RAFAEL NEVILLE
PORTO RAFAEL
tratto da
ALLA CORTE DELL’AGA KHAN
MEMORIE DELLA COSTA SMERALDA
di PAOLO RICCARDI
[Intervista di Mabi Satta]
UN HIDALGO DI NOME RAPHAEL
[PRIMA DELL’AGA KHAN E DELLA COSTA SMERALDA. RAPHAEL NEVILLE e DINO DA PONTE]
Prima dell’Aga Khan
Partiamo dal 1959, quando ancora l’Aga Khan non esisteva. Nel senso che non era ancora venuto in Sardegna (ci venne nel 1961). Io invece ho iniziato ad occuparmi delle grandi possibilità del turismo per la Sardegna due anni prima, nel 1959. Raphael Neville arrivò nel mio studio, a Sassari, con una lettera del professor Sergio Costa, che era il rettore dell’Università.
La storia, allora, inizia a Sassari.
Sì, torniamo un attimo indietro, a quando ero ancora studente. Ero “senatore” della famosa ATU, l’Associazione Turritana Universitaria. Il professor Costa ci aveva promesso un nuovo locale in sostituzione di un altro, dove c’era la mensa dell’associazione, che ci era stato tolto per fare posto all’Istituto giuridico e alla Biblioteca universitaria. Quando lo sollecitavamo per assegnarci il nuovo locale, ci diceva: «Ne parliamo nel Senato accademico che si riunisce il tal giorno, voi venite». Verso le cinque di quel giorno sono andato alla riunione con degli altri studenti, mi ricordo Paolo Mancaleoni e Ciccio Azzena.
Puntualissimi all’appuntamento, aspettammo che ci chiamassero nella sala dove era riunito il Senato accademico. Alle nove, dopo quattro ore d’attesa, vedo uscire il professor Carta, che era il preside
di Veterinaria, e gli chiedo: «Ma Lei, professore, sta andando via?».
«Sì, sì, abbiamo finito». «Ma come, non vi ha parlato del nostro problema il professor Costa?». «No». Dopo di lui dalla sala riunioni esce il professor Salvatore Marras, di Medicina legale, una persona di eccezionale simpatia, proprio il classico sassarese: «Professore, come mai il prof. Costa non vi ha parlato del nostro problema?». «Ma non lo sai come è fatto? Ha paura a rispondere».
Finalmente esce il rettore. L’ho affrontato: «Che maniera di fare è questa? Professore, Lei ci ha preso in giro». Lui balbettava, non diceva niente. Il colloquio è finito lì. Io dovevo sostenere con lui due esami, Diritto agrario e Procedura civile. «Quest’uomo – mi son detto –, quando vado a dare l’esame, mi fa saltare dalla finestra». Per questa paura ho veramente studiato moltissimo e ho superato i due esami con il massimo dei voti. Un altro professore sicuramente mi avrebbe trattato diversamente.
Quando poi è diventato presidente dell’Ente Provinciale del Turismo, tanti anni dopo quella litigata, è venuto nel mio studio, e la segretaria: «C’è il professor Costa». «Il professor Costa? Fallo entrare immediatamente». «Sa, avvocato, ho bisogno del suo aiuto. Ho diverse cause, Le dispiace se le passo a Lei?». «Professore, ma sta scherzando? Sono felicissimo, molto onorato», «Guardi, intanto le do questo deposito». «Ma lasci perdere, vedremo». «Me l’hanno dato, questa causa m’interessa, quindi la segua Lei». Non so perché si era rivolto a me: forse perché gli ero rimasto impresso per l’episodio della famosa riunione, forse perché aveva intravisto una mia certa aggressività, una qualche indipendenza di pensiero.
Arriviamo all’ingresso di Raphael nel suo studio.
In quel 1959 al professor Sergio Costa l’ambasciatore di Spagna a Roma mandò una lettera che diceva: «Le presento Raphael Neville, figlio del famoso Edgar Neville, conte de Berlanga e del Duero». E il professore lo mandò da me.
Edgar Neville, grande scrittore, grande cineasta, grande produttore di film, era un personaggio di spicco in Spagna. Era stato ambasciatore a Washington. Raphael ne aveva ereditato la sontuosità della presenza, che però interpretava in chiave hippy-pop.
Quando venne nel mio studio, Raphael aveva 32 anni. La segretaria bussa e mi dice: «Avvocato, c’è un tipo tutto particolare che mi ha dato questa lettera per Lei». Si è presentato con un cane piccolissimo in una tasca della giacca, con un cestino di quelli che servono alle donne di campagna per raccogliere i fichi o la frutta, con spessi occhiali azzurri e un corto bolero di pelle. Non avevo mai visto uno combinato così. Uno “dell’altra sponda”: ad alto livello, magari, ma dell’altra sponda.
Raphael inizia parlando in francese. Per fortuna io avevo studiato francese e quindi lo capivo abbastanza: «Ho sognato qui, al centro del Mediterraneo, una spiaggia dove voglio fare un villaggio». «Ah, bene. E quando l’ha sognata?». «Anche ad occhi aperti io la sogno sempre, questa spiaggia!». «Bene, dopo questa apparizione che L’ha folgorata, che cosa posso fare per Lei?».
«Siccome ho girato tutta la Corsica e non ho trovato la spiaggia che ho sognato, questa spiaggia è sicuramente in Sardegna». «Аһ, buona idea. Allora io che cosa dovrei fare?». «Veda un po’, mi dia dei suggerimenti. Mi aiuti a trovare la mia spiaggia». Data la presentazione non potevo dirgli: «Ma vada a cercarsela Lei per tutta la Sardegna». Gli dico: «Guardi, domani io sono libero, andiamo a Stintino» (dove io passavo le vacanze).
La bellezza della Pelosa era unica. Non c’erano costruzioni, niente. Lo porto con la mia macchina. Vede tutte le spiagge. «No, non è questa la spiaggia. No, neanche questa». Io mi stavo già rompendo. Andiamo a pranzo da Silvestrino, un famoso ristorante di Stintino. Abbiamo fatto una bella scorpacciata di aragoste. Lui era un grande mangiatore di aragosta e di pesce. Poi abbiamo bevuto, in quantità industriale. Quando stavamo per rientrare a Sassari, passo davanti al porticciolo per farglielo vedere e mi accorgo che c’era qualcuno nella casa di mio cugino, Gigetto Pinelli, un medico conosciuto in tutta Sassari. Una persona simpaticissima. Busso: «Oh, Paolo!». Baci e abbracci. «Ti presento lo spagnolo Raphael…». Siccome lui è di Alghero (dove si parla catalano) comincia: «Hasta la vista! Cosa prendete?» E io: «Una vernaccia sarda, quella di Zinnarosu di Milis». Perché sapevo che questo Zinnarosu era cliente di Gigetto e ogni volta che andava a Sassari gli portava una vernaccia straordinaria, prodotta da lui. «E come no? Proprio quella avevo pensato di darvi». Iniziamo a bere, apprezzando questa fantastica ambrosia. Ne beviamo almeno 405 bicchieri. Gigetto, rivolgendosi a me in sassarese per non farsi capire da Raphael, mi fa: «A chistu lu imbriaghemmu» (“Questo lo facciamo ubriacare”). Raphael era un bevitore eccezionale. Iniziava a bere la mattina con gli aperitivi e finiva alle ore piccole, giusto verso l’alba quando andava a dormire. Non l’ho mai visto traballare. È andata a finire che Gigetto si è preso una sbronza nera. Con Raphael lo abbiamo coricato nel letto e io gli ho lasciato un biglietto: «Gige’, mi sembra che lo spagnolo ha ubriacato te».
La spiaggia sognata
E siamo ripartiti. L’indomani lo porto ad Alghero. Gli faccio vedere le spiagge delle Bombarde e tutte le altre, dal Tramariglio fino a Porto Ferro. «No, non era questa la spiaggia del mio sogno». Siamo passati a darci del tu: «Allora, Paolo, dove pensi che possa trovare la spiaggia dei miei sogni?». «Raphael, dice che le spiagge dell’arcipelago della Maddalena sono fantastiche. In quella zona ci sono delle isole straordinarie. Ma non andare oltre Olbia, perché da lì inizia il Nuorese, e quello non è il posto giusto. Sono persone intelligenti, ma sono un po’ particolari! Semmai, vai verso il Cagliaritano. Può darsi che li riesca a trovare quello che cerchi».
Parte per La Maddalena con la sua macchina, una specie di jeep in miniatura. Prima di lasciarmi mi dice: «Fra una settimana ritorno a Sassari». Sparisce per due mesi. Ricompare una mattina che ero in tribunale. «Paolo, il mio sogno si è avverato. Ho trovato la spiaggia che cercavo!». «Dove?», «A Palau. Ho comprato un terreno di tre ettari per un tre milioni di lire». «Sei completamente matto. Quel terreno lo potevi comprare a 200 mila lire, ed è anche troppo», gli dico. «Per me va bene così. Parto da Porto Torres per Genova e vado a Nizza». Dopo un’ora mi chiama al telefono da Porto Torres il direttore dell’agenzia della “Tirrenia”: «Avvocato, ho qui un tipo strano. Dice di essere suo cliente: non può partire perché gli mancano 11 mila lire per il biglietto». Gli assicuro che l’indomani sarei andato di persona a Porto Torres per dargli le 11 mila lire del biglietto. Così Raphael riesce a partire.
Tornò con i denari per concludere l’acquisto del terreno. Quella volta gli mancavano 500 mila lire, perché nel frattempo le aveva spese. Aveva fatto società con chi l’aveva finanziato, un’attrice canadese molto bella che si chiamava Shirley Douglas.
Ho assistito Raphael per la stipula notarile dell’acquisto del terreno, anche perché i proprietari non volevano più vendergli il terreno e pensavano di trattenersi i soldi della caparra che avevano già ricevuto da lui. Sono intervenuto io e ho saldato il conto pagando le 500 mila lire che mancavano per il passaggio di proprietà. Però ho fatto aggiungere una clausola che prevedeva un’opzione per l’acquisto di altri lotti nei 150 ettari di proprietà dei venditori. Ho pensato: «Così se riesce a venderli recuperiamo qualche lira», cosa che regolarmente è riuscito a fare, quando nel 1962 il mitico 15 luglio abbiamo fatto la cessione dell’opzione d’acquisto del residuo terreno al banchiere inglese, di origine rumena, Dino Da Ponte.
I calcoli del banchiere rumeno [Dino Da Ponte: Porto Raphael e Costa Serena – Palau]
Prima di comprare questo terreno Da Ponte ha voluto conoscermi, perché Raphael gli aveva detto di affidarsi a me, che ero un suo amico.
Da Ponte viene a Roma per incontrarmi. Ci vuole anche, ovviamente, un architetto. Antonio Simon Mossa, sassarese, è un mio amico, e insieme è uno degli architetti sardi più conosciuti. Lo invito nella capitale, insieme a Raphael, per incontrare il banchiere inglese. Era esattamente il 15 novembre 1962.
L’incontro era fissato all’Hotel Hassler. Da Ponte ci trattiene per almeno sette ore, ci chiede tutte le informazioni possibili sulla Sardegna: i costi delle costruzioni, le leggi statali e regionali in materia edilizia. Assieme a lui c’era un suo dipendente, Casimir Stamirski, polacco, poi diventato presidente della società e amico inseparabile di Raphael.
L’indomani sera partiamo per la Sardegna. Il mare era agitatissimo, tanto che il bar e il ristorante non erano stati neppure aperti, perché era impensabile che qualcuno andasse a bere o a cenare. Da Ponte e Stamirski si rivolgono al comandante e chiedono ugualmente di aprire bar e ristorante, cosa che il commissario di bordo non poteva rifiutare. Per me fu una cena disastrosa. Per fortuna ho resistito al mal di mare, non so neppure io come.
Arrivati a Palau noleggiammo una piccola barca, perché Da Ponte voleva vedere dal mare l’estensione del terreno e le spiagge che s’incontravano partendo da quella che chiamavano la “baia di Nelson” o La Sciumara sino a Punta Sardegna.
Prima di sbarcare mi dice: «Avvocato (parlava in francese), mi consiglia di acquistare la proprietà che stiamo osservando?». Gli rispondo: «Lei vuole il mio pensiero preciso? (Lui mi aveva detto che se avesse comprato, mi avrebbe nominato presidente della società, cosa che poi fece davvero). Ebbene, io Le consiglio di prendere soltanto i 30 ettari della grande spiaggia, La Sciumara, quella che si vede dalla strada che porta a Palau. Ma il resto con queste rocce…sono allucinanti, sembra l’inferno. Cosa se ne farebbe?». Mi scruta intensamente e mi fa: «Avvocato, io l’apprezzo moltissimo per la sua sincerità, ma si ricordi che proprio da quelle rocce io ci farò un bel po’ di denaro». Osservo scettico: «Buon per Lei, se ha una bacchetta magica». Immaginate un sardo, abituato ad andare ad Alghero e alla Pelosa: tutte quelle rocce, quel terreno montagnoso, erano completamente fuori dalla nostra cultura.
Così Da Ponte comprò 100 ettari che poi diventeranno Porto Raphael e mi nominò amministratore delegato della sua società anglo-italiana di Punta Sardegna. Ci sono rimasto fino al giugno 1964. Quando sono stato assunto dall’Aga Khan sono stato pregato di lasciare la società di Da Ponte. Anche perché, nel frattempo, Da Ponte aveva invitato la zia dell’Aga Khan, Lady Cadogan (era zia dell’Aga Khan da parte materna) a passare una settimana a Porto Raphael. Ritornata da Porto Raphael a Porto Cervo, aveva detto al nipote: «Ah, quanto mi diverto a Porto Raphael, qua è una noia». Da quel momento l’Aga Khan di Porto Raphael non ne voleva neanche sentir parlare.
Nella mia qualità di amministratore di questa nuova Società ero stato messo a conoscenza del piano di investimenti. Capii subito quanto era importante per Palau l’iniziativa del banchiere inglese. Infatti, in successione, nella zona acquistarono un’estensione di oltre 120 ettari il conte Van Slarven e l’ingegner Campo. Iniziò la progettazione di quella che venne chiamata “Costa Serena”.
L’hildago e il Presidente [Raphael Neville e Antonio Segni]
La mostra dei piani turistici a Sassari, nel 1962, fu l’occasione per presentare il conte di Berlanga al presidente della Repubblica. Durante la visita allo stand dove Raphael aveva esposto i suoi piani, il presidente Segni gli ha chiesto: «Ma voi come vedete la Sardegna, quali sono le vostre aspettative?». «Presidente, mucho mucho dinero». Il professore ha riso. Poi abbiamo commentato con il presidente chi era e chi non era il conte spagnolo. Segni rideva veramente divertito.
Durante il convegno il signor Bigio, allora segretario generale del Consorzio Costa Smeralda, aveva potuto constatare con quanta serietà avevamo organizzato la manifestazione e mi aveva lungamente parlato delle prospettive e dell’importanza del Consorzio Costa Smeralda per la Sardegna. Io l’ho presentato a molti politici che erano venuti al convegno: in maggioranza erano ancora all’oscuro dell’iniziativa che stava per esplodere in quella che sarebbe stata la Costa Smeralda.
Quella sera, al Teatro “Verdi” di Sassari, alla presenza del presidente della Repubblica e di sua moglie donna Laura, è stata eseguita un’opera inedita del musicista sardo Ennio Porrino. Il presidente era stato eletto da poco. I posti a teatro erano al completo. Tutta la Sassari che contava, e quella parte della Sardegna che la riteneva la capitale politica dell’isola, erano presenti. A me e all’avvocato Rizzu, che eravamo stati gli organizzatori della mostra e del convegno, venne assegnato un palco vicino a quello del presidente Segni. Nel nostro palco, oltre mia moglie e mia sorella, avevamo invitato sia Raphael che Dino Da Ponte. Durante l’esecuzione dell’opera, Raphael, che era seduto al mio fianco, inizia a muoversi, abbassandosi sulla sedia, con grande fatica, per estrarre dalla tasca posteriore dei pantaloni una bottiglietta di whisky. È stata una scena comica. E una consacrazione, per quanto casuale, di un personaggio destinato a restare a lungo sugli spalti del boom turistico nel Nord Gallura.
Quando sono andato via dalla società di Punta Sardegna, mi doveva 12 milioni di lire di onorari. Anziché un assegno di 12 milioni me ne rilascia uno di soli quattro. Prendo l’assegno e gli dico: «Caro Dino, hai sbagliato la cifra!». «No, anziché darti denaro, per la differenza dovuta ti do dei terreni, e vedrai che quei terreni li venderai a 10 mila lire al metro quadro». Ridendo gli dico: «Sì, a 50 mila lire». Invece con il tempo li ho venduti anche a 120 mila.
Dopo l’acquisto del terreno, dov’è andato ad abitare Raphael? Ha poi trovato la spiaggia del suo sogno?
Sì, ha trovato la spiaggia e praticamente è andato ad abitare lì. Aveva adattato ad abitazione una costruzione in cemento che era stata fatta dai militari, durante la guerra, per metterci una mitraglia a difesa della “baia di Nelson”. Era poco più di una capanna: ci stavano a stento due letti, uno di fronte all’altro, e in un angolo una piccola doccia. Non c’era né luce elettrica né acqua corrente. Raphael aveva collocato all’esterno un bidone di ferro che riforniva d’acqua. Il bidone era collocato a cavallo di due blocchi di cemento, d’inverno si riscaldava l’acqua accendendo il fuoco sotto il bidone. D’estate non era necessario. Fuori aveva costruito una tettoia e aveva fatto realizzare una cucina all’aperto in muratura. Così ha iniziato la sua attività di ristoratore. Aveva chiamato questa specie di ristorante “La Mitraglietta”. Era un cuoco straordinario. Invitava gli amici più cari a venire a Palau per conoscere questo posto fantastico, in un’isola che allora era sconosciuta ai più.
Il suo marketing immobiliare è stato fantastico. Con i primi guadagni ha costruito una casa con due camerette. Aveva speso 4 milioni e poco tempo dopo l’ha venduta per più di 8 a un suo amico pittore, John Strich, che veniva a passare l’estate a Porto Raphael con la moglie. Non li ho mai visti sobri. Molte volte io e altri amici eravamo costretti a prenderli di forza per accompagnarli a casa, perché per andare a casa dal bar dove stazionavano sino a tarda notte dovevano percorrere una salita, e date le condizioni piuttosto precarie per loro era praticamente impossibile.
Effetto eco per la nobiltà inglese [Lord Peter Word, Lord Tennent, John Strich].
Dall’Inghilterra i primi ad arrivare sono stati lord Peter Word, un nobile molto facoltoso. La figlia è diventata un’attrice famosa: è stata la protagonista del film Uccelli di rovo. Io l’ho conosciuta da bambina, perché giocava con i miei figli Piero e Margherita. Lord Word è stato uno dei primi a costruire una splendida villa a Punta Sardegna, progettata dall’ architetto Michele Busiri-Vici.
Anche Lord Tennent, che era stato fidanzato con Margaret d’Inghilterra, aveva acquistato da Da Ponte tre ettari di terreno a Punta Sardegna, un lotto vicino a quello del suo amico lord Word. Non ho capito perché poi non abbia mai costruito la casa che aveva fatto progettare. Era un uomo bellissimo, alto, biondo, occhi celesti. Dopo anni ho saputo che aveva preferito acquistare un’isola nei Caraibi, la famosa isola “La Moustique”, forse perché aveva bisticciato con Da Ponte, colpevole a suo dire di non aver mantenuto un impegno che aveva preso con lui. Mi ricordo che Da Ponte mi telefonò per dirmi che lord Tennent sarebbe arrivato a Olbia accompagnato da un alto funzionario della Banca Da Ponte, Vincent Koziel. Mi chiese di andare a prenderli, perché avevo la delega della società per andare dal notaio Bua di Olbia a stipulare l’atto di vendita di tre ettari di terreno che Tennent aveva acquistato. Il notaio ci fissa l’appuntamento alle cinque del pomeriggio nel suo studio. Arriviamo puntuali all’appuntamento, ma la segretaria ci dice che il notaio avrebbe avuto un piccolo ritardo. Preghiamo la segretaria di richiamarci all’Hotel Jolly non appena fosse arrivato. Eravamo tutti fuori dalla grazia di Dio. Finalmente arriva il dottor Bua. Legge l’atto, che aveva redatto in italiano. Io avevo una copia dell’atto, che mi era stata consegnata il giorno prima. Ho ritenuto doveroso, prima che Lord Tennent firmasse l’atto, di tradurglielo perché potesse essere certo della corrispondenza con quanto aveva contrattato con la società venditrice. Ma Tennent perde la pazienza e, con un gesto di stizza, mi toglie di mano la copia dell’atto e si rivolge al notaio, pronto a firmare senza perdere altro tempo. La mia reazione è stata immediata. Mi rivolgo al notaio e gli dico: «Quando lord Tennent avrà imparato l’educazione e avrà capito che non siamo in Africa, allora verrò a firmare». Mi alzo, saluto il notaio e vado via.
Avevo lasciato la macchina al Jolly. Mentre mi dirigevo a piedi verso l’albergo, vengo raggiunto da Tennent: «Avvocato, mi scusi per tutto. Mi sento male, ho dei dolori fortissimi allo stomaco. Sono tanto dispiaciuto per il mio comportamento». Ho accettato di buon grado le sue scuse e sono tornato indietro a firmare l’atto. In seguito ho incontrato Tennent un paio di volte in Costa Smeralda: sempre molto gentile, mi invitava ad andare suo ospite all’isola caraibica.
Dopo la prima vendita a John Strich, Raphael ha fatto un piano di lottizzazione del terreno che aveva acquistato. Viene a Sassari da me e mi presenta un piano molto semplice: tante piccole unità edilizie sul mare, lasciando limitrofo alla strada di accesso a Porto Raphael un reliquato di 1.950 metri quadrati. Mi dice: «Paolo, io ti sono debitore di 500 mila lire che mi hai prestato al momento dell’acquisto del terreno. Inoltre hai costituito la Società per azioni “Porto Raphael” e hai fatto tanto per me. Penso che sia giusto che tu ti scelga un lotto».
Ovviamente ho accettato l’offerta, consapevole che se non avessi accettato potevo dare sicuramente l’addio a quanto mi doveva. Scelgo un appezzamento sul mare, vicino alla spiaggia di Porto Raphael. «Quel lotto l’ho già venduto al signor Kociski», un polacco suo amico. «Va bene, scelgo quest’altro». «Quello l’ho venduto alla contessa Larisch», una gran dama dell’aristocrazia tedesca. «Quest’altro l’ho venduto al principe Pio di Savoia…». Gli dico: «Qual è il lotto che non hai ancora venduto?». Mi indica il reliquato stradale! «Non mi aspettavo tanta generosità da te, Raphael, ti ringrazio di cuore!». Grande risata.
Sul terreno avevo fatto fare un progetto da Busiri-Vici, che data la nostra amicizia me l’ha regalato: una bellissima villa con tre camere da letto, un salotto, camera da pranzo e cucina, una terrazza spaziosa sul giardino. La costruzione non mi è costata una lira. Spiego il motivo. Raphael viene a Porto Cervo a trovarmi e mi informa che Rudy Wilson, un ingegnere irlandese che era stato il direttore tecnico della “Anglo-italiana”, aveva fatto società con lord Word per realizzare delle ville ed era interessato ad acquistare il mio reliquato stradale. Wilson aveva un carattere pessimo. Era un grande presuntuoso. Non aveva mai avuto un buon rapporto né con me né con nessun altro di tutta la zona. Aveva un solo pregio: era marito di un’inglese bellissima, una ex modella. Raphael mi precisa che sul mio terreno si potevano costruire almeno tre ville.
Dopo pochi giorni vengo avvicinato da Wilson. «Paolo, vuoi vendere il lotto di terreno che hai a Porto Raphael?». «No, non lo vendo. Ho già un progetto di Busiri-Vici e non intendo venderlo». Gli faccio vedere il progetto: «Paolo, se tu mi vendi il terreno residuo, io ti costruisco la casa». «Posso accettare a una condizione: nel progetto la casa, a mio parere, ha le stanze piccole. La grandezza della villa va aumentata di almeno un metro e mezzo in tutta la circonferenza». Ha accettato. Senza perdere tempo abbiamo stipulato un preliminare di vendita. Wilson ha costruito la casa in maniera impeccabile.
Una tasca bucata e l’angelo custode
Raphael aveva un rapporto particolare con i soldi?
Vale la pena di raccontare qualche esempio di quanto poco era capace di amministrare i soldi che guadagnava. Quando ha venduto al pittore Strich, di sua iniziativa mi ha consegnato l’intero importo, 7 milioni e 500 mila lire, perché li tenessi a sua disposizione. Tre mesi dopo viene a Sassari nel mio studio. Facciamo una lunga chiacchierata. Tra l’altro mi dice che deve andare a Cagliari a trovare degli amici e mi chiede di dargli 300 mila lire per il viaggio da Alghero a Cagliari. Gli consiglio di fare il biglietto alla “Sardaviaggi”, così può risparmiare il viaggio in taxi fino all’aeroporto di Fertilia, visto che la Sardaviaggi mette a disposizione un pullman, gratis. «Spendi 2.500 lire, più altre 2.500 per il biglietto dell’aereo. A Cagliari ti consiglio di scendere all’Hotel Mediterraneo. Spendi 3.700 lire al giorno, che moltiplicati per tre giorni fanno 11.250. Totale 11.250 più 5.000 uguale 16.250. Per pranzo e cena ti consiglio di andare al ristorante “La Spiaggiola” a Sant’Elia, da Giovanni, a nome mio, vedrai che ti farà mangiare alla grande, con un 5.000 al giorno. Quindi ti occorrono in tutto 31.250 lire e non 300 mila». «Dammi le 300 mila che ti ho chiesto e chiudiamo questo discorso! I denari sono i miei e ne faccio quello che voglio». «Scusa, ma di quale denaro stai parlando?». «Sì, ti ho dato 7 milioni e mezzo, quelli di John Strich». «Io? Ma tu hai un documento che lo dice? Guarda che stai sbagliando. Mi stai scambiando con qualche altro». Rimane sconcertato. Mi conosceva poco, si infuria: «Sei un ladro, un truffatore». E se ne va. Dopo due ore torna e mi dice: «Mi hai fatto prendere uno spavento. Sono stato da alcuni amici di Sassari e mi hanno detto di stare tranquillo perché tu hai voluto scherzare. Dammi almeno 100 mila lire». «Va bene, voglio essere generoso, te ne do 50 mila».
Passano almeno 10 giorni senza ricevere neanche una telefonata. Finalmente mi chiama dall’Hotel Mediterraneo. Prima che il direttore mi passi Raphael, gli dico: «Direttore, non si preoccupi, il conto lo pago io». Il direttore capisce al volo lo scherzo e mi dice: «Avvocato, c’è qui un suo cliente. Si chiama Raphael Neville». «Chi l’ha mai conosciuto? Cosa c’è?» «Sa, il signor Neville deve pagare 87 bottiglie di Tio Pepe e molte altre consumazioni. Il conto è di 300 mila lire circa». «Direttore, chiami pure la polizia, lo faccia arrestare. Non conosco nessun signor Neville, questo qui è un millantatore». «Millantatore? Veramente non lo conosce? Eppure insiste per parlare con lei». E me lo passa. «Chi è Lei?». «Dài, sono Raphael». «Non conosco nessun Raphael». Richiama il direttore: «Veramente lei dice che sta scherzando?» «Io non scherzo mai, direttore, chiami pure la polizia». Dopo un attimo richiamo Raphael e gliene dico di tutti i colori: «Come puoi aver speso tutta questa somma? Hai invitato almeno trenta persone. Se continui così fallirai!». Naturalmente ho pagato il conto.
Con i denari della vendita della prima casa ha costruito un ristorante, “La Perla Blu”, che dopo qualche anno ha venduto al barone Gallotti. Per concludere l’affare mi chiama e dice: «Vieni tu a Roma quando faremo l’atto di vendita, perché così prenderai tu i soldi». Beh, io non sono potuto andare a Roma, lui ha incassato la bella cifra di 17 milioni e cinquecento: gli sono durati esattamente due mesi.
Gente a mare. [A Raphael Nevil l’Aga Khan era antipatico]
È vero che Raphael ha sempre avuto guai con le barche?
Raphael aveva avuto diversi precedenti con le imbarcazioni da diporto. Una volta ha comprato una barca a Pisa pagandola in contanti 25 milioni all’ordinazione, ma la società ha fallito prima della consegna: «Ma guarda, non ho mai pagato in anticipo! Questa volta che ho pagato prima, mi capita il disastro!». Dai fratelli Olivieri, che erano proprietari di un cantiere navale alla Maddalena, aveva fatto costruire una barca, progettata da lui, che aveva chiamato Aiò. Non era fatta come una barca normale, con la poppa e la prua: era tonda come un’anguria. All’interno aveva fatto costruire un bagno. Era fantastica, di una comodità enorme. Per spingere questa barca grande e pesante ha fatto installare due motori da 200 cavalli. L’aveva voluta in quercia perché doveva resistere ai marosi. Alla fine c’è la classica inaugurazione con il varo, con una madrina che sbatte la bottiglia di champagne sulla prua e tantissimi amici. Si parte da La Maddalena per portare la barca a Porto Raphael, con Raphael al timone e gli amici che cantano e bevono. Tutto bene per 200 metri. Appena Raphael accelera l’andatura, la barca si spacca e affonda. Poi fu recuperata e trainata a Porto Raphael.
In seguito aveva ripiegato sull’acquisto di una barchetta che chiamava Sin Prisa, che vuol dire “Senza fretta”. Sarà stata di due metri due metri e mezzo, dove ci stavano al massimo tre persone. La teneva attraccata a un pontile, ma serviva solo come alloggio per qualche amico. Un giorno stavo andando in Corsica col mio motoscafo. Vedo Raphael assieme a Pierino Stucchi ed alla sorella di Giancarlo Giannini: Caspita, Raphael!». Comincio a correre come un matto, lo raggiungo, stacco il motore, si forma l’onda e per poco Sin Prisa non affonda, tra le sue imprecazioni in spagnolo.
Un’altra volta vado a prenderlo con la barca. Non avevo un marinaio alle mie dipendenze, pilotava sempre mio figlio Piero. Quel giorno era andato a Sassari. Avevo la patente nautica, ma non sapevo governare questo motoscafo, che era un “Abate” superveloce. Arrivo a Porto Raphael. Sul molo c’erano ad attendermi Raphael, Pierino Stucchi e Marcella Badì, mia carissima amica, moglie del generale dell’aeronautica Badì. Quando ho accostato al molo, Raphael e la signora Badi sono riusciti a salire con un salto, mentre Pierino Stucchi aveva paura di finire a mare. Aveva ragione, perché accostavo con difficoltà. Dopo tanto, riesco a farlo salire a bordo. Dopo aver trascorso la giornata all’isola di Spargi, al rientro a Porto Raphael l’hidalgo, che aveva avuto più di un’esperienza negativa delle mie capacità di pilota, si era munito di un piccolo canotto di gomma per assicurarsi un rientro più sicuro. Riescono a salire sul canotto tutti e tre. Siccome ero in ritardo, do un’accelerata che causa un’onda grossa che fa finire i tre in mare. Pierino Stucchi non me l’ha mai perdonata.
Ricordo un altro fatto successo a Raphael nella tormentata storia dei rapporti tra l’hidalgo e il mare di Sardegna. Fra La Maddalena e Porto Raphael era passato l’Amaloun, il panfilo dell’Aga Khan. La velocità e la grandezza della barca avevano prodotto un’onda enorme che aveva sommerso la spiaggia e rovesciato delle barche ormeggiate al porticciolo di Porto Raphael. «Maledetto Moro!» Già, perché lo chiamava così, l’Aga Khan. Per prendere in giro la mia amicizia col principe mi diceva: «Come sta il Moro?», «Peccato che ti sei venduto al Moro». Effettivamente aveva una grande antipatia, dovuta al fatto che l’Aga Khan, a differenza del fratello Amin, non era mai andato da Raphael, né aveva mai voluto invitarlo alle sue feste a Porto Cervo.
Molte volte Raphael mi ha chiesto di invitarlo, ma una volta che l’ho chiesto all’Aga Khan ne ho avuto in risposta un diniego. Un giorno, dato che lui era molto amico di Bettina, ho consigliato a Raphael di far chiedere l’invito da lei, certo che a lei il principe non avrebbe potuto negarlo. Invece picche. Bettina ha invitato Raphael a Porto Cervo di straforo, ad una premiazione di regata, almeno per una volta!
Il nudo di casa [e il prete che smette di dire messa e va via]
Raphael era stato sempre un uomo religiosissimo, fedele alla Santa degli Impossibili, che è Rita da Cascia. Difatti la prima costruzione che lui ha realizzato, dopo la sua casa, è stata la chiesetta, che c’è ancora a Porto Raphael. Le famiglie che allora abitavano li la domenica andavano alla messa, celebrata sempre dal parroco di Palau. L’hidalgo andava a prendere regolarmente il parroco, che era elegantissimo: giacca, pantaloni, tutto per bene. Lui faceva il servizio di chierichetto e poi lo riportava a Palau. Così è andato avanti per un sacco di tempo. Senonché un giorno una ragazza, entrata in contrasto con il suo fidanzato che la voleva lasciare, cade svenuta che sembrava morta. Si spaventano tutti al punto da chiamare il prete per darle l’Estrema Unzione. Arriva il prete alla casa di Raphael, che era sempre piena di gente, e chi trova? Una in mutandine che esce da una camera e un’altra più nuda della prima. Si è preso un tale choc che non è più voluto andare a celebrare la messa.
Raphael era disperato: «Come si fa, reclamano la messa della domenica!»: «Non ti preoccupare, Raphael, vado e ne parlo io con il vescovo», che era monsignor Giovanni Melis. Vado con una petizione firmata da mia moglie, dalla contessa Larisch e da tutte le persone che venivano nella chiesetta, pregando il vescovo di far riprendere la celebrazione della messa domenicale. Gli espongo la questione e gli dico: «Eccellenza, Raphael ha questa generosità di ospitare tutti, gay o no. Ma è una persona correttissima. Io, che sono andato centinaia di volte a casa sua, non gli ho mai visto commettere una volgarità. Mi creda, è una privazione sia per Raphael che per i residenti del posto». «Va bene, avvocato, non si preoccupi, se me lo garantisce lei, stia tranquillo». Difatti il prete ha ripreso a venire e ha fatto pace con Raphael.
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[Raphael Neville e Giulia Maria Crespi]
Un giorno Raphael, arrabbiato nero, mi fa: «Mi dicono che questa Giulia Maria ha cominciato a criticare Porto Raphael: ‘Che schifo qua, che schifo là!’ Se l’avessi incontrata, Le avrei detto quello che pensavo di Lei».