che si dovevano discutere prioritariamente quel giorno a Saint Moritz, siccome ero creditore di somme abbastanza rilevanti, avevo messo al primo punto: «Competenze avv. Riccardi». Nelle precedenti riunioni, quando alla fine dell’elenco delle cose da fare si arrivava al punto delle mie spettanze, il principe mi diceva: «Avvocato, adesso ho fretta. La prossima volta». Un anno con questa tiritera. Allora, per evitare altri slittamenti, questa volta le mie competenze le avevo messe in elenco per prime.

Leggiamo la nota delle cose da discutere: «Competenze avv. Riccardi». Il principe fa: «Avvocato, abbiamo aumentato il Suo stipendio». «La ringrazio, ma aspetto ancora il premio per la battaglia che ho fatto per ottenere la Cagliari-Milano, per la quale Lei mi aveva promesso un compenso di 25 milioni di lire. Ma io l’avevo rifiutato». «Avvocato, ho dato incarico all’avvocato Ardoin di trattare la questione del premio con Lei».

Altro punto della lista: «Consegna documento a Spadolini». Gli riferisco del grande rammarico di Spadolini per il mancato appuntamento. Dico che il presidente era pronto a riceverLo in qualunque momento. Riferisco l’incontro con l’on. Formica e dico che è disposto a venire a Parigi in qualsiasi momento. Arriviamo poi ad altri due o tre argomenti. Lui in silenzio, parlavo solo io. In venti anni non ha mai alzato la voce, mai un atteggiamento ostile, mai. Improvvisamente, grida: «Qual è questo documento che ha consegnato a Spadolini?». Guardo Ardoin. Quello si era incappucciato. Io però reagisco immediatamente. Mi son detto: “Questo sta montando una storia di gelosia”. Chissà, deve aver pensato che io non volessi farlo incontrare con Spadolini e con Formica! Che avessi organizzato il tutto per chissà cosa! Per tenermi i contatti in esclusiva? Gli ho detto: «Principe, si ricorda di quel documento di un paio di mesi fa, dell’appunto sull’Alisarda”?» L’Aga Khan: «Come si è permesso, Lei, di dare ad altri un documento mio?». «Principe gli ho replicato ridacchiando -, sono il presidente dell”Alisarda”!». Lui si rivolge ad Ardoin e chiede, alzando sempre più la voce: «Lei lo sapeva?». Ardoin abbassa la testa annuendo. Questa affermazione silenziosa di Ardoin ha fatto scattare il principe: «Basta, non tollero più! Venti anni di errori in Sardegna!».

A quel punto scatto: «È vero, venti anni di errori. Ma questo è l’ultimo che fa!». Glielo dico col dito messo così, sotto il naso: «Questo è l’ultimo errore che fa con l’avvocato Paolo Riccardi!». Mi alzo e prendo la borsa: «Domani avrà le mie dimissioni!».

Me ne vado in camera mia. Mi apro una bottiglia di Veuve Clicquot e dico a me stesso: «Finalmente! Cavolo, è durata venti anni!». Per carità, il principe mi ha offerto tante gratificazioni. Però era interve nuta la stanchezza. Mia moglie era morta nel 1980. I miei figli si erano dovuti trasferire a Roma per il pericolo dei sequestri. Io volevo andare via da tempo, restando come consulente, perché non potevo più sostenere un impegno quotidiano. Ecco perché mi sono detto: «Basta!». Avevo già tentato di sganciarmi. Quando io gli proponevo di passare alla consulenza e mollare quell’assillo continuo, lui mi incalzava: «No, non mi faccia questo, avvocato. Aspettiamo, vediamo».

«Je suis bouleversé». [Ardoin dice a Riccardi che è «sconvolto»]

Dopo un quarto d’ora dalla quasi-rissa, telefonata dell’avvocato Ardoin. «Maître, je suis bouleversé». E io: «Avvocato, io invece sono felice. Venga, beva un goccio. Lo faccia anche Lei, che così forse vivrà meglio». «Avvocato, lasci… la richiamo». Dopo tre quarti d’ora mi richiama con lo zuccherino. «Avvocato, l’Aga Khan l’avvicenda all”Alisarda”. Però le aumenta lo stipendio». Replico: «Lui mi deve chiedere scusa. Siccome lui non lo farà, io rimango nelle mie posizioni». «Ma domani mattina Lei cosa fa?». «Domattina dovrei rientrare a Milano col taxi, poi parto per la Sardegna». «No, non vada via, ne parliamo domani».

Sapevo che maître Ardoin andava a sciare con la moglie, che era anche lei a Saint Moritz e che a mezzogiorno aveva appuntamento con l’Aga Khan. Gli suggerisco: «Venga alle 11, non c’è bisogno che venga alle 8». «No, no, vengo puntuale alle 8». Arriva, un cadavere. Maramaldeggio: «Avvocato, cosa è successo?». «Ho passato una notte orribile». «Ma perché? Io sono così felice e Lei si preoccupa?». «Sono molto preoccupato per la Sua immagine». «Come? La mia immagine! Lei sbaglia, maître Ardoin. Lei si deve preoccupare dell’immagine dell’Aga Khan. Sappia che in Sardegna tantissime volte Riccardi, assumendosi responsabilità che non erano sue, l’ha messo su un piedestallo. Da quel piedistallo lo governí Lei». Assumendo un tono realistico, lui chiede: «Ma, avvocato, come faccio io con questi della Regione?». Pulsa il cuore che batteva in un certo modo nei venti anni: «Io una mano gliela do. Volentieri, ma a un patto: che abbia la parola d’onore dell’Aga Khan, vengo anche gratis, per continuare a coordinare quel che ho fatto e portarlo a termine: ma che nessuno lo sappia! E che venga il suo aereo a prendermi a Roma. Che l’autista mi porti dove devo andare. Perché io sono stanco, ormai. Mi metto in pensione. Sono un pensionato!». «Sì, avvocato, d’accordo».

Dopo questo accordo, andiamo due o tre volte a Cagliari. La prima volta vado all’aeroporto di Olbia a prendere l’avvocato Ardoin. L’Aga Khan mi vede, passa in fretta come sempre, mi saluta sorridente: «Avvocato!». Parlo a lungo con Ardoin. Prendo l’aereo e rientro a casa a Roma.

La seconda volta è venuto a prendermi l’aereo dell’Aga Khan. Anche la terza volta. Alla terza volta stavamo quasi per riuscire a chiudere positivamente con Cagliari. L’impegno che avevamo preso reciprocamente era di non dire niente in giro della nostra litigata. Se lo venivano a sapere in Regione mi avrebbe ostacolato quando andavo a trattare per conto dell’Aga Khan.

Eppure la storia si è saputa presto, almeno dentro il Consorzio.

È stata una mascalzonata di qualcuno molto vicino all’Aga Khan. I patti sono stati rotti. Pisati, quando ci siamo visti a Porto Cervo, è saltato fuori con: «Sa, dopo quello che è successo, dato che Lei non c’è più…».

Immediatamente telefono all’avvocato Ardoin e gli dico: «Avvocato, l’ha detto Lei che io non lavoro più per voi?». Dice: «Ma sta scherzando? Io le do la mia parola d’onore che non l’ho detto a nessuno». «Ma allora chi ha parlato è il signor Aga Khan. Evidentemente ha parlato con qualche amico o amica!». «Vengo immediatamente. Domani ci vediamo». «No, maître Ardoin, è inutile che Lei venga. Ormai il pasticcio è fatto, grattatevelo voi il Master Plan». E da quel momento è veramente finito tutto.

Alla Corte dell'Aga Khan

INDICE DEL LIBRO

Presentazione, di Sergio Berlinguer
Storia di un grande feeling, di Pino Careddu
Un po’ di preistoria

1. UN HIDALGO DI NOME RAPHAEL (vedi QUI ⇒)

Prima dell’Aga Khan
La spiaggia sognata
I calcoli del banchiere rumeno
L’hidalgo e il Presidente
Effetto eco per la nobiltà inglese
Una tasca bucata e l’angelo custode
Gente a mare
Il nudo di casa

2. ALLA CORTE DELL’AGA KHAN
I piani turistici
«Abbiamo una necessità urgente»
Liscia Ruja e Rena Bianca

3. SEGRETARIO GENERALE
Atto terzo
Chi rema contro
Dalla collina di Porto Cervo
Una cittadinanza onoraria
Un uomo che aveva tempo per tutto
L’avvocato Ardoin e il principe incontenibile

4. IMPARANDO A VOLARE
L’ “Alisarda”
«Visto, Romiti»
Atterraggio con pecore
In lotta al Ministero
Al Procuratore della Repubblica
Un amico al governo
Si chiamava Venafiorita
Nordio ci viene in aiuto
Parleremo anche con i comunisti
Cercando altre linee
Una foto a cavallo
La tessera di partito
Un aiuto comunista

5. IL PORTO, L’ACQUA, LE STRADE
Il Porto Vecchio
«Avvocato, vuole la guerra?»
La diga del Liscia
La Cassa per il Mezzogiorno
La scarpa bucata
In teleferica
Il principe nullatenente
Le nuove società
Storia dell “Acquasarda”

 6. TUTTI GLI UOMINI DEL PRINCIPE
Una piccola Trimurti
L’avvocato André Ardoin
Il signor Felix Bigio
Il signor René Podbielski
Il dottor Mentasti
Il dottor Peter Hengel
Patrick Guinness
Il “parroco dei ricchi”
Pino Careddu, un amico

7. GLI ARCHITETTI DELLA COSTA
Il Comitato di architettura
Un Regolamento severo

8. PALCOSCENICO DELLA COSTA SMERALDA
La selezione
Nicol Bertorino
Un Savoia sulla spiaggia
Il presidente Trudeau
Iva Zanicchi
Alberto Sordi
Adolfo Sarti
Il presidente Cossiga
La principessa Salima
La principessa sul battello
Pierino Tizzoni

9. CUBATURE, CHE PASSIONE
La “guerra dei piani”
Il Sindaco buono
Una visita in campagna
Il progetto Cala Razza di Juncu

10. ALTRI PROGETTI, ALTRE DIFFICOLTÀ
«Due pesi e due misure»
Il Casinò a Porto Cervo

11. STORIA DEL MASTER PLAN
La legge urbanistica
Aspettando una firma
«Non un metro in meno»

12. UN FAMOSO PROCESSO
“Italia Nostra” all’attacco
Un comignolo tra due massi

13. NÉ CON TE NÉ SENZA DI TE
Quella volta a Saint Moritz
Una bottiglia di Veuve Cliquot
«Je suis bouleversé»

14. LA FINE DOPO LA FINE
Le trattative
Qualche errore sulla Costa
Un lungo addio

APPENDICE
La stagione dei sequestri. Ricordo del giudice Lombardini
Cronologia degli eventi

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