Licenziata alle stampe nell’ottobre 1903, quando l’autore aveva trentadue anni, La Gallura. Studi storico sociali trae le premesse dalla pubblicazione nel 1897 del libro La delinquenza in Sardegna. Note di sociologia criminale di Alfredo Niceforo, in cui il ricercatore siciliano (in seguito professore in diverse famose università italiane ed europee) — sulla scia degli studi di sociologia e antropologia criminale di orientamento positivista propugnati da Cesare Lombroso e da Enrico Ferri (di cui Niceforo era allievo e a cui dedicò il libro) — descriveva il Nuorese e l’Ogliastra come una zona delinquente della Sardegna dove lo sviluppo morale e sociale della popolazione aveva subito un grave e quasi irreversibile arresto nel processo evolutivo (ma apparve subito chiaro che quell’epiteto e quelle considerazioni potevano valere in definitiva per tutta l’isola).
Le ragioni di questa arretratezza erano, per Niceforo, l’isolamento storico e la qualità «cristallizzabile della razza […], assolutamente priva di quella plasticità che fa mutare ed evolvere la coscienza sociale»[1], a causa all’«ereditarietà psichica», la quale non era «che una forma di eredità fisica, poiché i fenomeni psichici si producono per mezzo di processi nervosi»[2].
Sui giornali sardi si susseguirono interventi contrari di studiosi e politici di orientamento sia socialista, sia democratico-radicale, sia liberale; dal Continente presero posizione personaggi del calibro di Filippo Turati[3] e Napoleone Colajanni, del quale la stampa isolana ospitò alcuni articoli[4]. Il confronto polemico — cui contribuì il nuovo libro di Niceforo Italia barbara contemporanea (1898), in cui si enunciava l’inferiorità questa volta di tutto il Meridione — riportò all’attenzione nazionale la cosiddetta Questione meridionale[5].
Il dibattito dominò a lungo, per circa dieci anni, il mondo culturale sardo e nazionale[6], innescando anche la pubblicazione di alcune opere[7] tra cui La Gallura (così in seguito sarà sempre brevemente indicata) di Silla Lissia, che era, con Claudio Demartis, uno dei capi del Partito socialista a Tempio e in Gallura.
Il libro è uscito dal cono d’ombra in cui era stato avvolto nel XX secolo, grazie alla ristampa in contemporanea per i tipi di Carlo Delfino (proposta dal sottoscritto, si veda QUI), e della Edes. E così dopo giusto un secolo, la pubblicazione del medico socialista ebbe un momento di grande visibilità, risultando oggi adeguatamente presente nella storiografia della Sardegna. (Si veda anche questa presentazione della storica Eugenia Tognotti).
Scrisse anche altro Silla Lissia, vedremo in successivi studi di occuparcene [8].
La Gallura è un’opera di grande importanza per la sua storia e di quella della Sardegna nell’800. Anche se il titolo non è seguito da indicazioni cronologiche, è il secolo XIX, infatti, quello su cui Lissia poggia la sua analisi, mentre la storia della regione nei secoli precedenti ha carattere di un rapido excursus, introduttivo e propedeutico ai temi di volta in volta affrontati.
Pur animata da un evidente scopo pedagogico e politico — quello d’illustrare le grandi possibilità di evoluzione sociale e culturale della Gallura se i suoi governanti avessero orientato il pensiero e l’azione sulla rotta dell’ideologia socialista (un percorso che Lissia, sulla scia degli scritti di Marx ed Engels[9], considerava come inevitabile), e pur nella discutibilità di certe conclusioni condizionate dalla sua fede politica — La Gallura ha un rilevante interesse storico per la ricchezza, la varietà e il sapiente uso delle fonti di prima mano che l’autore fa nella trattazione dei vari argomenti, e per il metodo scientifico incentrato sull’analisi di dati apparentemente sterili eppure di grande utilità come quelli dei vari censimenti (demografici, catastali, annonari, scolastici, penali, ecc.)[10].
E a parte le fonti documentarie, è lo stesso Lissia, con la sua conoscenza personale delle vicende, degli usi e dei costumi del territorio, che si presenta come una fonte storica preziosa e insostituibile.
Non solo: i temi trattati sono ben suffragati dalla conoscenza dell’autore dei principali studi sardi, nazionali e internazionali, soprattutto nel campo delle scienze sociali e delle sue articolazioni come la criminologia, la sociologia, la demografia, l’antropologia, l’etnologia, e dal frequente ricorso al metodo della statistica (tabelle, percentuali, raffronti comparati) come fonte e insieme prova delle proprie asserzioni. Davvero Silla Lissia si mostra storico preparato e abile nel mettere a frutto gli insegnamenti della scuola positivista e insieme di quella marxista (da un lato l’importanza del metodo scientifico posto a base dell’indagine, dall’altro il peso attribuito ai dati strutturali ed economici).
La Gallura. Studi storico-sociali è quindi un’opera insieme storica e politica. Indispensabile a chi voglia conoscere la storia della regione nell’Ottocento, è di grande interesse anche per capire — attraverso l’orizzonte culturale e politico di uno dei fondatori del Partito socialista italiano in Gallura[11] — quale fosse la visuale e l’approccio del socialismo di orientamento riformista (che poi era la corrente maggioritaria nel partito) dinanzi ai concreti problemi della Gallura e ai bisogni dei suoi abitanti. Scopo dichiarato di Silla Lissia è infatti di fornire rimedi e indicazioni pratiche per risolvere gli atavici mali che affliggevano la regione ancora nei primi anni del Novecento[12].
Le sue osservazioni sulla mancata istituzione di scuole professionali, sulla mentalità impiegatizia dominante nella regione e sulla mancanza di spirito d’iniziativa e d’impresa, sulla frammentazione delle attività economiche e la mancanza di cooperazione, sono ancora oggi di grande attualità.
La Gallura. Studi storico-sociali è quindi un libro di grande interesse documentario per la ricchezza delle fonti e delle notizie riportate, ma anche di rilevante pregio culturale e politico per le osservazioni e i suggerimenti che formula sullo sviluppo sociale ed economico di questa regione. (Non si può fare a meno di riflettere sulla debolezza culturale del partito socialista in Sardegna dal dopoguerra all’altro ieri, che ha dimenticato un autore come il socialista riformista Silla Lissia, peraltro a lungo non funzionale agli estremismi intellettuali di aree a lungo non marginali nella sinistra, e quindi difficilmente da essi rivalutabile. Per Lissia, infatti, era inutile procedere a trapianti traumatici e inutili dell’idea socialista come avrebbero voluto «i semplicisti del socialismo», che non conoscevano «che le vie dirette» e disprezzavano «le indirette»[13]. Ci voleva tempo e i riformatori — di cui nelle pagine conclusive tratteggia l’identikit — dovevano metterlo nel conto[14]. L’azione socialista — per Lissia — non poteva creare il movimento proletario laddove mancavano le condizioni[15]).
Ricchissima di dati e scritta con rigore scientifico, La Gallura di Silla Lissia è quindi di primaria importanza per chi voglia conoscere la storia e le problematiche di questa regione.
Ed è un’opera che fa pensare e che porta ad interrogarsi sul processo storico ed economico intervenuto in questo ultimo secolo in Gallura e sulle sue prospettive future.
Piano dell’opera
Come Niceforo aveva individuato nel Nuorese e nell’Ogliastra la zona delinquente che confermava le teorie su cui si era formato, così Silla Lissia pensa di dimostrare la validità delle ricette del suo credo socialista, e insieme di confutare le tesi di Niceforo, muovendo dallo studio della sua Gallura, una terra altrettanto singolare, come dice nella PREFAZIONE, sia per il forte sentimento di vendetta dei suoi abitanti, connesso al passaggio dalla pastorizia nomade a quella stanziale, sia per il suo dialetto, assai diverso dal logudorese e dal campidanese.
Si tratta però di una prefazione troppo breve e forse anche fuorviante per capire di cosa, e come, questo libro parli della Gallura: se ci si limita ad essa sembrerebbe d’essere dinanzi soprattutto ad una specie di trattato sulla natura e sulle cause della vendetta, quando tale tema è analizzato invece in soli due paragrafi, il terzo e il decimo.
Bisogna andare al primo capitolo, CONTRO UNA PREGIUDIZIALE (che quindi è da leggersi come se fosse un’introduzione o un seguito della prefazione), per comprendere bene le ragioni culturali e politiche che stanno alla base dell’opera di Lissia. Qui egli spiega compiutamente perché avversa le tesi esposte da Niceforo in La delinquenza in Sardegna. Primo: la teoria della razza — dice — non è accettabile nella vita storica e sociale, e non può autorizzare in alcun modo a formulare giudizi sull’avvenire dei popoli, né in suo nome gli si può negare la capacità di progredire e di rinnovarsi. Secondo: l’ereditarietà psichica non può essere ritenuta qualcosa di immutabile, capace di resistere all’imitazione e all’educazione.
Egli, infatti, attraverso la storia della Gallura, si propone di dimostrare esattamente il contrario: come ereditarietà e educazione s’integrino reciprocamente nell’evoluzione dell’uomo, e come l’arretratezza del popolo sardo sia dovuta solo alla trasmissione dell’eredità della psiche a fronte della completa mancanza dell’azione innovatrice e modificatrice dell’ambiente sociale («che comprende l’educazione, l’imitazione, la suggestione»[16]). «Nelle popolazioni sarde — dice — hanno potuto mantenersi immutate certe tendenze e certe qualità ereditarie semplicemente perché l’ambiente nel quale vivono, da secoli si è mantenuto presso che immutato»[17].
Ma non solo: analizzate le condizioni storiche e sociali della Gallura, Lissia dichiara di voler consigliare i rimedi opportuni per migliorarle, «senza paura della pregiudiziale Niceforo»[18].
Col secondo capitolo, LA RAZZA, Lissia entra, quindi, nel vivo dell’analisi scientifica esponendo le caratteristiche razziali della popolazione alla luce dell’esame di duecento crani raccolti in vari cimiteri della Gallura (Aggius, Calangianus, Luras, Tempio). Risulta che le forme prevalenti erano la elissoidale e la ovoidale, con qualche rara mescolanza di forma sferoidale (a Calangianus e Luras), e che la grandissima maggioranza di questi crani era dolicocefala (soprattutto a Tempio e Aggius). Inoltre s’apprende che il gallurese aveva un’altezza media di 1,625 — con una percentuale del 22% al di sotto di m. 1,60 e del 12% al di sopra di m. 1,70 —, e fosse di tipo bruno per il 60,5% della popolazione (il tipo biondo rappresentava il 5,9%).
Il terzo capitolo, LA COSTITUZIONE PSICHICA, descrive l’indole degli abitanti: intelligenti ma diffidenti, sospettosi, poco socievoli e poco intraprendenti (ad eccezione dei luresi), non inclini a perseverare nelle iniziative, facili a scoraggiarsi, ma anche a scusare la propria indolenza prendendo come esempio i fallimenti altrui, con un’etica sociale e un sentimento di solidarietà circoscritto, con poche eccezioni (come la ponitura[19]), solo alla famiglia.
Questo spiccato familismo, insieme con un acuto e spesso malinteso senso dell’onore, era alla base del sentimento di vendetta dei galluresi che coinvolgeva la famiglia e il parentado, ma che — salvo eccezioni (come la famosa faida di Aggius[20]) — risparmiava donne e bambini.
Della vendetta, di cui altra causa primaria era la diffusione della proprietà privata (aspetto marxista), Lissia indaga il rapporto sia con la dislocazione della popolazione (maggiore in campagna che in città), sia con lo sviluppo economico e sociale del proletariato rurale (il pastore che si fa agricoltore e s’avvicina ai centri abitati).
Il quarto capitolo, STORIA DELLA POPOLAZIONE, si compone di due parti: Demografia dinamica e Demografia statica.
La prima spiega perché la Gallura, soprattutto per motivi economici, sia stata una regione fino a quel momento poco popolosa (interessanti sono le stime della popolazione dall’antichità all’800 e soprattutto l’analisi dell’andamento demografico in connessione con le condizioni storiche, economiche e sociali, la natalità e la mortalità).
La seconda è una rassegna dettagliata della composizione della popolazione gallurese in base all’età (la durata media della vita era di 30 anni nel 1862-65, e di 42 anni nel 1903), al sesso, al tasso di analfabetismo, ai matrimoni, alle nascite e ai morti: sono interessanti al proposito le note sui mesi in cui ci sposava di più (ottobre) o per nulla (agosto), le riflessioni sui figli illegittimi e sulla mortalità infantile (ci dice addirittura quale fosse la percentuale dei bambini che morivano entro l’anno di vita, e quanti tra 1 e 5 anni). Tali dati e percentuali vengono poi considerati in rapporto alla distribuzione della popolazione nelle campagne o nei piccoli agglomerati urbani.
Il quinto capitolo, LA PROPRIETÀ FONDIARIA, ripercorre la storia della strutturazione delle terre in Gallura prima e soprattutto dopo l’abolizione del regime feudale, nel 1836. Vi troviamo quindi analizzata la formazione degli stazzi, cioè il passaggio dalla proprietà feudale a quella privata, con una vera e propria radiografia della proprietà terriera prima del 1840 e dopo il 1853, quando fu istituito il catasto (proprio avvalendosi di tabelle catastali Lissia studia la distribuzione delle terre in rapporto al numero dei proprietari e agli abitanti paese per paese).
Le previsioni che Lissia fa sull’assetto fondiario, tipiche del pensiero socialista e marxista, e che pur ebbero grande diffusione nelle regioni del centro-nord del Continente, non trovarono però realizzazione. Egli credeva che la tendenza al frazionamento della proprietà fondiaria in Gallura fosse arrivata al culmine, e che, di lì a non molto, sarebbe stata sostituita dall’accentramento collettivo nelle forme del cooperativismo agricolo, non in reazione al capitalismo ma come unico mezzo a disposizione dei proprietari per sottrarsi alla grave situazione economica in cui versavano.
Il sesto capitolo, CONTRATTI AGRARI, è una prosecuzione di quello precedente. Esso poggia su un’accurata analisi del territorio (rileva la presenza di circa 3.000 stazzi), della proprietà e delle sue risorse (elenca persino quanti buoi, vacche, vitelli, pecore, capre ecc. figuravano denunziati nel 1900). Lissia descrive inoltre i tipi di pastore esistenti (pastore proprietario e pastore conduttore), come si allevava il bestiame, e le tipologie di contratti lavorativi, legati principalmente al rapporto di mezzadria, documentandoci così anche su usanze e tradizioni del mondo agropastorale. Spiccavano tra essi la ponitura, «sopravvivenza delle antiche abitudini comunistiche» in fase di estinzione, che consisteva in un rapporto solidale tra pastori basato sul regalo di capi di bestiame, volto ad aiutare chi non ne aveva per metter su famiglia, e chi lo perdeva «per qualche moria epidemica»[21]; e poi il cosiddetto intrigu tra il proprietario di terra e di bestiame e il pastore conduttore: un contratto generalmente della durata di un anno, per cui il primo consegnava al secondo, nel giorno di San Giovanni, oltre alla casa e agli arnesi da lavoro, un certo numero di capi su un certo appezzamento di terreno, e il secondo aveva diritto a metà del loro incremento (“crescimento”) e alla metà delle entrate.
Il settimo capitolo, ALIMENTAZIONE, illustra dettagliatamente come si alimentavano i galluresi, ne indica il consumo medio giornaliero e annuale, e fornisce addirittura i dati riguardanti il tipo e le quantità di cibi consumati, raffrontandoli poi con il reale fabbisogno; inoltre considera l’andamento del fabbisogno alimentare tra la metà dell’800 e i primi del ’900 in rapporto alle leve militari (e cioè al numero degli idonei alla leva, dei riformati e dei rivedibili), alla durata media della vita (aumentata non per le migliorate condizioni alimentari, ma per la diminuita mortalità dovuta al miglioramento del servizio igienico sanitario), e infine in base al prezzo dei generi di prima utilità e ai salari, soprattutto delle classi povere.
Con i molteplici dati statistici elencati, Lissia dimostra insomma l’inadeguatezza alimentare della media della popolazione, e a maggior ragione di «quella della classe lavoratrice»[22].
Questo capitolo, letto insieme con quello sulla razza, completa l’analisi antropica del tipo gallurese, e lo possiamo considerare la descrizione ad oggi più completa sull’economia familiare in Gallura nell’Ottocento.
L’ottavo capitolo, ISTRUZIONE PUBBLICA, indaga l’evoluzione della scolarizzazione in Gallura dalla metà dell’Ottocento ai primi del Novecento, mettendone in evidenza il grave stato d’arretratezza attraverso l’analisi sia dei suoi aspetti più “interni” (numero delle scuole, numero e frequenza degli alunni e dei licenziati tra il 1885 e il 1900, loro ripartizione nel territorio, percentuale dei laureati, rapporto numerico e percentuale alunni/insegnanti/popolazione, costi ecc.), sia di quelli “esterni” (isolamento delle frazioni, accentramento delle scuole, povertà della popolazione, malnutrizione degli scolari, scarsità delle risorse dei patronati scolastici), fino a denunciare gli errori della classe politica, soprattutto di quella tempiese. Il principale era l’ostinazione ad investire nel Ginnasio a scapito dell’istruzione primaria e dell’istituzione di scuole secondarie professionali, chiamando per giunta a concorrere al mantenimento del Ginnasio anche gli ottomila abitanti delle campagne (i frazionisti) che disponevano di appena tre scuole miste elementari.
Per Lissia, il Ginnasio non era la scuola idonea a modernizzare la società gallurese. Esso abilitava a diventare funzionari pubblici, ma non a fornire le competenze necessarie ai bisogni del territorio e della regione, e non a sviluppare il senso dell’iniziativa individuale (pressappoco la stessa critica rivolta oggi — ma più condivisibile al tempo — e che ha determinato una certa crisi dell’istituto). Per lui era perniciosa la mentalità, che si andava diffondendo sempre più in molte famiglie (quelle del medio e alto ceto borghese, che influenzavano poi fortemente le scelte della classe politica), di avere come massima aspirazione per i figli la vita impiegatizia; di farne, cioè, impiegati statali che andavano «tranquillamente e sicuramente a ritirare il suo stipendio alla fine di ogni mese»[23]. Una mentalità, questa, che comprimeva le velleità d’indipendenza dei giovani e insieme la loro aspirazione ad avviare iniziative che uscissero dai confini tradizionali, cosicché, chi non vi si conformava, veniva «maltrattato e vilipeso»[24], considerato un giovane vizioso, un poltrone, che cercava le novità perché non aveva voglia di studiare.
Il nono capitolo, ASSOCIAZIONI, ci riferisce l’inconsistenza della realtà associativa in Gallura a partire dalle prime associazioni civili (il Casino di lettura di matrice liberale, fondato nel 1846 e sciolto dopo che i capi, minacciati di morte, furono costretti alla fuga e all’esilio; la prima Società di mutuo soccorso tra operai, sorta a Tempio nel 1869 e scioltasi a causa di contrasti tra i suoi membri per motivi politici intorno al 1883[25] ), fino alle sei società di mutuo soccorso presenti nel 1903: 2 a Tempio (Società di mutuo soccorso e degli ex militari)[26], 1 a S. Teresa, 2 a La Maddalena (XX Settembre ed Elena di Montenegro) e 1 a Olbia (Fede e Lavoro)[27]. Tranne quella di La Maddalena, tutte conducevano però una vita stentata per la troppa eterogeneità politica e sociale dei membri, cosicché l’auspicio di Lissia era che il loro posto (così come quello dei Gremi, che definisce «pseudo associazioni»), fosse preso da quelle associazioni in cui il collante era dato dalla comunanza di interessi e dal principio della lotta di classe (in tal senso, intorno al 1903, segnalava una cooperativa di consumo fra gli operai dell’arsenale de La Maddalena, una cassa cooperativa rurale ed una società cooperativa di assicurazione sul bestiame fra i carrettieri a Tempio).
Quanto alle associazioni politiche socialiste esistenti in Gallura, Lissia menziona il Fascio operaio sorto a Tempio nel 1890, La Giovane Gallura nata ad Aggius nel 1893, la Sezione socialista di Tempio fondata sul finire del 1894[28] ma che ebbe vita breve. Povera di attività, costituita da alcuni elementi intellettuali, professionisti e studenti, era sorta due volte e due volte era morta «per anemia»: il socialismo, infatti, rappresentava — dice Lissia — ancora «una pianta esotica che mal si adattava al nostro clima»[29]. Il principale ostacolo alla sua diffusione in Gallura era la forte presenza nella popolazione dell’«anima proprietaria»[30] che faceva registrare, nel 1903, ben 10.500 proprietari fondiari (di cui molti assimilabili a dei «veri proletari»[31]) su 41.000 abitanti. E poiché non c’era da sperare che le cose potessero cambiare a breve, per Lissia occorreva puntare sulla diffusione del sistema cooperativistico, il quale avrebbe potuto rivelarsi «un ottimo tronco per l’innesto dell’idea socialista, perché rompendo l’isolamento e raccogliendo gli isolati in associazioni […], fondendo gli interessi isolati nella cooperazione, crea[va] al posto della vecchia e gretta coscienza individuale una coscienza sociale, che è[ra] la migliore preparazione alla coscienza socialista»[32].
In tal modo Lissia manifestava la sua distanza da quelle correnti massimaliste che avrebbero voluto «trapiantare tutto in una volta il socialismo anche in quelle regioni che non sono disposte ad accettarlo»[33]), e la sua adesione a quelle cosiddette riformiste, capaci di percorrere una strada che avendolo come meta ideale fossero capaci di adattarlo alle situazioni concrete con realismo e intelligenza.
Il decimo capitolo, LA DELINQUENZA, si pone in stretta relazione col capitolo III, del quale pertanto può essere considerato come la continuazione.
Fatta la premessa che la Gallura era, come diceva Niceforo, la regione «moralmente più sana della Sardegna», Lissia dimostra con un’ampia e dettagliata analisi dei reati compiuti tra il 1883 e il 1901, come la delinquenza nella regione, anche per numero di omicidi, si mantenesse pur sempre troppo elevata in rapporto alle altre regioni italiane.
Del reato di omicidio nel territorio, commesso quasi sempre per vendetta, Lissia studia le cause (l’isolamento delle popolazioni nelle campagne che ne rafforzava il carattere individualista e asociale; la mancanza di fiducia nella magistratura, corrotta e al soldo dei nobili e dei ricchi), e il suo andamento in connessione con le condizioni economiche e col livello d’istruzione della popolazione.
Seguono infine DUE PAROLE DI CONCLUSIONE, in cui Lissia riassume in breve le cause fondamentali della depressione socio-economica della Gallura e i rimedi da adottare.
Cause: il carattere psicologico della popolazione (poco socievole e poco volitiva) e l’eccessiva divisione della terra (6.547 piccoli proprietari, 2.660 proprietari medi e 722 grandi proprietari), la quale incideva non solo in chiave prettamente economica (come freno allo sviluppo), ma anche psicologica (fomentando l’individualismo e l’egoismo).
Rimedi: la trasformazione delle frazioni in altrettante borgate, che un domani — avvertiva Lissia, mostrando grande lungimiranza — sarebbero diventate comuni autonomi; una vita pubblica vivacizzata da circoli educativi e ricreativi, da intrattenimenti collettivi e conferenze scientifiche e pedagogiche; un nuovo sistema scolastico fondato sulla scuola professionale d’arti e mestieri «indirizzata specialmente ai bisogni della produzione agricola e pastorale, preceduta da un corso teoretico di scienza generale della società»[34]; il cooperativismo agrario come mezzo di una maggior produzione nel settore caseario[35] e vinicolo[36], e quindi la costituzione di latterie e cantine sociali, per permettere ai piccoli e medi proprietari di incrementare e omogeneizzare la produzione e reggere così la concorrenza, nel commercio e nelle esportazioni, dell’industria capitalistica esterna; infine la lavorazione in loco del sughero che a quei tempi, invece, veniva esportato grezzo.
Breve profilo biografico di Silla Lissia
Figlio di Stefano e Rafaela Bisson, nacque a Tempio Pausania il 26 novembre 1871.
Svolse gli studi secondari presso il Ginnasio cittadino, quindi intorno alla prima metà degli anni Novanta[37] studiò medicina a Napoli dove conseguì la laurea. Agli studi universitari risale la sua prima formazione politica socialista: in rapporti con Malatesta e la redazione del giornale l’«Agitazione» di Ancona, fu fra i dirigenti più intransigenti del circolo universitario napoletano. A quegli anni risale inoltre il suo tentativo di costituire a Tempio un circolo di studi ed una biblioteca di testi teorici socialisti[38].
Insieme con Claudio Demartis[39], fu tra i fondatori della prima sezione socialista costituita a Tempio e in Sardegna nel 1894. Si trattava, più precisamente — dice Francesco Manconi — di un circolo di propaganda socialista creato per sensibilizzare politicamente ed organizzare gli operai addetti alla lavorazione del sughero[40]. In seguito s’allontanò dagli ideali del socialismo intransigente e abbracciò con fermezza la linea del riformismo. Brillante polemista, nel primo decennio del Novecento spesso in chiave anticlericale, molti sono i suoi scritti sulle pagine locali de «La Nuova Sardegna» con vari pseudonimi. Vicino agli ideali massonici, tuttavia non si affiliò alle logge (e a Tempio ce ne erano due con esponenti di spicco). Fu consigliere comunale, carica che lasciò nel 1903, essendo stato nominato medico condotto del comune. Ma forse la vita politica non faceva per lui: all’impegno militante preferì, col passar del tempo, quello, a lui più consono, dello studio e di un supporto teorico alla causa del socialismo.
In contatto con eminenti personalità della cultura regionale e nazionale come Arrigo Solmi[41], fu tra i fondatori del Circolo massonico Giordano Bruno, che organizzò, dal 18 al 20 settembre 1908, il Primo Congresso sardo del Libero Pensiero, incentrato sull’emancipazione delle masse dal pregiudizio religioso, causa prima dei mali economici e sociali della Sardegna[42].
Nel 1911 fondò la Congregazione di carità (primo nucleo ospedaliero di Tempio), e in seguito, durante gli anni del fascismo, fu direttore dell’ospedale civile S. Francesco.
Sposato dal 19 gennaio 1899 con Maria Pintus, ebbe cinque figli. Morì a Tempio il 12 febbraio 1952, all’età di poco più di 80 anni.
Riassumono gli ideali cui ispirò la sua vita il passo di Dante, tratto dalla Divina Commedia, riportato sulla sua tomba[43] (Se non che coscienza m’assicura la buona compagnia che l’uom francheggia sotto l’usbergo del sentirsi pura: la coscienza tranquilla libera l’uomo dall’ansia e dalla paura, consapevole della propria rettitudine di intenti)[44], e il necrologio pubblicato sulla «Nuova Sardegna» il giorno dopo la sua morte: […] modesto e umile visse da tutti in grande onore e stima tenuto; professionista sapiente e intemerato cittadino integerrimo; dei poveri e dei derelitti strenuo difensore; padre esemplare.
AVVERTENZA
Sono state corrette in questo testo le parole segnalate dall’Autore nella errata corrige allegata, altresì sono state modificate/attualizzate poche altre (la scrittura di Silla Lissia è, diversamente dal De Rosa, non erudita e “moderna”. Pochi i lemmi che si è ritenuto di modificare in questa revisione (colla, principia, uopo, cagione, eglino, Agius, perocchè, imperocchè, di Maddalena, permittenti, sibbene, affidanza, prischi, querulo, l’impulsione, francheggi, oltracciò, seminerio). Inoltre nelle note sono stati “sciolti” i riferimenti bibliografici abbreviati originali e ne sono stati inseriti alcuni altri.
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[1] Alfredo Niceforo, La delinquenza in Sardegna. Note di sociologia criminale, con prefazione di Enrico Ferri, R. Sandron, Palermo, 1897 (ristampato da Della Torre, Cagliari, 1977), p. 59.
[2] Ivi, p. 68.
[3] Filippo Turati, che del PSI può essere considerato il fondatore, era il leader della corrente riformista (corrente di maggioranza, praticamente fino all’avvento del fascismo). Perciò La delinquenza in Sardegna scatenò lunghe e veementi polemiche soprattutto nell’area socialista, in cui si riconoscevano anche Niceforo e Lombroso, ma soprattutto Enrico Ferri che del PSI era uno dei leaders di maggior rilievo e capo delle corrente cosiddetta integralista.
[4]Per gli scritti di Colajanni sui giornali sardi rimando a Mario Da Passano, La criminalità e il banditismo, in La Sardegna, a cura di Luigi Berlinguer e Antonello Mattone (facente parte della collana Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità ad oggi), Giulio Einaudi, Torino, 1998, p. 489. Di N. Colajanni si veda anche Latini e anglosassoni. Razze inferiori e razze superiori, Rivista popolare, Napoli-Roma, 1906.
[5] Questo è il titolo del libro curato da Antonio Renda, R. Sandron, Milano-Palermo, 1901.
[6] Cfr. Mario Da Passano, op. cit, pp. 483-490.
[7] Le altre sono quelle di Egidio Castiglia, Undici mesi nella zona delinquente, Tip. G. Dessi, Sassari, 1899; Rinaldo Caddeo, L’isola dei sardi, G. Gallizzi, Sassari, 1903; Luigi Camboni, La delinquenza della Sardegna, Tipografia G. Gallizzi, Sassari, 1907.
[8] Presso la Biblioteca Universitaria di Sassari è conservato un altro scritto di Silla Lissia. Si tratta di La Sardegna: nota critica, Stab. poligrafico Emiliano, Bologna, 1907 (un libretto di 10 pagine, estratto dalla «Rivista di filosofia e scienze affini», a. 9., vol. 2., n. 1-3, luglio-settembre 1907), ma molti altri scritti di Lissia possono essere rintracciati sulle varie riviste culturali e politiche dell’epoca.
[9] Cfr. il ricordo che Lissia fa di Engels (Federico Engels) in occasione della sua morte su «Gallura letteraria», periodico quindicinale diretto da Andrea Pirodda, 20 settembre 1895.
[10] Va precisato a questo riguardo che la Gallura di cui Lissia suffraga l’esame con i documenti, è principalmente la Gallura “tempiese”, quella cioè amministrata dal comune di Tempio, che occupava allora gran parte del Nord-Sardegna, estendendosi dal comune di Aglientu a quello di Palau e Arzachena, fino a Porto-San Paolo e S. Teodoro, abbracciando, all’interno, il comune di Luogosanto. Più volte, però, sono considerati anche i dati e i censimenti dei comuni di Santa Teresa, Olbia, al tempo denominata Terranova, La Maddalena, Aggius, Bortigiadas, Calangianus, Luras, Nuchis (allora comune autonomo).
[11] Riguardo al Partito socialista, sorto nel 1892, occorre ricordare che esso viveva, in Sardegna come in tutta l’Italia, una vita politica stentata, in forte minoranza rispetto alle forze politiche che si rifacevano al liberalismo moderato o radicale (in quegli anni, e fino al 1919, il deputato di riferimento della Gallura era il democratico radicale Giacomo Pala di Luras).
[12] S. Lissia, op. cit. nel testo, pp. 51, 299. Sulla scia della pubblicazione de La Gallura, tre anni dopo, nel 1907, Lissia pensò di accingersi ad uno studio ancor più ambizioso riguardante tutta la Sardegna con un metodo di lavoro che ricorda quello usato da Vittorio Angius per Il Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di Sua Maestà il re di Sardegna, Torino, Maspero, 1833-1856, compilato a cura di Goffredo Casalis; attraverso, cioè, un Questionario — stampato dalla Tipografia Tortu di Tempio — articolato in 7 capitoli (Vita domestica e paesana, Matrimoni, Nascite, Morti, Ospitalità, Superstizioni e leggende, Altri usi e costumi, ognuno dei quali, a sua volta, si compone di svariate domande), da inviarsi paese per paese all’attenzione di cultori di storia locale. Il Questionario è conservato nelle carte Lissia conservate presso l’avvocato Eugenio Chirico.
[13] S. Lissia, op. cit., p. 262.
[14] Ivi, pp. 300-301.
[15] Ivi, p. 263. Cfr. anche la critica che egli fa (p. 257) della protesta fatta dai calzolai nell’agosto 1902 (definita «disordinata» e «inopportuna»).
[16] Ivi, p. 39.
[17] Ivi, p. 45.
[18] Ivi, p. 51.
[19] Cfr. la nota 18.
[20] Ivi, pp. 277-279.
[21] Ivi, p. 186, e precedentemente anche a pp. 74-75.
[22] Ivi, p. 186.
[23] Ivi, p. 221.
[24] Ivi, p. 222.
[25] Lo statuto di questa Società — Società di mutuo soccorso degli operai di Tempio (Tip. Corriere di Sardegna, Cagliari, 1870) — è nelle carte Lissia cit.
[26] Cfr. Società ex militari con sede in Tempio (si tratta di una copia appartenuta a Claudio Demartis, che vi fu «ammesso in qualità di socio effettivo il 6 febbraio 1898». Dal suo esame si apprende che fu costituita il 18 marzo 1880, ma registrata in data 22 aprile 1888, e che — come si dice all’art. 2 — sarebbe stata «aliena da ogni spirito politico ed animosità di parte, per chiudere il campo a quelle inquietudini che sono tanto contrarie alla pace del cuore ed alla tranquillità dell’animo»). Carte Lissia cit.
[27] La Società fu fondata il 2 ottobre 1890, e anche il suo statuto, all’art. 2, dopo aver enunciato lo scopo dell’«aiuto reciproco dei soci nei loro morali e materiali bisogni», specifica che «la medesima non ha scopo politico e si terrà aliena da ogni partito». Carte Lissia cit.
[28] La data di fondazione, che a Lissia evidentemente è sfuggito di riportare, la si ricava da F. Manconi, op. cit., p. 15.
[29] S. Lissia, op. cit., p. 252.
[30] Ivi, p. 252.
[31] Ivi, p. 253.
[32] Ivi, p. 262.
[33] Ivi.
[34] Ivi, p. 302.
[35] Vi erano «4.300 vacche da latte, 20.000 pecore e 40.000 capre pure da latte», per 11.600 quintali di formaggio fresco, di cui 8.000 esportabile. Ivi, pp. 306-307.
[36] 50.000 erano gli ettolitri di vino, di cui 30.000 esportabile. Ivi, p. 307.
[37] Tra i suoi documenti vi è un quaderno di appunti delle lezioni universitarie che reca la data 1893-94 e 1894-95. Carte Lissia cit.
[38] Francesco Manconi, Il PSI in Sardegna dalle origini alla grande guerra, in Francesco Manconi, Guido Melis, Giampaolo Pisu, Storia dei partiti popolari in Sardegna, 1890-1926, a cura di Luigi Berlinguer, Editori Riuniti, Roma, p. 14.
[39] L’attività politica di Claudio Demartis è stata certamente più significativa di quella di Silla Lissia (il quale era uomo più di pensiero che di azione). Si veda la biografia di Claudio Demartis ad opera di Manlio Brigaglia in Franco Andreucci – Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico (1853-1953), v. II, Editori Riuniti, Roma, 1976, pp. 209-211.
[40] Cfr. F. Manconi, op. cit, p. 15.
[41] Nelle carte di Silla Lissia c’è un biglietto di A. Solmi da Modena del 4 ottobre 1909, che riferisce di un articolo di Lissia (non si specifica quale) da pubblicare in una rivista.
[42] L’avvenimento si rifaceva al congresso internazionale del Libero pensiero svoltosi Roma dal 20-22 settembre 1904, cui parteciparono associazioni anticlericali di tutto il mondo. Cfr. inoltre quanto scrive sul Congresso del Libero Pensiero di Tempio Tonino Cabizzosu in Padre Manzella nella storia sociale e religiosa della Sardegna, Edizioni Vincenziane, Roma, 1991, 331-339, e 349-353, e Cronache Tempiesi dell’eta’ Giolittiana. Appunti di cultura Tempiese (biografie, vicende, istituzioni, 1836-1986), a cura di Tomaso Panu, Chiarella, Sassari, 1988, pp. 32-38, cui attingo anche per informazioni su Silla Lissia (pp. 58-59).
[43] Così mi ha dichiarato il nipote avv. Eugenio Chirico. La tomba di Silla Lissia è collocata sul lato destro del vialetto che dall’entrata principale del cimitero conduce alla cappella.
[44] Cfr. il libro Inferno, canto 28, versi 115-117. Il commento è tratto dalla Divina Commedia a cura di S. Jacomuzzi, Società Editrice Internazionale, Torino, 1990, p. 448.