TEMPIO
di Thomas Forester
traduzione titolo originale Passeggiate nelle isole della Corsica e della Sardegna
Londra 1858; 1861
ed. italiana Come due vagabondi
Due ufficiali inglesi nella Sardegna dell’Ottocento
curato e tradotto da Maria Laura Argiolas
Cagliari, Condaghes, 1996
in inglese:
La risposta del corriere alle nostre domande per un hotel, gettò nel vuoto più assoluto la prospettiva di vitto e alloggio all’arrivo. Per viaggiatori come noi non c’erano locande. Gli stranieri raramente visitavano Tempio.
Era un problema serio, dopo una cavalcata in montagna di circa trenta miglia, verso le dieci di notte. Cosa potevamo fare? Avevamo delle lettere di presentazione indirizzate a persone che godevano di grande prestigio sul posto, ma non ci autorizzavano ad introdurci presso di loro affamati, impolverati, e senza alloggio in un’ora così tarda. Essendo il caso disperato, decidemmo finalmente di presentarci presso il comandante della guarnigione, ritenendolo la persona più indicata per darci o procurarci alloggio.
Così attraversammo l’intera città, essendo il palazzo del comandante all’altra estremità.
Lo scalpiccio dei cavalli destò l’attenzione dell’insonnolita sentinella del cancello: c’erano delle luci, la famiglia non si era ancora ritirata per la notte. Fu annunciato il nostro arrivo e il viandante senza alcuno scrupolo depositò il nostro bagaglio nell’ingresso.
Il comandante ci ricevette con gentilezza, scusandosi per non poterci offrire alloggio poiché il suo appartamento era molto piccolo, ma spedì subito un suo attendente a procurarcelo, nel mentre ci preparò un caffè.
Vi fummo introdotti dalla padrona, una persona brontolona che ricevette i suoi ospiti con pretese di gentilezza, ribadendo che lei non teneva un hotel ma avrebbe ugualmente alloggiato degli stranieri: frase ripetuta un centinaio di volte per il tempo che restammo sotto il suo tetto, e con più enfasi quando ci presentò, alla nostra partenza, un conto alquanto salato.
Questo era il solo alloggio in una città dai sei agli ottomila abitanti ‒ molti dei quali ostentavano nobiltà ‒ e che è capoluogo di provincia, sede di un governo e di un vescovado, più un distretto militare.
Dovete perdonarmi per essere stato così minuzioso nei dettagli, ma volevo darvi un’idea di ciò che comporta il viaggiare in Sardegna. La situazione è all’incirca la stessa in tutta l’isola. Il turista che vi mette piede dev’essere temprato contro banditi, insetti, intempèrie, e indifferente al cibo. “Per aspera tendens” deve essere il suo motto. Deve prepararsi a una vita dura.
La luce del giorno, veramente, non fu capace di migliorare l’aspetto interno del posto, rese più evidente invece la sporcizia delle strade, senza dissipare interamente l’aspetto cupo dovuto all’oscuro granito col quale le abitazioni sono costruite, con i balconi in legno che sporgono sulla strada. Le case sono comunque abbastanza ventilate, alcune stuccate.
Tempio può anche vantare i suoi palazzi di antica nobiltà, con stemmi gentilizi scolpiti in marmo bianco, all’entrata.
L’istituzione comprende un decano e dodici canonici, più altri otto religiosi appartenenti al clero inferiore. È stata promossa a cattedrale nel 1839, quando Tempio fu designata sede episcopale come Civita ed Ampurias. Il vescovo vi risiede sei mesi all’anno.
È ubicata su un dolce colle di un’estesa pianura ondulata ‒ il piano di Gemini ‒ un altopiano di circa 2.000 piedi sopra il livello del mare, situato al centro di due grandi catene montuose: il Limbara, che estende i suoi ripidi lineamenti a sud della città con una punta di circa 4.396 piedi, e a nord-est un’altra catena non così elevata ma di forma ugualmente irregolare, che osservata da Tempio appare ancora più aspra. Percorremmo i tratturi fra queste montagne nell’avvicinarci a Tempio, mentre quelli del Limbara li avremmo penetrati nel nostro prossimo viaggio verso sud.
La posizione elevata e la sua esposizione fanno di Tempio una città alquanto salubre e ‒ dicono ‒ fredda in inverno. Di ciò noi non scorgemmo indizi benché fossimo nel mese di novembre, quando il Limbara si suppone assuma il suo diadema di neve che mantiene sino ad aprile.
Nella sua vastità si combinano straordinari contrasti, e il più armonioso miscuglio di colori. Giardini, orti, vigneti e una numerosa varietà di piccole recinzioni, occupano i pendii e le cavità della superficie ondulata per un ampio tratto intorno alla città. Buoni raccolti danno l’idea di una fertilità inaspettata a queste altitudini.
Qua e là qualche pino svettato, isolato o in gruppo, incorona un poggio, interrompendo il fluente orizzonte. Più in là, ai piedi dei monti, si estendono i campi aperti, separati dalle coltivazioni da zone di bosco ceduo e querceti.
[Inserito da altro capitolo: A Tempio ci capitò un curioso episodio. C’eravamo accordati, secondo le sue richieste, con una di queste persone per trovare pronti sulla nostra strada dei cavalli da avvicendare a quelli che stavamo cavalcando. Li trovammo sulla porta, pronti per essere caricati e montati, ma d’improvviso, viste le nostre selle inglesi, il viandante rifiutò di affidarceli. Non volendo perdere tempo e pensando che la sua apprensione dipendesse dalla preoccupazione che le selle potessero ferire il dorso del cavallo, lo rassicurai facendogli notare che erano ben imbottite; ma non era quello il punto: l’unica ragione era che un cavallo sardo doveva esser sellato “à la sarde”, con sella a punta alta e finimenti in velluto. Il viandante, irremovibile, riportò gli animali dentro la stalla preferendo perdere un lauto ingaggio piuttosto che sottomettere i suoi cavalli a fogge straniere. Dopo un attimo di disappunto ne procurammo altri da un viandante che non mosse alcuna obiezione, e si dimostrò una guida attenta e disponibile].
Inoltre producono i migliori fucili dell’isola, e sanno come usarli, tenuto conto che il loro sport principale è la caccia e sono anche estremamente perseveranti nel vendicare le offese, per cui hanno acquistato una fama non ancora interamente estinta.
Nel rientrare una notte dal circolo in compagnia del comandante, ci fermammo in una piazza di fronte alla cattedrale ed egli ci raccontò le circostanze di un assassinio perpetrato poco tempo addietro, a pochi passi dalla chiesa.
La Sardegna elegge 24 membri al Parlamento nazionale di Torino. La giurisdizione ecclesiastica è amministrata da tre arcivescovi, con sede a Cagliari, Sassari e Oristano, più otto vescovi con sede nelle altre città principali. Gli incarichi ufficiali a Tempio non sono cariche molto ambite, non essendo esenti né i comandanti né i governatori da vendette sommarie, per veri o presunti errori, per le quali i sardi sono veramente portati.
Il comandante ci disse che il suo predecessore ricevette uno degli avvisi di morte che precedono le fatali esecuzioni. Credo che sia stato subito rimosso. Per se stesso ‒ disse il comandante ‒ non prendeva precauzioni, faceva il suo dovere e ne affrontava le conseguenze. Pochi anni prima il governatore essendosi compromesso con atti di ingiustizia venne assassinato, dopo aver ricevuto uno di questi “avvisi di morte” caratteristici in Sardegna. «Durante la notte egli udì un vetro rompersi, e al mattino trovò il fatale proiettile sul pavimento. Consuetudine del paese è che, se si prospetta la vendetta alla morte, la parte vendicatrice darà al suo avversario tempestivo avviso mediante il lancio di un proiettile dalla finestra, affinché egli possa o rimediare immediatamente all’errore, o prepararsi alla morte. Il governatore per qualche tempo prese ogni precauzione su quando e dove andare, ma alla fine dimenticò l’avvertimento pensando di essere salvo. L’assassino invece lo osservava con occhi d’aquila, ed egli cadde in un momento in cui meno se lo aspettava.
Il relatore dice inoltre ‒ come osserva Mr. Tyndale ‒ che non era l’unico governatore della Gallura cui fosse stato notificato questo sommario modo di ottenere giustizia, o di infliggere vendetta».
L’intendente attuale di Tempio, marchese Clavarino, benché abbia preso l’incarico solo dal mese di aprile precedente la nostra visita, ha già fatto molto con la sua salda e illuminata amministrazione per restaurare l’ordine e la fiducia. È stato in grado di raccogliere le tasse arretrate, e con una giustizia imparziale nei confronti delle diverse fazioni, è riuscito a rimuovere ogni pretesto che potesse dar adito ad azioni di violenza come riparazione delle offese.
«Il palazzo del governatore, lo stabilimento più il suo seguito ‒ osserva Mister Tyndale ‒ è costituito da tre stanze al secondo piano, una domestica, e una sentinella alla porta». Le cose erano leggermente cambiate nel 1853, ma in mancanza di altri riferimenti la nostra impressione, durante la prima visita di cortesia, era che il governo di una provincia turbolenta non poteva essere affidato a mani migliori. Nell’anticamera trovammo ad attendere un sacerdote, che mi colpì per il suo modo di proferire le preghiere in un sussurro controllato, e mi diede l’impressione che le ali del clero in Sardegna fossero ormai tarpate.
Il marchese conversò con franchezza sulla sua posizione e sulle condizioni dell’isola. Era stato a Londra nel periodo della “Great Exhibition”, e il suo punto di vista sull’alleanza inglese, e sulla politica in genere, era proprio come ci si doveva aspettare da un sardo illuminato. Un degno coadiutore di statisti del calibro di D’Azeglio e Cavour. Oserei dire che l’intendente di Tempio sarà presto chiamato a ricoprire cariche più importanti.
Era la stagione della vendemmia, abbastanza tarda qui, e numerose persone si affaccendavano nei vigneti e nei casolari attigui. Nell’osservare il fumo che si levava da parecchi di questi, apprendemmo, in risposta alle nostre domande, che una parte del sedimento veniva bollito e aggiunto al vino per assicurarne la conservazione, quando i grappoli non maturavano sufficientemente a causa del clima freddo.
Non trovai alcun difetto nei vini che assaggiai. A vitigni è piantata una superficie considerevolmente estesa, divisa però in piccoli vigneti.
All’entrata di ognuno c’è un’arcata, di solito una solida struttura in granito con più o meno pretese architettoniche, con data e iniziali incise nella pietra: indubbiamente a ricordo della piantagione, tanto cara alla famiglia che la ereditava. Una di queste arcate esponeva in primo piano un sigillo di accompagnamento.
Là si possono osservare le ragazze ripararsi dall’arsura di mezzogiorno, o affluire numerose con le loro brocche, come nei tempi remoti, quando il servo di Abramo in viaggio verso la Mesopotamia, sostava alla fonte di Nacor ad osservare le figlie dei cittadini che vi si recavano con le loro brocche; o come Saul che incontrò le ragazze che andavano ad attingere l’acqua mentre attraversava il Monte Efraim, salendo la collina di Zuf; oppure le spie di Ulisse, che sprofondarono con le figlie di Antifate nella fonte di Artacia. La Sardegna abbonda di tali reminiscenze dei tempi antichi.
La sottogonna, in tessuto, ha colori vivaci, oppure è scura con il bordo colorato. Ambedue si portano molto ampie. La giacca è in velluto scarlatto, blu o verde, molto attillata e con il bordo di diverso colore, qualche volta in broccato. Il copricapo è un semplice fazzoletto di colore chiaro avvolto intorno alla testa e annodato davanti e dietro.
Il nostro incontro diede avvio ad una singolare conferenza, fra noi, uomini del nord, e i fieri cacciatori della Gallura: non avevamo nulla in comune al di fuori dell’entusiastico amore per i campi e la montagna.
Il soffitto basso del Caffè de la Costituzione era illuminato da una singola lampada, per cui un debole barlume ci consentiva appena di discernere, fra spirali di fumo, i lineamenti severi degli uomini con cui avevamo a che fare. Erano abbastanza onesti, indubbiamente, secondo la nozione sarda dell’onestà, e ci ricevettero con grande cordialità, ma le consultazioni fra di noi procedevano in un “patois” del tutto incomprensibile e riuscimmo solo a dedurne che c’erano delle difficoltà.
La caccia al cinghiale in Sardegna necessita di numerosi cacciatori: da quelli che perlustrano il bosco a quelli che scovano la selvaggina; e se per caso ci fossero state delle contese da soffocare, delle gelosie da mitigare, con delle persone armate in una società in cui la pace poteva facilmente essere compromessa, le difficoltà sarebbero state ancora più serie. Comunque fosse, il nostro Barbière di Seviglia, per usare una frase familiare, sembrava essere all’altezza della situazione, e si incaricò di condurre la trattativa da parte nostra.
Una cosa comunque imparammo presto: che il servizio offerto da questi uomini non andava pagato; la forte passione per la caccia e il principio nazionale dell’ospitalità erano incentivi sufficienti per organizzare la spedizione. Dopo esser stati informati che c’erano delle altre compagnie da consultare, rincontro venne rinviato al giorno seguente.
Trascorremmo alcune ore piacevoli trovando fra i membri persone molto informate e intelligenti. Di politica si discuteva liberamente e prevalevano le opinioni liberali sino ad arrivare all’ultraliberalismo, che avrebbe avuto maggior seguito fra la classe delle persone che incontrammo al Caffè de la Costituzione, se di politica si fosse discusso anche là. Senza dubbio i tempiesi sono, come il resto degli isolani, una razza astuta, devotamente patriottica e gelosa della propria indipendenza.
Il mio amico che aveva il felice dono per un viaggiatore di essere quasi onnivoro, rideva di cuore al mio vano tentativo di estrarre qualcosa di commestibile dal magro menu offerto da “madame”. Ella rispondeva eludendo le mie domande, articolando con sgomenta volubilità suoni quasi inintelligibili, e finiva invariabilmente col dire: «Signore, la mia casa non è una locanda nonostante vi abbia aperto la porta e fatto accomodare». Era una sorta di ospitalità che ci costò cara. Le arie di gentilezza di madame, sebbene molto divertenti, erano naturalmente considerate con il dovuto rispetto. Ma ciò che aumentava l’ilarità del mio amico ‒ oltre alla disperata prospettiva di restare senza cena che a me procurava una sottile irritazione a volte mal celata ‒ erano le evoluzioni di madame Rosalie.
Mi sembra quasi di vederla, la sua agile figura saltellare nella stanza, danzare una giga intorno al tavolo, non fermarsi mai, parlare con voce stridula, con i fianchi in movimento come se avesse il ballo di San Vito, o avesse preso una scossa. Posso paragonare il gioco dei suoi fianchi a quello di una marionetta la cui testa, le gambe e le braccia vengono mosse da qualcuno che ne tira le fila.
Il mattino dopo, all’ora concordata, c’era un’insolita animazione nelle silenziose strade di Tempio: scalpiccio di cavalli, abbaiare di cani, scrocchi di grilletto.
Quando arrivammo all’appuntamento, di fronte al caffè, trovammo circa venti uomini a cavallo armati di fucile: individui rudi e pronti ad irrompere nella foresta, se contro cinghiali o contro gendarmi per loro sembrava essere lo stesso. Eravamo seguiti da un gruppo a piedi, che conduceva cani di diverse specie, alcuni forti e feroci.
L’irregolare cavalcata procedeva in modo scomposto verso un contrafforte coperto da fitta vegetazione, ai piedi di Punta Balistreri, la più alta del Limbara. Dopo aver oltrepassato le recinzioni, il nostro sentiero ci portò nell’ampio piano ondulato già descritto, intersecato da macchie di vegetazione ma con pochi segni di coltivazione.
Questa bella pianta si sprigiona da un ammasso di bulbi fibrosi ‒ qualcosa di simile alla dalia ‒ proiettando gli steli diritti, alti due o tre piedi, con numerose foglie filiformi e fiori gialli. Cresce spontaneamente in tutto il territorio dell’isola, nei terreni incolti. Le radici contengono in abbondanza una specie di saccarina.
Nel periodo che abbiamo trascorso in Sardegna, alcuni francesi costituirono una compagnia per l’estrazione dell’alcol su larga scala da questi bulbi. Lo stabilimento doveva sorgere a Sassari, con delle distillerie mobili nelle località in cui i bulbi potevano essere più facilmente trovati. L’impresario ci diede una bottiglia di questo alcol come campione d’assaggio: alcol puro e insapore! Sentii qualche tempo dopo che il progetto non ebbe successo.
Il resto della compagnia si incamminò lungo una valle parallela alla catena montuosa, che portava su un vasto anfiteatro di alberi sporgenti, pendii scoscesi, rocce e guglie.
Uno spettacolo così grandioso che attirò la nostra attenzione e quasi ci distolse dal compito che ci attendeva.
Io dovetti appostarmi sul punto più estremo di una roccia isolata, che con la sua altezza domina il territorio. Da entrambe le parti potevo distinguere i miei compagni, appiattiti sulle ginestre che ricoprivano la valle. Le istruzioni per il mio noviziato erano: non abbandonare la postazione e mantenere assoluto silenzio, ingiunzioni che non potevo comodamente infrangere, considerato che la violazione della prima poteva indurre i cacciatori a scambiarmi per un maiale che frusciava nella foresta, esposto ai ripetuti colpi che improvvisamente partivano da ogni direzione; in quanto all’altro ordine, quello del silenzio, era inutile, poiché le orecchie del compagno più vicino potevano essere raggiunte solo dai colpi che venivano sparati per impaurire la selvaggina e stanarla. Non ero così ingenuo da rischiare, così mi sedetti sulla roccia, col fucile sulle ginocchia, a osservare il gioco di luci e ombre che compariva sulle montagne man mano che le nubi volteggiavano intorno. Questo non durò a lungo. La linea delle vedettes poteva essere difficilmente mantenuta, dopo che i colpi dei cacciatori che avevano guadagnato l’apice e già perlustravano il bosco di fronte alla nostra postazione, indicarono ai compagni in basso nella valle di stare all’erta.
L’intervallo di silenziosa aspettativa venne interrotto e lo spettacolo divenne eccitante. I cani all’interno del bosco abbaiarono e al loro richiamo fece immediatamente seguito una detonazione: indicava che la selvaggina era lì. Poi ogni fucile fu puntato, ogni occhio intento a scrutare la pista nella macchia attraverso la quale, cinghiale o capriolo, sarebbe dovuto passare uscendo dal bosco per attraversare la valle. I colpi di fucile e le grida risuonavano sempre più vicini, finché uno sparo all’estrema sinistra annunciò finalmente che la selvaggina era stata avvistata mentre lasciava il rifugio. Partì allora una serie di spari, indirizzati dove si intravedevano cinghiali o caprioli. Parecchi caddero, altri scapparono, altri ancora, feriti, vennero perseguiti dai cani oltre le postazioni, mentre i cacciatori si precipitavano sulle loro tracce.
Entrammo in città trionfanti. Durante la sera la pelle del miglior cinghiale, più un’aggiunta di carne, fu recapitata al nostro alloggio quale trofeo per la nostra partecipazione. La carne di cinghiale, se ben cucinata è eccellente, ma la cucina di Madame Rosalie fallì nel renderle giustizia.
Questo modo di praticare la caccia generalmente diffuso in Sardegna, è simile alle battute ai lupi e al leopardo alle quali ho assistito in Sud Africa, dove i boeri, in gruppi numerosi, muovono violenti attacchi contro i saccheggiatori delle loro mandrie cercando di stanarli, e si posizionano per abbatterli appena escono allo scoperto. Le compagnie sono allegre e lo sport è eccitante, ma non penso possa essere paragonato all’inseguimento dei cervi o alla caccia alla volpe, per non parlare delle scorrerie contro leoni e tigri.
FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI
Disegni, dipinti e litografie dell’800
Michel Antony Shrapnel Biddulph, The Himbarra [Limbara] from Tempio = Il Limbara visto da Tempio, immagine nel libro, ca 1858.
Archivio di stato di Cagliari, Chiesa e convento delle monache, 1821.
Fucili di Tempio, IN Giuseppe Sotgiu, I fucili di Tempio, Tempio, Accademia Popolare Gallurese G. Gabriel, 2012.
Collezione Luzzietti, Tempiesi, ca 1795-1805, IN Francesco Alziator, La collezione Luzzietti: raccolta di costumi sardi della Biblioteca universitaria di Cagliari, De Luca 1963, Zonza 2007.
Giuseppe Cominotti, Saluto tempiese, 1825, IN Francesco Alziator, La raccolta Cominotti: raccolta di costumi sardi della Biblioteca Universitaria di Cagliari, ed. De Luca 1963 e Zonza 1990.
Giuseppe Cominotti e Enrico Gonin [disegno], A.J. Lallemand [incisione], Vestimenti sardi in serie [Tempio], ca 1826-1839, IN Alberto Della Marmora, Voyage en Sardaigne, ou Description statistique, phisique… Atlas de la première partie, 1. ed. Paris, Delaforest 1826; 2. ed. Paris, Bertrand – Turin, Bocca,1839.
Nicola Benedetto Tiole, “Donne di Tempio disegnate dal mio amico La Marmora”, ca 1819-1826. IN Album di costumi sardi riprodotti dal vero (1819-1826), saggi di Salvatore Naitza, Enrica Delitala, Luigi Piloni, Nuoro, Isre 1990.
Luciano Baldassarre, Venditrice di sapone di Tempio, ca 1841, IN Luciano Baldassarre, Cenni sulla Sardegna, illustrati da 60 litografie in colore, Torino, Botta, 1841; Torino, Schiepatti, 1843 (rist. Archivio fotografico sardo, 1986, 2003).
Luciano Baldassarre, Cinghiale, ca 1843, IN Luciano Baldassarre, Cenni sulla Sardegna op. cit.
Simone Manca di Mores, Caccia del cinghiale di notte all’agguato, ca 1861-1880, IN Simone Manca di Mores, Raccolta di costumi sardi, Cagliari, Della Torre, 1991.
Cartoline e foto dell’800 e primi ’900
Collezione Erennio Pedroni, Gianfranco Serafino, Vittorio Ruggero, Rotary, Mario Pirrigheddu.
Foto contemporanee
Matteo Aisoni – Flickr; Antonio Concas – Flickr; Vittorio Ruggero – Flickr; Salvatore Lai – Flickr; Rudiger Anders – Flickr; Salvatore Solinas – Flickr.
Salvatore Pirisinu, IN Giovanni Gelsomino, La diga del Liscia. Storia e storie, Consorzio di bonifica della Gallura, 2006.
Michele Zucca CC BY-SA 4.0, wikimedia commons.
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