LA QUERCIA DA SUGHERO
di
Nicolò Venerosi Pesciolini
Ispettore forestale [poi, negli anni Quaranta, Commissario della Federazione dei Consorzi Agrari]
articolo scritto il 19 marzo 1923, pubblicato in
L’ITALIA AGRICOLA – RIVISTA MENSILE ILLUSTRATA
1924

1. Nessun altro albero, credo, presenta insieme associati requisiti industriali e requisiti forestali tanto importanti.
Le preziose qualità tecnologiche della corteccia e l’attitudine del tronco a ricostituire, quando ne viene spogliato, il suo rivestimento sugheroso, migliorandone anzi le proprietà stesse, conferiscono alla sughera un’importanza industriale di prim’ordine. Soltanto dopo la scoperta del vetro, nel secolo XVII, il sughero, con la sua applicazione per tappi, cominciò ad acquistare l’importanza di una vera industria a sè.
L’industria dei turaccioli, che ancora oggi assorbe la parte di gran lunga maggiore e migliore della produzione del sughero, ebbe il suo inizio, presso a poco nella forma odierna, in Catalogna nella Provincia di Gerona: le prime «taponerias» risalgono al 1760. Si cominciò allora una sistematica coltivazione ed utilizzazione dei boschi di questa pianta. Le origini in Catalogna spiegano come ancora oggi quella Provincia tenga il primo posto nel mondo per questa industria e per questa coltura. Non s’immagina l’importanza del consumo mondiale dei turaccioli.
Si può calcolare che circa un milione di quintali di sughero sia assorbito annualmente dalla industria dei turaccioli, ricavandone, con una perdita in cascami del 65 %, Q1. 350.000 di turaccioli: vi corrispondono, computandone in media 1000 per ogni 3 Kg., oltre 11 miliardi e mezzo di turaccioli.
Lo sviluppo gigantesco dell’enologia e dell’imbottigliazione dei vini fini, delle industrie della birra, delle bibite, delle gasose, delle acque minerali, dei prodotti chimici e farmaceutici ha fatto moltiplicare le fabbriche di tappi di sughero; e non solo nei paesi produttori della materia prima, ma anche, e più, in quelli dove più grande è l’attività di tali industrie, come in Germania ed in America. Talvolta, come dopo la legge contro le bevande alcooliche in America, e così da noi per la tassa sulle bottiglie, come pure in seguito alla cresciuta importanza dei tappi di gomma e di quelli di vetro smerigliato, è parso che l’industria dei tappi di sughero decadesse; ma, dopo crisi transitorie, come quella recente, è sempre tornato a crescere il consumo del sughero, come materiale adatto ed insostituibile per tappi, sia nella forma tipica, sia in quella di dischi con callotta metallica. Di questi dischi ad esempio, una sola fabbrica veronese di bibite gasose ne consuma ora più di 25 a 30 milioni all’anno.
Oltre alla fabbricazione dei tappi il sughero, col progredire della tecnica e della conoscenza delle sue proprietà fisiche e tecnologiche, ha in questi ultimi decenni allargato notevolmente il suo campo di applicazione. Le sue spiccate qualità di coibenza, impermeabilità, elasticità, resistenza alla pressione, fanno di esso una barriera praticamente insuperabile contro il freddo ed il caldo; contro il passaggio dei liquidi e dei gas, contro il suono e le vibrazioni meccaniche. E poichè a questi pregi unisce quelli della leggerezza (peso specifico 0,20-0,25) e della scarsa alterabilità, così costituisce un prezioso materiale per la tecnica moderna.
Tali proprietà, base del promettente sviluppo dell’industria sugheriera, si cominciò a metterle in valore specialmente da quando, una cinquantina di anni fa, si iniziò la fabbricazione dı sugheri artificiali o agglomerati. Macinando i cascami, dati dai ritagli residuali della fabbricazione dei turaccioli, dai sugheri di scarto e dal sugherone o sughero di demaschiatura, ed agglomerando i granuli che ne derivano con agglutinanti speciali, si ottiene un materiale abbastanza economico e adatto alle forme ed agli usi più vari.
I più importanti e progredienti impieghi sono dati dalla moderna tecnica del caldo e del freddo, dai rivestimenti di cabine telefoniche, soprattutto come materiale da costruzione nei paesi tropicali per avere delle abitazioni ben difese dal caldo, dall’umido e dai forti sbalzi termici, condizione dimostrata essenziale contro molte malattie tropicali. A questo scopo, prima di pensare al sughero, si usarono vari altri materiali isolanti: ma ora è provato che nessuno può competere col sughero per leggerezza, potere isolante, inalterabilità e buon mercato.
Anche l’industria del linoleum è una notevole consumatrice del sughero macinato, che entra nella sua costituzione per circa il 50 % (1: Nella sola Inghilterra la produzione di linoleum raggiunge il valore di circa 25 milioni di sterline all’anno; negli Stati Uniti d’America tale industria sta assumendo uno sviluppo colossale).
Grande impiego è poi aperto alla polvere di sughero per l’imballo delle uova, delle frutta e dei fiori freschi. Tale sistema di imballaggio, su larga scala praticato in Spagna, ha contribuito a che l’esportazione spagnuola di uva da tavola vincesse su importanti mercati l’uva italiana, nonostante i pregi talvolta superiori di questa.
Ed altre ancora innumerevoli applicazioni fanno del sughero un crescente consumo: galleggianti di ogni specie, rivestimenti di navi, solette da scarpe, guarnizioni per cappelli, carta-sughero (usata soprattutto con successo nella confezione delle sigarette), cuscinetti di appoggio di macchine e motori, per isolamento di protezione dalle vibrazioni; senza contare molteplici applicazioni secondarie, che non è qui il caso di enumerare.
2. Di fronte a questa progrediente industria, quanta e quale è la distruzione della pianta fornitrice della materia prima? Limitata alla regione mediterranea, e più specialmente alla parte occidentale di essa, compresa fra il 34º e il 45° di latitudine Nord, con esclusione dei terreni calcarei e di tutti i terreni posti al di sopra di una altitudine massima che varia dai 500 a 1100 m. passando dal limite Nord al limite Sud, la parte del mondo popolata dalla quercia da sughero è già per limitazioni naturali relativamente ristretta.
Può ritenersi attualmente che la superficie sugherifera si estenda nel mondo a circa ha. 1.900.000 con una produzione approssimativa di quintali 1.700.000, così ripartita:
Al di fuori di queste regioni il sughero non è prodotto che in quantità trascurabili in Grecia ed in Turchia. Alcuni tentativi di introdurne la coltura in California, in Georgia e in Giappone non hanno sinora ottenuto risultati degni di rilievo.
La quercia da sughero è dunque monopolio di una parte abbastanza limitata del bacino Mediterraneo. Questa condizione, i pregi tecnologici del prodotto e la sua crescente richiesta nel mondo assicurano a una tale pianta, a prescindere da crisi transitorie, un importante avvenire economico. Quando cominciò lo sfruttamento delle sterminate sugherete algerine i sughericoltori temerono un definitivo rinvilio del loro prodotto.
Da circa una diecina di anni un altro vastissimo territorio sugherifero, quello del Marocco, sta mettendosi in valore. Ma ciò nonostante la produzione non aumenta quanto aumenta la richiesta, e proprio ora l’industria sugheriera lamenta gli alti prezzi che va acquistando la materia prima.
Ora un quintale di sughero grezzo si paga in Sardegna intorno alle 200 lire in media e fino a L. 500, ed in Portogallo da 100 a 600 lire secondo la qualità, ma per lo più 200300. Si conosce qualche sughera che è arrivata a dare in una sola decorticazione fino a 5 Ql. di sughero; ma di ordinario si valuta che una pianta possa dare durante i suoi 150-180 anni di vita 12-15 estrazioni di Kg. 20-30 di sughero ognuna in media.
La produzione media annua di un Ettaro di sughereto si aggira in Gallura fra 8 e 10 quintali.
3. Del resto il sughero è il principale, ma non il solo prodotto che questo albero fornisce.
E’ noto come, tolto il sughero, il cilindro legnoso della pianta rimane rivestito della parte vivente della corteccia, cioè dal «libro» o «madre» del sughero, così detta perchè in essa ha sede il «fellogeno», ossia il tessuto meristemale generatore del sughero.
È questa la scorza conciante, che, per il suo alto tenore di sostanze tanniche (15-18 %), è in conceria assai apprezzata. Il suo prezzo oscilla oggi intorno alle 60 lire il quintale, ossia 5 lire in più della scorza di leccio. L’utilizzazione di questa scorza, che porta con sè la morte della pianta, non dovrebbe farsi che sugl’individui non più atti alla produzione del sughero e destinati all’abbattimento. Essa è invece stata causa per l’addietro di grandi distruzioni di sughereti. Grazie ad essa la Sardegna ha visto fra il 1880 e il 1890 una vera strage delle sue vaste riserve di sughere: si abbattevano per scorzarle e poi s’incenerivano per ricavarne il ricco contenuto di potassa.
Gl’italiani sono stati maestri di questa speculazione devastatrice. La tentarono anche in Algeria, donde però furono cacciati da quel Governatorato, giustamente preoccupato della sorte delle sugherete algerine. In Italia invece, la legge, che è intervenuta a difendere dall’industria tannica i castagneti, non è intervenuta in difesa dei sughereti.
Fortunatamente il male è rimasto limitato ad alcuni anni di rinvilio del sughero; ed ora, tolto il caso di proprietari bisognosi, questa utilizzazione non si fa che su piante deperite, dopo averle sfruttate per il sughero finchè è possibile.
Quest’anno, nello spurgo di alcune sugherete della Gallura, sono state abbattute e scorzate 12.000 sughere deperite ricavandone 3000 quintali di scorza.
Il legno di sughera è un prodotto abbastanza secondario, ma non trascurabile. Si usa quasi esclusivamente per combustibile o per carbone con ottimo rendimento: un quintale di legno dà 23-25 Kg. di carbone. Le 12.000 piante suddette ne hanno dato circa 10.000 quintali.
Un altro prodotto, non tutti gli anni, ma in alcune annate notevole, è quello delle ghiande. Quest’anno le sugherete galluresi hanno ingrassato un numero straordinario di maiali portati da lontano a consumare il sovrabbondante ghiandatico. Ed anche il pascolo erbatico non manca quasi mai di dare qualche piccola risorsa anche nelle sugherete molto dense, per la luce copiosa che lascia filtrare la rada chioma di questo albero, che per tale prerogativa benissimo si presta alla costituzione di pascoli arborati: da questo lato potrebbe dirsi il larice della zona mediterranea.
4. Nè, di fronte alla ricca produzione di cui è capace, e che l’avvicina più alle piante agrarie che alle piante silvane, la sughera perde il carattere forestale per essere troppo esigente di mano d’opera. Certamente. essa potrebbe anche ben rispondere a delle cure minute, entrando magari a far parte di piccole unità colturali, come già si vede all’estero per le stesse sugherete e per le pinete da resina, e come non manca anche da noi qualche esempio. Le cure minute di ogni singola pianta nei periodi di decorticazione, nel difendere le parti scoperte del tronco, nelle potature, nelle ripuliture, nella difesa dagli insetti, influirebbero molto sulla longevità dell’albero, sulla resa in sughero, sulla qualità e sul prezzo di esso.
Dice Giglioli: «Si può facilmente arrivare a far rendere a questo albero forestale tanto quanto un buon albero fruttifero». Ma prima di potere arrivare a questo auspicato perfezionamento colturale, si possono intanto allevare e conservare e mettere abbastanza in vasta specie con modesta fatica.
I lavori essenziali che si richiedono, e che in fatto quasi esclusivamente si praticano nelle principali sugherete sarde, sono: la ripulitura della bassa macchia in prevenzione degli incendi, e la decorticazione, sia per la demaschiatura sia per le successive raccolte.
La ripulitura richiede d’ordinario in Sardegna una ventina di giornate di lavoro all’ettaro ogni tre o quattro anni per sgombrare, ammassandola e bruciandola, la macchia, per lo più di cisto, corbezzolo, citiso, che rapidamente cresce sotto la scarsa ombra delle sughere.
Le decorticazioni sono eseguite generalmente da squadre di tre operai, ciascune delle quali leva 6-8 quintali di sughero al giorno: la spesa di raccolta grava sul sughero per L. 10-12 a quintale.
È questa l’operazione più delicata ed importante, da cui dipende l’avvenire della pianta. Spogliata del suo naturale rivestimento protettivo, essa attraversa una crisi; perchè possa agevolmente superarla fino a ricostituire un nuovo strato di sughero, deve l’estrazione farsi particolari attenzioni, nella misura, nella stagione e nei modi voluti, soprattutto senza ledere i tessuti vivi sottostanti: cure ben modeste ad ogni modo, di fronte ai redditi che la pianta fornisce. Per la sughereta del Santo Pietro di Caltagirone è stato computato un beneficio fondiario annuo per Ettaro di circa L. 230: in varie sugherete della Gallura coi prezzi attuali si arriva intorno a L. 700.
- Se da un lato i pregi tecnologici ed economici conferiscono alla quercia da sughero un alto valore industriale, d’altro canto distinte attitudini biologiche le conferiscono una non meno pregevole importanza forestale.
Meravigliosamente adatta a valorizzare i privilegi del suolo e del clima della sua zona e a difendersi dai difetti, essa costituisce indubbiamente la più preziosa risorsa della silvicoltura mediterranea. Tipicamente frugale, essa non esige i buoni terreni, ma si adatta benissimo a quelli fra i terreni silicei più magri e rocciosi; é dove nessuna coltura agraria è pensabile e appena alligna talvolta un infimo pascolo, ivi dà anzi un prodotto qualitativamente migliore ed offre un reddito paragonabile a quello di buone colture agrarie.
Per le sue difese xerofitiche, per le sue piccole foglie coriacee, accartocciate, tomentose, per il potente rivestimento sugheroso, essa è egregiamente premunita contro le ostinate siccità caratteristiche della zona mediterranea, alle quali difficilmente soccombe quando tutto d’intorno è inaridito. Ed anche di fronte ai due grandi nemici della selvicoltura mediterranea, gl’incendi ed il pascolo, essa, pur subendone i disastrosi effetti, è una delle specie che meglio resiste.
Tolto il caso che sia stata decorticata di recente, la corteccia sugherosa la protegge molto dall’azione del fuoco; e ai danni del pascolo la giovane riproduzione, pur riducendosi cespitosa e sterpigna, oppone una tenace vitalità.
Per questi pregi forestali di rusticità e resistenza la quercia da sughero può costituire una risorsa preziosa di vaste plaghe brulle e desolate della zona mediterranea, inadatte ad una agricoltura o ad una pastorizia proficue. Ho avuto occasione di calcolare che la sola Sardegna potrebbe, oltre la superficie attuale, utilmente destinare alla coltura della sughera circa 250 mila Ettari dei suoi terreni peggiori e meno produttivi.
In Sardegna stessa recenti esperienze di propagazione di questa specie con semina a spaglio e lavorazione superficialissima del terreno hanno dato risultati ben promettenti. Ma quel possibile incremento dell’area sughericola per la maggior parte dell’estensione non significa impianto ex novo della coltura: si tratta per molta parte di lande incolte cespugliate, antichi boschi degradati, che possono essere ottima matrice di sugherete, che tendono spontaneamente a ripopolarsi di questo albero. Basta succidere quella vegetazione cespitosa, allevarne i rigetti, rinfoltirla, metterla a coltura; ma avanti tutto difenderla dagl’incendi e dalla pastorizia, le due cause che principalmente avversano questa, come ogni altra forma di coltura boschiva mediterranea, e ne rendono difficile non solo l’incremento, ma anche la conservazione.
Una tale opera di difesa e di ricostituzione è questione sociale e tecnica insieme. Essa sarà possibile ed agevole se l’economia pastorale di queste regioni si assesterà in forme più razionali e più conciliabili con ogni coltura. D’altra parte gioverà automaticamente al rispetto di questo albero, più che qualsiasi mezzo coercitivo, la diffusione di buone norme di coltura, non tanto delle singole piante, quanto del complesso boschivo, assestandolo secondo il sistema di trattamento, l’età di demaschiatura, il turno di decorticazione, la densità più conveniente a ritrarne il più elevato reddito continuativo.
A loro volta questi miglioramenti saranno facile conseguenza di una azione intesa a ravvivare l’attività di una florida industria sugheriera, che possa pagare generosamente la materia prima.
Anche la sughericoltura è e sarà sempre più progredita, dove più viva è l’attività industriale, ispiratrice di ogni sperimentazione agraria e forestale. Prima che dai pascoli cespugliati mediterranei scompaia quella matrice che ancora avanza della sughera, conviene non perdere l’opportunità per fomentare una delle maggiori industrie forestali, specialmente in regioni come quelle frequenti del mezzogiorno d’Italia e delle nostre grandi Isole, nelle quali, mentre molte sarebbero le possibilità di una vigorosa industria forestale del sughero, scarse restano le possibilità di altre industrie agrarie.
- Si propugna spesso la convenienza di dare ai pini una maggiore diffusione nella ricostituzione dei boschi mediterranei, per supplire almeno in parte alla deficienza del legname da opera, che in molte regioni meridionali, ad esempio in Sardegna, si deve quasi interamente importare dai boschi di conifere settentrionali.
Ma, prima di propagare artificialmente i pini anche al di fuori della loro naturale distribuzione o dove essi sono scomparsi lasciando spesso superstiti specie forestali più di essi resistenti alle suddette avversità del bosco nella regione mediterranea, converrà far tesoro di un albero prezioso come la quercia da sughero dove essa ancora spontaneamente alligna e lotta contro le avversità dell’ambiente.
Per incanalarsi verso i suoi naturali declivi la selvicoltura mediterranea, prima che alla produzione del legname, deve mirare alla produzione del sughero. «Poichè scriveva il Davanzati a Messer Giulio della Caccia non ogni clima produce ogni frutto della terra, perchè il sole e le stelle con diversi angoli ed aspetti la percuotono nei diversi siti, quindi è che l’un l’altro regno fornisce del suo soverchio ed è fornito del suo bisogno».
Come l’agricoltura, così la selvicoltura dei paesi mediterranei, e quindi dell’Italia per eccellenza, possiedono nel clima, nel suolo, nella flora condizioni naturali di privilegio, per le quali sono chiamate a dare, in cambio dei prodotti più diffusi ed elementari, base comune delle sussistenze, quelli specializzati di colture più elette, su cui esse hanno poco o nulla da temere dalla concorrenza e di cui la civiltà progressiva fa crescente richiesta e consumo. Tale è il sughero.
Sassari, 19 Marzo 1923

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