La razza

di Silla Lissia

Dalla Presentazione di Guido Rombi – Col secondo capitolo, LA RAZZA, Silla Lissia entra, nel vivo dell’analisi scientifica esponendo le caratteristiche razziali della popolazione alla luce dell’esame di duecento crani raccolti in vari cimiteri della Gallura (Aggius, Calangianus, Luras, Tempio). Risulta che le forme prevalenti erano la elissoidale e la ovoidale, con qualche rara mescolanza di forma sferoidale (a Calangianus e Luras), e che la grandissima maggioranza di questi crani era dolicocefala (soprattutto a Tempio e Aggius). Inoltre s’apprende che il gallurese aveva un’altezza media di 1,625 — con una percentuale del 22% al di sotto di m. 1,60 e del 12% al di sopra di m. 1,70 —, e fosse di tipo bruno per il 60,5% della popolazione (il tipo biondo rappresentava il 5,9%).

Non è facile impresa, nella insufficienza delle ricerche paleoetnologiche, risalire ai primitivi abitatori della Sardegna attraverso le tante creazioni fantastiche della leggenda. Tutti i popoli antichi amavano collegare la loro origine ad una divinità, ed il popolo sardo ha legato la sua a diversi semidei o figli di semidei.

I più antichi monumenti sardi attestano solamente di un popolo che ha già raggiunto un certo grado di civiltà e che conosce l’uso dei cereali. Nella stazione litica presso Osilo scoperta dal prof. Mantovani, si sono trovate infatti alcune macine di basalto, le quali dimostrano che quel popolo coltivava i cereali.

Dalle varie scoperte di stazioni litiche parrebbe che la Sardegna fosse già abitata nell’età archeolitica e che i suoi abitanti fossero venuti dal di fuori. Nella stazione litica di Osilo si è trovato un oggettino di roccia serpentina verde cupo, la quale non esiste in Sardegna; ed il Güin afferma che quasi tutti gli oggetti dell’età della pietra rinvenuti nell’isola sono di rocce che non si trovano in Sardegna[1]. Le stazioni litiche di Osilo e di Cagliari possono essere reputate terramare primitive e gli oggetti rinvenuti tanto in queste terramare come nelle caverne e la costruzione stessa delle caverne accennano all’origine ligure dei primi abitatori di Sardegna.

Di tre generi sono i monumenti che nel loro linguaggio muto ci parlano degli antichi popoli della Sardegna: le caverne, i megaliti ed i nuraghi. Questi ultimi sono i più numerosi ed i più diffusi in tutta l’isola. L’Ardu-Onnis crede che questi tre generi di monumenti, per la comunanza del loro carattere fondamentale, rivelino una stirpe unica; ma guidato o fuorviato dalle analogie è portato ad ammettere che questi monumenti possano essere espressione di tre diverse popolazioni provenienti da tre diverse località: dal sud, dall’ovest e dall’oriente, sebbene tutte di sangue camitico.

Ora io non credo sia necessario pensare a tre diverse popolazioni venute nell’isola da tre diversi punti per spiegarci la successione dei monumenti e le analogie di essi con altri posti in diverse regioni. Ammessa l’unità primordiale della stirpe che innalzò questi vari monumenti analoghi nelle varie regioni, non è poi a meravigliarsi della loro analogia. Né a spiegare il passaggio da un genere all’altro dei monumenti credo sia necessario l’intervento successivo o contemporaneo di diversi popoli a civiltà diversa.

Le descrizioni che di detti monumenti ne fanno il La Marmora e l’Ardu Onnis stesso, oltre il carattere fondamentale della grandiosità e dell’uso per la inumazione, ci rivelano anche il tratto architettonico comune che spiega la successione di uno all’altro. Il passaggio dal cromlech alla tomba di gigante e da questa al nuraghe non è che questione di grado. Le pietre sparse attorno ai cromlechs e ai menhir danno luogo più tardi alle piccole mura costruite a secco con pietre grosse nelle tombe di giganti, e questo muro elevandosi diventa più tardi il nuraghe semplice. Del resto lo stato di isola, in tempi nei quali non era molto facile il trasportarsi in grandi masse lungo le vie del mare, e l’evoluzione dei nuraghi stessi ci offrono un argomento di riprova.

I nuraghi sono tutti costruiti secondo un tipo architettonico comune; ma la differenza tra il nuraghe semplice ed il nuraghe composto, tra il nuraghe costruito con pietra grezza e quello costruito con pietra lavorata e tagliata è tanta che gli autori hanno potuto sbizzarrirsi nelle più varie interpretazioni della loro funzione. E tuttavia non è necessario ricorrere alla immigrazione successiva di varie popolazioni di una medesima stirpe ma provenienti da diverse località con civiltà diversa, per la diversità dei nuraghi. Questi non sono l’opera di poche generazioni né di un solo secolo, ma vennero innalzati per lunghissimo periodo di tempo da popolazioni, si modificavano man mano per le condizioni morali e politiche. Ed è giusto pensare che a seconda delle condizioni e dei bisogni mutati tralasciassero di innalzare una data classe di edifici e ne innalzassero un’altra adattata ai nuovi bisogni[2].

Così mi pare giusto pensare che quello stesso popolo che dapprima inumava nelle caverne, costruisse poi i menhir ed i cromlechs e le tombe dei giganti e poi i nuraghi secondo l’evoluzione lenta e progressiva delle sue idee religiose e morali.

Ma quale era questo popolo? Abbiamo già visto come la somiglianza delle suppellettili trovate nelle terramare e nelle caverne ha fatto pensare ad una popolazione di origine ligure. Ma la analogia dei cromlechs sardi con i bazina dell’Algeria; i confronti dei nuraghi con certi monumenti analoghi, che numerosi si trovano pure nell’Algeria e nell’Africa settentrionale, e coi talajot delle Baleari; la distribuzione geografica dei nuraghi, numerosi a sud ed ovest e scarsi a settentrione e ad est della Sardegna, e d’altra parte l’assenza di simili monumenti in Corsica, in Italia ed in Spagna hanno condotto alla convinzione che il popolo sardo più antico sia venuto dall’Africa.

L’inferiorità dei monumenti africani, dice il Martin (citato dal Sergi e dall’Ardu-Onnis) lascia supporre che le necropoli africane siano state costruite in età anteriore ai monumenti analoghi d’Europa. Se ne indurrebbe quindi la verosimiglianza dell’opinione che il popolo costruttore di questi vari monumenti partisse dall’Africa e raggiungesse uno stadio di civiltà più avanzata nelle varie regioni nelle quali si fermò, e da qui la perizia maggiore nell’innalzare i monumenti.

Dell’origine africana dei popoli sardi del resto è antica la tradizione. Sardo, colui dal quale prese nome la Sardegna, era figlio di Ercole libico e venne nell’isola in un tempo antichissimo con numerosa gente libica. Pausania, parlando degli Iliesi, dice che nell’aspetto, nel genere di vita e nelle armi rassomigliavano ai Libi. Cicerone stesso, nel difendere Scauro, accennò all’origine africana dei popoli sardi, come argomento di inferiorità. Che i Shardana dell’iscrizione egiziana del monumento di Carnak ed i Shardana del poema dello scrivano egizio Pentaur, siano i sardi venuti dalla Sardegna secondo lo Chabas o indichino tribù libiche come vuole l’Halevy, rimane sempre evidente l’origine libica dei popoli sardi. Ed è questo fatto concorde con la leggenda di Sardo.

Le recentissime ricerche antropologiche del Sergi poi non solo ci hanno confermata l’origine africana dei popoli sardi, ma ci hanno indicata pur anco l’età approssimativa della venuta dei popoli africani. Verso una età assai remota e probabilmente l’archeolitica, un gruppo di popoli africani, che prese poi il nome di Liguri, si sarebbe staccato dal ceppo originario libico ed attraverso la Sardegna si sarebbe portato nel continente italiano.

Più tardi, sul finire dell’età della pietra e sul principio di quella del bronzo, ai primitivi liguri si sarebbe aggiunta un’altra immigrazione pelasgica[3]. Dimodoché all’età del bronzo la Sardegna sarebbe stata abitata da una popolazione mista di Liguri-Pelasgi.

Queste conclusioni del Sergi parrebbero avvalorare l’opinione dell’Ardu Onnis, il quale crede appunto alla invasione successiva di tre diverse popolazioni che, provenienti a diverso grado di civiltà da diversi luoghi, avrebbero innalzato la varietà dei monumenti sardi antichi. Ma senza abbandonare l’opinione mia espressa più sopra, credo di poter limitare l’influenza dei Pelasgi a quella variazione di costruzione che si riscontra nei nuraghi, cioè al mescolarsi della costruzione ciclopica alla costruzione lineare. Quindi la successione dal dolmen al nuraghe rimarrebbe sempre inalterata.

Ad ogni modo per le molteplici ricerche concordanti questo pare si possa oggi affermare, che i più antichi popoli sardi sono liguri, un ramo cioè della schiatta libica.

I nomi, con i quali questi popoli sono arrivati alla storia, sono quelli di Balari ed Iliesi o Iolaesi. La leggenda veramente ne fa due popoli diversi, ma evidentemente essi sono i due gruppi superstiti dell’antico popolo costruttore dei nuraghi. Scartata senz’altro l’opinione di quegli storici che accettano la leggenda – basata su un’analogia linguistica non accertata né accertabile secondo la quale i Balari sarebbero stati un gruppo iberico di mercenari cartaginesi ribelli fuggiti sui monti –, mi pare debba accettarsi l’opinione di E. Pais che assimila i Balari agli Iliesi. Secondo quest’autore dopo la conquista cartaginese agli indigeni non rimasero che i paesi montani e cioè la Gallura ai Corsi, il Nuorese, le Barbagie e l’Ogliastra ai Balari ed Iliesi[4]. I Balari pertanto costituirebbero con gli Iliesi il popolo indigeno di Sardegna. È da notare che Iolao è una divinità libica e che quindi molto verosimilmente gli Iliesi o gli Iolaesi nella divisione per tribù presero il nome di questa divinità, come i Balari presero il loro nome da qualche altra divinità o fatto caratteristico della vita di quel popolo. E che il nome di Balari sia quello di un altro gruppo di popoli africani venuti in Sardegna, si induce dal nome delle isole Baleari nelle quali si trovano anche quei talajots che sono tanto simili ai nostri nuraghi.

Nessun altro popolo indigeno ci appare dalla leggenda e dalla storia che non siano i Balari e gli Iliesi, i quali sarebbero i costruttori dei nuraghi. Né i Corsi né gli altri popoli che la storia pone come colonizzatori della Sardegna han potuto costruire i nuraghi, e non hanno quindi potuto precedere i Balari e gli Iliesi che sono i primi popoli coi quali han dovuto combattere i Cartaginesi. Gli Iliesi occuparono la parte meridionale ed i Balari la parte settentrionale dell’isola.

Il popolo primitivo di Gallura devono quindi essere stati i Balari. Ma in un’epoca abbastanza lontana ne furono in gran parte cacciati dai Corsi; i quali, fuggendo le intestine discordie, in discreto numero vennero in Gallura e respinsero innanzi a loro i Balari. Ricacciati verso il sud, i Balari conservarono tuttavia una parte della Gallura e probabilmente tutta quella zona che si estende dall’attuale Balaiana o Balariana verso il sud.

A quanto pare il Pais, contrariamente a tutti gli altri storici, esclude dal territorio gallurese la presenza dei Balari. Ma la ragione che questo illustre storico dà a conforto della tesi non è accettabile. Infatti egli è indotto a negare la presenza dei Balari in Gallura dalla scarsezza dei nuraghi in questa regione. Prima di tutto non è poi affatto vero che i nuraghi in Gallura siano tanto scarsi come lascia supporre il Pais; ed in secondo luogo non è il numero dei monumenti che attesta della presenza o meno di un popolo su un dato territorio, ma piuttosto la specificità di essi. E molti o pochi, in Gallura di nuraghi se ne trovano: e dobbiamo quindi ammettere la stanza dei Balari in questa regione.

Dopo i Corsi, una piccola porzione della Gallura fu occupata da una colonia greca di Focesi che fondarono Olbia sulla costa orientale.

Negli albori della storia sarda e prima della conquista cartaginese la Gallura era dunque abitata da tre popolazioni diverse: Balari, Corsi e Greci. I Corsi occupavano la maggior parte del territorio avendo ad est i Greci ed a sud-ovest i Balari.

Ma se diversi sono i nomi e diverse le civiltà di queste tre popolazioni, la razza però è unica. Che i Balari siano i discendenti puri di quei liguri che nell’età della pietra occuparono la Sardegna, o di quei Pelasgi che sul finire di quest’età si aggiunsero ai liguri, od un misto degli uni e degli altri, rappresentano sempre un’unità di razza, perché tanto i liguri che i pelasgi sono due rami della medesima razza mediterranea[5].

I Corsi non sono che dei liguri ed i Greci appartengono ai Pelasgi: quindi ab antiquo una sola razza ha abitato la Gallura, sebbene con nomi etnici diversi. E questa unità di razza si è mantenuta fin oggi nonostante le varie e successive dominazioni straniere.

Dall’esame di circa duecento crani, raccolti in vari cimiteri antichi e nuovi della Gallura, mi risulta che le forme craniche prevalenti sono due: la elissoidale e la ovoidale con qualche rara mescolanza di forma sferoidale (a Calangianus 2%, a Luras 21,2%). La grandissima maggioranza di questi crani è dolicocefala, e la dolicocefalia è maggiore a Tempio e ad Aggius.

PAESE INDICE CRANICO – percentuali
75 in giù 75,1-80 80,1-85 Medio
Aggius 75,8 24,1 0 72,9
Calangianus 62,2 31,1 6,6 73,6
Luras 66,6 27,7 5,5 73,5
Tempio 79,2 18,8 1,8 72,8
Gallura 71,7 24,8 3,4 73,2

Secondo la classificazione del Sergi[6], quindi, la maggioranza della popolazione gallurese appartiene alla razza mediterranea. Ma, o che si voglia adottare la classificazione del Sergi o quella più comune degli indici cranici, l’unità di razza è sempre evidente.

Il Gallurese è dunque dolicocefalo, alto, bruno, dagli occhi e dai capelli oscuri. La statura media è di m. 1,625 con una percentuale di 22,6% per le stature al disotto di m. 1,60 e di 12,1% per quelle al disopra di m. 1.70. Il tipo bruno rappresenta il 60,5% della popolazione ed il tipo biondo il 5,9%[7].

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[1] E. Ardu-Onnis, La Sardegna preistorica. Note di paleotnologia, in «Atti della Società Romana di antropologia», vol. V, fasc. 1, 1897-98. (Avverto che gran parte delle notizie di paleoetnografia sono tolte da questa memoria).

[2] E. Pais, La Sardegna prima dal dominio romano. Studi storici ed archeologici, Roma, Salviucci, 1881.

[3] Giuseppe Sergi, Origine e diffusione della stirpe mediterranea, op. cit.

[4] Ettore Pais, La Sardegna prima dal dominio romano cit.

[5] Giuseppe Sergi, Origine e diffusione della stirpe mediterranea, Firenze, Società editrice Dante Alighieri, 1895.

[6] Giuseppe Sergi, Specie e varietà umane. Saggio di una sistematica antropologica, Torino, F.lli Bocca, 1900.

[7] Ridolfo Livi, Antropometria militare, Roma 1896.

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