Usi e costumi
di Vittorio Angius – a cura di Guido Rombi
Sollazzi comuni. Il ballo e il canto e l’armonia degli strumenti e delle voci si sentono spesso nel silenzio della notte nelle contrade dove i giovani hanno le loro belle. Nelle feste principali si corre il palio, e le più solenni corse sono a Tempio per San Paolo primo eremita, e il giorno dopo per la Vergine di Buon cammino. Nel carnevale è un gran fervore per correre in maschera.
Costumanze. Nella solennità dei matrimoni si radunano le parentele per trattare tra loro l’alleanza e la fede data dal giovane, e il costumato bacio è un legame che nessuno potrebbe sciogliere fuorché la fidanzata.
Quindi si balla allegramente e spesso intervengono i cantori. Nelle nozze poi vi è consuetudine che gli invitati dello sposo nel partirsene bacino la sposa, lasciandole allo stesso tempo cader dentro il seno un qualche pegno o una moneta di valore. Nessun altro, senza che suonasse una enorme ingiuria, oserebbe altrettanto.
Li vigiatogji (le veglie). Di nuovo i parenti si radunano in occasione delle nascite e passano la notte in banchetti e in sollazzi. Spesso si allunga la festa a tre notti.
L’attitu (il compianto). Le cantatrici, insieme con le parenti più prossime della persona defunta, si dispongono vicino ad essa intorno al cataletto vestite di scuro con un gran velo dello stesso colore sopra quello di color bianco che copre il seno e cinge la faccia così come usano le monache. (Si veda la vera immagine nell’Atlante aggiunto al primo tomo del Viaggio in Sardegna del gen. La Marmora).
Lavori festivi. Lu graminatogjiu (il carminatoio). Nella stagione dei fiori, dopo il tosamento delle pecore, si effettua la carminazione.
Pronte all’invito accorrono all’opera, vestite quanto meglio possono, le fanciulle del vicinato e della parentela: si accosciano in semicircolo in mezzo alla sala adornata e profumata da eleganti vasi di fiori scelti, ricevono la lana già lavata e cominciano il lavoro.
Fintamente occupate in questo lavoro canticchiano, con intorno uno o due suonatori e un compositore di canzoni. In questo concorrono i giovanotti innamorati con strumenti musicali e bei mazzetti che, affannati, vanno avanti uno dopo l’altro ad offrire il fiore alle fanciulle amate, accompagnando l’offerta con una o più strofe, o con una continuazione arbitraria di versi.
La bella che riceve il fiore deve rispondere con altra strofa e “cantare, come esse dicono, il fiore”, o fare le veci di una compagna. Finito il lavoro si balla, ma spesso amano danzare più alla moda continentale che a quella nazionale di girare in cerchio tenendosi per mano (“carola”).
Tutti i viaggiatori amano vedere questa festa, e la vide pure Re Carlo Alberto nel 1829.
Ecco una canzone che fu improvvisata da un giovane nell’offrire il suo fiore alla sua diletta:
“Bona sera, bona genti, Chi Deiu fozzia cuntenti Canti so’ in chistu allogju E in chistu graminatogjiu. In bo’ locu socu datu; E forsi ch’aggiu incuntratu La bedda ch’era cilchendi? Più di tre ori arrugiendi? Si non m’inganna la cara, Chici c’ha la bedda rara… Non mi possu ingannà più: Già viccu be’ chi se’ tu, Antonia Mirella sei In Tempiu dapparedda! Malanchi! cantu sei bedda Se’ digna d’essè amata. Cun resoni se’ invidiata, Ca troppu ti vanta la fama. Frittu è chiddu chi no ama La to biddesa custanti. E in me tu chistu amanti Arè si cun amori Ti digni recì lu fiori”.
Lu valcatogjiu. Nel tardo autunno, quando le lane carminate sono già in gran parte tessute, si effettua l’operazione del pestamento. Anche questo viene fatto da fanciulle invitate, e termina con la carola, cui concorrono gli innamorati con cetre, violini e flauti.
Li binnenni (le vendemmie). Pure il taglio delle uve è operazione delle donne. Perciò si fa invito alle fanciulle nubili, che non evitano la fatica per amore del solito conseguente sollazzo. Esse quasi sempre sono aiutate nella fatica dai giovani, e poi avviano le danze.