V.7 – La corsa “di la rucca”

di Maria Azara

La particolarità degna di maggior rilievo è lu gjocu oppure la currita di la rucca (186) (la corsa della conocchia) che non si fa in occasione di l’abbracciu e che avviene, invece, generalmente al mattino delle nozze (187).

(186). Il DE ROSA F., op. cit., pag. 83, ricorda la cerimonia della conocchia presso i Franchi.

(187). Prima che il corteo si rechi in chiesa la madre, chiamata a parte la sposa, le dà una particolare benedizione e saggi consigli sul comportamento che deve tenere durante la cerimonia e poi e sempre con lo sposo.

Ai cavalieri di la palti di l’ómu che, nella vigilia hanno fatto la cavalcata di assalto allo stazzo, si uniscono quelli di la palti di la fèmina, cosicché la cavalcata diventa molto numerosa e il colpo d’occhio che essa offre è veramente magnifico. Alla varietà dei vivaci colori dei costumi si unisce la irrequietezza dei cavalli che devono, necessariamente, scalpitare, anche se sono molto mansueti, per effetto degli strappi di briglia e dei colpi di sperone regalati loro dai cavalieri, i quali dimostrano la propria vivacità con grida di gioia e con motteggi reciproci, ai quali partecipano le donne che, per lo più, stanno a gruppéra (188) sui ricchi striglioni, ma qualche volta cavalcano anche baldanzosamente da sole.

(188). Per la gruppera si veda a pagina xxx

La sposa è a gruppéra sul cavallo guidato dal padre, mentre lo sposo cavalca a fianco.

Per la rucca si corre in due modi, uno molto semplice, l’altro più complicato e pericoloso. Nel primo la cavalcata a un certo punto della strada si arresta e sono scelti i due migliori cavalieri, uno in rappresentanza dello sposo e l’altro in rappresentanza della sposa. Questa, col padre, procede innanzi per il tratto di strada prestabilito, e il padre volta il cavallo trasversalmente sul ciglio della strada, in modo che la sposa possa sporgere su questa, col braccio allungato, la rucca, cioè una conocchia nuovissima non ancora usata, ornata di cinque nastri dai vistosi colori (rosso, bianco, verde, giallo, celeste).

Appena si accertano che la sposa ha steso il braccio, partono contemporaneamente i due. Chi, primo fra essi, prende, passando, la rucca vince, per la propria parte, la gara, che dà al vincitore e ai suoi un sentimento di orgoglio, e che si traduce invece in beffe per gli altri durante tutta la giornata. La sposa regala al vincitore uno dei cinque nastri che ornano la conocchia e che costituisce per lui un titolo d’onore. La conocchia è messa sulla testata del letto nuziale.

L’altro modo di jucà la rucca ha questo svolgimento: quando i cavalieri caracollano attorno al cavallo del padre della sposa, questa che sta con lui, come ho detto, a gruppera, consegna la rucca, a suo arbitrio, a uno dei cavalieri della propria parte, che scappa immediatamente per la strada che conduce alla chiesa. Tutti gli altri cavalieri gli si lanciano dietro: quelli di la palti di l’ómu cercano di raggiungerlo, quelli di la palti di la fèmina tentano, mettendosi in mezzo, di impedire che ciò avvenga. Se il detentore della rucca è raggiunto e toccato (non occorre toccare la conocchia, basta toccare almeno la coda del cavallo), la rucca passa a colui che lo ha toccato e le parti si invertono. Il gioco continua sulla via del ritorno e vincitrice è dichiarata la palti del cavaliere che è in possesso della rucca al momento dell’arrivo sul piazzale dello stazzo. Come nel precedente gioco la sposa regala il nastro al vincitore.

Ho detto sopra che il secondo gioco è pericoloso, perché non sempre il cavaliere che tiene la conocchia segue la strada nella corsa. Spesso, anzi, salta qualche siepe o muro e si lancia nei campi e, peggio, nei boschi. Gli ostacoli naturali divengono allora frequenti e difficili e sono aggravati dalla furia della galoppata e dei cavalieri che, eccitati dalla gara, si urtano anche tra loro procurandosi danni, quando questi non sono determinati dall’urto contro qualche albero. Ma è ben raro che un cavaliere, se non si è ferito, sia disarcionato. Non è raro invece che fra i concorrenti si trovi qualche ardita pastora.

Sembrano centauri questi baldi cavalieri e sembrano anche… diavoli scatenati durante la gara, che può lasciare lieviti di ripicchi e di malumori, i quali, oltre che nei motteggi durante le feste matrimoniali, trovano sfogo, successivamente, con conseguenze non sempre lievi. Il pericolo dei danni e delle liti fra le due parti contendenti dovrebbe portare alla sostituzione della prima forma di gioco alla seconda come i vecchi assennati cercano sempre di fare, ma spesso prevalgono lo spirito battagliero e l’ardimento dei giovani.

Nei pressi della chiesa il corteo si ricompone. Lo sposo, solo o avendo la madre della sposa a gruppéra, cavalca alla sinistra di la gruppéra, costituita dal padre e dalla sposa, cioè dal lato verso il quale questa è seduta. Dall’altro lato cavalcano in gruppéra il padre e la madre dello sposo (189).

(189). Spesso, però, la madre dello sposo resta a casa per attendere il ritorno del corteo e gettare il grano del buon augurio sugli sposi.

Subito dopo viene, quando lo sposo cavalca solo, la madre della sposa, sola o a gruppéra con qualche parente, e poi tutti gli altri in gruppo più o meno serrato a seconda degli umori che derivano dalla corsa poco prima fatta.

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