Gli Animali
di Vittorio Angius – a cura di Guido Rombi
Quadrupedi selvatici. Nei monti e salti della Gallura si trovano mufloni, cervi, cinghiali e daini, volpi, martore (li basìli) in gran numero, e donnole (li bèdduli).
I mufloni (muvloni) abitano in numerose famiglie sulla sommità del Limbara: i daini (li caprioli) nel Cucurenza e nei boschi di Littarru e Monte Pino: i cervi in Cincudenti, in Monticano, e in Bolione; i cinghiali (li polchi avri) dovunque, e fanno molti danni alle vigne; le capre selvatiche si trovano sulle boscose rupi di Tavolara.
Uccelli. Le aquile si trovano nelle regioni più silvestri, e ce n’è un gran numero nel Montenero; sono di grande taglia, stando a quello che asseriscono i pastori.
Sono pure frequenti avvoltoi, sparvieri, falchi, astori, cuchi, corvi, cornacchie, gazze, upupe, nottole, beccacce, pernici, e i colombi, stornelli, merli ed una infinità di passeri.
Uccelli acquatici. In ottobre si vedono venire per svernare negli stagni varie specie di anatre e molte folaghe. Con queste vengono pure cigni e oche. Nelle marine pescano i corvi ed altre specie.
Anche i fiumi sono ben popolati di uccelli.
Caccia. Nella città e nei villaggi pochi, ad eccezione dei giovani, si dilettano alla caccia degli uccelli e dei quadrupedi.
I terranovesi (olbiesi) vanno ben di rado a cacciare nell’isola vicina, a Tavolara, essendo difficilissima la caccia per i grandi pericoli che si corrono andando sul dorso di quell’enorme scoglio e discendendone.
I pastori usano fare in primavera la caccia grossa; ma più spesso si propongono (a orivetu) per catturare cinghiali e daini. In realtà il loro scopo principale è di annientare, se fosse possibile, le volpi, che sembrano moltiplicarsi ogni giorno sempre più a danno delle greggi. È così sentito l’odio che nell’indicarla non usano il solito nome, ma invece la chiamano la bestia mala, la russa, “lu focu e fiama”. Essi non di rado pagano e ricompensano bene qualche cacciatore che si occupi di prenderle coi lacci. Col prezzo delle sue pelli si remunera il suo cacciatore.
Cani. I pastori vogliono averne di razza sviluppata, grandi di corpo, coraggiosi e forti, e preferiscono i barbaricini e i corsi agli altri. Per un buon cane danno qualche volta un puledro o un paio di tori.
Questi animali servono a respingere le volpi e a far la guardia dei casali. Se ci si avvicina ti vanno incontro abbaiando per fermarti, e se non ci si arresta s’avventano furiosi. Se sentono la voce del padrone richiamarli amichevolmente tornano subito pronti e tranquilli al loro posto, in caso contrario saltano addosso alla persona non gradita.
Pesci. I mari della Gallura, principalmente nei paraggi della Maddalena e di Terranova (Olbia), hanno grande varietà di specie e abbondanza certo non inferiore ad altre coste della Sardegna.
Pesca. Con tanta abbondanza molti potrebbero guadagnare dalla pesca; tuttavia sono pochissimi quelli che vi si dedicano, e solo alcuni uomini di Longone (Santa Teresa di Gallura) e della Maddalena. I terranovesi (olbiesi) non so se peschino neppure nel proprio porto.
Tanta negligenza dei galluresi va a vantaggio dei napoletani, che lavorano continuamente sulle loro barche, e guadagnano non poco. Questi laboriosi forestieri, se il vento è favorevole, dopo un’abbondante pesca corrono a Napoli o a Livorno, e se il pescato è stato buono ottengono un compenso che li soddisfa. Il prezzo che essi domandano ai galluresi è assai tenue.
Pesca nei fiumi. Il Termo ha molta abbondanza di pesci: muggini nella lunga palude che forma vicino alla foce, anguille e trote nelle parti superiori del letto.
Invece il Carana ha buone trote che si pescano a qualche distanza dal mare, ma cattive anguille che guizzano nella paludetta che si è formata presso la foce; risultano dannose allo stomaco, sebbene le acque non siano contaminate.
L’Olbio e il Taras hanno le stesse specie con la medesima distinzione. Così pure l’Unale con l’aggiunta di molte testuggini (li cuppulati).
I lurisinchi lavorano con le reti sul Carana, e queste le usano pure i pastori aggesi di Cervara nella palude del Termo in estate. Invece i bortigiadesi costruiscono molte nasse nel Termo, come frequentemente fanno i pastori: quando cercano di notte le anguille entrano nel fiume con una fiaccola di ginepro a un braccio e nella destra una fiocina o altro ferro, che spingono là dove hanno tolto le pietre.
Nella primavera si prendono molte trote che si vendono a ss. 2 1/2 la libbra. E credo che l’abbondanza sarebbe maggiore se tutti gli anni alcuni poltroni non andassero diminuendo la specie con l’avvelenamento delle acque, o chiudendo alcuni tratti del letto a ingabbiare i pesci.
A dire il vero questo accade più di rado in Gallura che in altre regioni della Sardegna, perché il pescatore farebbe brutta pesca se il pastore se ne accorgesse. E con ragione egli si indigna: perché se gli animali vanno a dissetarsi, anche essi vengono avvelenati e muoiono o stanno male. Dall’abatura, come dicono i galluresi, cioè dall’avvelenamento per l’acqua infetta, spesso muoiono interi branchi di pecore e vacche, e abortiscono le cavalle.
Ma allora come può accadere qualche avvelenamento? Se il pastore non teme danni per il suo bestiame e riceve porzione del pescato, lascia che il pescatore pratichi questa sua “mala arte”.
Per intossicare le acque in Gallura si usa principalmente “lu pateddu” pensando che i pesci morti con questo veleno nuocciano meno o nulla allo stomaco. È anche vero che se l’uomo beve di quest’acqua infetta si sente male, ed è bene che si copra con un panno il viso mentre pesta questa erba, perché la faccia gli si gonfierebbe qualora fosse colpita da qualche sprizzo. La radice pestata e mescolata con farina si usa per uccidere i ratti. Le altre erbe degli avvelenatori sono la trivoggia, o il frutto pesto della ferruledda.
Alcuni miseracci di Terranova (Olbia) infettano le acque in fondo del porto dove è un mare morto, dopo averne chiuso una porzione. Così ottengono alcune libbre di pesciolini.
Si pesca pure nei già menzionati piccoli stagni, e in quello di Oviddè. In questo, perché di rado frequentato, i pesci abbondano.
Rettili. Di questo genere non si trovano in Gallura che le sole bisce (li salpi).
Insetti. Ce n’è una grandissima varietà di specie, molte delle quali sono state riconosciute nuove nella storia naturale. Si attende che il prof. Genè, che con grande merito fu felicissimo di ritrovare delle novità scientifiche, pubblichi il suo viaggio di studio per le regioni sarde da altri finora non esplorate su questa parte della natura.
Apiaria e miele. Gli alveari (li casiddi) sono numerosi, e soddisfano sia esigenze alimentari personali e familiari sia esigenze di guadagno.
Alcuni pastori delle cussorge marittime di Crèoli, Tìnnari, Pedriccu e Cugnana, e delle mediterranee di Baldu e di la Traessa si arricchirono principalmente del prodotto delle api. Se fossero meglio coltivati e meno frequenti i furti e le vendette barbariche che si scaricano sugli alveari, questi sarebbero un considerabile ramo di lucro.
Il numero dei bugni va forse oltre i 150 mila. Essi sono di scorza di sughero del diametro d’un palmo, dell’altezza di due, di forma assai rozza. Sono pure ricoperti di sughero, ma siccome non sono collocati sopra zoccoli di pietre sovrapposte che li difendano dalle acque correnti o stagnanti, spesso accade che le parti inferiori si deteriorino. Ogni bugno di media può dare in cera all’anno una libbra e mezza, in miele il doppio. In qualche sito, in novembre e dicembre, le api lavorano il miele amarognolo, come fanno in altre parti dell’isola, e nella vicina Corsica. Il miele di Gallura viene ritenuto inferiore a quello del Logudoro, dopo che il Gemelli (tom. II, p. 128) aveva così sentenziato, troppo accondiscendendo l’arroganza di certi che considerano belle e buone solamente le cose del proprio paese.
Invece il miele che si produce nella Gallura nei terreni secchi ed aridi, e dove abbondano le piante aromatiche, è molto superiore al miele logudorese dei luoghi umidi. Il municipalismo corrompe anche il gusto dopo aver depravato la ragione?
Il raccolto del miele, dipendendo dalla maggiore o minore produzione di fiori secondo le condizioni atmosferiche favorevoli o contrarie, non si potrebbe definire; se queste sono favorevoli si ottengono circa 450.000 libbre e vi è una numerosissima prolificazione.
Grande è però il danno arrecato ai bugni dalla mortalità e dalla diminuzione delle api se d’inverno ai giorni freddi succeda un sole tiepido e poi di nuovo repentinamente si abbassa la temperatura mentre gli sciami vagano nei pascoli: il che nella Gallura è frequente e più che altrove nelle regioni apriche. Molti bugni danno poco frutto per la non saggia scelta del sito dove vengono posti, soprattutto se sono umidi e avvolti dalla nebbia.
Cererie. I galluresi fabbricano gran parte della loro cera, e sono i fornitori di molte chiese nelle provincie meridionali e settentrionali.
Le candele sono assai bianche, ma si consumano presto, perché invece di proporzionare il sebo alla cera nel rapporto di uno a dieci, come usano gli altri fabbricanti, ne mescolano un settimo, e taluni un quinto.
NOTA. SULL’ARGOMENTO SI VEDANO I LIBRI DI FRANCESCO CETTI
DI GRANDE RILIEVO LA COLLEZIONE FRANCESCO STAZZA, PRESSO ARCHITETTO LUIGI STAZZA – TEMPIO
https://www.sardegnacultura.it/j/v/258?s=37944&v=2&c=2487&t=1