DAL NEOREALISMO ITALIANO AL LANDSCAPE PLANNING AMERICANO :

LA FONDAZIONE DEL PAESAGGIO TURISTICO DELLA COSTA SMERALDA

2014

Alessandra Cappai

Sommario

 La Costa Smeralda nasce nei primi anni ‘60 nelle coste nordorientali della Sardegna, in un momento di grandi cambiamenti per il turismo.

Mentre nel resto d’Europa il boom turistico del secondo dopoguerra significava la democratizzazione delle vacanze e la diffusione del turismo di massa, la Costa Smeralda nasce in antitesi alle altre destinazioni turistiche di massa sorte nelle coste spagnole, italiane e francesi dello stesso periodo. La condizione insulare e la natura incontaminata diventano simbolo dell’esclusività, che attraggono in Costa Smeralda clienti d’élite alla ricerca di un’enclave paradisiaco di lusso nel centro del Mediterraneo.

Il processo di costruzione del paesaggio e dello spazio turistico nella Costa Smeralda è messo in relazione con i seguenti temi:

  • il contesto italiano del secondo dopoguerra, in conflitto tra recupero della tradizione e l’innovazione del movimento moderno;
  • l’invenzione di un immaginario esotico-mediterraneo come base per la fondazione della Costa Smeralda e la singolarità delle modalità di avvio della località turistica d’élite;
  • il diverso approccio al progetto turistico riscontrato nelle diverse fasi della costruzione della Costa Smeralda e legato alla provenienza dei progettisti, porta a definire gli elementi prioritari per la costruzione del paesaggio turistico a diversa

Abstract

Il tema centrale della presente tesi è lo studio della relazione tra la pianificazione di un territorio turistico e gli elementi del territorio e del paesaggio che lo compongono, attraverso un caso di studio paradigmatico di turismo d’élite, la Costa Smeralda nell’isola della Sardegna.

La Costa Smeralda, inventata nel 1962 su un territorio anteriormente vergine da un gruppo di personaggi dell’alta finanza il cui protagonista fu il Principe Karim Aga Khan, rappresenta un caso unico nell’Italia degli anni ’60 di pianificazione e gestione unitaria in forma consortile di tremila ettari di terreno con finalità turistiche.

Il processo di costruzione del paesaggio e dello spazio turistico nella Costa Smeralda è messo in relazione con i seguenti temi: – il contesto italiano del secondo dopoguerra, in conflitto tra recupero della tradizione e l’innovazione del movimento moderno; – l’invenzione di un immaginario esotico-mediterraneo come base per la fondazione della Costa Smeralda e la singolarità delle modalità di avvio della località turistica d’élite; – il diverso approccio al progetto turistico riscontrato nelle diverse fasi della costruzione della Costa Smeralda e legato alla provenienza dei progettisti, porta a definire gli elementi prioritari per la costruzione del paesaggio turistico a diversa scala.

Del continuo processo di costruzione della Costa Smeralda, dal 1962 a oggi, la tesi si concentra sul primo ventennio, dal quale emergono gli aspetti più interessanti di questo territorio: – la prima fase d’invenzione e avvio della Costa Smeralda, dai primi anni ‘60 ai primi anni ‘70, è realizzata in totale assenza di normativa in materia di pianificazione e paesaggio; l’organo incaricato di redigere un piano di sviluppo globale è il Comitato di Architettura con a capo l’architetto Luigi Vietti; – la seconda fase di consolidamento della località turistica, nel decennio del 1970, vede per la prima volta la presenza di un landscape planner americano, Hideo Sasaki, intervenire in un progetto turistico del Mediterraneo. L’approccio al progetto, la visione a scala territoriale e la suddivisione dell’operazione per fasi, sarà estranea a qualsiasi intervento fino ad allora eseguito.

L’analisi dei due diversi approcci al territorio, quello italiano e quello americano, ci porta a definire quali sono stati gli elementi fondamentali del paesaggio che hanno influito sul processo di costruzione del territorio turistico, quali erano le aspettative per un modello di pianificazione estraneo al Mediterraneo e cosa questo ha apportato. Lo studio del caso specifico della Costa Smeralda, che di per sè non è riuscita a raggiungere risultati esemplari nè nel progetto architettonico nè in quello urbano, è tuttavia utile per trarre delle considerazioni generali all’interno del dibattito sull’architettura e pianificazione turistica, riguardo il conflitto tra modernità e tradizione, pittoresco e folclorico, pianificazione sensibile e landscape planning.


El tema central de la presente tesis es el estudio de la relación entre la planificación de un territorio turístico y los elementos del territorio y del paisaje que lo componen, a través de un caso de estudio paradigmático del turismo de élite, como es la Costa Smeralda en la isla de Cerdeña.

La Costa Smeralda, creada en 1962 sobre un territorio anteriormente virgen, por un grupo de actores de las altas finanzas en el cual el protagonista fue el Principe Aga Khan, representa un caso único en Italia de los años 60 de planificación y gestión unitaria en forma de consorcio de tres mil hectáreas de terreno con finalidad turística.

El proceso de construcción del paisaje y del espacio turísticos en la Costa Smeralda viene definido a través de la relación de los siguientes temas: -el contexto italiano después de la II Guerra Mundial, en el cual se manifiesta el conflicto entre la recuperación de lo tradicional y la innovación que supuso el movimiento moderno; -la invención de un imaginario exótico y mediterráneo como base para la creación de la Costa Smeralda, y la singularidad del proceso en la configuración para una localidad de élite; -una perspectiva diferente al proyecto turístico durante las diversas fases en la construcción de la Costa Smeralda y la relación con la procedencia de los proyectistas, lleva a definir los elementos prioritarios para la construcción del paisaje turístico a diferentes escalas.

Del proceso continuo sobre la configuración de la Cosa Smeralda , desde 1962 hasta hoy, la tesis se concentra en las dos primeras décadas, de las cuales emergen los aspectos más interesantes de este territorio: -la primera fase de intervención de la Costa Smeralda, entre los años 60 y principios de los 70, se desarrolló sin la existencia de normativas en materia de planificación y paisaje; la entidad encargada de restablecer un plan de desarrollo global fue el Comité de Arquitectura bajo la dirección del arquitecto Luigi Vietti; -la segunda fase de consolidación de la localidad turística, durante la década de los 70, por primera vez ve como proyectista un landscape planner americano, Hideo Sasaki, en un proyecto turístico en el Mediterráneo. El planteamiento del proyecto, la visión a escala territorial y la subdivisión de la operación por fases, destacaron sobre cualquiera de la operaciones realizadas hasta el momento.

El análisis de los dos enfoques sobre el territorio, el italiano y americano, lleva a definir cuales han sido los elementos fundamentales del paisaje que han influido sobre el proceso de construcción del territorio turístico, cuales eran las expectativas de un modelo de planificación foránea en el mediterráneo, y que supuso este nuevo contexto. El estudio del caso específico de la Costa Smeralda, que en si no implicó una situación ejemplar ni en el proyecto arquitectónico ni urbano, es todavía significativo para extraer consideraciones generales dentro del debate sobre la arquitectura y planificación turística, respecto al conflicto entre la modernidad y tradición, pintoresco y folclórico, planificación más atenta y landscape planning.


The main topic of this dissertation is the study of the relationship between the planning of a tourist territory and the elements of the land and landscape that make it up. The case study is a paradigmatic example of elite tourism, called Costa Smeralda in the island of Sardinia.

The Costa Smeralda was founded in the early 1960s in the north-eastern coast of Sardinia, at a time of great change for tourism. While for the rest of Europe the tourism boom after World War II meant the democratization of the holidays and the spread of mass tourism, Costa Smeralda was founded by Prince Aga Khan in opposition to the other mass tourism destinations fate in the Spanish, Italian and French coasts of the same period. The insular condition and the pristine nature of Costa Smeralda became a symbol of exclusivity, which attracted elite clients looking for a heavenly enclave of luxury tourism in the heart of the Mediterranean. It represented in those years a unique case in Italy of global planning and management of three thousand acres of land through the insitution of a consortium for tourist purposes.

The process of construction of Costa Smeralda landscape and tourist space has been related to the following themes: – italian context after World War II, in conflict between the tradition’s rediscovery and innovation of modern movement; – the invention of an exotic-mediterranean imagery as base for the construction of Costa Smeralda, and singularity of the operation to iniciate the elite tourism settlement; – the different approach to the landscape held in the different phases of construction and related to the origin of designers, bring us to define priority elements for the construction of tourist landscape at the different scales.

The construction of Costa Smeralda has been an ongoing process from 1962 until today. The thesis focuses on the first two decades, from which emerge the most interesting aspects of this territory: – The first stage of invention and launch of the Costa Smeralda, from the early ’60s to the early ’70s, is made in total absence of planning and landscape legislation; the institution responsible for drawing up a comprehensive development plan was the Architectural Committee, headed by the architect Luigi Vietti; – The second phase of consolidation of the resort, in the decade of 1970, sees for the first time the presence of an American landscape planner, Hideo Sasaki, intervene in a tourism project in the Mediterranean. The approach to the project, the vision of a territorial scale and the subdivision of the operation in stages, were new actions never executed before then.

The analysis of the different italian and american approaches to the territory, leads us to define what were the key elements of the landscape that have influenced the process of construction of the tourist territory, what the expectations were from a planning model extraneous to the Mediterranean one and what this has brought. The study of the specific case of the Costa Smeralda, which in itself is not able to achieve exemplary results in either architectural design nor in urban areas, it is instead useful to draw some general conclusions in the debate on architecture and tourism planning, with regard the conflict between modernity and tradition, picturesque and folkloric, sensitive planning and landscape planning.

Alessandra Cappai Tesi dottorato

di Alessandra Cappai

2014

INDICE

Elenco delle figure [si veda il PDF ⇒]

Elenco delle abbreviazioni [si veda il PDF ⇒]

Introduzione. Tema della ricerca; Ipotesi; Obiettivi; Stato dell’arte; Metodologia della ricerca

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Capitolo 1. La nascita dell’architettura turistica in Italia tra tradizione e sperimentazione

1.1. IL PRIMO DECENNIO DEL DOPOGUERRA: LA RISCOPERTA DELL’ARCHITETTURA TRADIZIONALE E LA NASCITA DEL NEORALISMO
1.1.1. La fase di ricostruzione: razionalismo VS neorealismo al servizio della residenza
1.1.2. L’influenza del neorealismo sull’architettura turistica

1.2. IL DIBATTITO TEORICO E PROGETTUALE SULL’ARCHITETTURA E PIANIFICAZIONE TURISTICA NEGLI ANNI ’60
1.2.1. L’avversione della critica al turismo di massa e all’urbanizzazione del litorale
1.2.2. Criticismo teorico e attività professionale a confronto: alcuni progetti di pianificazione turistica di Quaroni, BBPR e D’Olivo

Conclusioni

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Capitolo 2. Dal paesaggio rurale all’invenzione del paradiso turistico Costa Smeralda

Introduzione

2.1. Ubicazione e brevi cenni storici sul territorio

2.2. L’assetto tradizionale del territorio [si veda il PDF ⇒]

2.3. Il principe alla scoperta della terra incantata [si veda il PDF ⇒]

2.4 LA CREAZIONE DEL CONSORZIO COSTA SMERALDA ⇓
2.4.1. I soci fondatori del Consorzio Costa Smeralda
2.4.2. Caratteristiche del Consorzio Costa Smeralda e Atto costitutivo

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Capitolo 3. Il neorealismo manierista del primo decennio della Costa Smeralda

Introduzione

3.1. IL COMITATO INTERNAZIONE DI ARCHITETTURA

3.2. I PRIMI PIANI DI SVILUPPO DELLA COSTA SMERALDA ⇓
3.2.1. La ricostruzione del processo di pianificazione
3.2.2. I Piani di Lottizzazione di Porto Cervo e Romazzino ⇓

3.3. DALLE OPERE DEL REGIME AL NEOREALISMO NELLA COSTA SMERALDA DI LUIGI VIETTI ⇓
3.3.1. Le architetture degli anni ‘30: dalle opere del regime alle ville nella costa ligure
3.3.2. I primi anni del dopoguerra: la tradizione a servizio dell’architettura turistica
3.3.3. L’esperienza di Vietti nella Costa Smeralda: neorealismo o banalizzazione dell’architettura vernacolare? ⇓

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Capitolo 4. Il Master Plan della Costa Smeralda tra landscape e urban planning

Introduzione

4.1. DAL COMITATO DI ARCHITETTURA ALL’ÉQUIPE DI CONSULENTI AMERICANI ⇓

4.2. DISCIPLINA E PRATICA DELLA LANDSCAPE ARCHITECTURE NEGLI STATI UNITI DEL SECONDO DOPOGUERRA ⇓
4.2.1. Il ruolo di Hideo Sasaki nel cambiamento dell’Architettura del Paesaggio come disciplina e professione ⇓
4.2.3. Il Master Plan come risultato dell’analisi del territorio ⇓
4.2.4. Il Master Plan di Sea Pines Plantation come manifesto della sostenibilità negli anni ‘50

4.3. IL MASTER PLAN DELLA COSTA SMERALDA: DALL’ANALISI AL PROGETTO ⇓
4.3.1 Analisi del territorio dopo i primi anni della Costa Smeralda
4.3.2. Il Master Plan e la pianificazione in fasi dalla scala territoriale alla scala urbana ⇓
Master Plan Fase 1 ♦
Master Plan Fase 2 ♦
Master Plan Fase 3 ♦

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Capitolo 5. Gli elementi che strutturano il paesaggio turistico smeraldino [si veda il PDF ⇒]

Introduzione

5.1. La struttura tradizionale del territorio: i muri a secco
5.2. La percezione visuale e la distribuzione dell’edificato
5.3. Gerarchia e patterns dell’infrastruttura viaria
5.4. L’uso della vegetazione e la sua regolamentazione

Conclusioni
Bibliografia
Annessi

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Elenco delle Figure

Introduzione

Tema della ricerca

Il tema centrale della presente tesi è lo studio della relazione tra la pianificazione di un territorio turistico e gli elementi del territorio e del paesaggio che lo compongono, attraverso un caso di studio paradigmatico di turismo d’élite, la Costa Smeralda nell’isola della Sardegna.
La Costa Smeralda, inventata nel 1962 su un territorio anteriormente vergine da un gruppo di attori dell’alta finanza il cui protagonista fu il Principe Karim Aga Khan, rappresenta un caso unico nell’Italia degli anni ‘60 di pianificazione e gestione unitaria in forma consortile di tremila ettari di terreno con finalità turistiche.

Del continuo processo di costruzione della Costa Smeralda, dal 1962 a oggi, la tesi si concentra nel primo ventennio, dal quale emergono gli aspetti più interessanti di questo territorio:
– la prima fase d’invenzione e avvio della Costa Smeralda, dai primi anni ‘60 ai primi anni ‘70, è realizzata in totale assenza di normativa in materia di pianificazione e paesaggio; l’organo incaricato di redigere un piano di sviluppo globale è il Comitato di Architettura con a capo l’architetto Luigi Vietti;
– la seconda fase di consolidamento della località turistica, nel decennio del 1970, vede per la prima volta la presenza di un landscape planner americano, Hideo Sasaki, intervenire in un progetto turistico del Mediterraneo.
L’approccio al progetto, la visione a scala territoriale e la suddivisione dell’operazione per fasi, sarà estranea a qualsiasi intervento fino ad allora eseguito.

L’analisi dei due diversi approcci al territorio, quello italiano e quello americano, ci porta a definire quali sono stati gli elementi fondamentali del paesaggio che hanno influito sul processo di costruzione del territorio turistico, quali erano le aspettative per un modello di pianificazione estraneo al Mediterraneo e cosa questo ha apportato.
Lo studio del caso specifico della Costa Smeralda, che di per sè non è riuscita a raggiungere risultati esemplari nè nel progetto architettonico nè in quello urbano, è tuttavia utile per trarre delle considerazioni generali all’interno del dibattito sull’architettura e pianificazione turistica, riguardo il conflitto tra modernità e tradizione, pittoresco e folclorico, pianificazione sensibile e landscape planning.

Stato dell’arte

La tesi pretende essere la prima ricerca nel campo dell’urbanistica sulla costruzione del territorio turistico della Costa Smeralda. Come spesso verrà ribadito nel corso della seguente tesi, sulla Costa Smeralda è stato scritto copiosamente, ma mai in merito al processo di pianificazione.

La tesi ricostruisce per la prima volta il processo di creazione del territorio turistico attraverso l’analisi dei Piani redatti nella prima fase di costruzione della Costa Smeralda, apportando un documento finora inedito quale il Master Plan di Hideo Sasaki, pubblicato in una biografia dell’architetto ma mai citato negli studi sulla Costa Smeralda.

Gli studi finora effettuati sulla Costa che si ha avuto la possibilità di consultare si possono classificare in funzione dei seguenti contenuti:

– Testi e articoli che raccontano gli avvenimenti della creazione della Costa Smeralda, per mano di giornalisti e storiografi, i quali tendono sempre a dare una visione negativa degli avvenimenti, come nel caso del libro di Bandinu “La Costa Smeralda: la favola turistica”.

– Studi generici sul turismo in Sardegna, con un’approssimazione prevalentemente economica e ambientale, in cui si tende a citare il modello Costa Smeralda come esempio negativo su entrambi i versanti, da un lato perchè si accusa lo scarso ritorno economico che ha avuto il territorio della Gallura da un mercato turistico prevalentemente in mano straniera, e dall’altro per il degrado del territorio costiero che l’eccessiva urbanizzazione ha provocato.

– Ricerche universitarie, che hanno studiato il fenomeno principalmente dal punto di vista della geografia urbana e sociale: tra esse il principale riferimento è costituito dalla tesi di dottorato del geografo americano Richard Price redatta negli anni ’70, in cui vi è un’attenzione alle forme di insediamento nel territorio e in generale al fenomeno del turismo in Sardegna.
La ricerca della geografa francese Simone Gerlat per la facoltà di Geografia di Losanna risalente agli anni ’60 ma pubblicata solo recentemente, mette l’accento sull’effetto che la Costa ebbe sulla popolazione locale negli anni immediatamente successivi alla creazione della stessa.
Nella ricerca di Price si accenna all’esistenza di un Piano Regolatore Generale della Costa Smeralda, la cui fonte però non risulta attendibile, essendovi un’incoerenza di nomenclature e anni. Questo appare l’unico studio interessato all’aspetto della pianificazione, ma in ogni caso non fa riferimento al Piano di Sasaki, così come tutte le altre pubblicazioni consultate.
Lo stesso Piano pubblicato da Price viene citato nella tesi di dottorato di recente pubblicazione della Dott.ssa Silvia Serra, dal titolo “Architettura e Urbanità del turismo”, ma viene erroneamente attribuito a Luigi Vietti.

– Pubblicazioni monografiche e articoli di rivista sulle architetture della Costa Smeralda, in particolare sulle residenze private di lusso. In linea di massima queste pubblicazioni appartengono ad una categoria di riviste
d’interni, giardini ecc, in cui il progetto urbano e territoriale passa in secondo piano rispetto all’immagine fotografica dell’arredamento d’esterni, piscine e rifiniture di dettaglio.

Metodologia della Ricerca

La scoperta dell’esistenza di un Master Plan della Costa Smeralda di origine americana di cui pochi sono a conoscenza divenne il tema centrale della prima fase della ricerca, confluita nella tesina di Master.
Dopo un’interruzione di due anni, durante i quali ho realizzato una ricerca finanziatami dalla Regione Autonoma della Sardegna presso la Facoltà di Architettura di Alghero sul fenomeno della seconda residenza in Sardegna, sono ripartita dalla Tesina di Master per riformulare delle nuove considerazioni e, alla luce di nuove scoperte, deviare il tema centrale della tesi non più esclusivamente verso il Master Plan americano, che rimane un importante episodio solo in parte compiuto, ma piuttosto verso l’intero processo di pianificazione dai primi anni ’60 alla fine degli anni ’70.
Non avendo avuto la ricerca una continuità temporale, e essendo caratterizzata da continue scoperte che hanno condotto spesso a riavviare la raccolta di diverso materiale, la metodologia seguita non verrà descritta cronologicamente, ma per tipologia di analisi.

Raccolta bibliografica

La ricerca bibliografica è presente in ogni fase della tesi, e si orienta a temi diversi nei vari momenti.
Nella prima fase è stata effettuata una ricerca bibliografica locale che è servita per avere una solida base sullo stato dell’arte: la raccolta include libri essenzialmente critici di sociologi, architetti, ambientalisti che danno una visione essenzialmente negativa del fenomeno della Costa Smeralda.
Una mancanza che fin dal principio è parsa evidente è l’interesse verso l’aspetto urbanistico della Costa Smeralda, giustificabile in parte con l’assenza di materiale al riguardo: ciò ha stimolato maggiormente la mia attenzione verso questo argomento.
Un’analisi del quotidiano locale L’Unione Sarda negli anni della nascita della Costa ha permesso di ricostruire l’opinione pubblica sull’accaduto.
Una volta costruito un corpus bibliografico specifico sulla Costa Smeralda, nelle fasi successive vengono portate avanti ricerche inerenti il tema del turismo in Italia e del paesaggio sublime e pittoresco.

Bibliometria

La ricerca bibliometrica effettuata per il Seminario I del Master, successivamente pubblicata sotto forma di articolo nel libro Turismo Liquido, si è basata sull’analisi di tutti i numeri delle principali riviste italiane, Casabella e Urbanistica, tra il 1955 e il 1970. La raccolta bibliometrica ha permesso di inquadrare il contesto italiano nel campo dell’architettura e pianificazione turistica.

Analisi cartografica

L’analisi cartografica dagli anni ‘50 fino ad oggi, e la comparazione di questa con i vari Piani descritti nel corso della tesi, hanno permesso di ricostruire il processo di pianificazione della Costa Smeralda.
In particolare le ortofoto del 1954 e 1977, il volo costa del 1968, la carta IGM degli anni ‘50 e la cartografia vettoriale CTR, fornite dal centro cartografico della Regione Autonoma della Sardegna, insieme alla cartografia vettoriale comunale, fornita dal Comune di Arzachena, costituiscono la base cartografica utilizzata per lo studio del territorio.
Il confronto della cartografia e fotografia aerea ufficiale con i primi piani del Consorzio Costa Smeralda, i Piani Vietti e il Master Plan di Sasaki, ha permesso di analizzare e contrastare i cambiamenti avvenuti nel territorio, e verificare quanto dei Piani è stato realmente realizzato.

Interviste

Durante tutto il processo di svolgimento della tesi è stato indispensabile il confronto con alcuni personaggi involucrati direttamente con la nascita della Costa, soprattutto per avere maggiori informazioni sull’esistenza di una documentazione che ne attestasse un processo di pianificazione.
Il primo contatto è avvenuto direttamente con il Consorzio Costa Smeralda, [3: Intervista con il geometra Sergio Marras, in data 22/05/2009, tenuta nella sede del Consorzio Costa Smeralda] dove il tecnico di riferimento affermò l’inesistenza di un Master Plan iniziale, e raccontò della chiusura dell’ufficio Planning all’arrivo dell’azionista Tom Barrack, in seguito alla quale non rimase disponibile nessuna documentazione inerente alla pianificazione.
Successivamente un’altra fonte diretta, collaboratore locale del Comitato di Architettura e in particolare di Jacques Couelle durante i primi anni della Costa Smeralda, [4: Intervista registrata con l’architetto Jean Paul de Marchi,in data 22/05/2009, tenuta nel suo studio a San Pantaleo] affermò la presenza di una sorta di Zoning generale di tutta la Costa (ma non un vero e proprio Masterplan) progettata da lui stesso, ma di non essere più in possesso di alcuna documentazione a proposito.

L’intervista con l’architetto Vincenzo Satta, [5: Intervista registrata con l’architetto Vincenzo Satta, in data 24/08/2009, tenuta nella sua residenza privata a Porto Cervo] redattore del Master Plan della Costa degli anni ’90, dette una svolta alla ricerca nel momento in cui dichiarò di essere in possesso di tutta la documentazione dell’Ufficio Planning, da lui recuperata nel momento della chiusura. Tale documentazione, che mi venne mostrata in copia e che fu solo possibile fotografare, era quella relativa al Master Plan originale concluso nel 1969 dall’architetto Hideo Sasaki, che prevedeva l’organizzazione di tutto il territorio della Costa Smeralda.
Nel 2010, a distanza di due anni dall’inizio della ricerca, fu proibita dall’Aga Khan stesso, per ragioni poco chiare, la diffusione di questo materiale, che pertanto rimase incompleto e difficilmente interpretabile per la bassa qualità delle fotografie scattate durante l’intervista all’Arch. Satta.

Nelle fasi successive sono stati intervistati in diverse occasioni altri tecnici del Consorzio Costa Smeralda, il sindaco per un ventennio di Arzachena, Piero Filigheddu, e il Geometra Sotgiu, quest’ultimo partecipe della costruzione della Costa nei primi anni ’60.
Nessuna delle interviste effettuate apporta la medesima versione riguardo l’esistenza di un processo di pianificazione.

Rilievo fotografico e sopralluogo

Diversi sopralluoghi sono stati effettuati tra il 2009 e il 2012 per una avere una conoscenza diretta del territorio studiato, durante i quali è stato possibile raccogliere la documentazione presso gli uffici del Comune di Arzachena e del Consorzio Costa Smeralda, oltre a costruire un archivio fotografico dell’autore che permette di inquadrare ciascuna lottizzazione e nucleo che compongono la Costa.

Periodo di studio all’estero

Merita una considerazione a parte il periodo di ricerca svolto come visiting scholar presso il Graduate School of Design ad Harvard, reso possibile grazie all’ottenimento della borsa di studio finanziata dalla Agència de Gestió d’Ajuts Universitaris i de Recerca, della durata di sei mesi.
La fase conclusiva della tesi si è basata sulla ricerca negli archivi del GSD del materiale inerente l’attività accademica e professionale di Hideo Sasaki, raccolto in articoli, programmi accademici e partecipazioni a seminari e convegni.
Il consenso dell’ufficio Sasaki Associates a visitare l’archivio dello studio periodicamente mi ha finalmente dato la possibilità di accedere al materiale originale inerente al Master Plan della Costa Smeralda.

Ipotesi

Nel paesaggio turistico moderno, oltre alle più comuni celebrazioni del turismo di massa, troviamo alcuni esempi di turismo esclusivo e d’élite. In questi ultimi si riconosce una naturale eredità del paesaggio pittoresco celebrato nel XVIII secolo dai primi viaggiatori nei loro quaderni di viaggio. Il turista d’élite degli anni ‘60, colto e facoltoso, ricorda il gentleman del Grand Tour che viaggia alla scoperta di luoghi in cui non solo la storia, ma in un secondo momento anche la potenza del paesaggio possano essere fonte d’ispirazione artistica.

La nascita della Costa Smeralda, quasi due secoli più tardi, sembra voler riportare all’epoca moderna quel viaggio obbligatorio per artisti e intellettuali, ponendo la contemplazione di un paesaggio marino isolato e mediterraneo al centro di un processo di fondazione di città turistica.
Tuttavia partiamo dalla considerazione che non è più il paesaggio intatto pittoresco, così come inteso nel XVIII secolo, il protagonista della nuova costruzione del turismo, quanto la riproduzione e imitazione incondizionata del suo immaginario per la creazione del paesaggio ludico: da lì il limite tra pittoresco e folclorico nel dibattito dell’architettura turistica contemporanea.
Tale considerazione rappresenta il punto di partenza della ricerca, e sarà contrastata con diverse tesi all’interno dei capitoli.

A partire dalle considerazioni generali, la ricerca si centra su un caso di studio: la Costa Smeralda. Durante il lungo processo di sviluppo della tesi, i ritrovamenti di alcuni materiali e l’impossibilità di accedere ad altri ha reso necessario più volte riformulare le ipotesi di partenza.
Sin dal principio, la scoperta del Master Plan per la Costa Smeralda del landscape planner nordamericano Hideo Sasaki datato 1968, aveva rappresentato il tema centrale della ricerca, portando a formulare l’ipotesi dell’esistenza inedita di un modello di pianificazione nordamericano nell’ambito del Mediterraneo che avesse influito sulla conformazione del paesaggio della Costa Smeralda.
Tuttavia, l’impossibilità da una parte di accedere alla documentazione originale del Master Plan se non nell’ultima fase di sviluppo della tesi, dall’altra la rivelazione dalle foto aeree che alla data della redazione del Master Plan gran parte della Costa Smeralda era già avanzata, portò ad affermare che la distribuzione del territorio fu principalmente dettata dalle decisioni del Comitato di Architettura, in particolare dell’Arch. Luigi Vietti.

Tale convinzione è nuovamente rimessa in discussione alla luce della documentazione originale raccolta nell’ultima fase della ricerca, svolta presso l’Harvard Graduate School of Design e presso lo studio Sasaki Associates.

Le ipotesi sono infine riformulate nel seguente modo.

1) La Costa Smeralda costituisce un caso inconsueto e paradigmatico di fondazione di un nuovo territorio turistico in Italia, per le seguenti ragioni:

– il processo di creazione della Costa Smeralda, a partire dalla presenza fondamentale di un personaggio illustre quale il Principe Aga Khan, e le ingenti inversioni degli altri soci fondatori su un vasto territorio di 3000 ettari, rivestono un ruolo fondamentale nel successo dell’operazione. La costituzione di un Consorzio, un Comitato di Architettura internazionale e la presenza di uno Statuto e Regolamento Edilizio in un momento di vuoto normativo, rendono il caso della Costa Smeralda originale rispetto agli interventi turistici della stessa epoca;
– i progetti sia architettonici che urbanistici degli architetti del Comitato si distinguono notevolmente da quelli degli architetti “colti” del momento in campo turistico: il linguaggio neorealista utilizzato da Vietti in campo turistico veniva utilizzato da Quaroni e Ridolfi in interventi pubblici a sostegno delle classi sociali meno abbienti, attraverso le opere di INA-CASA, mentre al contrario questi utilizzavano un linguaggio più sperimentale e formalista nelle nuove città turistiche.

2) Il paesaggio immanente preesistente costituisce di per sè la caratteristica predominante del nuovo territorio turistico, garantendo l’immagine di enclave paradisiaco indipendentemente dalla qualità architettonica;
rappresenta nella Costa Smeralda il fondamento per la sua pianificazione:

– il paesaggio pittoresco costituisce il punto di partenza per la pianificazione: gli elementi preesistenti del territorio, sia naturali che antropici, costituiscono un potenziale elevato per la fondazione del territorio turistico.
Tra gli elementi naturali del territorio gallurese emergono la morfologia, la conformazione rocciosa del terreno e la vegetazione rada a macchia mediterranea e ginepri; tra gli elementi antropici l’antica suddivisione catastale individuata dai muri a secco e i sentieri preesistenti.
– il paesaggio rappresenta lo strumento operativo: il territorio si costruisce attraverso gli elementi del paesaggio sopracitati, che non sono più solo una base di supporto, ma struttureranno il paesaggio stesso.

La morfologia del terreno e la vegetazione diventano la principale misura per la distribuzione dell’edificato nel territorio, con l’obiettivo costante dell’ottenimento di una vista ottimale e l’integrazione con il paesaggio naturale circostante. Gli elementi antropici preesistenti, tra essi i muri a secco, diventano segni riconoscibili del nuovo paesaggio turistico.

3) Lo sviluppo del territorio della Costa Smeralda si caratterizza per un’articolazione in due fasi corrispondenti ciascuna ad una precisa scala di pianificazione:

– la prima fase si caratterizza per un approccio che vede l’architetto Vietti partire dal dettaglio architettonico per comporre il territorio: la pianificazione è dettata dalla sensibilità degli architetti del Comitato di  Architettura, i quali si impegnano affinchè l’architettura si adatti al paesaggio e ai suoi segni più caratteristici in modo spontaneo. Il territorio si compone dall’insieme di progetti di scala intermedia, che tuttavia rispettano una visione globale e dei criteri distributivi e tipologici comuni;
– la seconda fase si caratterizza contrariamente per un approccio al progetto partendo dalla scala territoriale verso la scala urbana, dettato dalla necessità di un’ordinazione del territorio più rigorosa e metodica e di una densificazione dell’ampio territorio del comprensorio.
Per questo ci si affida ad un gruppo di progettazione nordamericano, guidato da Hideo Sasaki: la capacità di progettare il territorio identificando delle priorità di costruzione, dei tempi di realizzazione e un approccio molto più razionale caratterizzano il planning americano.

Obiettivi

A partire dalle ipotesi precedentemente descritte, la ricerca si pone i seguenti obiettivi:

1) Ricostruire il processo di costruzione del paesaggio turistico della Costa Smeralda attraverso la pianificazione.
La ricerca apporta un’analisi inedita, derivata dalla raccolta di tutti i documenti relativi al progetto del territorio turistico a scala urbana e territoriale, mai pubblicati, cercando in primo luogo di ricostruire gli avvenimenti.
A tale scopo si individuano gli attori che hanno protagonizzato la fondazione della Costa e si riordina cronologicamente il processo di pianificazione.
Con la ricerca non si intende nè approvare nè criticare ciò che è stato fatto in Costa Smeralda, quanto portare alla luce un processo di pianificazione finora mai trattato.

2) Dimostrare la peculiarità del caso della Costa Smeralda, inserendolo nel contesto della progettazione turistica in Italia.
Le modalità con cui fu sviluppata la Costa, la gestione attraverso il Consorzio, la progettazione attraverso il Comitato Internazionale di Architettura e ancor più l’approccio nordamericano che sfocia nel Master Plan costituiscono un caso paradigmatico nel contesto italiano. La comparazione con altri casi della stessa epoca ad opera del mondo dell’architettura e urbanistica intellettuale italiana, è finalizzata a raggiungere questo obiettivo.

3) Analizzare la costruzione del paesaggio turistico, attraverso lo studio degli elementi geografici e antropici che hanno influito sulla pianificazione della Costa Smeralda, mettendo a confronto l’approccio al progetto turistico riscontrato nel metodo italiano portato avanti da Luigi Vietti con quello del metodo americano di Hideo Sasaki.
L’obiettivo da raggiungere consiste nel riconoscere quali sono i segni del territorio che contribuiscono a formare l’immaginario turistico e allo stesso tempo valorizzare il paesaggio.

Universitàt Politècnica de Catalunya BarcelonaTech
Alessandra Cappai Tesi dottorato

CAPITOLO 1
La nascita dell’architettura turistica in Italia tra tradizione e sperimentazione

1.1. IL PRIMO DECENNIO DEL DOPOGUERRA: LA RISCOPERTA DELL’ARCHITETTURA TRADIZIONALE E LA NASCITA DEL NEORALISMO
1.1.1. La fase di ricostruzione: razionalismo VS neorealismo al servizio della residenza
1.1.2. L’influenza del neorealismo sull’architettura turistica

1.2. IL DIBATTITO TEORICO E PROGETTUALE SULL’ARCHITETTURA E PIANIFICAZIONE TURISTICA NEGLI ANNI ’60
1.2.1. L’avversione della critica al turismo di massa e all’urbanizzazione del litorale
1.2.2. Criticismo teorico e attività professionale a confronto: alcuni progetti di pianificazione turistica di Quaroni, BBPR e D’Olivo

Conclusioni

1.1 IL PRIMO DECENNIO DEL DOPOGUERRA: LA RISCOPERTA DELL’ARCHITETTURA TRADIZIONALE E LA NASCITA DEL NEOREALISMO

1.1.1 La fase di ricostruzione: razionalismo VS neorealismo al servizio della residenza

Dopo la seconda guerra mondiale, l’architettura italiana subisce un periodo di cambiamenti che sfociano in diverse esperienze nelle regioni d’Italia. Riducendo sinteticamente, gli atteggiamenti degli architetti nell’epoca denominata della “ricostruzione” saranno essenzialmente due: chi raccoglierà i resti del razionalismo maturato anteguerra, in particolare i milanesi, e chi si opporrà ad esso associandolo agli orrori della guerra, come faranno i romani. All’interno di queste due grandi classificazioni vi sono ovviamente diverse declinazioni che in questa tesi non è una priorità affrontare, così come situazioni distinte nel resto d’Italia. Accennando brevemente il caso milanese, ci interesseremo invece in modo più approfondito di quello romano, dove nascerà il “neorealismo”. Ci interessa parlare del neorealismo in quanto gran parte dell’architettura turistica, quella smeraldina in particolare, ne adotta stilisticamente il linguaggio eseguendo con maniera, fino ad estremizzare, il processo di imitazione dell’architettura spontanea, mediterranea e tradizionale (si veda il capitolo 3). Per comprendere l’involuzione del neorealismo verso un linguaggio vernacolo, è necessario pertanto capire in quale contesto esso si sia sviluppato. […]

Una delle prime manifestazioni del neorealismo è il Manuale dell’Architetto di Ridolfi del 1946, commissionatogli dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e dall’Usis. Il manuale, che doveva servire come strumento di appoggio per il settore edilizio occupato nella ricostruzione, soprattutto nel sud Italia dove di trasformazioni tecnologiche e industrializzazione dell’edilizia si parlava poco, metteva in luce l’architettura come mestiere tradizionale e come frutto di un artigianato intellettuale.

Mentre Rogers nel 1946 affermava l’importanza della razionalizzazione dei processi edilizi con lo scopo di ridurre i prezzi, esaltando l’industrializzazione dell’edilizia e la prefabbricazione, il Manuale di Ridolfi forniva “un prontuario da bottega” formalizzando per gli architetti un “esperanto vernacolare”, come afferma Tafuri (1986, p.18), frutto dell’insieme delle tradizioni regionali.

Si fa riferimento alla tradizione per definire le indicazioni d’uso del Manuale: per far fronte alla ricostruzione non si guarda al progresso tecnologico, ma alla tradizione italiana, rendendo “tale tradizione (risultato delle mescolanze di linguaggi coltissimi e di innumerevoli dialetti prodottisi nella storia), una tradizione operante, approntando un esperanto della pratica, sul quale rifondare l’etica moderna della professione che il fascismo aveva impedito e cancellato” (Dal Co, 1997, p.18).

Il successo del Manuale fu tale che il presidente dell’INA-CASA decise di affidare a Ridolfi nel 1949 la redazione dei fascicoli normativi da destinare agli architetti come riferimento per la progettazione delle abitazioni INA-CASA, da allegare ai bandi di gara. La “casa di tutti gli italiani”, slogan promozionale di INA-CASA, doveva avere quindi le caratteristiche simili a quelle indicate dall’architetto romano nel Manuale, soprattutto in riferimento a quelle aree dove sorgeranno le abitazioni, in cui i caratteri locali e tradizionali erano fortemente riconoscibili.

In realtà la critica si divide circa la coerenza tra le pubblicazioni di Ridolfi e le sue opere nel primo settennio INA-CASA: alcuni stabiliscono un riscontro tra i disegni dell’architetto romano e le case da lui progettate, prima tra tutte l’esperienza del Tiburtino, mentre altri considerano politicamente incompatibile lo stile del Manuale rispetto alla produzione architettonica del neorealismo.

Il vero manifesto del neorealismo è il progetto per il quartiere INA-CASA del Tiburtino a Roma, coordinato da Quaroni e Ridolfi tra il 1949 e il 1954. Il progetto prevedeva 4000 vani su una superficie di 8.8 ettari nel settore orientale di Roma. Strutturato come un laboratorio architettonico grazie all’indole didattica di Quaroni, il progetto costituì il più importante campo di sperimentazione del dopoguerra, al quale parteciparono una serie di giovani professionisti, tutti ai margini dalla Facoltà di Architettura di Roma.

In questo progetto le tecniche costruttive artigianali, con l’uso del ferro battuto e sistemi costruttivi tradizionali come le volticelle alla romana, vanno direttamente ricercate nel mondo contadino, unico in grado di rappresentare la “naturalità”, con lo scopo di elaborare un linguaggio comprensibile anche alle classi più umili. Rinunciando alla stretta osservanza di canoni funzionalisti, il complesso abitativo si articola in tipologie formali meno rigide, con rotazioni di volumi, aggetti e slittamenti di piani. I dettagli rimandano invece ad un lessico spontaneo, già utilizzato da Ridolfi e Frankl nel quartiere Italia a Terni (1948), rinforzato dall’uso di materiali poveri – mattoni pieni e forati, lamierino, ringhiere di ferro – e da tecniche costruttive semplici, lontano quindi dall’edilizia prefabbricata sponsorizzata da Rogers.

Le tipologie sono varie e articolate: case a schiera con patio e ballatoio, case in linea fino a cinque piani e case a torre di sette piani.

Quaroni (1957) definì ironicamente il proprio progetto “il paese dei barocchi”, in relazione al populismo di fondo, e all’imitazione forse troppo semplicistica della tradizione che contraddistingue il progetto, ma ammetterà che il Tiburtino rappresenta il manifesto del dopoguerra e il caso più concreto di opposizione al razionalismo.

La critica del momento, rappresentata da Casabella attraverso i principali esponenti dell’architettura italiana, tra cui Aymonino, Rossi, Tentori e Polesello, attaccherà in questo modo il Tiburtino: (…) “immediatamente riferibile alla suggestione delle borgate laziali del Medio Evo, e mantiene fin nei dettagli architettonici un carattere grossolanamente paesano: gigantesco trompe l’oeil di borgata agricola alle porte della più grande città italiana.”Tafuri (1976) definirà questo stile “un’utopia regressiva con accenti nostalgici”, riconoscendo allo stesso tempo il ruolo fondamentale che esso ricoprì nell’epoca incerta della ricostruzione.

Dopo l’esperienza del Tiburtino, Quaroni lavorerà alla ricostruzione del villaggio dei Sassi di Matera, promosso dall’UNRRA-CASAS per gli abitanti dei Sassi. Il quartiere, denominato la Martella, è il simbolo della società italiana di allora, o meglio di una comunità di paese che i Sassi rappresenta; “la chiesa sullo sfondo, la sottana del prete in primo piano, i cafoni intorno al centro della comunità” (Dal Co, 1997, p.15) rappresentano la tragedia dello sfollamento degli abitanti di Matera, così come lo saranno il borgo Venusio di Piccinato, il quartiere Spinebianche di Aymonino, De Carlo e altri.

Per mantenere intatto lo spirito della comunità, Quaroni organizza lo spazio pubblico e privato privilegiando le relazioni tra vicini e l’interazione sociale. Le abitazioni sono distribuite in cellule duplex che solo apparentemente si alternano in modo spontaneo: una combinazione attenta risponde alla necessità di ricavare delle corti private interne e movimentare i fronti. Le forme semplici, stavolta prive di aggettivazioni, e l’uso di materiali comuni quali la pietra locale, il tufo, l’intonaco, traducono in architettura la dignitosa povertà di una società frugale nel tentativo di non cancellare la tradizione (Conforti, 1997).

La differenza tra questi interventi e alcuni realizzati nel nord Italia è notevole, basti pensare all’edificio INAIL di Samonà a Venezia nel 1951, gli uffici INA a Parma di Franco Albini (1953), o altri esempi di Gardella e Caccia Dominioni. Queste opere non rifiutano totalmente il razionalismo, ma cercano di reinterpretarlo liberandolo dai purismi dello stile internazionale e dagli schemi nordici.

Fulvio Irace (1997) considera questi ultimi esempi gli unici “sciolti dal vincolo realistico del dettaglio da imitare, del vernacolo da riprodurre, dell’idiotismo da replicare”.

Nella seconda metà degli anni ‘50 scompare poco a poco lo spirito che aveva spinto gli architetti a sperimentare il neorealismo, e i successivi insediamenti INA-CASA manifestano l’incertezza che prevale nella disciplina urbanistica tra impegno politico, l’ortodossia funzionalista e il nostalgico storicismo. Superata la fase degli eccessi vernacolari, tanto Quaroni come Ridolfi torneranno alla concretezza e alla realtà metropolitana, inserendosi nei temi della città nuova. Tutti gli architetti che, tra Roma e Milano, nel primo decennio dopoguerra si erano schierati a favore o contro la tradizione – BPR, Gardella, Samonà, Quaroni, Astengo, Piccinato ecc. alternano un impegno quale i grandi architetti denunciavano una situazione che stava diventando pericolosa per il futuro delle città.

Con lo scopo di tenere informati i lettori e i colleghi architetti e urbanisti sulle controversie del momento, la rivista riporta i temi trattati nei Congressi Nazionali dell’INU. Nel congresso del 1959, i temi che vennero affrontati furono infatti quelli riguardanti la pianificazione comunale e regionale, l’edilizia economica e privata, la viabilità, i vincoli paesistici e la politica amministrativa.

Specialmente i primi due temi sembrano essere affrontati con maggior urgenza: Benevolo con il suo intervento al Congresso riportato su Casabella denuncia la necessità di cambiare il sistema, con una gerarchia di pianificazione che va troppo lenta rispetto al succedersi dei fatti reali, pertanto invita i colleghi urbanisti a distogliere l’attenzione da tanta teoria utopica, per concentrarsi maggiormente su una pianificazione reale e comprensibile alle amministrazioni pubbliche, restie ad accettare qualsiasi piano, considerato troppo impositore.

L’altro argomento che genera controversie è la sempre crescente espansione della periferia urbana, considerata negativa per il suo carattere disordinato e amorfo: questa parte di città ha perso irrimediabilmente la libera armonia di un paesaggio naturale, ma non possiede la vitalità, l’ordine spaziale e volumetrico del paesaggio urbano. A causa dell’inefficienza dei Piani Regolatori, le periferie vengono lasciate in balia dell’edificazione massiva, dove edifici a torre, villette a schiera, magazzini, uffici, si alternano senza nessun rigore, molto spesso a scapito degli spazi collettivi, che non essendo finanziati dall’amministrazione pubblica, vengono esclusi dalla mera speculazione di divisione e vendita dei lotti.

I temi sopra citati saranno quelli affrontati negli anni ‘60 dai principali architetti e urbanisti italiani. Lontani quindi sia dal movimento razionalista che dai toni neorealisti, gli architetti si impegneranno nella ricostruzione delle città, non soltanto intesa come necessità di abitazioni, ma come il bisogno di fornire degli spazi pubblici, servizi e infrastrutture ai cittadini.

Il loro atteggiamento verso l’architettura e pianificazione turistica sarà un riflesso del loro impegno verso la città.

1.1.2 L’influenza del neorealismo sull’architettura turistica

Il neorealismo nasce quindi come rappresentazione di una condizione sociale critica, di una classe proletaria che necessita con urgenza delle abitazioni non soltanto in cui vivere, ma in cui poter lavorare attivamente mettendo in circolo il motore dell’economia attraverso l’edilizia. L’elenco formale utilizzato nel primo decennio in particolare per le operazioni INA-Casa viene progressivamente intellettualizzato fino a produrre un “esperanto vernacolare” adattabile perfettamente alle nascenti località turistiche costiere italiane (Conforti, 1997). Non più quindi un’architettura a servizio della povertà, ma la riproduzione manierista di essa, in grado di soddisfare le richieste di una nuova società benestante che inizia a trascorrere le proprie vacanze nelle località balneari. A partire dagli anni ‘50, ma soprattutto negli anni ‘60, la domanda di posti letto in strutture ricettive e seconde case al mare aumenta in modo spropositato, impegnando molti architetti che, inclini fino alla seconda guerra mondiale all’architettura moderna e razionalista, decidono di allontanarsi da essa e riscoprire l’architettura mediterranea, che ben si adatterà al mercato turistico.

Il caso della Costa Smeralda, al centro di questa ricerca, è il caso più eclatante, dove architetti come Vietti o Busiri Vici, anteriormente concentrati sull’architettura del regime, si metteranno ora a servizio di ricchi committenti andando tuttavia ad attingere al linguaggio del neorealismo. Il paradosso sarà, come ripetuto più volte, che il citato “esperanto vernacolare” si applicherà a un territorio di nuova fondazione nella costa gallurese scarsamente abitata, andando a cercare altrove gli elementi d’ispirazione (si veda il capitolo 3).

Inoltre essi coglieranno i suggerimenti del neorealismo quando ormai i suoi principali sostenitori (Quaroni, Ridolfi) l’avranno abbandonato. Anche i grandi maestri quali Quaroni, Rogers e altri, si avvicineranno alla progettazione turistica, come vedremo nel paragrafo 1.2.2, ma sperimentando nuove forme di costruire città, e applicandole ai territori turistici. […]

1.2 IL DIBATTITO TEORICO E PROGETTUALE SULL’ARCHITETTURA E PIANIFICAZIONE TURISTICA NEGLI ANNI ‘60

1.2.1 L’avversione della critica al turismo di massa e all’urbanizzazione del litorale

Fino ai primi anni ‘60, il fenomeno turistico era stato affrontato dalla critica solo in merito all’analisi di alcuni progetti architettonici di strutture ricettive. La crescente diffusione della domanda turistica, e con essa il boom della costruzione, obbliga i grandi rappresentanti dell’architettura e dell’urbanistica italiana ad intervenire sulla gravità della situazione, ad analizzare il fenomeno e in un certo senso mettere in stato di all’erta il mondo culturale e professionale su ciò che stava accadendo nelle coste italiane. In questo paragrafo si pretende riassumere la visione, prevalentemente critica, degli esponenti dell’architettura e urbanistica italiana degli anni ‘60, gli stessi che erano stati protagonisti del razionalismo prima, del neorealismo poi, nei confronti di una grande rivoluzione del territorio, generata da un fenomeno prevalentemente sociale che è il movimento del turismo di massa, per cercare di capire come viene concepita la pianificazione dell’architettura e urbanistica relazionata al turismo.

Nel numero di Casabella 280 del 1963 Francesco Tentori annuncia la preparazione di due numeri speciali di Casabella, interamente dedicati all’argomento della trasformazione delle coste italiane, e propone un anticipo di questo tema con un articolo sul caso della costa slovena come esempio di Piano Regolatore della Costa. La scelta di presentare la costa slovena si spiega con la vicinanza fisica e la diretta competizione sul fronte turistico che la Yugoslavia stava rappresentando per l’Italia, dimostrato da un continuo accrescimento del numero di turisti attratti da un paesaggio ancora vergine, ma ancorpiù per la capacità di aver saputo pianificare con estremo rigore il livello di uso del suolo e la destinazione d’uso di ogni porzione del suo territorio.

La critica italiana rivela tra le righe dei due numeri interamente dedicati alla trasformazione delle coste una concezione fortemente negativa delle tendenze in atto sul litorale, appoggiata chiaramente e forse troppo apertamente da un posizionamento politico di sinistra, pertanto contrario alla privatizzazione estensiva delle coste.

L’allora direttore della rivista Rogers (1964), nel suo articolo Homo Additus Naturae, afferma la necessità (o quasi un dovere morale) di affrontare il tema dell’edificazione per scopi turistici nelle coste soprattutto per gli effetti di speculazione urbanistica che questa stava provocando, e l’importanza di poter rivendicare alcuni buoni esempi, o per lo meno intenzioni, di creare una pianificazione turistica costiera organica, intelligente e rispettosa del paesaggio. […]

1.2.2 Criticismo teorico e attività professionale a confronto: alcuni progetti di pianificazione turistica di Quaroni, BBPR e D’Olivo

Lo scarso interesse della critica verso progetti architettonici e urbanistici destinati al turismo, traducibili in una mancanza di articoli nelle principali riviste specializzate, sono chiari sintomi del concetto negativo generale verso queste nuove forme di insediamento. Abbiamo visto che in un decennio questi si concentrano soprattutto in due numeri speciali di Casabella. Andando a comparare quanti articoli sono stati dedicati all’architettura e quanti alla pianificazione turistica vedremo che non solo il numero dei primi è superiore al secondo, ma che i progetti architettonici sono quelli che in maggior numero vengono portati a termine, a differenza di quelli di pianificazione. Ciò conferma quanto detto nel precedente paragrafo a proposito dell’opera architettonica di pregio che si perde in un contesto amorfo e negativo.

Nei successivi capitoli analizzeremo il caso della Costa Smeralda, affermando in diverse occasioni che questa si distingue dalle operazioni turistiche della stessa epoca. Alcuni degli elementi che rendono il caso sardo unico in Italia, sono i seguenti:

– la formazione di un Consorzio turistico, dotato di un proprio Statuto, Regolamento edilizio e Comitato di Architettura, da parte di un gruppo ristretto di soci fondatori stranieri;

– la dimensione dell’intervento;

– l’approccio al territorio a partire dalla scala territoriale fino alla scala urbana;

– il linguaggio utilizzato, più vicino all’ormai superato neorealismo che al movimento moderno;- la bassa densità e la distribuzione dispersa nel territorio;

– il carattere elitario ed esclusivo della località turistica lontana dal turismo di massa.

Per dimostrare il contrasto tra la Costa Smeralda e il resto d’Italia abbiamo scelto di presentare alcuni dei progetti di pianificazione turistica firmati da progettisti di grande rilievo quali Quaroni, D’Olivo e lo studio BBPR. Questi progetti sono contemporanei alla creazione della Costa Smeralda, e se da una parte intendono dissociarsi totalmente dall’idea stessa di insediamento turistico e dal modello utilizzato in Sardegna, troveremo in alcuni casi più elementi comuni di quanto ci si aspetti (come nel progetto di Capo Stella all’Isola d’Elba); nella maggior parte dei casi tuttavia i progettisti cercano di applicare ai territori costieri le loro sperimentazioni in ambiti urbani.

L’aspetto più significativo che distingue il progetto della Costa Smeralda dal resto d’Italia è la dimensione dell’operazione: 3000 ettari nel primo caso, e quantitativi di aree che oscillano tra i 100 e, raramente, 1000 ettari in tutti gli altri. La maggior parte dei progetti che si presentano riguardano 100 ettari d’intervento, solo Punta Ala arriva ai 1000 ettari. Questo dato mette in allarme perchè si tratta di dimensioni troppo modeste, che non permettono la costruzione di complessi organici di sviluppo e andare oltre le funzioni turistiche basiche (alloggio, ristorazione e qualche zona d’ozio). Le aree verdi che circondano la lottizzazione rappresentano solo la temporanea riserva per l’addizione all’infinito di altre lottizzazioni. […]

CAPITOLO 2

Dal paesaggio rurale all’invenzione del paradiso turistico Costa Smeralda

Introduzione [si veda il PDF ⇒]

2.1. Ubicazione e brevi cenni storici sul territorio

2.2. L’assetto tradizionale del territorio [si veda il PDF ⇒]

2.3. Il principe alla scoperta della terra incantata [si veda il PDF ⇒]

2.4. LA CREAZIONE DEL CONSORZIO COSTA SMERALDA ⇓
2.4.1. I soci fondatori del Consorzio Costa Smeralda
2.4.2. Caratteristiche del Consorzio Costa Smeralda e Atto costitutivo

2.1. Ubicazione e brevi cenni storici sul territorio

[…] Un principe nell’avventura del mare incontra una terra incantata, la sceglie mosso dal piacere: ma nelle vesti del turista porta inevitabilmente i caratteri dell’uomo mercante”. E ancora Gerlat (2006), nel suo libro La Costa Smeralda, Il mito e il modello, racconta con tono quasi ironico: Entrambi i racconti, come tanti altri, tendono a ironizzare sull’approdo del Principe in Sardegna, che sotto le parvenze del salvatore civilizzatore pronto a modernizzare i popoli del nord Sardegna e creare un nuovo mondo, avrebbe sconvolto delle tradizioni secolari occupando un territorio vergine di alta valenza ambientale. Ciò l’avrebbe fatto per investire le sue ingenti fortune in qualcosa di speciale, originale, e per di più accessibile solo a pochi eletti, uomini e donne ricchissimi in cerca di un nuovo angolo del mondo paradisiaco, dove poter trascorrere le vacanze indisturbati dalla massa di altre destinazioni turistiche. Era una trama già vista: le vicende di una conquista che seguono la scoperta di un territorio vergine da parte di un potente straniero, che cerca di convincere gli indigeni della sua buona fede con le difficoltà linguistiche a suo favore (Carta, 2007). […]

Al principio si cercò di mantenere segreta l’iniziativa, per non attirare l’attenzione di acquirenti indesiderati e mettere in discussione quello che voleva essere un affare programmato e ordinato tra pochi intimi. La notorietà del Principe Aga Khan non permise però di mantenere a lungo l’operazione segreta, e ci fu un momento in cui si rischiò di mandare tutto a monte finché l’Aga Khan decise di mettersi a capo di una nuova società, che sarebbe più tardi diventata il Consorzio Costa Smeralda. Da quel momento iniziò la caccia ai proprietari dei terreni per portare avanti il processo di acquisizione degli stessi. L’acquisto dei terreni in certi casi è stato difficile, e contrariamente a quanto si dice, non furono pagati a poco prezzo.

Senza dubbio i più svantaggiati furono i primi venditori, che vendettero a un prezzo inferiore poichè non avevano nessuna conoscenza dei prezzi di mercato: per loro l’unica merce di scambio era sempre stata il bestiame, e non comprendevano fino in fondo perché quei ricchi signori fossero tanto interessati a delle terre poco produttive. Con il passare del tempo e con la diffusione della notizia che dei “signori venuti da lontano” erano disposti a pagare caro per comprare le loro terre, iniziarono a negoziare prezzi ogni volta maggiori. […]

Gli atti di compravendita erano firmati in presenza di un notaio nel borgo di Abbiadori, l’unica zona comodamente raggiungibile per entrambe le parti. Tuttavia, nonostante un clima d’ignoranza generale in materia commerciale, presto i proprietari locali si fecero prendere dalla brama del denaro, probabilmente per un senso d’invidia verso il vicino arricchitosi: persone che non maneggiavano neanche le mille lire, improvvisamente chiedevano i milioni. La maggior parte di essi, non appena arricchiti, acquistavano una casa nel centro del paese, l’unica area che per loro aveva veramente valore, o nella città di Olbia. Bisogna considerare che, per le ragioni già descritte, molti dei proprietari delle coste erano donne, e non sempre veniva data loro la possibilità di contrattare. Per questa ragione, e perché molti pastori non si ritenevano all’altezza di sostenere una compravendita e uscirne favoriti, ci si rivolgeva a degli intermediari, a volte familiari con studi, altre volte estranei con maggior senso degli affari, i quali, spesso a proprio favore, riuscivano ad ottenere un profitto ulteriore, raggiungendo ingenti somme di denaro.

Altri ingenuamente hanno mantenuto il loro atteggiamento diffidente nei confronti degli stranieri: un pastore si rifiutò di vendere i propri terreni, ben esposti, perché “credeva di essere derubato se avesse accettato solo due miliardi, lui, che fino a quel momento non aveva sentito parlare che di milioni” (Gerlat, 2006, p. 39). I prezzi dei terreni a metro quadro passarono nel giro di un paio d’anni da 40 lire a 5000 mila lire, ma ciò non faceva desistere gli acquirenti, che finivano quasi sempre per cedere e pagare qualsiasi somma venisse richiesta, pur di riuscire a ricostruire il puzzle di proprietà che avrebbero poi formato i 3000 ettari di terreno del consorzio.

Era importante infatti per garantire la continuità dell’operazione, che non vi fossero salti di proprietà lungo i 55 km di costa prescelti. La conformazione dei lotti, lunghi e stretti, avrebbe reso difficoltosa la realizzazione di lottizzazioni se non si avesse avuto il possesso di una discreta quantità di superficie su cui intervenire. Abbiamo già visto che il territorio era composto da massicci rocciosi granitici che vanno via via scendendo verso il mare con alcune zone ostili anche alla costruzione. Nonostante ciò, gli acquirenti acquistarono le fasce di terra non in funzione della conformazione del terreno, ma della forma propria della proprietà originaria. Ancora una volta si ripete il principio del “o tutto, o niente”, che obbligava a portarsi via tanto i terreni più favorevoli alla costruzione quanto quelli non urbanizzabili perché impervi. Non si sa se questo fu dettato da un’imposizione dei proprietari terrieri, o dalla volontà degli acquirenti di riservare una parte della Costa Smeralda a spazio naturale.

Pertanto nell’operazione sono inclusi lotti che si arrampicano fino alle cime delle montagne che non possono essere urbanizzati, e altrettanti costieri in territori rocciosi (Fig. 60). In questa prima fase, la relazione tra gli acquirenti e i locali era molto stretta: questi infatti si sentivano orgogliosi del fatto che le loro terre avessero suscitato l’attenzione di tali importanti signori, e avevano la premura di renderli partecipi di tutto ciò che la vita sociale gallurese rappresentava, accogliendoli nelle loro famiglie. Il Principe AK era molto stimato, e la maggior parte considerava il suo arrivo provvidenziale, avendo sollevato molti pastori dalla miseria.

Alessandra Cappai, p. 87,fig. 49 - La famosa roccia Il fungo ad Arzachena, Fonte COTA
Alessandra Cappai, p. 87 fig. 50 - Strada rurale di accesso a Cannigione e suddivisione lotti con i muri a secco. Fonte: COTA

2.4. LA CREAZIONE DEL CONSORZIO COSTA SMERALDA

[Per le note di questo paragrafo si veda il PDF ⇒]

2.4.1. I soci fondatori del Consorzio Costa Smeralda

Nonostante il pioniere della Costa Smeralda sia di fatto Mr Duncan Miller, chi viene considerato l’ufficiale fondatore della Costa e che rimarrà per 30 anni Presidente del Consorzio Costa Smeralda è il Principe Karim Aga Khan, che all’epoca 26enne, era già stato indicato come successore Imam degli ismaeliti, un importante carica religiosa per una fazione di musulmani.

L’Aga Khan decise di creare la Costa Smeralda alla luce di ciò che stava accadendo nella vicina Costa Azzurra, la cui esclusività andava poco a poco esaurendosi per via della sua posizione facilmente raggiungibile dagli altri paesi d’Europa, fatto che iniziava a snaturarne il carattere esclusivo.

Il Principe riconobbe in questa situazione una possibilità straordinaria, e per questo volle creare un’altra area esclusiva come lo era stata la Costa Azzurra quindici anni prima.

Il tipo di turista da attrarre era chiaro e facilmente accontentabile, perché coincideva con gli stessi promotori (Carta, 2007).

Agli albori di questo sviluppo, per attirare investitori e possibili acquirenti, l’Aga Khan aveva disposto un collegamento attraverso un volo charter, dopo aver ottenuto i permessi di riutilizzare un vecchio aeroporto militare dismesso ad Olbia e convertirlo in aeroporto civile. In questo modo, i visitatori di un certo rango che si trovassero in vacanza in Costa Azzurra, venivano accompagnati in un’escursione che passava per la Corsica e si fermava poi in Sardegna, nelle terre dei Monti di Mola, che presto avrebbe preso il nome della Costa Smeralda.

Il quartier generale dei visitatori, quando ancora non esisteva nessun tipo di struttura ricettiva, era la città di Olbia, dove normalmente alloggiavano all’Hotel President. Tuttavia, come già è stato anticipato, l’operazione doveva restare nota solo a pochi soci, perché i diretti acquirenti dei terreni dovevano rimanere i primi sei pionieri che fonderanno la Costa Smeralda e poco più. Gli altri, uomini ricchi, nobili, persone dello spettacolo, sarebbero stati poi invitati a comprare in un secondo momento a un prezzo decisamente più alto, e non direttamente ai proprietari terrieri originari, e questo sarebbe stato il vero affare dell’Aga Khan e i suoi amici. In tale fase, i visitatori e possibili acquirenti di terreni erano soprattutto inglesi, belgi e francesi, provenienti dall’alta società europea. Secondo Giselle Podbielsky questi erano più inclini alla scoperta di un territorio inesplorato degli italiani che, abituati alle comodità e al lusso di Capri e Portofino, non cercavano nuove destinazioni. La presenza di personaggi importanti come i reali Alberto e Paola di Liegi, Giuliana d’Olanda, Maria Gabriella di Savoia, Alessandra di Kent o l’attesissima Principessa Margaret faceva parte di una strategia d’immagine; le loro visite dovevano servire come pubblicità per attrarre una clientela esclusiva.

Su proposta dell’Aga Khan si decise di formalizzare la nascita della Costa Smeralda attraverso la creazione di un Consorzio: invece di procedere secondo la pratica comune in cui ognuno degli investitori acquista e costruisce per conto proprio, seguendo le proprie esigenze e i propri interessi, i soci del Consorzio si impegnano a rispettare uno statuto ufficiale e delle norme comuni, a cui qualsiasi decisione avrebbe fatto capo.

In questo modo si auspicava di creare qualcosa di speciale e differente.

Prima però di una vera formalizzazione del Consorzio, il 29 settembre del 1961 i proprietari sottoscrissero un documento d’intenti nella villa di Renè e Gisele Podbielsky a Olbia, redatto in lingua francese, in cui si dichiara ai seguenti punti (Annesso II):

“I sottoscritti, proprietari dei terreni situati tra Olbia e la Punta Battistoni, hanno convenuto quanto segue:

  1. Un Consorzio sarà costituito nel più breve tempo possibile, con lo scopo di promuovere e controllare lo sviluppo del territorio.
  2. Un gruppo di architetti, composto dall’Arch. Vietti, dall’ Arch. Busiri Vici, dall’Arch. Couelle e dall’Arch. Simon, è stato incaricato di redigere un pre-progetto del piano di urbanizzazione della zona, e tutti i proprietari si impegnano a sostenerne i costi, proporzionalmente al numero di ettari di terreno che possiedono.
  3. Entro un mese dalla data odierna i sottoscritti proprietari si impegnano a sottoporre al Comitato di Architettura un piano preliminare approssimativo dello sviluppo privato dei loro terreni (centri urbani, alberghi, residenze, ecc), con tutte le altre indicazioni utili relativamente alle superfici e alla conformazione dei loro terreni.
  4. Il pre-progetto sarà sottoposto all’approvazione dei proprietari e presentato alle autorità italiane per ottenerne l’approvazione secondo le modalità convenute tra le parti.
  5. I proprietari si impegnano a non realizzare alcuna costruzione sui loro terreni fino all’approvazione del piano di urbanizzazione o finché il Consorzio non sia stato costituito e, in nessun caso, prima dei prossimi tre mesi.

Bisognerà attendere qualche mese più tardi per la creazione ufficiale del Consorzio Costa Smeralda.

I soci fondatori del Consorzio Costa Smeralda, presenti all’atto di costituzione del Consorzio, furono i seguenti:

Karim Aga Khan, 26 anni, residente in Svizzera, laureato ad Harvard in Storie Orientali nel 1959 con BA Honors. A soli 20 anni divenne il nuovo Imam degli ismaeliti, succedendo a suo nonno Sir Sultan Mahomed Shah Aga Khan.

Patrick Guinness, fratellastro del Principe Aga Khan da parte della madre, e appartenente alla famiglia magnate della grande fabbrica di birra Guinness;

Sir John Duncan Miller, banchiere scozzese rappresentante della World Bank di Londra;

Rene’ Podbielski, scrittore mitteleuropeo, accompagnato dalla moglie Gisèle Schneider, economista delle Nazioni Unite, i primi ad acquistare uno stazzo gallurese e a convertirlo in una villa di lusso;

Andrè Ardoin, avvocato parigino, braccio destro e consigliere finanziario del Principe Aga Khan;

Bigio Felix, collaboratore dell’avvocato Ardoin prima e del Principe successivamente, si occupava della mediazione per l’acquisto dei terreni.

Questi sei personaggi saranno i pionieri della Costa Smeralda.

2.4.2. Caratteristiche del Consorzio Costa Smeralda e l’Atto Costitutivo

L’atto costitutivo del Consorzio Costa Smeralda venne firmato il 14 marzo del 1962, alla presenza del notaio Altea e dei sei fondatori: Sua Altezza Aga Khan, Andrè Ardoin, Patrick Guinness, Bigio Felix, John Duncan Miller e René Podbielski (Annesso III). Il Consorzio inizialmente avrà sede ad Olbia, in Via Umberto 193.

La prima parte dell’atto elenca tutte le proprietà, identificate ciascuna dal foglio e mappale corrispondenti, che entrano nei limiti del Consorzio Costa Smeralda, appartenenti ai sei nomi sopra elencati, in rappresentanza propria e in certi casi dei figli, o come amministratori di “etablissements”.

Gli “etablissements”, traducibili come “stabilimenti”, quali Romazzino, Capriccioli, Cala del Faro, ecc., avevano in genere sede fuori Sardegna, e venivano amministrati dagli stessi soci fondatori (Fig.61).

Il Consorzio è regolato dalla legge italiana e dallo Statuto rappresentante il Consorzio.

L’art. 4 dell’atto stabilisce che la durata del Consorzio si fissa fino alla scadenza del trentesimo anno solare, ossia il 31 dicembre del 1981, salvo eventuale proroga o scioglimento anticipato. Fanno parte del Consorzio obbligatoriamente tutti i proprietari di immobili siti nella regione della Gallura, all’interno dei limiti del Consorzio Costa Smeralda.

L’art. 5 dello Statuto definisce le funzioni che il Consorzio deve svolgere:

– studio, coordinamento e direzione di tutti gli strumenti urbanistici idonei ad assicurare, sia in generale che in riferimento alle singole proprietà, la migliore utilizzazione degli immobili appartenenti ai Membri del Consorzio;

– studio ed esecuzione di opere ed impianti e servizi di interesse generale e particolare nell’ambito del comprensorio della Costa Smeralda e della circostante regione, svolgendo per il perseguimento di tale scopo, ogni necessaria attività amministrativa e negoziale;

– manutenzione e gestione di ogni opera ed installazione di impianti e servizi, di interesse generale o comune, anche se di proprietà dei singoli Consorziati, e può prestare anche a tal fine assistenza tecnica, amministrativa e contabile ai condomini fra Consorziati, provvedendo in tal senso con apposite Società di Servizi, sulle quali esercita funzioni di indirizzo e controllo, nei limiti della vigente normativa;

– partecipazione a tutti i servizi ed iniziative aventi il medesimo scopo, o suscettibili di favorirne lo sviluppo;

– tutela del livello ottimale delle condizioni di vita nel territorio. Per il conseguimento di questo scopo la direzione consortile ha facoltà d’imporre potature e tagli delle piante capaci di diminuire la veduta panoramica verso il mare alle proprietà finitime, secondo l’avviso del Comitato di Architettura; d’imporre limiti logistici per gli accessi alle singole proprietà, e regolamenti per l’uso degli spazi comuni in prossimità dei locali pubblici, allo scopo della loro migliore fruizione; d’imporre limiti e controllo delle immissioni rumorose, irrogando sanzioni pecuniarie in caso d’inottemperanza.

Deve inoltre provvedere:

– alla disciplina ed al regolamento delle costruzioni edilizie erette sui terreni dei Consorziati, ivi compresi eventuali regolamenti di condominio nonché all’osservanza dei regolamenti stabiliti nell’interesse generale e per la buona amministrazione del Consorzio, attribuendoglisi espressamente a tal fine, poteri di rappresentanza negoziale e giudiziale dei proprietari e giudiziale dei proprietari Consorziati, nonché il potere di agire autonomamente, sia giudizialmente che stragiudizialmente nei confronti di tutti coloro, Consorziati e non Consorziati che violassero la norma consortile;

– all’ottenimento di sovvenzioni di qualunque genere, utili al perseguimento degli scopi del Consorzio ed alla stipulazione di ogni atto ad esse relativo;

– alla tutela ed utilizzazione del nome attribuito al comprensorio “Costa Smeralda” e del simbolo rappresentativo del Consorzio, al fine di evitare che altri si possano servire a proprio vantaggio dell’attività esplicata dal Consorzio stesso per lo sviluppo del comprensorio in oggetto, a tal fine potendo agire il consorzio sia in via giudiziale che stragiudiziale, a tutela di ogni diritto, ragione o interesse spettante ai singoli Consorziati;

– all’acquisto e/o all’utilizzazione dei terreni da proprietari Consorziati, ove si renda necessario per il migliore proseguimento degli scopi sopra elencati, in base a delibere assunte dal Consiglio di Amministrazione;

– alla tutela dei diritti ed interessi ed alla rappresentanza, in sede negoziale, amministrativa e giudiziale, dei proprietari Consorziati, sempre nell’ambito delle finalità perseguite dal Consorzio Costa Smeralda.

Il consorzio si presenta come un’Associazione senza scopo di lucro, “con lo scopo di programmare un equilibrato sviluppo urbanistico e residenziale e di dotarlo di opere di qualità necessarie per una migliore valorizzazione turistica”,29 e al principio era costituito solo dai sei fondatori, avente come presidente l’Aga Khan.

Lo scopo del Consorzio quindi è quella di riunire sotto un’unica gestione le ingenti inversioni (150 miliardi di lire) previste per riuscire in un’operazione finanziaria a lungo termine.

Il Consorzio si sarebbe occupato di realizzare tutte le parti comuni e di vendere i lotti attrezzati, rimanendo proprietario di quelle ad uso pubblico.

Inoltre esso aveva il compito e il diritto di intervenire sul controllo diretto delle fonti di finanziamento.

In realtà la vendita dei lotti non era compito del Consorzio, bensì di ogni proprietario o etablissement: in funzione delle zone si vendevano i lotti attrezzati o direttamente le case già costruite, e da quel momento l’acquirente diventava proprietario anche del terreno, avendo così diritto a diventare socio del Consorzio in proporzione alla superficie acquisita.

Il funzionamento amministrativo è pari a quello di qualsiasi condominio in cui ognuno ha diritti elettivi e oneri da pagare per la gestione della comunità, in funzione a delle tabelle millesimali, secondo i terreni posseduti.

Il vero guadagno dell’operazione avveniva proprio in questa fase di rivendita dei terreni a terzi, per cui se un terreno era stato comprato a 1000 lire al mq, veniva rivenduto a 10000 lire al mq, dopo averne però speso almeno 3000 per urbanizzare i terreni con acqua, luce, telefono e strade d’accesso, per cui comunque rimaneva un guadagno del 60-70%.

Benché il Consorzio non si occupasse direttamente delle vendite, era comunque associato a delle imprese immobiliari aventi diverse sedi, che si occupavano non solo delle compravendite dei lotti e degli edifici, ma anche della gestione dei condomini, quali custodia, pulizia, giardinaggio, tutto fatto con l’intento di togliere qualsiasi preoccupazione all’acquirente.

Il Consorzio inoltre forniva consulenza ai soci per quanto riguarda le imprese di costruzione, giardineria, arredamento ecc., molte delle quali vennero create appositamente in loco, come nel caso della Cerasarda e Biancasarda, imprese locali che venivano già improntate verso il tipo di materiali e stili decorativi richiesti dal regolamento edilizio del Consorzio.

Ciò che avrebbe differenziato quindi la Costa Smeralda da tutte le altre realtà turistiche sarde e molte altre europee è la forma consortile di gestione dei tremila ettari di territorio costiero: in questo modo si garantiva un livello di qualità più elevato, grazie al controllo dall’alto, effettuato su ogni elemento incluso nei limiti consortili. Si tratta, in realtà, di un “enclave normativa”

(Trillo, 2003), in cui le norme sono ancora più restrittive di quelle imposte dal regolamento comunale.

Nell’ambito pubblico viene regolato tutto ciò che è visibile, dalle insegne degli esercizi commerciali alla vegetazione degli spazi pubblici, alla cartellonistica stradale, affidata a un’impresa americana; ciò che rappresenta una novità è invece la regolazione anche dell’ambito privato, dove si stabilisce la vegetazione utilizzata nei giardini privati, si invita ad utilizzare un certo tipo di arredamento d’esterni con determinati materiali, tutti necessari a confondere il costruito nella natura.

Per poter definire le norme edilizie, valutare i progetti e iniziare a realizzare i primi edifici della Costa Smeralda, venne costituito un Comitato di Architettura, formato da una équipe di architetti internazionali scelti dal Principe Aga Khan per avviare le prime strutture ricettive dei soci fondatori.

Le norme del Consorzio prevedevano che nessuno avrebbe potuto presentare un proprio Piano di Lottizzazione fino alla redazione di un Master Plan generale: a tale riguardo esistono distinte fonti che verranno analizzate nel successivo capitolo.

Vi saranno comunque due organi pianificatori che lavoreranno di pari passo secondo le esigenze dei soci del Consorzio, ossia il Comitato di Architettura e l’Ufficio Planning.

Appare evidente dalle pubblicazioni e dalla bibliografia presente, che l’aspetto architettonico della Costa Smeralda prevale sull’impianto urbanistico, da lì la scarsa documentazione relativa alla pianificazione e al contrario un’accurata descrizione dell’edificato.

La Costa Smeralda ha subito molti cambiamenti nei 50 anni della sua esistenza, in particolare saranno due le fasi che ci interessano:

– in un primo periodo l’attività del Consorzio è rivolta alla realizzazione della base ricettiva turistica, durante il quale si realizzarono i principali hotel di lusso e si promosse così l’immagine della C.S come nuova destinazione esclusiva;

– in un secondo periodo, per rendere redditizio l’investimento dell’acquisto dei terreni, si punta a costruire ville di lusso nelle aree pregiate. L’iniziativa cominciava così a trasformarsi in un’operazione immobiliare.

La ricerca si ferma nell’analisi di queste due fasi in quanto successivamente la natura stessa del progetto e ciò che aveva guidato i primi soci fondatori andò poco a poco perdendosi, per trasformarsi in una pura operazione immobiliare.

In quegli anni non vi erano normative a cui sottostare, eccetto la legge sulle “bellezze naturali” del 1939, ma in linea di massima gli architetti avevano piena libertà di azione; la legge urbanistica nazionale del 1942 non influiva inoltre sullo sviluppo del territorio ancora vergine della costa gallurese. Inoltre durante i primi anni della Costa Smeralda ancora non era stato messo in piedi alcun master plan generale vero e proprio, pertanto in questa prima fase gli architetti si limitarono ad organizzare il territorio cercando di riportare sulla carta le richieste del Principe Aga Khan e degli altri proprietari, fornendo un piano di massima sulla distribuzione dei principali nuclei turistici e associando ad essi le opportune infrastrutture. Ancor prima quindi di definire una linea di sviluppo globale, gli architetti vennero incaricati del progetto di alcuni alberghi in cui ospitare i clienti nella prima fase di operazione pubblicitaria della Costa Smeralda. Le scelte architettoniche applicate a questi alberghi saranno riconoscibili al punto che Price (1983) identificherà ciascuno di essi con un diverso stile.

CAPITOLO 3

Il neoreoalismo manierista del primo decennio della Costa Smeralda

Introduzione

3.1. IL COMITATO INTERNAZIONE DI ARCHITETTURA

3.2. I PRIMI PIANI DI SVILUPPO DELLA COSTA SMERALDA ⇓
3.2.1. La ricostruzione del processo di pianificazione
3.2.2. I Piani di Lottizzazione di Porto Cervo e Romazzino ⇓

3.3. DALLE OPERE DEL REGIME AL NEOREALISMO NELLA COSTA SMERALDA DI LUIGI VIETTI ⇓
3.3.1. Le architetture degli anni ‘30: dalle opere del regime alle ville nella costa ligure
3.3.2. I primi anni del dopoguerra: la tradizione a servizio dell’architettura turistica
3.3.3. L’esperienza di Vietti nella Costa Smeralda: neorealismo o banalizzazione dell’architettura vernacolare? ⇓

Introduzione

In questo capitolo si analizza la prima fase della costruzione della Costa Smeralda, a partire dall’istituzione del Comitato di Architettura e dai primi progetti d’infrastruttura ricettiva realizzati dai suoi componenti.

Successivamente si presenteranno i primi piani di lottizzazione, risalenti al 1965. Si ribadisce che finora poco è stato scritto sul processo di pianificazione della Costa, anzi costantemente si nega la sua esistenza. Al contrario tanti articoli, riviste e libri sono stati dedicati alle ville di lusso e alla loro architettura.

Tuttavia il presente intervento non è mirato all’aspetto architettonico del singolo elemento, ma piuttosto al modo in cui questo si inserisce in un processo più ampio di pianificazione del territorio. L’analisi dei piani è accompagnata da approfondimenti teorici tesi a mettere in evidenza quali sono gli elementi che hanno spinto ad adottare determinate scelte stilistiche, e come questi si inseriscano in un contesto teorico più ampio in linea con alcune tendenze portate avanti nella penisola dal secondo dopoguerra.

Come vedremo, sarà soprattutto Luigi Vietti il protagonista del Comitato di architettura: al suo lavoro nel campo dell’architettura turistica antecedente alla Costa Smeralda e a quella realizzata in Sardegna sarà dedicato un ulteriore approfondimento.

3.1. Il Comitato internazionale di Architettura

Il passo successivo alla costituzione del Consorzio fu la creazione del Comitato di Architettura: il Principe Aga Khan scelse personalmente una rosa di architetti nazionali e internazionali da lui ritenuti piú opportuni per la progettazione del nuovo territorio turistico. Ciò che avrebbe dovuto distinguere la Costa Smeralda dalle altre località turistiche, oltre la clientela di alto livello, era la singolarità delle sue costruzioni, simbolo della qualità che la caratterizzava.

I primi componenti del comitato di Architettura furono: Luigi Vietti, Jacques Couelle, Michele Busiri Vici e per poco tempo Antonio Simon Mossa, l’unico architetto isolano del gruppo. Gli architetti scelti avevano già maturato esperienza nel campo dell’architettura turistica, seppur con soluzioni formali diverse tra loro.

Oltre questi nomi, altri sono citati in documenti e fotografie risalenti a questo primo periodo, quali Raymond Martin, Leopold Mastrella, Gamondi, Jean Luis de Marchi e altri, ma non è facile capire quali effettivamente furono membri permanenti del comitato e quali collaborarono puntualmente ai progetti.

Si considera importante presentare i quattro sopra citati, in quanto tali architetti segnarono quella che può essere considerata la prima generazione dell’architettura smeraldina, ed è importante sottolineare la netta differenza tra le prime residenze e i primi hotels da loro progettati, e la moltiplicazionevolte di un modello inizialmente esitoso, ma che finì per perdere i suoi valori ispiratori per cadere preda della speculazione edilizia.

I quattro architetti saranno incaricati di redigere un Regolamento Edilizio, formato principalmente da una serie di linee guida per la progettazione degli edifici. Il Regolamento Edilizio (Annesso III) sopperisce alla mancanza di un Piano Regolatore Generale o Piano di Fabbricazione del Comune di Arzachena, e il comitato di Architettura riveste le stesse funzioni di un Ufficio Tecnico comunale, pertanto ha il potere di approvare o rifiutare un progetto.

Alle riunioni del Comitato prendeva parte anche l’allora Sovrintendente delle Belle Arti per il nord Sardegna, il professor Carità, che esaminava insieme agli alti componenti i progetti presentati che, una volta accettati dal Consorzio, dovevano essere approvati anche dalla Sovrintendenza (Riccardi, 2010).

Secondo quanto indicato all’art.13 dello Statuto del CCS, tutti i consorziati dovevano sottoporre ad esame del Comitato di Architettura, ancora prima che al Comune di Arzachena, ogni progetto relativo a:

– piani di lottizzazione;

– piani planovolumetrici;

– nuovi fabbricati;

– trasformazioni strutturali, estetiche, volumetriche, esterne di costruzioni preesistenti;

– trasformazioni interne di costruzioni o di parti di costruzioni che ne comportino l’ulteriore o diversa divisione, il mutamento di destinazione o comunque ne modifichino la composizione con varianti ed aggiunte;

– opere di demolizione di costruzioni preesistenti;

– costruzioni di sottosuolo: fognature, canalizzazioni di acque, telefoni di ogni altra natura;

– lavori di tinteggiatura, decorazione, restauro di parti esterne;

– tende, tettoie, pergolati ingombranti gli spazi pubblici;

– allestimento di vetrine di ogni genere, insegne commerciali o qualsiasi altro genere;

– attrezzature balneari stagionali;

– illuminazioni esterne, insegne luminose;

– antenne radio, televisore, parafulmini, illuminazione esterna per strade pedonali o carrabili;

– installazioni mobili o fisse, anche se a carattere temporaneo in luoghi pubblici o privati od in proprietà demaniali;

– strade pubbliche o private;

– opere di recinzione, muri, cancelli, modificazioni di terreni;

– piantagioni di piante di alto fusto, giardini, riforestazione, bonifiche di zone danneggiate;

– cisterne, piscine, vasche;

– generalmente tutte le opere marittime pubbliche o private, di qualsiasi natura esse siano (esempio moli, dighe, pontili);

– scavi e movimenti di terra relativi a qualsiasi opera;

– tagli di alberi.

Nonostante la loro funzione, lo spirito dei componenti del comitato rifiutava che l’architettura smeraldina si riducesse a una banale applicazione di norme tecniche. Come ribadiremo spesso le scelte progettuali dovevano essere affrontate caso per caso con sensibilità e attenzione specifica al luogo.

Lo stesso principe Aga Khan, agli albori dell’iniziativa, in un’intervista afferma:

“Abbiamo visitato per sei mesi la Sardegna e ora vogliamo mettere le cose più belle nella Costa Smeralda”.

Questo tentativo di rispettare l’architettura locale e riprenderne in mano le tecniche e i materiali, se da un lato può considerarsi apprezzabile, dall’altro darà avvio ad una progressiva perdita d’identità. Provocherà confusione su quelli che erano gli elementi vernacolari di un’architettura legata ad una terra scarsamente popolata, lasciando ai visitanti la falsa immagine di un luogo antico e da sempre vissuto.

In quegli anni non vi erano normative a cui sottostare, eccetto la legge sulle “bellezze naturali” del 1939, ma in linea di massima gli architetti avevano piena libertà di azione; la legge urbanistica nazionale del 1942 non influiva inoltre sullo sviluppo del territorio ancora vergine della costa gallurese.

Inoltre durante i primi anni della Costa Smeralda ancora non era stato messo in piedi alcun master plan generale vero e proprio, pertanto in questa prima fase gli architetti si limitarono ad organizzare il territorio cercando di riportare sulla carta le richieste del Principe Aga Khan e degli altri proprietari, fornendo un piano di massima sulla distribuzione dei principali nuclei turistici e associando ad essi le opportune infrastrutture. Ancor prima quindi di definire una linea di sviluppo globale, gli architetti vennero incaricati del progetto di alcuni alberghi in cui ospitare i clienti nella prima fase di operazione pubblicitaria della Costa Smeralda.

Le scelte architettoniche applicate a questi alberghi saranno riconoscibili al punto che Price (1983) identificherà ciascuno di essi con un diverso stile.

All’architetto Luigi Vietti, personaggio chiave del comitato e al quale sono dedicati i paragrafi successivi, vennero affidati l’Hotel Cervo, parte del più grande complesso di Porto Cervo (si veda 3.3.3) e l’Hotel Pitrizza, isolato nella parte più settentrionale della CS. Quest’ultimo identifica lo stile “naturale” (Price, 1983), per l’utilizzo di materiali appunto naturali e originari del luogo: prevede l’utilizzo prevalente della pietra, in genere il granito gallurese applicato in tagli quadrati o rotondeggianti, usati spesso come elementi portanti in sostituzione del cemento armato. Price definisce questo stile “nuragico”, pensando all’utilizzo della pietra come imitazione degli antichi nuraghi sardi. Tale associazione è abbastanza semplicistica, in quanto le forme, la disposizione della pietra e il tipo di pietra sono lontani da quelle utilizzate nei nuraghi.

Vietti intende, attraverso l’utilizzo della pietra, delle costruzioni basse e il tetto-giardino orizzontale, mimetizzare il complesso nel paesaggio circostante e che questo non sia visibile né dall’alto né dal basso. L’adozione del tetto-giardino, seppure di matrice razionalista e pertanto già esplicata sin dai principi di Le Corbusier, in realtà raramente veniva eseguita, per la difficoltà della manodopera locale ad effettuare il trattamento e manutenzione di tale copertura. Lo stesso architetto Vietti in un’intervista dichiara di aver previsto in origine per il Pitrizza un manto di fiori colorati nella copertura, ma che gli operai locali fecero fatica a comprendere come irrigare e mantenere un giardino nel tetto, pertanto ci si limitò a disporre il solo manto verde (Bianchi, Giardin, 1999).

Bisogna ammettere che con l’Hotel Pitrizza si conseguì l’obiettivo, almeno apparente, di nascondere l’architettura nel paesaggio, che si fonde con la natura. Da qualsiasi angolazione lo si osservi, esso riesce a mimetizzarsi tra le rocce e il verde. Anche la piscina, costruita sulle rocce naturali, sembra fondersi con il mare, creando così un edificio-paesaggio.

Jacques Couelle venne invece incaricato dell’hotel Cala di Volpe, mentre a Busiri Vici venne affidato il progetto dell’hotel Romazzino. Il francese Jacques Couelle rappresenta, dopo Vietti, il personaggio più importante del comitato, seguito per un lungo periodo dal figlio Savin. Appartenente alla stessa generazione di Luigi Vietti, membro dell’Academie des Beaux Arts, amico degli artisti Dalì e Picasso e frequentatore dell’atelier di quest’ultimo, Couelle aveva una spiccata manualità e una profonda sensibilità artistica che lo portavano a definirsi artista prima che architetto. Sin dall’inizio della sua carriera si interessò alla sperimentazione di materiali moderni per l’edilizia. Il sottile limite tra la sua architettura e la scultura lo spingevano a produrre dei prototipi per mostrare e far capire il funzionamento delle sue strutture, fatte di volte e pareti curvilinee, attraverso tondini di fil di ferro intrecciati, tradotte in casseforme al momento della messa in opera.

Le sue architetture vengono spesso definite “organiche” per l’uso di forme e materiali che trasmettono plasticità e movimento agli edifici, che si trasformano e si confondono con sculture, richiamando forme vegetali e in movimento. Lui stesso dichiara di voler fare un’architettura “geobiologica” (Couelle, 1983), esponendo quali sono i cardini di un’architettura integrata con il contesto: il terreno è il punto di partenza per l’approccio al progetto, insieme al suo assetto geologico, il manto vegetale e i colori: è come se la crosta terrestre si muovesse fino ad assumere la forma di un’abitazione. Couelle associava la casa per abitare ad un corpo cavo a tre dimensioni, dentro il quale l’uomo in movimento costituisce la quarta dimensione; la luce del sole costituisce la quinta, la luce artificiale la sesta, e i mobili e le decorazioni la settima. I vuoti nel volume aiutano a creare dei giochi di luce che variano in funzione dell’ora del giorno, e danno un senso di vibrazione e vita all’edificio. La maison è associata a una conchiglia, dentro la quale i corpi si muovono seguendo le curve. Per fare ciò, è abolito l’uso delle linee rette per dar spazio alle sole linee curve e sinuose Secondo Couelle, la casa non appartiene a chi vi abita, ma anche a quelli che la guardano nel passare del tempo: quest’affermazione, fatta da un architetto eccentrico e amante della propria architettura probabilmente fu la causa delle critiche che la sua opera ricevette per essere poco funzionale.

Prima di approdare in Costa Smeralda applicò le sue teorie costruttive a diversi progetti turistici nella riviera francese, tra cui le famose maisons-paysage di Castellaras-le-Vieux (1955-1958) e Castellaras-le-Neuf (1961-1963) nelle Alpi Marittime. Queste dimore si adattano alle esigenze del committente ricco, che cerca nella casa di vacanza l’evasione dal quotidiano e dall’urbano, per ritrovare un contatto più intimo con la natura e il paesaggio. Per questo sono aboliti la linea e l’angolo retto, chiari testimoni dell’opera umana e della vita metropolitana (Carta, 2007), a favore di piante centrali circolari, grosse vetrate che si aprono al paesaggio naturale offrendo determinati scorci (il mare, la vegetazione, la montagna, ecc.).

Dopo aver provato le “case-scultura” a Castellaras, vicino a Cannes, Couelle realizzerà per sè una villa a Monti Mannu, che rappresenta la sua casa-scultura più famosa, apparentemente invisibile perchè immersa nella vegetazione e fusa con le rocce, ma fortemente evidente attraverso l’uso di ceramiche colorate a ricordare l’architettura organica di Gaudì.

Tra le architetture realizzate in Costa Smeralda, la più significativa è l’hotel Cala di Volpe, che rappresenta nell’immaginario collettivo l’edificio simbolo della Costa Smeralda. Fu una delle prime strutture ricettive nate all’indomani della creazione del CCS, nel 1963 già possedeva 62 letti, nel 1971 245: Couelle si occupò solo del corpo principale, e non dell’ampliamento. In quest’opera gli elementi caratteristici dell’architettura-scultura sono mediati dall’interesse per la riproduzione artificiale dell’architettura locale. Come in una grossa scultura, il blocco principale dell’hotel ricorda una statua con le braccia aperte verso il mare. Situato in una baia, il grosso blocco monolitico che forma l’hotel, a prima vista appare come un antico borgo mediterraneo di pescatori, fornito di un pontile di legno come un vecchio porticciolo. Tutto ciò è parte dell’ “effetto scenografico” che in generale la Costa Smeralda produce: i muri a secco sono volutamente invecchiati e il pontile ospiterà non pescherecci, ma yachts privati.

Il piccolo villaggio esternamente sembra povero e angusto, stretto intorno a una torre in cui le finestre sono delle feritoie irregolari e asimmetriche, muri spessi e contrafforti, di colori pastello che pare abbiano perso il loro tono nel corso del tempo (Gerlat, 2006). Seguendo con le forme la linea costiera, Couelle conferma il suo principio secondo cui è “l’abitazione a penetrare nell’ambiente, come se fosse una sua continuazione”.

L’hotel Cala di Volpe rappresenta ciò che Price (1983) chiama “stile smeraldino”, o neosardo: a partire dalla Costa Smeralda si è diffuso in tutta la Sardegna, rappresentando così il modello architettonico turistico più desiderato e imitato, al punto tale da essere ormai riproposto anche in certi complessi residenziali permanenti. Purtroppo però i risultati raggiunti dalla sua emulazione sono molto lontani da quelli originali, per la distinta preparazione delle maestrie e una scarsa interpretazione delle tecniche, così l’effetto invecchiato e il colore tenue apparentemente naturale nel Cala di Volpe, finisce per essere un effetto spugnato con un colore stridente nelle altre parti dell’Isola. E in realtà la cosa curiosa è che tale stile cerca di riprodurre un’architettura tradizionale sarda. A questo proposito si riporta un’interessante osservazione di Charles Fraser (1972), che afferma: “lo stile architettonico delle abitazioni sarde era austero, mentre gli architetti dell’Aga Khan hanno creato uno ‘stile sardo’ di masse scolpite con tenue frivolezza”.

Nel 1964 l’Aga Khan si lamentava che alcuni sardi che lavoravano per il Consorzio erano riusciti a mettere da parte qualche fortuna, con cui “mentre noi cerchiamo di conservare lo stile dell’architettura sarda tradizionale, costruiscono mostruosità che credono somiglianti alle case di ricchi” . Secondo Price, l’aspetto tragico di questo conflitto culturale, è che il Principe e i suoi architetti stavano costruendo mostruosità assomiglianti alle case dei poveri.

Michele Busiri Vici, architetto romano discendente da una famiglia di architetti e artisti dal 1600, era come i suoi colleghi già sessantenne all’epoca in cui l’Aga Khan lo chiamò a lavorare nella Costa Smeralda. A partire dagli anni ‘40 lavorò attivamente nel litorale sabaudo. Busiri Vici può essere considerato uno dei primi esponenti dell’architettura mediterranea in Italia: sia nelle sue anteriori opere che nella Costa Smeralda, l’architetto utilizza uno stile che riporta notevoli influenze dell’architettura greca e araba.

Nella Costa Smeralda realizzò opere molto significative, quali l’hotel Romazzino, uno dei primi alberghi, l’albergo Luci di Montagna e la chiesa Stella Maris. Gli elementi ricorrenti in queste opere son le curve dolci, i comignoli curvilinei, l’uso del rivestimento a calce bianca, accompagnati da archi a sesto acuto e le feritoie triangolari. Lo stile “bianco mediterraneo” (Price 1983), sarà accettato solo nella prima fase di costruzione della Costa, ma verrà in seguito scoraggiato perché troppo contrastante con il paesaggio, per essere poi sostituito da un bianco sporco o artificialmente invecchiato. Busiri Vici si ritirerà dalla professione nel 1977, e a lui seguirà suo figlio Giancarlo. Infine appare importante ricordare la figura di Antonio Simon Mossa, che fu l’unico architetto sardo a far parte del Consorzio in questa fase.

La figura di Antonio Simon in Sardegna è legata non solo alla grande quantità di opere architettoniche realizzate, ma anche all’impegno politico e culturale per la salvaguardia della tradizione e della lingua sarda. La sua incorporazione nel Comitato di Architettura venne approvata nel febbraio del 1962, dopo che per tre giorni consecutivi gli architetti Couelle, Vietti, Busiri Vici, Mastrella, Madame Rohan e lo scultore Giò Pomodoro, avevano esaminato profondamente tutti i suoi progetti fino a quel momento realizzati.

Antonio Simon aveva già esperienza in Sardegna nel campo dell’architettura turistica, soprattutto nella città di Alghero, dove realizzò l’Hotel Capo Caccia, Porto Conte, Hotel Punta Negra, El Faro, Corte Rosada. Il suo stile è riconoscibile e strettamente legato allo stile mediterraneo precedentemente descritto, in linea quindi con quello già adottato da Michele Busiri Vici. Questa collaborazione durò solo qualche anno, durante i quali Simon propose un progetto per un borgo di pescatori, mai sorto, e contribuì a stabilire delle norme per il Regolamento Edilizio: al momento di accettare l’incarico aveva posto alcune condizioni, tra cui l’altezza massima delle ville, che non avrebbe dovuto superare i 16 metri nella parte più elevata del tetto e 14 metri sulla parte degli spioventi, l’utilizzo d’infissi di legno e gli archi a tutto tondo.

Arrivò un punto però, in cui Simon credette che quello che all’inizio gli era parso un intervento rispettoso del paesaggio e di alta qualità, avrebbe presto preso un’altra direzione, orientata maggiormente verso la cementificazione della costa dettata da pure manovre imprenditoriali. Ciò lo spinse ad abbandonare il Consorzio (Francioni, Massa, 2004).

3.2. I PRIMI PIANI DI SVILUPPO DELLA COSTA SMERALDA

3.2.1 La ricostruzione del processo di pianificazione

Ricostruire il processo di pianificazione della Costa Smeralda risulta un lavoro continuamente in fieri, e non si esclude che possa mancare qualche passo per completare la narrazione dell’accaduto. Le diverse fonti consultate, dal materiale scritto e cartografico alle interviste dirette ai protagonisti della vicenda negli anni ‘60, non sempre concordano tra esse, pertanto non resta che cercare di ricostruire in modo logico le informazioni raccolte, con la consapevolezza che possano esservi degli errori cronologici o mancanze dovute alla difficoltà di reperire i materiali. Ciò si deve tra le altre cose ad una situazione di disordine negli uffici del Consorzio: al momento del cambio della presidenza e la vendita delle azioni dall’Aga Khan a Tom Barrack nel 2003, l’ufficio Planning fu disfatto, e i documenti in parte vennero recuperati (ma non sono in questo momento diffondibili), in parte vennero conservati nel Consorzio. Come già detto in precedenza, alla data di creazione del Consorzio e per diversi anni successivi, il Comitato di Architettura si trovò a pianificare il territorio smeraldino in mancanza di strumenti urbanistici regionali o comunali che imponessero o proibissero determinate norme di edificazione.

Come si evince dalla prima lettera di dichiarazione d’intenti del 1961, gli architetti Vietti, Couelle, Busiri Vici e Simon, oltre ad occuparsi del Regolamento Edilizio, sarebbero stati incaricati di redigere un pre-progetto del piano di urbanizzazione della zona, mettendo insieme i piani preliminari che i proprietari avrebbero dovuto presentare al Comitato di lì a un mese. Tali piani dovevano indicare approssimativamente lo sviluppo dei terreni (alberghi, centri urbani, residenze) con l’indicazione delle superfici e la conformazione dei terreni stessi.

Anche la geografa Gerlat (2006), che si era recata in Costa Smeralda nel 1964 per sviluppare la sua ricerca, parla di un piano generale di sviluppo: “La filosofia del piano risiede nel confronto fra i progetti preparati dal Comitato di Architettura in modo da avere la certezza che questi siano compatibili fra loro e con i dati generali di situazione, e che essi facilitino la redditività degli investimenti”. Il piano indicava i limiti dello sviluppo urbano, residenziale e alberghiero, specificando la categoria degli hotel da realizzare, le tipologie degli agglomerati e delle stazioni balneari, dei porti, la densità e la tipologia delle ville. Secondo quanto riportato da Gerlat negli anni ‘60, il piano prevedeva la definizione di quattro nuclei principali, corrispondenti a quelle aree in cui erano ubicati gli alberghi già in costruzione (par. 3.1): Porto Cervo, Cala Volpe, La Pitrizza-Liscia di Vacca, Romazzino.

Oltre ai centri principali erano previsti tre porti, una zona turistica ricreativa, una alberghiera e una rurale, in quei terreni che permettessero l’uso agricolo. In quest’ultima si prevede la realizzazione dell’infrastruttura necessaria allo svolgimento delle attività agricole, così come le residenze annesse. Il numero totale di costruzioni è indicato in 9. 000, compresi gli uffici. A parte il fatto che tecnicamente nella Costa Smeralda non sarà destinata nessun’area all’attività agricola, del piano generale di sviluppo non rimane peraltro nessuna documentazione. 34 Se poi consideriamo che non esisteva nessuno strumento di pianificazione a scala comunale, deduciamo che il ruolo del Comune di Arzachena si limitava in questi anni al rilascio di singole licenze edificatorie per la costruzione di nuovi edificati.

Tra il 1962 e il 1972, per il primo decennio della CS, si può quindi affermare che il Consorzio e il Comitato di Architettura agirono senza nessuna imposizione dall’alto, componendo il proprio regolamento interno e organizzando dei piani di massima che fossero relativi solo al territorio della CS. Tutto quindi era lasciato alla discrezione degli architetti del Comitato, i quali dichiararono di operare sempre secondo i principi di rispetto del paesaggio circostante, l’importanza della vegetazione autoctona, e cercando di coinvolgere il più possibile la popolazione locale.

Le decisioni che venivano prese al momento di pianificare le infrastrutture e gli spazi comuni, dall’intervista tenuta con Jean Luis de Marchi, “si basavano sulla sensibilità” dei progettisti in funzione del paesaggio naturale preesistente. Si cercava di salvaguardare il più possibile le piante e le rocce, e la decisione di far passare una strada in un punto piuttosto che altrove era dovuta a decisioni soggettive più che a delle regole prestabilite. La documentazione raccolta mostra invece l’esistenza di una pianificazione a scala di lottizzazione o etablissement ad opera del Comitato di Architettura.

E’ possibile che quando Gerlat (2006, p. 39) afferma che “il piano risiede nel confronto dei progetti preparati dal Comitato di Architettura”, riveli che il piano generale altro non è che l’unione dei singoli piani di lottizzazione. Come anticipato, le quattro aree scelte per dare avvio allo sviluppo della Costa Smeralda sono quelle riportate alle pagine 116-117: le foto riproducono lo stato di Porto Cervo, Cala Volpe, Pitrizza e Romazzino nell’anno 1954.

La scelta di queste quattro aree è legata probabilmente al loro assetto naturale, soprattutto delle prime tre, di insenature profonde e riparate. La morfologia infatti facilita la realizzazione dei porti, o porticciolo nel caso di Cala Volpe, per l’attracco delle barche di piccole e grandi dimensioni. Inoltre le quattro aree scelte sono ubicate a sufficiente distanza l’una dall’altra, in modo da colmare ciascuna una porzione di territorio consortile abbastanza ampio; la dispersione dei nuclei è considerata in questa fase un elemento di vantaggio e non un ostacolo allo sviluppo.

Il principale autore dei piani di lottizzazione, almeno per quanto riguarda il materiale raccolto, fu Luigi Vietti. Successivamente alla creazione del CCS gli fu affidato dal Principe il progetto dell’Hotel Cervo e un piano di massima di tutta la baia di Porto Cervo, centro nevralgico della Costa, che sarà trasformato in Piano di Lottizzazione nel 1965. Oltre a quello di Porto Cervo, rimane la documentazione relativa al Piano di Lottizzazione di Romazzino, probabilmente affidato a Michele Busiri Vici, mentre non siamo in possesso di quelli del Pitrizza, anch’esso possibilmente affidato a Luigi Vietti, e del Cala Volpe.

3.2.2. I piani di lottizzazione di Porto Cervo e Romazzino

Il Piano di lottizzazione di Porto Cervo è l’unico diffuso pubblicamente, dopo essere stato divulgato in diverse riviste di architettura internazionali. L’alternarsi della bassa densità residenziale a zone intensive alberghiere è la caratteristica dominante in questa prima fase di pianificazione. Secondo Architecture Française,38 per la Costa Smeralda si pianificava una densità abitativa molto bassa, pari a soli 13 abitanti per ettaro, contro i 300 della Costa Azzurra. Secondo quanto riportato da Gerlat, le aree vennero suddivise in quattro zone principali secondo la natura e la topografia, e a ciascuna di esse verrà attribuito un indice di edificabilità: 1. zona di proprietà vaste almeno 1 ettaro, con indice di edificabilità non superiore a 0,10 mc/mq con un massimo di 3000 mc; 2. zona di proprietà estensiva o di media proprietà, ciascuna di un minimo di 4. 000 mq in cui le costruzioni non potranno superare i 0,20 mc/mq; 3. una zona di sviluppo semi-intensivo in cui il minimo lotto sarà di 1. 500 mq e dove le costruzioni non potranno superare i 0,40 mc/mq; 4. zona di edificazione intensiva comprendente lotti di minimo 800 mq con una limitazione di 0,80 mc/mq.

Il piano pubblicato sulla rivista Baumeister (Fig. 82) rappresenta anch’esso la suddivisione del territorio in lotti, attribuendo questa volta a ciascuno di essi la funzione del fabbricato corrispondente, e non la densità prevista. Funzione e densità sono comunque legate tra loro: le zone C e D, destinate a condomini e ad alberghi, corrispondono a quelle con un indice di edificabilità più elevato, mentre le zone A e B, con lotti più ampi e destinati alle ville singole o a schiera, daranno vita ad un edificato disperso.

Il documento del Piano di Lottizzazione fornito dal Consorzio e riportato nelle pagine 140-141, è datato 1965 e venne originariamente presentato in scala 1:2000. Il piano ha come base di partenza un’analisi della topografia del terreno accurata, affidata allo studio Bianchi di Milano per mancanza di una cartografia dettagliata esistente. Oltre alle curve di livello, vengono segnalati altri due elementi naturali importanti: le rocce e gli alberi, probabilmente ginepri. Gli elementi artificiali che invece marcano il territorio esistente sono i muri a secco, anche se non facilmente riconoscibili; l’area di Porto Cervo infatti era precedentemente suddivisa in pochi e grandi appezzamenti, e i vecchi limiti vengono riutilizzati per definire i nuovi.

Erano sostanzialmente queste le caratteristiche del territorio che Vietti utilizzava come base di partenza per la pianificazione di Porto Cervo.

Il documento fornisce le informazioni basiche per procedere con lo sviluppo del centro turistico; gli elementi che emergono sono quelli caratteristici di un piano di lottizzazione: la distribuzione dei lotti nel territorio con le densità sopra descritte e le opere di urbanizzazione stradale. Alcune ville e alberghi erano già in fase di realizzazione, come è possibile vedere dal piano, e gran parte dell’infrastruttura viaria era già completa.

Riguardo l’assetto viario, notiamo un tracciato talvolta sorprendente, forse eccessivamente tortuoso e irregolare, da cui si legge il tentativo di adattare i tratti di infrastruttura nuovi a sentieri preesistenti. Non è quindi un tracciato studiato sulla carta come davanti a una tabula rasa, ma ricostruito sul luogo, probabilmente percorrendo il territorio a piedi. Nonostante venga definito Piano di Lottizzazione, questo documento non aveva in quel momento valore giuridico, essendo un documento interno al Consorzio, pertanto manca parte della documentazione richiesta dalla normativa per la stesura di questa categoria di piano.

Tra le altre cose non sono dettagliate le aree di sosta e le aree destinate a verde pubblico. Ma in realtà lo scopo di questi primi piani era quello di identificare le aree edificabili e procedere con la vendita dei lotti. La parte indicata nel piano con una colorazione più scura è il centro di Porto Cervo, corrispondente all’area con la maggiore densità prevista, nella quale verranno realizzati due porti e concentrate le funzioni amministrative e commerciali. Della prima linea di costa verrà presentato un piano più dettagliato in cui sono meglio riconoscibili le forme degli edifici, la loro distribuzione e l’adattamento alla morfologia.

L’elemento chiave intorno a cui si affaccia Porto Cervo è il porto da diporto, che inizialmente poteva ricevere 250 imbarcazioni. Il porto è l’elemento che da vita allo spazio circostante, un borgo che prende spunto dall’Hotel Cervo, primissima costruzione della zona: articolato in un sistema di strade strette, pretende ricordare un villaggio storico, per poi aprirsi all’ampia terrazza sul porto, destinata ad essere il centro degli incontri della clientela. Intorno alla Piazza del Cervo, la famosa Piazzetta, sono concentrati i principali servizi commerciali: un tabacchi, libreria, un magazzino, un supermercato, un negozio di materiale fotografico, il famoso negozio di Marinasarda per l’acquisto dei pezzi di ricambio delle barche, un ufficio postale, una banca, una farmacia, un centro medico, gioiellerie, boutiques e saloni di benessere, un’agenzia di viaggi e sei night-clubs. Era inoltre prevista l’attrezzatura delle zone per svolgere diversi sport quali il tennis, la caccia, il tiro al piattello e l’equitazione.

Negli schemi delle pagine 143-144 si analizza il piano smembrandolo in funzione degli elementi considerati chiave per l’organizzazione del territorio. Come abbiamo già detto, gli elementi naturali del territorio che risaltano sono la vegetazione mediterranea, soprattutto i ginepri, e le aree rocciose di granito.

Sovrapponendo questi due elementi alla suddivisione dei lotti (Fig. 85c), vediamo che tutta la vegetazione viene lasciata fuori dal processo di urbanizzazione, pertanto preservata, esclusa una minima parte nell’area a nord di Porto Cervo.

Allo stesso modo si cerca di evitare la costruzione nelle aree rocciose, anche se queste sono meno vincolanti che la vegetazione. L’unica area in cui la presenza delle rocce, legata anche ad una maggiore pendenza, impedisce qualsiasi tipo di costruzione è quella più ad ovest, ubicata oltre l’infrastruttura provinciale che separa il territorio in due parti.

Per quanto riguarda la preesistenza dei muri a secco, vediamo che questa rappresenta una delle poche aree della Costa Smeralda in cui la suddivisione delle antiche proprietà prevedeva la presenza di appezzamenti più vasti e irregolari, a differenza di tutta l’area a sud di Porto Cervo, costituita da strisce lunghe e sottili ortogonali al mare. Ciò ha quindi facilitato il compito della conservazione dei recinti: nella Fig. 85b si sovrappongono i muri a secco preesistenti alla nuova suddivisione dei lotti, e si legge la continuità tra i limiti della nuova urbanizzazione e la suddivisione preesistente.

I muri a secco vengono talvolta utilizzati come limiti della lottizzazione, talvolta dei lotti stessi. Dallo studio della viabilità, oltre alle osservazioni già riportate sull’andamento tortuoso del tracciato, si riconosce la presenza di un circuito pedonale nella fascia costiera compresa nei primi metri dalla linea di battigia, in cui sono concentrati i servizi, permettendo di visitare completamente il centro di Porto Cervo.

Anche nelle aree a nord del porto, dove i lotti costruiti a bassa densità arrivano sino al mare, è lasciato libero al pubblico un accesso per la discesa a mare. La prima fascia, individuata nello schema in rosso, ha una densità prevista di 3mc/mq, la più elevata di tutta la zona; in essa si concentra parte della zona rocciosa.

Nello schema vengono inoltre segnalati gli edifici già realizzati alla data della stesura del Piano, tra essi l’Hotel Cervo e il suo intorno, le ville “le Cerbiatte”, e altre grandi residenze a nord dell’area. Successivamente è stato fatto uno studio sulla superficie dei lotti (Fig. 87), che vengono suddivisi in 5 ranghi in funzione di quelli individuati da Gerlat (2006).

La maggior parte dei lotti ha una superficie compresa tra 1501 e 4000 m2, seguiti da quelli compresi tra 801 e 1500 m2. La terza componente più numerosa è quella di lotti più grandi, ovvero compresi tra 4001 e 10000 m2. Solo sei sono i lotti con una superficie inferiore a 800 m2, e uno solo, già edificato al 1965, con una superficie superiore a 10000m2.

Per quanto concerne la distribuzione delle superfici nello spazio, questa varia notevolmente tra l’area più densa intorno alla piazza di Porto Cervo, e quella meno densa a nord: a sud infatti i lotti vanno progressivamente dal più piccolo al più grande dal mare verso la montagna, distribuendosi quasi in fasce, mentre nella zona a nord i lotti affacciati sul mare sono più vasti di quelli della seconda fascia. Ovviamente da questo deriva una diversa densità edilizia.

Il Piano di Lottizzazione di Porto Cervo del 1965 è senz’altro il più rivelatore di questa fase di sviluppo della Costa Smeralda. Il piano non nasce da un vero e proprio processo di pianificazione, che dovrebbe essere a monte della costruzione iniziale, ma è uno strumento che viene adottato a posteriori, una volta avviata la costruzione dei singoli manufatti architettonici, per regolare la distribuzione di lotti e la densità che appaiono già stabilite. Il piano adatta quest’ordine prestabilito al territorio, modificando qua e là i tracciati delle vie, i limiti dei lotti e delle urbanizzazioni, a seconda degli elementi naturali e preesistenti che derivano da un rilievo accurato e dalla sensibilità dei progettisti. Con le indicazioni anteriori si proseguì la costruzione di Porto Cervo fino alla fine degli anni ‘60.

In seguito alla normativa nazionale del 1968 che obbligava i Comuni a dotarsi di un Piano Regolatore Generale, il Comune di Arzachena optò per redigere un Programma di Fabbricazione: Luigi Vietti venne incaricato della redazione del piano nelle zone appartenenti al Consorzio, e questo sarà approvato nel 1972 dopo una serie di vicissitudini che videro scontrarsi il Comune di Arzachena e l’Amministrazione Regionale da una parte, e il Consorzio Costa Smeralda dall’altra in merito alle cubature previste, un totale di 12 milioni metri cubi la cui suddivisione imposta dal Comune non era gradita ai consorziati.

– la zona turistica estensiva F1, con un indice di 0,40 mc/mq sostituirà il punto 3;

– la zona turistica semiestensiva, con un indice di 0,8 mc/mq sostituirà il punto 4;

– alla zona turistica alberghiera sarà dato un indice di 0,8 mc/mq.

Viene inoltre introdotta la categoria di “borgo residenziale”, che curiosamente sarà assegnato a tutta la prima linea costiera, a ridosso del porto, dedicata realmente ad un’alta attività turistica e commerciale. In quest’area la densità è nettamente superiore alle altre, con un indice di edificabilità pari a 3 mc/mq, fatta eccezione per alcune zone protette per assetto geomorfologico, e altre già edificate a bassa densità a nord e ad ovest del porto, dove si trovano i lotti più ampi e le ville più isolate.

Il concetto di borgo residenziale sarà ripreso più volte per giustificare la creazione di un villaggio che, come abbiamo detto prima e riprenderemo nel paragrafo successivo, aspira a rappresentare uno spazio urbano vissuto, pur essendo costruito ex novo e previsto per una popolazione di passaggio. La densità diminuisce man mano che ci si allontana dal porto (pp. 152-153): da una prima fascia con un indice di 3mc/mq si passa ad una seconda semiestensiva di 0,8 mc/mq, per poi diminuire a 0,2 mc/mq nelle aree posteriori e collinari. I promontori che segnano l’accesso alla baia di Porto Cervo sono protetti come zone di rispetto morfologico.

Questo principio di distribuzione delle densità verrà poi ripreso dal Master Plan di Sasaki (cfr. par. 4.3), tuttavia con un tentativo di apportare maggiore compattezza ai nuclei. Per quanto riguarda la percentuale di terreno destinata a ciascun settore, possiamo vedere che la densità più alta occupa gran parte della superficie della lottizzazione.

L’area destinata ai borghi residenziali occupa infatti il 33,7% del totale, a seguire il 30% delle zone semiestensive. Il 25% circa della superficie è destinata alle zone turistiche estensive F2 e F3, e solo un 3% è invece destinato alla zona turistica alberghiera, anche se questa è in parte compresa in quella destinata a borgo residenziale.

Il Piano di lottizzazione di Romazzino presentato a pagina 156 potrebbe essere attribuibile a Michele Busiri Vici, al quale venne anteriormente affidata anche la realizzazione dell’omonimo hotel, situato a nord dell’area (Fig. 95). Anche questo piano venne presentato al Consorzio in scala 1:2000, e fornisce le stesse informazioni del Piano di Lottizzazione di Porto Cervo di Luigi Vietti. Gli elementi alla base del piano sono gli stessi di Porto Cervo: ciò che maggiormente salta all’occhio è la conformazione rocciosa di una parte del territorio, e la suddividisione del territorio in lotti stretti e lunghi trasversali al mare, delimitati dai muri a secco.

La penisola in cui è ubicata l’area del Romazzino è quella maggiormente frammentata al momento dell’acquisto dei terreni. Anche in questo caso l’apportazione del piano riguarda la distribuzione dei lotti e il viario. L’infrastruttura viaria è composta da una direttrice principale e da derivazioni che si sviluppano, come vedremo nel capitolo successivo, in diversi patterns: ramificazione a nord, anello nel centro e cul de sac a sud. La direttrice principale è tracciata in funzione di segni preesistenti nel territorio, costituiti da alcuni sentieri che collegavano tra loro i diversi appezzamenti di terra, e completata secondo l’esigenza: è comunque percepibile lo stesso atteggiamento di attenzione all’esistente che trovavamo nel piano di Porto Cervo. Le derivazioni invece rivelano un approccio diverso: un tracciato estraneo al luogo e una riflessione maggiore verso il proprio disegno da parte di chi si sente libero di progettare in assenza di uno spirito del luogo. Le tecniche di circolazione del “cul de sac” o “ad anello” rappresentavano una totale novità per il luogo, finalizzate ad una precisa distribuzione dell’edificato intorno.

La direttrice principale dell’infrastruttura rappresenta anche il limite della costruzione: ad ovest non è prevista in questa fase nessuna edificazione. Fatta eccezione per l’hotel Romazzino, quest’area è quasi totalmente destinata alla costruzione estensiva di residenze turistiche unifamiliari. Diversamente da Porto Cervo in cui sono concentrati i principali servizi ricreativi e commerciali, la lottizzazione di Romazzino è quasi unicamente residenziale. I lotti adiacenti al mare possiedono la superficie maggiore mentre quelli ubicati tra la prima linea e l’infrastruttura sono frazionati in particelle più piccole. I muri a secco vengono in alcuni casi approfittati per dividere i lotti l’uno dall’altro, in altri casi è l’infrastruttura a seguire il loro tracciato.

I piani descritti in questo paragrafo presentano alcune caratteristiche simili, principalmente gli elementi del territorio preesistenti che in entrambi i casi costituiscono la base del piano. D’altra parte è evidente il distinto ruolo che ciascuno di essi ricopre nel complesso del territorio: mentre Porto Cervo rappresenta il fulcro della CS, in cui densità e funzioni si alternano dando vita ad un centro almeno all’apparenza urbano, Romazzino, data anche la sua ubicazione periferica rispetto all’infrastruttura principale, è destinato ad essere una zona residenziale e dalla bassa densità, in cui l’isolamento è considerato un vantaggio.

3.3. DALLE OPERE DEL REGIME AL NEOREALISMO DELLA COSTA SMERALDA DI LUIGI VIETTI

Quando venne chiamato dal Principe Aga Khan per la costruzione della Costa Smeralda, Luigi Vietti era già sessantenne, con un lungo backgroundprofessionale iniziato a cavallo tra le due guerre. E’ difficile descrivere l’attività dell’architetto cronologicamente, perchè i suoi progetti, seppur legati da un filone comune di ricerca, vengono affrontati in modo distinto di volta in volta, come un nuovo problema da risolvere, dando vita a soluzioni diverse e adattate al luogo che le ospita. In questa sezione si pretende analizzare a ritroso il progetto della Costa Smeralda, con maggiore attenzione all’approccio teorico trasmesso dal suo principale autore, Luigi Vietti.

A partire dalle sue esperienze degli anni ‘30, in cui è già visibile l’attenzione per il paesaggio e per l’architettura “spontanea”, arriveremo a illustrare la ragione delle scelte adottate nei progetti per la Costa Smeralda, che rappresenta non la rottura con il periodo anteguerra, ma forse l’evoluzione estrema della ricerca sull’architettura tradizionale regionale. La ricostruzione dell’attività di Vietti fino al secondo dopoguerra si basa principalmente su due biografie monografiche, quella di Paola Veronica Dell’Aira, intitolata “Luigi Vietti. Progetti e realizzazioni degli anni ‘30”, che inlcude un’interessante intervista all’architetto nel 1992, e quella di Silvia Barisione e Valter Scelsi, dal titolo “Luigi Vietti. Architetture liguri. ”

3.3.1. Le architetture degli anni ‘30: dalle opere del regime alle ville nella costa ligure

Luigi Vietti fu uno dei primi studenti a laurearsi nella Scuola di Architettura di Roma nel 1928. Egli stesso afferma che la sua tesi di laurea rappresenta l’emblema della sua carriera39: il tentativo di unire gli elementi dell’architettura razionalista con il rispetto dei valori storici del luogo sono alla base del progetto di un complesso alberghiero sul Lago Maggiore, in cui l’edificio è un chiaro richiamo ai borghi dei pescatori della costa lacustre (Figg. 97-98). L’albergo era pensato come un piccolo borgo, con edifici sparsi ma distribuiti in modo non forzoso, che si ispiravano alle forme e alle tecniche delle architetture tradizionali regionali. Tali elementi, tralasciati per anni a favore del sostegno dei canoni razionalisti, verranno poi ripresi nel dopoguerra. La sua attività professionale è segnata dal primo incarico ottenuto dal Ministero dei Lavori Pubblici per lo studio dei piani regolatori di alcuni comuni liguri, tra essi Genova, Camogli, Portofino e i comuni delle Cinque Terre. A questi lavori segue la nomina di “Ispettore onorario per i Monumenti della Liguria”, tra il 1930 e il 1933, durante i quali il confronto continuo con il paesaggio iniziava a fargli mettere in discussione i principi del contrasto tra architettura e natura fino ad allora da lui applicati, e il progetto per la Villa Wanda a Stresa segnò un momento cruciale.

Nel frattempo collabora alle varie fasi di costruzione del M.I.A.R insieme a Minnucci, Ridolfi, Libera, Piccinnato ed altri. Era inoltre membro del GNARI (Gruppo Nazionale Architetti Razionalisti Italiani), in stretta relazione con l’organizzazione dei CIAM. Nel 1930 Vietti si reca a Bruxelles al III Congresso, il cui tema era “I metodi costruttivi razionali, case basse, medie e alte”; durante il congresso avrà modo di conoscere Le Corbusier, Gropius e Neutra, dei quali abbraccerà le teorie negli anni successivi. Nella sua opera di questi anni saranno diversi i rimandi a Le Corbusier e a Mies van der Rohe, in particolare negli arredi della Villa Wanda, in pelle e metallo come nella Casa Tugendhat e il Padiglione Barcellona. In particolare l’approccio di Mies verso i materiali, il suo rapporto con il vetro e la composizione delle pareti era ciò che maggiormente affascinava Vietti. Le teorie di Gropius sono invece presenti nella “casa alta”, al punto che l’architetto invitò il maestro nel ‘35 a Roma per avere un suo parere sul progetto dell’Auditorium di Roma. Diffondendo il movimento razionalista e sposandone i principi, anche grazie alla partecipazione ai diversi CIAM, Vietti e i suoi colleghi erano convinti che i canoni del movimento moderno sarebbero stati i più adatti ad identificare l’architettura del regime.

Fiduciosi del legame con il futurismo che li accomunava a Mussolini, credevano che questi avrebbe istituzionalizzato la loro architettura come rappresentativa del fascismo, andando contro quella monumentale-neoclassica di Piacentini, in quel momento considerato l’architetto favorito dal Duce. Gli anni ‘30 di Vietti furono in gran parte segnati dalle opere a servizio del regime, che comprendono diverse case littorie e l’importante progetto per l’esposizione E42. Tutti questi progetti trasmettono i principi del’architettura moderna, quali finestre a nastro, piani pilotis, rampe, e solo in certi casi, per imposizione più che per scelta, questi elementi venivano esasperati verso il monumentalismo.

Ciò che sorprende, dopo aver analizzato l’aspetto della densità nel Piano di Lottizzazione di Porto Cervo del 1965 (vedasi p. 140), è sapere che Vietti in altri tempi sosteneva che la città ideale fosse quella di alta densità: “Sono di ieri le città giardino (…) e sono di oggi altri tipi di città giardino, dove le abitazioni sono concentrate in case alte che lasciano libere grandi superfici di terreno”. Anche se poi in realtà ritratta, lasciando la scelta alla specificità del luogo: “Come possiamo dire se sono più belle le case alte o basse, lunghe o strette, concentrate o sparse, se non sappiamo se e quali individui sono meglio sistemati in queste o quelle case e se queste case rispondono alle esigenze urbane delle città?”

E’ anche vero che qui si sta parlando di città, e la città giardino rappresenta l’estremo opposto dell’urbanità, “l’esilio e la disillusione” come afferma Le Corbusier.

La Costa Smeralda rappresenta appunto questo: l’esilio e l’evasione dall’urbanità. Il problema della costruzione sulle colline è risolto dal gruppo attraverso tipologie a schiera “a villini”. I villini sono raggruppati in delle bande a pettine ortogonali alla curva di livello, risparmiando così una grande quantità di suolo e approfittando il godimento del paesaggio su tutti i fronti (Fig. 101).

Il problema della pendenza viene risolto con i terrazzamenti, dando più importanza all’aspetto tecnico che a quello formale. L’importanza della morfologia e il rispetto delle curve di livello sarà ricorrente nella progettazione in Costa Smeralda. Le altre proposte presentate non furono capaci di risolvere l’aspetto morfologico, lasciandosi prendere da formalismi fuori luogo che danno vita a “città giardino” minuziosamente disegnate, ma progettate in pianta sulla carta, ignorando completamente la naturalità del territorio.

Ovviamente la scarsa attenzione al contesto degli altri partecipanti giocò a favore del progetto “Genova 1950”, che fu nominato vincitore del concorso. Seppur arrivando a soluzioni finali distinte, da questo progetto emerge un aspetto fondamentale che seguirà Vietti nel suo percorso fino alla Costa Smeralda: l’attenzione per il luogo come base di partenza progettuale, la consapevolezza che ciascun progetto nasce da zero, e che non può essere applicata nessuna formula progettuale o forma assoluta ad un territorio, che invece deve essere studiato volta per volta.

Nell’intervista con Dell’Aira Vietti afferma: “Certo, c’è un filo di fondo che permane in tutte le cose che ho fatto. La gente mi diceva allora ‘Fai tutte cose, una diversa dall’altra’, il problema è che non ricordo! Ricomincio sempre da capo, da ogni tema che mi si pone. Arriva un lavoro e questo è l’inizio. Non c’è nulla che nasce prima, tutto parte da lì. Ecco il motivo. Ogni tema progettuale chiede una soluzione appropriata, una sua forma. Non si può considerarlo un’applicazione di una teoria formulata prima.”

Negli anni che precedono la seconda guerra mondiale l’attività di Vietti fu molto intensa e difficile da catalogare, per i motivi sopra elencati. I progetti precedentemente descritti possono essere riepilogati in questo modo: i primi appartengono ad un momento specifico di architettura a servizio del regime fascista, e mostrano l’appoggio di Vietti al movimento razionalista, mentre il progetto “Genova 1950” interessa in questo caso perché in esso è possibile intravedere l’approccio al territorio tipico di Vietti, che ritroveremo nella Costa Smeralda 30 anni dopo. Vorremmo segnalare inoltre alcuni suoi interventi legati all’architettura turistica e alcune ville, molto distinte tra loro, che segnano il suo passaggio dal movimento razionalista alla riscoperta dell’architettura spontanea, che si confermerà solo dopo la seconda guerra mondiale. Per quanto riguarda la realizzazione di alberghi, si segnalano il progetto di Portofino, San Fruttuoso e quello di Santa Margherita Ligure. Tutti i progetti si trovano in terreni inclinati, e la soluzione adottata varia in funzione dei casi.

Nell’albergo “Delfino” di Portofino (Fig. 102) l’edificio ha una forma a pianta ondulare che segue l’andamento della curva di livello, appoggiando i primi due piani al pendio stesso. L’albergo di San Fruttuoso (Fig. 103) è ubicato su una parete rocciosa, e risulta la continuazione del borgo esistente. Una parte dell’edificio è legata ad un blocco preesistente, mentre la parte nuova, che ospita le stanze dell’albergo e il ristorante, è integrata con la parete rocciosa, e assume perciò una forma più curvilinea e irregolare. Nel progetto per un albergo a S. Margherita Ligure (Fig. 104), si ripresenta il tema della morfologia del terreno, che si cerca di risaltare dividendo in due parti l’edificio: il blocco longitudinale in alto comprende gli alloggi e le camere, ed è suddiviso in vari piani terrazzati, e in ciascuno di essi è previsto il balcone da cui godere la vista panoramica.

Il secondo blocco si concentra a mare, al quale era previsto accedere attraverso una funivia. Nei progetti descritti è possibile intravedere un’attenzione profonda alla funzione dell’edificio e al suo adattamento al contesto, più che l’ostinazione di dovervi inserire degli elementi formali o di rispettare i canoni del razionalismo.

I tre progetti di ville che si presentano segnano il passaggio verso l’architettura spontanea che Vietti applicherà costantemente nella Costa Smeralda. Villa la Roccia, realizzata a Connobio, rappresenta l’evoluzione del progetto di una casa tipo su roccia a sperone (Figg. 105-106), presentata nel 1930 alla Quarta Triennale Internazionale di Monza, e poi pubblicata nel catalogo “36 progetti di ville di architetti italiani”, per poi passare alle varie mostre di Architettura Razionale di Roma e Firenze.

Il progetto della casa-tipo su roccia a sperone raccoglie, come in un esercizio accademico, tutti gli elementi formali del movimento moderno adattati alla casa mediterranea: i volumi puri, il tetto piano, gli intonaci bianchi fanno sì che sia la geometria a governare la forma. Il corpo principale è costituito da un semicilindro che si apre al lago, a cui viene accorpato un parallelepipedo che segue il fronte stradale; tutto è perfettamente distribuito simmetricamente rispetto all’asse ortogonale al piano stradale. L’edificio appare calato sulla roccia ma senza alcuna attenzione verso di essa. Nel passaggio dalla fase progettuale alla costruzione (1936), ci si rende conto che il progetto della casa-tipo altro non era che un esercizio teorico.

Le condizioni naturali del sito in realtà sono molto più impervie, la superficie disponibile minore, quindi non basterà più poggiare l’edificio, ma sarà necessario che questo si ancori nel miglior modo alla roccia, divenendo parte di essa (Fig. 107). Il blocco principale non potrà più essere un semicilindro perfetto, e sarà introdotto un basamento di pietra come elemento di passaggio dalla roccia al blocco circolare, più puro e d’intonaco bianco. Le stanze all’interno riprendono forma, non sono perfettamente uguali e geometriche, ma si adattano al nuovo profilo; l’apertura del blocco circolare verso il paesaggio lacustre indica un ricongiungimento tra l’edificio e la natura (Figg. 107-108). Sebbene continui ad essere chiara la presenza di un modello purista nella conformazione dell’edificio, quest’ultimo sembra essere più vicino alla realtà, liberandosi dall’approccio al progetto ideale che solo nella teoria può risultare veritiero.

Villa Wanda a Stresa sul Lago Maggiore (1935-1936) è una delle opere in cui Vietti maggiormente si riconosce tra le esperienze maturate in quegli anni. Si tratta di un progetto per l’ampliamento di un edificio esistente: ad esso vengono aggiunti due corpi laterali su entrambi i livelli, un lungo portico e una balconata nelle due facciate più lunghe, sulla strada e verso il lago (Figg. 111-112). Il portico al piano superiore è costituito da snelli pilastri che sorreggono un frontone liscio, che allineato al parapetto da l’idea di una muratura interrotta per il godimento del paesaggio, come se al muro venisse affisso un lungo quadro con il paesaggio lacustre come sfondo. Il porticato ha inoltre delle aperture nel soffitto, che oltre a permettere la penetrazione della luce per i locali sottostanti, permette alle piante rampicanti di crescere.

Vietti approfitta di un ruscello che scorreva nell’edificio preesistente, per confluire in vasche interne ed esterne, che abbelliscono e rafforzano la relazione tra il fabbricato e la natura. In questo progetto non vi sono regole astratte, come nella Villa la Roccia, ma ci si cala adeguatamente nella situazione partendo dalla necessità di migliorare la condizione esistente. L’edificio smette di chiudersi all’esterno e a contrapporsi al paesaggio che lo circonda per aprirsi e dialogare con esso. Il progetto di Villa Wanda iniziò a far dubitare Vietti dell’utilità degli elementi del movimento moderno e indirizzarlo verso l’architettura spontanea. “Posso io inserirmi nel paesaggio con una linea retta? La legge del contrasto crea anch’essa un’armonia. Questo è ciò che ho fatto nella Villa Wanda a Stresa, che era in una posizione un pò particolare.

La casa si vedeva dalla strada, da un orizzonte basso; la linea retta si staccava direttamente contro il cielo. Ma proprio inserendo queste linee ho iniziato a dubitare della validità di questo contrasto, allora ho cominciato a rompere la stereometria. Nel senso verticale e orizzontale. Le costruzioni che mi venivano fuori erano ancora rigide, ma l’architettura cominciava a muoversi, ad animarsi, a descrivere l’ambiente, a frammentarsi. Cominciava ad essere biologica, molecolare.”

L’ultimo progetto di quest’epoca che presentiamo è la Villa Nebbia a Mulinetti (1939), che mostra ormai l’abbandono dei canoni razionalisti (Fig. 109). In questo progetto si trovano molti degli elementi che ricorrono nell’analisi delle lottizzazioni della Costa Smeralda (cfr. cap. 5). Tra essi la necessità di abbassare quella linea retta del tetto della Casa Wanda sotto la linea dell’orizzonte, che fa sì che la Villa Nebbia si progetti al di sotto della quota stradale, in modo che dalla strada l’edificio non ostruisca la vista al mare. Un altro elemento importante è la chiusura dell’edificio alla strada, verso la quale si pone come un limite da non varcare, a forma di guscio chiuso che protegge la vita all’interno dell’abitazione, che invece si apre al mare. Scompaiono le imposizioni del movimento moderno: la copertura è a falde, il porticato verso il mare è di legno in continuità con la pietra del muraglione su cui si appoggia la casa, le pareti sono intonacate con dei motivi romboidali di tonalità rosa che richiamano le vecchie case dei pescatori. Una reinterpretazione quindi delle tradizioni locali che non smette comunque di essere una casa moderna.

La prima fase dell’opera di Vietti si conclude con l’inizio della seconda guerra mondiale, che costringerà l’architetto ad approfittare di un momento di pausa e riflessione dall’attività finora svolta. I progetti che vedremo più avanti, tanto quelli degli anni ‘50 come quelli nella Costa Smeralda, rappresentano non un distacco totale dalla sua opera precedente, ma piuttosto la sua evoluzione. È come se tra la sua matrice razionalista, applicata con diverse sfumature dalle opere fasciste fino alle numerose ville realizzate, e l’altra matrice della sua opera, quella più legata alla conservazione delle tradizioni e all’architettura spontanea, la seconda prendesse il sopravvento e venisse approfondita, a volte estremizzata, nei futuri interventi della Costa Smeralda. D’altra parte, il razionalismo, se non nelle forme, verrà da Vietti riutilizzato per l’adattamento della funzione alla forma.

3.3.2. I primi anni del dopoguerra: la tradizione a servizio dell’architettura turistica

Il periodo di pausa dall’attività imposto dalla guerra servì come momento di riflessione per Vietti, per il quale “gli elementi dell’architettura razionalista erano diventati degli elementi fissi con i quali molti architetti giocavano” (Dell’Aira, 1997). In fin dei conti, passò attraverso il razionalismo ma non sembra averne condiviso le ragioni metafisiche e le implicazioni ideali (Secchi, in Dell’Aira, 1997). Per Luigi Vietti il razionalismo significava “cercare tra le antiche nostre costruzioni, quelle che con estrema semplicità costruttiva corrispondono più che tutte alle funzioni per le quali è stata fatta la costruzione”. (43. Luigi Vietti, “Le nostre inchieste: Vuole parlarci dell’architettura razionale?”, in L’economia nazionale, a XXIV, n. 11, novembre 1932, p. 37).

Nei primi anni del dopoguerra Vietti entra nella seconda fase della sua lunga attività progettuale, con un bagaglio molto ampio di ricerca effettuata nel ventennio precedente, che gli permetterà di scegliere una strada-quasi lineare.

Dopo la guerra, l’interesse per l’architettura spontanea che già aveva manifestato sin dai tempi della tesi di laurea nel progetto sul Lago Maggiore, divenne sempre più forte. D’altra parte, anche la sua collaborazione con Giò Ponti per la rivista “Lo Stile” negli anni Quaranta mostrava il loro interesse comune per le arti e l’artigianato, per la riscoperta dell’architettura e delle tecniche tradizionali popolari. Allo stesso modo gli architetti impegnati prima della guerra nella diffusione del movimento razionalista, sceglieranno poi (come già descritto al capitolo 1) due strade: quella del monumentalismo o quella del “neorealismo”, quest’ultima concorde al nuovo ordinamento democratico e ai valori nati dalla Resistenza.

Il neorealismo si manifesta con un quasi rifiuto dell’architettura del passato più recente a favore dell’architettura antica e anonima delle campagne, quella non progettata ma da sempre realizzata dalle maestranze, legata più all’empirica necessità che alla teorica perfezione del manufatto. Dell’architettura tradizionale, quella mediterrranea sarà da riscoprire e da riformulare, non più nelle strutture puriste di Vietti delle ville degli anni ‘30, ma in una varietà di soluzioni e forme, che senza vergogna vengono mescolate ad altre di diversa provenienza (arabe, greche).

In Sardegna il neorealismo si presenterà in forme distinte, legate al tipo di committenza pubblica o privata che richiederà una produzione ben distinta.

Nel primo caso il progetto sarà legato soprattutto all’operazione UNRRA CASAS (44. Si tratta di programmi di edilizia popolare e residenziale per la riparazione delle case distrutte durante la seconda guerra mondiale, e della costruzione di nuove residenze per i senzatetto: UNRRA-CASAS: United Nations Relief and Rehabilitation Adminitration, Comitato Amministrativo di Soccorso ai Senzatetto), nel secondo caso alle iniziative di privati stranieri attirati dalla possibilità di sfruttamento turistico delle coste sarde.

L’attività progettuale realizzata a partire dal secondo dopoguerra non è facilmente disponibile nelle pubblicazioni esistenti, perché non entrò a far parte dell’interesse della critica dell’architettura. Gli interventi di Vietti sono soprattutto in ambito turistico, sia a scala di pianificazione urbana che alla scala architettonica con le numerose ville in montagna, in campagna e al mare.

Molto importanti furono gli incarichi del Piano Regolatore Generale di Cortina d’Ampezzo (1957), del quale non si possiede nessun materiale. Si tratta di programmi di edilizia ppolare e residenziale per la riparazione delle case distrutte durante la seconda guerra mondiale, e della costruzione di nuove residenze per i senzatetto (UNRRA-CASAS: United Nations Relief and Rehabilitation Adminitration, Comitato Amministrativo di Soccorso ai Senzatetto) del Piano Regolatore Generale di Portofino, che sebbene nelle biografie sia datato 1957, si possiede nella versione del 1967 (Fig. 113). I limiti amministrativi di Portofino sono molto ridotti, al punto che rappresenta il comune più piccolo della provincia (2,6 km2); il Piano di Vietti tuttavia non si limita al borgo storico che è il nucleo reale di Portofino, ma include anche il territorio circostante, un ambito costiero che collega la località turistica alla più urbanizzata Santa Margherita Ligure. L’isolamento di Portofino rende necessario il ripensamento dell’infrastruttura costiera, alla quale viene aggiunto un nuovo tratto. Per quanto riguarda la nuova edificazione, essa si riduce a qualche fabbricato in linea con il borgo, continuando la sua naturale propensione allo sviluppo verso il territorio interno.

Per quanto è possibile intuire dal piano, da cui ancora una volta emerge la morfologia come elemento strutturatore del territorio, Vietti interviene in modo molto rispettoso del paesaggio, nella stessa costa che al principio degli anni ’30, in veste di Ispettore Onorario per i Monumenti della Ligura, si era trovato ad analizzare con lo scopo di tutelarla. La necessità di proteggere i promontori costieri dall’invasione della costruzione portava a definire gran parte del territorio “non edificabile”. Il Piano di Portofino, che anticipa solo di qualche anno l’inizio dell’attività in Costa Smeralda, mostra un’attenzione maggiore verso un luogo già conosciuto; non si tratta di un territorio né vergine né estraneo, da cui risulta un approccio al territorio meno spontaneo e azzardato che in Costa, ma piuttosto dettato quasi da un obbligo morale alla salvaguardia del territorio. La sempre crescente richiesta di seconde e terze case da parte degli italiani doveva essere comunque, secondo Vietti, soddisfatta.

Urbanizzare le coste quindi non era di per sé un atto immorale, bisognava solo scegliere quali aree salvare e quali sacrificare. Portofino, insieme agli altri comuni delle Cinque Terre, era uno dei casi in cui il Piano Regolatore stesso non nasceva per ordinare la nuova edificazione, quanto bloccarne totalmente l’espansione. Altre zone tuttavia, come Rapallo o Santa Margherita Ligure, secondo Vietti erano irrecuperabili e tanto valeva sacrificarle per risolvere la domanda della casa al mare. In prossimità di Portofino, Vietti realizzò La villa “La Puddinga” (1955), un preludio ai temi della Costa Smeralda: l’edificio è articolato in diversi volumi, collegati da pergole e porticati. L’uso della pietra per rivestimento è un riferimento al castello Odero, ubicato nelle vicinanze. Come le ville della Costa Smeralda, “La Puddinga” si mimetizza nel contesto naturale, un costone roccioso a picco sul mare, nascondendosi in essa fino a risultare invisibile dalla strada litoranea.

Il suo assiduo impegno e totale dedicazione a soddisfare una committenza ricca a servizio di un’architettura “futile” o poco impegnata nel sociale come era considerata quella turistica, sarà il motivo del suo allontanamento da parte della critica, e farà scomparire i suoi lavori dalle principale riviste di architettura, in cui frequentemente erano pubblicati fino agli anni ‘40. In un momento critico come fu il secondo dopoguerra, in cui i grandi maestri dell’urbanistica e architettura erano impegnati con la ricostruzione delle città e i dibattiti miravano all’urgente necessità d’intervenire nella costruzione di abitazioni popolari, ciò che probabilmente faceva discutere o tacere la critica non era tanto il suo ripiegare su forme tipiche delle tradizioni regionali e il reinterpretare gli elementi dell’ambiente domestico del passato, quanto il fatto che questi elementi legati a una cultura popolare fossero reinterpretati a servizio di sontuose ville per l’ozio di ricchi committenti. Un discorso etico, forse, più che stilistico.

Le sue dichiarazioni in merito alla poche responsabilità degli architetti nella distruzione delle coste in Abitare sicuramente non lo aiutarono a cambiare l’opinione di quegli architetti impegnati nella lotta della protezione del paesaggio: secondo Vietti, la responsabilità era da attribuire al pianificatore, al sindaco e al sovrintendente, e non all’architetto, che altro non faceva che risolvere i problemi del committente. Nonostante la sua attività del dopoguerra abbia contribuito a codificare e diffondere il linguaggio dell’architettura per l’ozio, ispirando gran parte di quell’architettura mediterranea estesa nelle coste italiane, nessuna critica costruttiva è stata spesa per interpretare la sua opera degli anni del boom economico e del turismo di massa. Luigi Vietti, così come altri architetti rappresentativi in epoca fascista che scelsero la sua strada, vennero poi ignorati nei decenni successivi dal cosiddetto mondo dell’ “architettura colta”, come si deduce dal fatto che nella rivista Casabella non verrà citato per i successivi 20 anni. Ma d’altronde, come abbiamo descritto nel primo capitolo, i grandi nomi dell’architettura degli anni ‘60, con alcuni dei quali aveva condiviso il periodo fascista, non appoggiavano l’architettura turistica, considerata un prodotto-merce di bassa qualità.

Lo stesso fenomeno della Costa Smeralda, benchè fosse un’operazione di chiaro riconoscimento internazionale, venne totalmente ignorato quando non attaccato direttamente perchè visto come un’ulteriore colonizzazione straniera del territorio.

3.3.3. L’esperienza di Vietti nella Costa Smeralda: neorealismo o banalizzazione dell’architettura vernacolare?

È finta la somiglianza tra il muro gobbo e storto dello stazzo e quello della villa: il primo è un errore genetico, il secondo è una prova di sapienza; il primo è nel segno della necessità, il secondo è nel segno della libertà. Il turista ha scelto il muro storto perché ne possiede tanti dritti. Bachisio Bandinu, “Come nasce una favola turistica”.

Al suo arrivo in Sardegna, Vietti viaggiò nell’Isola alla scoperta del territorio in compagnia del Principe, per raccogliere i caratteri degli insediamenti e dell’architettura tradizionale popolare che, mescolati, reinterpretati e rinominati, dovevano diventare gli elementi guida per la progettazione della Costa Smeralda. L’obiettivo del comitato era, nei primi anni, quello di non intaccare la natura imponendole in modo violento l’edificato, cosa che peraltro avrebbe messo a rischio il carattere paradisiaco della destinazione turistica, dovuta proprio alla sua verginità. La necessità di non aggredire il paesaggio bilanciava la voglia degli architetti di progettare senza vincoli su una tabula rasa.

Come altri architetti che approdarono in Gallura, anche Vietti si trovava di fronte ad un territorio in cui tutto era permesso, e spettava alla capacità di ciascuno saper spendere quella libertà con cautela. Conservando solo in parte la sua matrice razionalista, cercò di riscoprire l’architettura povera, quella dei contadini e dei pescatori, riadattandola alle nuove esigenze. Da qua l’associazione del lavoro in campo turistico di Vietti con le vicende del neorealismo, diffuse in Italia nel secondo dopoguerra a partire dal campo cinematografico fino all’architettura: la riscoperta delle conoscenze costruttive, tecniche tradizionali, forme spontanee e legate alla vita contadina caratterizzano questa corrente, che già Vietti aveva sperimentato negli anni ‘30 in alcuni suoi lavori.

In Costa Smeralda però l’intervento sarebbe stato totalmente artificiale, poiché quelle coste quasi non erano state intaccate dall’attività umana. Ormai è il genius loci a suggerire al progettista ciò che il territorio è in grado di ospitare e come, e solo l’analisi attenta del luogo permetterà realizzare un’architettura invisibile. In questo paragrafo si cercherà di apportare alcune riflessioni teoriche sull’operato di Vietti, definito a monte “neorealista”, partendo dalle sue dichiarazioni su quali siano gli elementi propri del territorio che l’hanno ispirato fino alle valutazioni del suo lavoro da parte della critica, senza perder di vista l’analisi dei piani già effettuata al paragrafo precedente.

Benché il nostro obiettivo continui ad essere lo studio del progetto urbano e del territorio, per comprendere l’opera di Vietti nella Costa Smeralda è necessario partire dall’elemento architettonico per poi arrivare alla pianificazione dei nuclei. Il borgo di Porto Cervo parte infatti dalla costruzione dell’Hotel Cervo e le prime ville del Principe per poi articolarsi in pianta e in alzato con nuovi volumi, strade e piazze che si adattano alla conformazione del sito dando vita al “centro”.

Come già detto al paragrafo 3.1 i piani di lottizzazione sono posteriori ai primi sviluppi, e nascono dall’esigenza di regolare l’edificato, la cui distribuzione era però già stata ideata. Oltre alla sistemazione urbanistica di Porto Cervo, le opere più importanti da lui realizzate in Costa Smeralda sono l’Hotel Pitrizza, l’Hotel Cervo, il complesso di ville “le Cerbiatte”, tra cui “la Cerva”, residenza privata del Principe Aga Khan, e le ville Romazzine, nell’omonima lottizzazione. Vietti dichiara che l’aspetto che più l’ispirò del territorio gallurese era l’aspra vegetazione mediterranea, prevalentemente composta da ginepri, che al vederli da lontano sembravano formare una foresta, ma al passargli affianco un uomo con una mucca, essi perdevano la loro dimensione. Questo cambiamento di proporzioni nella macchia mediterranea lo indussero a voler fare delle “case che non si vedono”.

L’altezza delle costruzioni era un elemento fondamentale per integrare le costruzioni con il paesaggio circostante, avente come riferimento i ginepri alti massimo 2,50 m, e da rocce granitiche che creano movimento nel terreno. Si impose quindi che le costruzioni avessero un’altezza massima di due livelli, per cercare di nascondere le case nel paesaggio. La difficoltà di lavorare in terreni quasi sempre scoscesi doveva essere risolto con accorgimenti tali da non sommare tra di loro i piani. Se infatti su un piano inclinato si costruiscono delle case, anche solo di due piani, senza lasciare spazio verde tra una casa e l’altra, l’effetto ottico sarà comunque quello di un edificio multipiano, dato dalla somma di tanti piani; rispettando gli spazi, la prospettiva nasconde una casa nell’altra (cfr. par. 5. 2).

Anche l’uso di materiali originari del luogo che si integrino con la conformazione del territorio è importante per mantenere intatto il carattere locale: per gli elementi verticali si prediligono i blocchi monolitici tagliati di granito rispetto al cemento armato, tranne nelle strutture orizzontali, dove il cemento è alternato a travi in legno o archi di pietra.

L’uso degli archi nelle architetture di Vietti era frequente già a partire dagli anni ‘30 nella Casa dei Pescatori alla Foce (1938); in quel caso tuttavia non vi era nessun tentativo di creare un borgo ex nihilo, anzi era la funzione che quel luogo aveva sempre avuto, la presenza umana che aveva caratterizzato quelle coste, a suggerirne l’uso. In quel caso l’architettura vernacolare esisteva davvero, ed era fortemente legata al mare e a quella popolare mediterraneità che invece era estranea alla Gallura. L’uso dell’arco verrà utilizzato soprattutto per distinguere il piano terra, generalmente un portico ad archi, dal corpo massiccio che su esso viene poggiato.

Anche i contrafforti, presenti in varie architetture smeraldine, sono un’eredità della Casa dei Pescatori alla Foce. Nel caso di Porto Cervo, a differenza delle ville che si cercano di nascondere nel paesaggio e il Pitrizza che pretende mimetizzarsi in esso, le intenzioni di Vietti sono distinte: “(…) si deve sentire la cromatura delle abitazioni, si deve sentire la vita pulsante degli abitanti. Non ho fatto costruzioni alte, sempre al piano terreno, ma è prevalsa questa idea di fare delle cose cromate, a carattere visivo, anche bianche, il bianco è un colore no?, ma anche rosa, giallo, celeste, come si usa nel Mediterraneo”. (47. Abitare, op. cit. p. 95). Considerando che il principale punto di accesso è considerato il porto, Porto Cervo doveva essere facilmente riconoscibile dal mare, con l’aiuto dell’effetto cromatico. Gli edifici di Porto Cervo erano originariamente bianchi, e in una fase successiva venivano pitturati con le diverse cromature e costretti ad un trattamento di finta invecchiatura che contribuiva a dare l’idea del “centro storico” (Figg. 114-115).

Sono inoltre presenti altri elementi ricorrenti nel paesaggio mediterraneo come i portici, le logge, i passaggi aerei sui vicoli, le scale esterne, i balconi e le verande, le cordonate ed i muri a scarpa, che sono da Vietti adattati alla sua architettura conferendogli un “tono pittoresco verso il quale induge senza pudori e pentimenti”. (48. Roberto Secchi, introduzione a Dell’Aira, op. cit. , p. 8). “Il risultato è un cocktail di esotismi ed elementi diffusi nella cultura mediterranea” (Barisone, Scelsi, 1999, p. 36).

Cala di Volpe è considerata in realtà lo spunto per la creazione di uno stile “esotico-postmoderno” (Baumeister, 1969): come in una scenografia di un film, in esso sono presenti elementi di stile spagnolo, nordafricano, greco, che diviene la parola d’ordine per l’eclettismo delle successive costruzioni.

Nasce uno stile “neosardo” totalmente artificiale. Per riprodurre fedelmente l’idea di mediterraneità, Vietti adotta per il paesaggio turistico di Porto Cervo degli elementi tipicamente urbani facilmente ripetibili in altri luoghi: in questo caso si tratta di una o più piazze circondate da attività commerciali e ristorative, collegate tra loro da pittoreschi vicoli dove, attraverso la serie di porticati, scale e terrazze, lo spazio pubblico e quello privato, quest’ultimo costituito dagli alloggi dell’hotel Cervo e dai commerci, si integrano convincendo il turista di appartenere a questa scena di vita di “paese” (Figg. 116-117). Questo processo di adeguamento degli elementi urbani senza identità snatura tuttavia il carattere di spazio pubblico proprio della piazza, perché sebbene aperto ai visitanti, Porto Cervo non è altro che un territorio privatizzato altamente controllato (Cappai, Alvarez, 2012).

La riproduzione di un borgo peschiero e dei suoi elementi più rappresentativi costituisce un’immagine turistica diffusa, e non è difficile ritrovare il paesaggio di Porto Cervo ripetuto in altri luoghi turistici: è il caso di Binibeca nell’isola di Minorca dell’architetto Barba Corsini, in cui ritroviamo alcuni elementi identificativi quali il pontile, la piazza, la Chiesa, gli archi e i loggiati. Se non fosse per l’effetto invecchiato applicato agli edifici di Porto Cervo, sarebbe difficile distinguere le due località l’una dall’altra (Figg. 120-121). Difficile quindi affermare quale sia la vera base di riferimenti di Porto Cervo. L’acclamata riproduzione di un borgo peschiero, mediterraneo, dai colori pastello invecchiati, poco ha a che vedere con gli insediamenti preesistenti della Sardegna. Vietti stesso riconosce che, a differenza della Riviera, in Sardegna era difficile adattarsi ad un’architettura spontanea costiera, giacché questa, nei pochi centri come La Maddalena, Arbatax o Torre Grande, non possedeva caratteristiche sufficientemente forti, e pertanto adattarsi al poco che esisteva avrebbe voluto dire agire in modo semplicistico.

D’altra parte bisogna ammettere che il riferimento più vicino dell’architettura tipicamente gallurese, lo stazzo, non si prestava a subire un riadattamento stilistico: lo stazzo era legato ad un’economia pastorale molto povera, e la sua conformazione monocellulare o in alcuni casi bicellulare, non era adatta né alla formazione di nuclei policellulari come residence o complessi alberghieri, e tantomeno alle ville di lusso.

Sarà forse l’ambiente ligure o quello francese il riferimento per il borgo di Porto Cervo?

L’uso dell’effetto cromatico suggerisce il paesaggio di Portofino e altri borghi liguri, tutti questi veri centri storici, o anche quelli francesi di Port Grimaud e Port la Galere, territori turistici di fondazione. La rivista Abitare (1973) definiva Porto Cervo e Port Grimaud, in tono abbastanza critico, “neopaesi”, “neo-centri” o “paesi finti”, e il loro stile “newpopstyle”, in linea con la definizione di “neosardischer stil” di Baumeister (1969).

Port Grimaud nasce nella costa francese a partire dal 1962, quando l’architetto François Spoerry acquistò i terreni nelle vicinanze di Saint Tropez e dette inizio alla progettazione di quella che verrà chiamata “la Venezia del sud”. Non è un caso che Spoerry durante i suoi studi fosse l’assistente di Jacques Couelle, e che con questi avesse collaborato nella realizzazione di alcune ville nella Costa Azzurra. A Port Grimaud l’architetto cerca di ricreare un immaginario paese acquatico, mischiando elementi di Venezia, Provenza e elementi folclorici mediterranei. Si tratta quindi di una marina totalmente artificiale, costruita alla base di draghe e di ruspe canali; al di là dello stile utilizzato per voler rappresentare questo neo-paese esiste a monte una struttura che risponde perfettamente ai bisogni dei turisti che la frequenteranno.

Il paese è articolato in una serie di penisole, in cui le case, schierate una accanto all’altra e differenziate per stile e colore diverso, si affacciano direttamente sulla laguna, con approdo diretto per le barche. Nella facciata posteriore delle case invece, si articolano le strade che permettono l’accesso dei veicoli agli edifici. Gli elementi pittoreschi in questo caso sono ponti, loggiati, tettoie, balconate, altane e torrette (Fig. 123). Non importa più distinguere Portofino da Port Grimaud, ossia il vero dal falso, se il contesto esclusivo soddisfa il cliente molto più delle frequenti celle prodotte dall’architettura balneare dello stesso periodo. Tutto acquisisce la propria autenticità nel momento in cui risponde esattamente ad un modello di vita caratteristico del “paese”. Nel processo di contaminazione di diversi riferimenti stilistici, spinti dalla velocità di contatto, finiscono col confondersi, ed è difficile distinguere il modello originale dalla sua riproduzione (Trillo, 2003) (Figg. 122-125).

Gli stessi risultati stilistici finali di Porto Cervo e Port Grimaud si ritrovano a Port la Galere (1968), progettato da Jaques Couelle. Gli edifici di cemento vengono ricoperti da una pelle d’aspetto “barocco”: dalla relazione descrittiva del progetto emerge che ciò dovrebbe trasmettere la storicità delle dimore arcaiche, troglodite, ma allo stesso tempo l’integrazione con il paesaggio. Il carattere “antico” dell’esterno non corrisponde quindi agli agi degli interni. Una differenza netta tra le località della riviera francese e la Costa Smeralda è la scelta di optare per una maggiore densità, che permette di costruire in altezza e avvicinare gli edifici tra loro, piuttosto che spalmarli in grandi lotti per ville unifamiliari. L’articolo di Baumeister suggerisce che se la Costa Smeralda avesse tratto maggior spunto dalla densità di Port Grimaud e Port la Galere ne avrebbe ricevuto a cambio il vantaggio di vendere più terreni di superfici minori, senza rischiare di compromettere il paesaggio in quanto la topografia avrebbe aiutato a mantenerlo intatto. Port Grimaud, la Costa Smeralda, Port la Galere, riuniscono una serie di riferimenti che confondono lo spettatore su ciò che è vero e ciò che è puro artificio.

A differenza di Port Grimaud e Port la Galere, dove l’architettura è lo sfondo della pianificazione, a Porto Cervo si parte dal dettaglio architettonico, e per addizione dei singoli fabbricati si raggiunge la costruzione del nucleo o lottizzazione. Lo stesso Regolamento Edilizio del Consorzio, che ricordiamo risulta una normativa interna sottostante a quella comunale, rispetto alla quale è più restrittiva e più dettagliata, suggerisce all’art. 44 Estetica Architettonica che le costruzioni non si allontanino da un tipo di architettura mediterranea, in quanto il Comitato, per la valutazione della conformità dei progetti al regolamento, si attiene ai criteri ispiratori dell’architettura mediterranea. Si raccomanda che i corpi delle costruzioni siano in armonia con la topografia del terreno e che siano evitate linee e forme troppo rigide che si integrano difficilmente con il paesaggio della costa. Non si legge nessun riferimento specifico, soprattutto alla Sardegna, ma piuttosto un insieme di elementi tratti dall’architettura popolare del mediterraneo, che simulano, soprattutto a Porto Cervo, l’“urbanità mediterranea”, conseguita con una precisa architettura degli spazi, delle strade e delle piazze, e con la definizione architettonica (ma non semantica) dello spazio pubblico. Questi elementi, mescolati armoniosamente, devono inserirsi nella topografia del terreno senza causare un forte impatto; l’immanenza del paesaggio naturale rende più facile il lavoro dell’architetto.

Perché allora mettere in relazione il neorealismo con Luigi Vietti? È la Consorti a suggerire la relazione tra il caso della Costa Smeralda e il movimento neorealista, individuando un filo comune tra le opere neorealiste e certe operazioni turistiche, tra cui il borgo di Porto Cervo: “Forme elementari, materiali comuni – intonaco, tufo, pietra locale, legno – assenza totale di aggettivazione, traducono simbolicamente in architettura la dignitosa povertà di una società frugale e antica e annunciano la speranza di un progresso capace di non cancellare la tradizione”. 49

Nonostante non vi sia nel caso di Porto Cervo e nelle architetture di Vietti in Costa Smeralda un riferimento ad un modello preciso, si deve riconoscere che con l’adozione di certi elementi non si discosta totalmente dalla tradizione, e forse si potrebbe pensare che si tratti di un’evoluzione del modello tradizionale che l’utente stesso avrebbe adottato per modificare il proprio habitat tradizionale (Trillo, 2003).

Considerando l’ “effetto Costa Smeralda” in tutta la Sardegna, non solo nelle coste e non solo nell’architettura turistica, forse bisogna ammettere che così è stato, anche se non con esiti del tutto positivi. E ancora Fontana (1999) afferma: «Ironia della sorte, queste esercitazioni [quelle del borgo la Martella di Quaroni NdA] saranno utili per l’architettura dei villaggi vacanze che sorgono dagli anni sessanta in poi lungo le coste e sui monti, spesso con risultati interessanti nel rapporto con l’ambiente, ma omessi dalle storie per un moralistico atteggiamento di condanna delle architetture per i ricchi».

Tuttavia nel caso dei villaggi turistici e le case per vacanze questi elementi vengono esasperati, sino a comporre un “esperanto vernacolare” (Consorti, 1997) riproducibile in tutte le coste. Porto Cervo diventa quindi un caso di nuova fondazione di un territorio con l’illusione di riprodurre un’autentica mediterraneità, sconcertando la critica per questa evidente alterazione di significato. Se da una parte le scelte progettuali deformano definitivamente le tipologie insediative locali in apparenza condividendone alcune manifestazioni superficiali, le politiche di marketing cercano di esaltare quest’aspetto vernacolo e d’isolamento insulare che attrae la ricca committenza (Carta, 2007). Si forma così un modello turistico che si estende in tutte le coste alla base della malinterpretazione dell’architettura tradizionale locale. Il paesaggio turistico costruito si sovrappone al patrimonio architettonico esistente, producendo un fenomeno di banalizzazione del paesaggio locale (Muñoz, 2008).

Definendo l’opera di Vietti neorealista tuttavia, è necessario fare riferimento non solo al tentativo di recupero dell’architettura locale spontanea, obiettivamente poco riuscito se non fosse, come abbiamo visto, per l’idoneo utilizzo di certe caratteristiche puntuali quali gli archi o i materiali naturali, ma piuttosto ai suggerimenti del territorio che Vietti sembra capace di cogliere.

Dall’analisi dei piani effettuata al paragrafo precedente, e dal capitolo 5 emerge che il suo approccio sistematico e dettagliato alla conoscenza della natura del terreno, la sua morfologia, i venti, sono i segni del suo “neorealismo”. Non solo l’assetto ambientale, ma anche le tracce preesistenti dell’uomo costituiscono la base per lo sviluppo di Porto Cervo: i sentieri sono lo spunto per il tracciato delle strade, che vengono disegnate quasi manualmente sul territorio, e i muri a secco diventano i limiti delle lottizzazioni o dei lotti stessi.

Il neorealismo di Vietti è da intendersi dunque come l’insieme della raccolta degli elementi naturali e antropici del territorio preesistente, per la fondazione di un territorio che invada meno possibile il paesaggio originario, attraverso l’adozione di uno stile mediterraneo che sebbene si discosti da quello propriamente locale, riesce a Porto Cervo nella creazione dell’urbanità (anche se temporanea ed elitista). I risultati raggiunti da Vietti alla ricerca dell’architettura spontanea in Sardegna sono molto lontani dal resto degli interventi neorealisti della penisola, come per esempio il quartiere Tiburtino a Roma di Quaroni, residenze convenzionate promosse per il miglioramento della vita urbana e dell’habitat sociale.

La ricerca portata avanti verso il linguaggio della tradizione, che idealmente si contrappone al movimento moderno, si associa ai linguaggi adottati nel resto del Mediterraneo da architetti come Coderch in Spagna o Konstantidinis in Grecia, in relazione agli accorgimenti per la distribuzione orografica, l’uso di pergole esterne in legno ed elementi che estendono lo spazio interno verso l’esterno, la scelta delle viste prevalentemente verso il mare e altri elementi che definiscono un comune stile “mediterraneo”.

Sebbene si riconosca che l’intento di Vietti di riprodurre un’architettura vernacolare sia un’illusione, una sorta di confusione della clientela che è convinta di trovarsi di fronte ad un paese vissuto, non si è d’accordo con la critica di Carta quando afferma che non vi fu nessun confronto diretto con gli orientamenti dei percorsi, le orografie e le esposizioni, ovvero con il territorio e la natura circostante. Pur arrivando a dubbiosi risultati formali, soprattutto nella composizione finale di Porto Cervo, questa tesi ampiamente dimostra che vi fu un’attenta analisi del territorio, tanto a Porto Cervo come nella Pitrizza, inteso come elementi naturali, conformazione del terreno, vegetazione e scorci paesaggistici, e non un “rimando semplicistico al contesto”. Ciò ha permesso di limitare l’impatto della costruzione del territorio, almeno per quanto concerne la prima fase finora trattata.

Introduzione

 Come già anticipato all’inizio della tesi, la presente ricerca parte dalla scoperta di una documentazione inedita riguardante il Master Plan della Costa Smeralda, sviluppato alla fine degli anni ‘60 da un’importante firma nordamericana, Sasaki Dawson De May Associates.

La continua negazione da parte del Consorzio della presenza di un processo di pianificazione iniziale nella Costa che avesse portato alla redazione di un Master Plan, è quindi in netto contrasto con le informazioni e la documentazione da me raccolte attraverso altre fonti, che ne attestano invece l’esistenza. Il materiale cartografico, il solo che si è potuto raccogliere al riguardo, è ciò che resta del vecchio Ufficio Planning del CCS, smantellato in seguito all’abbandono della presidenza da parte dell’Aga Khan.

Nonostante dall’analisi del Master Plan emerga che solo una parte venne realizzata, l’importanza di questo capitolo non consiste nel dimostrare in che misura la Costa Smeralda attuale si adattò o meno al master plan americano, quanto cercare di capire la necessità di introdurre un équipe di pianificatori del paesaggio a scala territoriale nel processo di costruzione della Costa Smeralda, e il passaggio da un approccio al progetto – in questo caso turistico-europeo (quello del comitato di architettura) – a quello americano.

La Costa Smeralda rappresenta in quegli anni l’unico caso diffuso di applicazione di un modello di pianificazione americano nel Mediterraneo.

La difficoltà di accedere a informazioni più complete sul Master Plan di Sasaki dovuta ad una riluttanza generale nel rilascio di documentazione, atteggiamento diffuso quando si tratta di ricerche sul turismo, ha spesso influito sulla fattibilità di un valido confronto tra i due approcci al territorio.

Gran parte della ricerca svolta su questo argomento è stata possibile grazie al periodo di studio trascorso presso l’Harvard Graduate School of Design, dove è stato possibile accedere direttamente agli archivi universitari relativi all’opera professionale e didattica di Hideo Sasaki. L’accesso diretto al materiale originale del Master Plan per la Costa Smeralda presso lo studio Sasaki Associates è stato possibile solo negli ultimi mesi.

L’altra fonte primaria è stata uno dei protagonisti del Master Plan, l’architetto paesaggista Morgan Wheelock, incaricato del progetto in Costa Smeralda fino alla fine degli anni ’70. L’incontro con l’architetto ha contribuito a ricostruire le dinamiche dei fatti e comprendere quali fossero le strategie del progetto territoriale descritte in questo capitolo.

4.1 DAL COMITATO DI ARCHITETTURA ALL’ÉQUIPE DI CONSULENTI AMERICANI

Alla data del 1968, come vediamo dalle foto aeree nelle pagine precedenti, nella Costa Smeralda solo alcuni edifici erano stati completati: nella zona di Porto Cervo, ad opera di Luigi Vietti, erano sorti l’Hotel Cervo, la Piazzetta e alcune attività commerciali alle sue spalle, il porticciolo e il molo ad est; a nord l’Hotel Pitrizza e a sud l’Hotel Cala di Volpe, mentre il Romazzino era in fase di completamento. Oltre ai quattro alberghi principali, erano poi già sorte le prime ville a nord di Porto Cervo, e parte dell’infrastruttura stradale era già stata avviata.

Abbiamo visto nel capitolo precedente come i piani di lottizzazione del primo quinquennio della Costa Smeralda redatti dal comitato di architettura, in particolare quello di Porto Cervo, fossero in realtà un assemblaggio a posteriori della suddivisione dei lotti prestabilita a monte, e che le scelte relative all’ubicazione dell’edificato e dell’infrastruttura fossero dettate da un approccio percettivo e a scala locale più che da un’analisi a scala territoriale e da una strategia organica (vedasi par. 3.2.2).

La necessità di una pianificazione globale del territorio consortile, che partisse dalla scala territoriale fino alla scala urbana, stabilendo l’uso del suolo, le aree da proteggere e la disposizione delle infrastrutture a lungo termine, era diventata una priorità per la Costa Smeralda.

Per questo motivo l’Aga Khan viaggiò tra il 1967 e il 1968 negli Stati Uniti alla ricerca di un gruppo di esperti a cui si richiedeva di progettare un Master Plan sensibile nei confronti del paesaggio, ma che allo stesso tempo rendesse l’investimento vantaggioso nel tempo.

Per quanto il lavoro di Vietti e degli altri componenti del Comitato fosse apprezzato dal Principe, la loro rimaneva una visione a scala limitata, forse troppo soggettiva per riuscire a confluire in una pianificazione del territorio nella sua totalità. Inoltre, trascorsi i primi anni di costruzione, non si trattava più di realizzare solo delle ville private, ma di prospettare un investimento immobiliare di grande portata che avrebbe dovuto garantire un forte ritorno economico a lungo termine.

Il gruppo di consulenti doveva essere quindi composto da tre diverse figure professionali:

  1. a) un master planner che avesse già sperimentato un approccio attento al paesaggio;
  2. b) un master planner esperto in suddivisioni e promozioni immobiliari residenziali;
  3. c) consulenti finanziari esperti in investimenti, real estate, tendenze del mercato etc.

L’Aga Khan aveva frequentato il College a Boston presso l’Harvard University, e aveva inoltre numerose conoscenze nel campo dell’architettura attraverso suo fratello Amyn. Per questa ragione, e per diretta conoscenza e fiducia, il Principe affidò a Morgan Wheelock, architetto paesaggista con cui aveva speso gli anni del College, il ruolo di master planner esperto in paesaggio.

Wheelock lavorava in quegli anni presso lo studio Sasaki Associates dove dirigeva i progetti internazionali, pertanto presentò Hideo Sasaki, fondatore dell’omonimo studio e direttore del Landscape Department del GSD, al principe Aga Khan, il quale finalmente affidò alla nota firma il progetto del Master Plan della Costa Smeralda.

Wheelock, in qualità di direttore dei progetti internazionali della firma, fu dal primo momento a capo del progetto, mantenendo i rapporti con il Principe e il Consorzio.

Il secondo ruolo, quello di land developer, venne affidato al gruppo Harman, O’Donnell & Henninger (HOH), proveniente da Denver, in Colorado.

Il ruolo di consulente finanziario fu assegnato al gruppo Economic Research Associates, dalla California, con grande esperienza nel settore dei resort: erano infatti i referenti del marchio Disney in alcuni resorts e della località turistica Sea Pines Plantation, una delle più grandi operazioni turistiche del Nordamerica progettata dallo stesso Sasaki.

Il gruppo ERA fu incaricato di attribuire un valore ai lotti precedentemente suddivisi dai pianificatori, e determinare un prezzo al metro quadrato al quale il Consorzio avrebbe dovuto vendere ai futuri acquirenti. Tale procedimento si allontanava dalle ormai lontane trattative dei primi anni con la popolazione locale, in cui il prezzo non era dettato da nessun tipo di valore di mercato.

L’équipe composta dai tre gruppi di consulenza con un totale di circa 8 collaboratori era coordinato da Morgan Wheelock, il quale afferma di essere stato implicato nel progetto per circa un decennio. In seguito alle prime visite in Costa Smeralda, si decise di disporre un ufficio in loco, per portare avanti il continuo processo di revisione dei progetti affiancando il Comitato di Architettura.

Non si trattava più quindi di rispettare delle norme del regolamento edilizio imposte dagli architetti del comitato, ma che queste a loro volta rispettassero le prescrizioni del Master Plan generale.

La nuova équipe di pianificatori, gli architetti del Consorzio e lo stesso Aga Khan si riunivano periodicamente per l’approvazione delle nuove costruzioni da parte dei consorziati. In un primo momento si proseguì con la modalità di verifica dei progetti che prevedeva la preparazione di sagome di legno da ubicare nel luogo del progetto per verificarne l’ingombro. A metà degli anni ‘70, con la diffusione dei sistemi informativi negli Stati Uniti, si elaborò un modello del terreno tridimensionale, a partire dal quale si iniziò a richiedere un fotomontaggio dell’edificio che mostrasse l’adattamento alla topografia per ciascun nuovo progetto.

Come vedremo più avanti, la base dell’intervento è caratterizzata da un’analisi delle diverse condizioni ambientali e climatiche che definiscono le discriminanti sulle quali impostare il Master Plan: analisi della pendenza del terreno, tipo di roccia, orientazione, venti, vegetazione, drenaggio delle acque ecc.

In base all’analisi si sarebbero determinate le aree con maggiore o minore difficoltà di urbanizzazione. In realtà si iniziò poi a urbanizzare le aree con maggiore pendenza, come nel caso della lottizzazione alle spalle di Cala di Volpe, lasciando ad una seconda fase la costruzione sui terreni più pianeggianti, non sempre portata a termine.

Nonostante poche costruzioni fossero già state completate all’avvio della collaborazione con il gruppo nordamericano, e tutte in aree distanti l’una dall’altra, l’impressione iniziale fu quella di un territorio che si sarebbe espanso in modo disperso e sregolato.

L’idea principale del Master Plan è descritta da Wheelock durante l’intervista: “Abbiamo deciso, dopo l’analisi, di realizzare una serie di villaggi con lo scopo di esaltare la bellezza naturale del territorio. Abbiamo quindi stabilito i villaggi intorno a Porto Cervo, Cala di Volpe, l’area a sud di Cala di Volpe e la Pitrizza, e ridefinito una strada che li collegasse, in modo che quando esci da un villaggio, ti trovi veramente nella natura selvaggia, nella bellezza incontaminata di questo territorio, che magicamente sale dall’acqua verso le cime delle colline.” [50]

La strategia principale del Master Plan era quindi quella di concentrare la costruzione all’interno dei clusters turistici a partire dalle costruzioni già realizzate, ridisegnare un’infrastruttura viaria che collegasse questi villaggi tra loro e seguisse il profilo della topografia, e limitare le costruzioni negli spazi intermedi tra i villaggi, in modo che l’infrastruttura attraversasse l’unico vero elemento di attrazione del luogo: il paesaggio naturale.

[50] L’intervista con l’architetto Morgan Wheelock si è svolta il giorno 8 ottobre del 2013 nel suo studio a Cambridge, Massachusetts. Il discorso originale in inglese è stato tradotto dall’autore.

4.2. DISCIPLINA E PRATICA DELLA LANDSCAPE ARCHITECTURE NEGLI STATI UNITI DEL SECONDO DOPOGUERRA

4.2.1. IL RUOLO DI HIDEO SASAKI NEL CAMBIAMENTO DELL’ARCHITETTURA DEL PAESAGGIO COME DISCIPLINA E PROFESSIONE

“He was calling for the need for more contemporary design

and collaboration at a time when Landscape Architecture

was still caught up in the Beaux-Arts. He didn’t subscribe

to any particular design aesthetic. He wanted people to

understand the human needs and natural forces that were

working on the landscape”.

 Prof. Charles Harris, New York Times, 25 settembre 2000.

Hideo Sasaki nacque in California nel 1919. Effettuò i primi studi universitari alla Berkeley University of California, che fu costretto ad abbandonare durante la seconda guerra mondiale. Nell’università di Berkeley frequentò corsi di architettura, paesaggismo e pianificazione.

La sua personale inclinazione a lavorare con idee relazionate agli elementi naturali lo indusse a voler approfondire il campo dell’Architettura del Paesaggio. Ottenne il titolo a pieni voti di Bachelor of Fine Arts and Landscape Architecture nel 1946. In quegli anni, oltre a svolgere le prime esperienze lavorative di Architettura e Pianificazione del paesaggio, studiò a fondo gli scritti di Frederick Law Olmsted, dove trovò ispirazione per la pianificazione e il disegno di sistemi di parchi estensi all’interno di grandi città come Boston, Buffalo e Chicago.

Sasaki afferma che la sua forte visione naturalista del paesaggio proveniva principalmente dalla sua infanzia trascorsa nelle fattorie e dalla sua formazione all’Università dell’Illinois: Stanley White, che aveva collaborato con Olmsted Brothers, l’aveva introdotto alla progettazione a larga scala correlata con il paesaggio, che poi Sasaki avrebbe apprezzato visitando i parchi di Chicago.

Ciò che Sasaki ereditò dai suoi professori dell’Illinois e ammirava nella figura di Olmsted era la piena convinzione della crescente importanza degli architetti paesaggisti, che invece non sembravano condividere i membri della Società Americana degli Architetti Paesaggisti,[51] tra i quali Sasaki aveva notato una rassegnazione a uno status di inferiorità rispetto agli Architetti e Ingegneri.

La convinzione di Sasaki sulla necessità di ripensare al ruolo dell’architettura del paesaggio, sia come disciplina che come attività professionale, si rifletterà nel suo futuro lavoro ad Harvard.

Tra il 1947 e il 1948 ricevette una borsa di studio per partecipare al Master of Landscape Architecture alla Harvard Graduate School of Design. In quel momento si viveva nel GSD una fase di transizione, legata al dibattito tra il modernismo e l’architettura di Gropius importata dalla scuola Bauhaus; ciò animava gli studenti a cercare nuove idee con un orientamento totalmente distinto rispetto a quello che Sasaki definiva “classico”.

Dal 1950 al 1952 Sasaki accettò l’incarico di insegnare Architettura del Paesaggio ad Harvard, quando Gropius era Direttore del Dipartimento di Architettura e Collins del Dipartimento di Architettura del Paesaggio.

Quando nella primavera del 1952 Gropius si dimise per denunciare una necessità di cambiamento e una disorganizzazione al GSD, gli altri colleghi, incluso Sasaki, lo seguirono nelle dimissioni. Ciò influì sulla scelta di Sasaki di tornare nell’Illinois per l’anno accademico 1952-1953 dove conobbe Reginald Isaacs, con il quale avviò una lunga collaborazione.

Nel 1953, quando Josep Lluis Sert fu nominato decano di Harvard, questi designò Reginald Isaacs come preside del Dipartimento di Pianificazione, che per mancanza di fondi fu incorporato al Dipartimento di Paesaggio.

Isaacs convinse Sasaki a tornare ad Harvard come professore assistente di Pianificazione, e solo tre anni dopo, con la separazione dei due dipartimenti, Sasaki divenne Professore di Landscape Architecture.

Il 1953 segnò anche l’avvio della sua attività professionale, con la fondazione dello studio di cui inizialmente Hideo Sasaki era l’unico socio, ma a cui si andranno incorporando altre figure professionali in gran parte acquisite nell’ambito del GSD.

L’attività professionale e didattica di Sasaki fu alimentata dalla necessità di ripensare il ruolo dell’architettura del paesaggio nell’America del postguerra, mettendo in discussione la preparazione delle scuole e degli stessi professionisti per andare incontro ai nuovi modelli di città e urbanizzazione in atto negli Stati Uniti.

Nell’articolo Landscape Architecture Education in Transition, Sasaki (1951) suggerisce quale sia la direzione che la disciplina e il ruolo dell’architetto del paesaggio debbano assumere: se storicamente l’architettura del paesaggio era legata all’abbellimento di ricche mansioni e in mano al potere di pochi, era ormai necessario riscoprire il lato popolare e funzionale.

In particolare la spontaneità e razionalità che caratterizzano il paesaggio vernacolare, e la sua relazione con la natura devono essere tenuti in conto nella progettazione contemporanea. Il cambiamento tuttavia non deve essere cercato nella forma, ma nel proposito: si deve passare da un’orticoltura decorativa alla pianificazione ambientale. Le attività di pianificazione del terreno come la conservazione, la riabilitazione del suolo urbano e rurale, i sistemi regionali di spazi aperti, la conservazione del litorale sono alcune delle aree significative d’intervento dell’architettura del paesaggio, che può contribuire a migliorare la qualità della vita umana.

Si individuano inoltre due scale d’intervento dell’architetto paesaggista: una è quella del progetto urbano e l’altra è la pianificazione regionale. La prima include operazioni di ridisegno urbano, housing pubblico e privato, scuole e aree ricreative; la seconda, non ancora diffusa negli Stati Uniti, prende il via dai grandi cambiamenti delle città in atto e diventerà più importante con il riconoscimento dell’importanza di conservare le risorse naturali dominanti nelle regioni.

Sasaki criticava l’approccio alla pianificazione diffuso, limitato a una visione economica, demografica e architettonica del territorio; il processo di urbanizzazione delle aree rurali e dello spostamento delle grandi imprese fuori dalle città rendeva necessario apportare al progetto urbano considerazioni ambientali, da effettuare mediante una ricerca comparata di criteri e indicatori quali il clima, l’acqua, il suolo, la vegetazione, la fauna e gli aspetti culturali del territorio a diversa scala. Da qua deriverà l’importanza dell’analisi del territorio in ognuno dei suoi progetti, incluso quello della Costa Smeralda.

La visione di Sasaki anticipa molti dei discorsi contemporanei sulla sostenibilità ambientale: il problema maggiore degli Stati Uniti è stato quello di attribuire ad ogni bene un valore economico; la terra, la natura, gli animali e il clima, venivano considerati dei beni economici, partendo dall’errato presupposto che fossero inesauribili. Ciò ha portato a numerosi esempi di distruzione del paesaggio (Sasaki, 1953). Non escludendo la figura dell’architetto paesaggista dalla lista dei responsabili, Sasaki riconosce che questo ha spesso perso il proprio ruolo, ridefinendosi addirittura Town Planner o Town Planning Engineer, e limitandosi ad eseguire protocolli tecnici.

Oltre alle analisi basiche sull’economia, l’uso del suolo, sociologia e demografia, diventa dunque indispensabile un’analisi sull’ecologia, intesa come l’insieme delle forze naturali che agiscono sul luogo oggetto della pianificazione, sia a scala regionale che a micro-scala. L’architetto del paesaggio deve essere la figura incaricata di condurre questo tipo di analisi, per poi trasformarla e sintetizzarla dando forma al progetto.

A partire dai nuovi cambiamenti in atto nelle città, le scuole di Architettura avrebbero dovuto iniziare a ripensare i loro metodi di insegnamento della disciplina dell’architettura del paesaggio. Fino ad allora i corsi erano generalmente organizzati secondo la tecnica di progetti-soluzione, spesso senza alcun ordine logico, in cui era richiesto agli studenti di risolvere prima il problema di un parco, poi un centro civico, poi una suddivisione, senza relazionare l’uno con l’altro (Sasaki 1950). Durante il suo operato come docente ad Harvard i corsi da lui impartiti divennero una successione di problemi legati tra loro in contenuti e scala d’intervento.

Ogni progetto veniva presentato agli studenti come la risoluzione di un problema, e pertanto doveva essere risolto con un ragionamento critico, suddiviso in tre fasi: la ricerca, l’analisi e la sintesi. L’analisi assume un ruolo fondamentale previamente alle scelte di progetto, e varia in funzione del problema da risolvere e la scala d’intervento (Fig.129).

Questo nuovo approccio al progetto porta ad altre idee innovative che caratterizzano l’insegnamento di Sasaki così come la sua attività professionale: da una parte l’importanza della teoria e della pratica nell’insegnamento, dall’altra il collaborazionismo.

A Isaacs Sasaki espose le sue idee sulla necessità di trasformare l’insegnamento dell’architettura del paesaggio a partire da una nuova impostazione definita “Educazione Professionale”, in cui diventava fondamentale l’associazione della teoria alla pratica durante la formazione; raccomandò la ricerca di un equilibrio tra diverse personalità, abilità e conoscimenti accademici all’interno dei corsi impartiti: “Idealmente dovrebbero esserci almeno 4 istruttori (a tempo parziale e a tempo completo): un uomo dal genio creativo; una persona produttiva e piena di energia; uno altamente tecnico e uno più moderato.”[52]

Quando nel 1958 ottenne l’incarico di Chair of Landscape Architecture Department al GSD, che terrà fino al 1968, mise in atto i cambiamenti da lui auspicati, inserendo nel dipartimento istruttori a tempo parziale e con denaro proveniente dal proprio studio professionale. Il corso di Landscape Architecture da lui impartito si avvaleva della collaborazione di due coordinatori, spesso Peter Walker e Charles Harris, e dell’intervento di figure specializzate provenienti da diverse discipline durante le revisioni finali.[53]

D’altra parte, gli studenti più meritevoli erano invitati ad effettuare pratiche nel suo studio durante i mesi estivi e, una volta concluso il master, a continuare con il mondo accademico oltreché professionale, attraverso la possibilità di impartire lezioni nella scuola senza retribuzione, quasi per sdebitarsi delle pratiche offerte nello studio.

Con questo nuovo approccio all’insegnamento, le barriere tra teoria e pratica si facevano sempre più sottili, anche se rimanevano quelle relative alle varie figure: architetto paesaggista, architetto, ngegnere, pianificatore.

La convinzione di Hideo Sasaki sull’importanza della multidisciplinarietà verrà da lui messa in pratica sia in ambito accademico che professionale: l’idea non era nuova, come lui stesso riconosce in un’intervista (GSD News 1989), giacché la teoria del collaborazionismo era stata importata da Gropius dalla scuola Bauhaus, creando con i suoi vecchi studenti dopo la fine della seconda guerra mondiale il gruppo TAC (The Architects Collaborative), che in poco tempo aveva riunito professionisti provenienti da diverse discipline, con base l’architettura.

Inoltre già un secolo prima Olmsted e Vaux collaboravano con artisti e architetti per il disegno di Central Park a New York.

L’apporto di Sasaki consistette tuttavia nel mettere in primo piano la disciplina dell’architettura del paesaggio, e nell’agire attivamente per la riformulazione del programma educativo del GSD affinché il collaborazionismo fosse parte degli insegnamenti.

Per superare il limite che lo studio di una singola disciplina comporta, Sasaki e Isaacs introdussero un corso specifico chiamato “collaborative studio”, tenuto da Isaacs come docente di Planning, Sasaki di Landscape Architecture e Bogner e Bruck di Architecture. Il laboratorio progettuale vedeva impegnati i tre principali corsi di studio del GSD in un solo progetto: paesaggisti, architetti e pianificatori provenienti dai diversi master, erano suddivisi in gruppi misti per risolvere uno stesso problema, che poteva essere una comunità industriale come una nuova città, in cui il lavoro di ciascuno dipendeva dalla capacità degli studenti di collaborare tra loro (Fig.130).

Sasaki riteneva che l’architetto paesaggista, insieme ad altre figure professionali, avrebbe potuto raggiungere dei buoni risultati d’intervento sull’ambiente, non solo a livello economico e funzionale ma anche a livello di disegno urbano, richiedendo l’aiuto del pianificatore per meglio interpretare l’uso del suolo, per poi determinare il disegno strutturale e la forma del progetto.

Per Sasaki era chiara l’importanza della collaborazione e della multidisciplinarietà, come egli più tardi ricordava: “in quell’epoca, quando vi era uno spirito investigatore ed eccitante, fosse con architetti o paesaggisti, non importava con chi si stava lavorando, (…) noi lavoravamo insieme per raggiungere la soluzione che ritenevamo fosse la più appropriata o creativa per una determinata situazione”.[54]

Per questa ragione Sasaki diede inizio alla sua firma nel 1953 con la modesta consapevolezza di aver bisogno di un gruppo multidisciplinare che avesse come base trainante l’Architettura Paesaggista.

Durante gli anni ad Harvard, reclutò numerosi ex studenti, tra cui lo stesso Morgan Wheelock (MLA ‘64) e li assunse al suo fianco come soci e collaboratori. La firma nacque nel 1953 e cambiò nome più volte in base ai soci maggioritari: Sasaki and Novak; Sasaki, Walker & Associates; Sasaki, Dawson, De May Associates; Sasaki Associates, tuttora esistente.

Non appena quarantenne, Sasaki era riuscito a crearsi una clientela tra i migliori architetti dell’epoca, tra cui Eero Sarinen, I.M Pei, Pietro Belluschi, Josep Lluis Sert, SOM, dei quali aveva guadagnato la stima, e dai quali gli fu richiesta la collaborazione in diverse occasioni.

Gli anni che interessano la ricerca sono quelli del decennio del 1960, nella fase di transizione in cui Peter Walker avviò una sede dello studio a San Francisco, chiamata Sasaki, Walker & Associates, mentre quella di Boston diventava Sasaki, De May & Associates. In quest’ultima si realizzò il Master Plan della Costa Smeralda, mentre nella prima erano portati avanti numerosi progetti per comunità turistiche. Negli stessi anni Hideo Sasaki esercitava come Chair ad Harvard.

[51] American Society of Landscape Architects, ASLA

[52] Hideo Sasaki, “Memorandum to Reginald Isaacs”, December 9,1954. citato da Simo,M. in Sasaki Associates:integrated environments (1997). Sasaki si riferiva a Roberto Burle Marx come possibile uomo dal genio creativo, e a sé stesso come moderato.

[53] Roberto Burle Marx fu invitato durante il corso accademico ‘62-63 come lecturer e come membro della giuria finale. La relazione tra Sasaki e l’architetto brasiliano influì forse su un intervento, poi non andato in porto, che avrebbe visto Burle Marx incaricato di progettare gli esterni di una villa che l’Aga Khan era intenzionato a costruire a Romazzino. Secondo il racconto di Morgan Wheelock, gli accordi vennero presi in sua presenza nella residenza privata del Principe a Chamonix, ma il progetto non venne mai realizzato.

[54] Hideo Sasaki, conversazione registrata nello studio Sasaki Ass. nel 1993, in Simo, op.cit.

4.2.2. L’ANALISI DELLA DIMENSIONE AMBIENTALE COME BASE DEL PROCESSO DI PIANIFICAZIONE DEL TERRITORIO

Sasaki cita più volte nei suoi dialoghi l’importanza della terra, sia come elemento naturale che come base per le azioni umane. L’assetto ambientale e le caratteristiche fisiche e morfologiche del territorio costituiscono la base di qualsiasi analisi previa al progetto, e servono a delimitare le aree d’intervento e prendere decisioni adeguate in funzione della topografia o della presenza di elementi fragili quali corsi d’acqua, presenza di flora e fauna o aree boschive, o altri quali la vista panoramica, l’illuminazione e i venti che assicurino il confort degli edifici.

L’utilizzo di sistemi metodici di analisi del territorio caratterizzava la disciplina dell’architettura del paesaggio di Sasaki, sia in ambito accademico che professionale. Sasaki adottava tale sistema sia nei corsi al GSD che all’interno del suo studio: una serie di indicatori sono utilizzati come base per le successive scelte adottate nel master plan.

Questo approccio al territorio è uno degli aspetti che differenzia l’intervento di Sasaki in Sardegna a partire dal 1968, rispetto a quello utilizzato fino a quel momento da Vietti e dagli altri architetti del comitato d’architettura, che come abbiamo visto (vedasi 3.3.3) si basava più su analisi soggettive e puntuali che non su un’analisi globale e metodica del territorio nella sua totalità.[55]

Nel seguente paragrafo si presenta parte dell’attività di Sasaki risalente alla stessa epoca del Master Plan per la Costa Smeralda, mettendo in evidenza quali siano gli elementi considerati prioritari nella fase di analisi del territorio.

Una prima dimostrazione dell’approccio al territorio e al paesaggio come prima fase della definizione del master plan è data dai programmi accademici dei corsi impartiti al GSD. Specialmente nei progetti a scala territoriale era richiesta agli studenti un’analisi dettagliata di tutte le componenti ambientali del territorio. Nell’annesso IV sono elencati gli elementi che gli studenti, suddivisi in gruppi di lavoro, avrebbero dovuto studiare previamente al progetto. Relativamente all’assetto ambientale si richiede di analizzare: topografia e base geologica, sistema di acque superficiali e sotterranee, tipo di suolo, flora e fauna, clima. Le caratteristiche dell’assetto insediativo sono altrettanto importanti, quali uso del suolo, sistemi di infrastruttura e trasporti, servizi pubblici a carattere regionale e locale.

Nelle pagine successive si illustra il processo di analisi di alcuni progetti realizzati da Sasaki tra gli anni ‘60 e ‘70: tra essi il progetto proposto e mai realizzato per la lottizzazione Multalonga in Costa Smeralda del 1978, sviluppato a partire dal master plan generale del 1969.

Gli altri progetti appartengono al periodo di Sasaki, Walker and Associates, e riguardano nuove comunità residenziali e resort turistici, questi ultimi basati quasi esclusivamente sul turismo residenziale e aree ricreative.

Sebbene gli indicatori scelti per le analisi del territorio possano essere quasi catalogati, ciascun progetto adotta quelli che meglio aiutano a definire il territorio; nel caso di comunità residenziali sarà prioritario il livello di accessibilità e la pendenza del terreno, mentre per i resort turistici la presenza di viste panoramiche ed elementi naturali di attrazione. È tuttavia possibile individuare alcuni elementi che si ripetono in tutti i progetti.

Non si tratta di un’analisi asettica, ma di un’interpretazione dei dati basici che portano, come nel caso dell’analisi delle pendenze o delle visuali, a definire delle classi di fattibilità dell’intervento. I diversi piani di fattibilità porteranno alla definizione del Master Plan.

Le analisi qua presentate sono quelle che si ripetono con più frequenza nei progetti esaminati, e riguardano le seguenti componenti del territorio:

– condizioni del sito: includono diverse caratteristiche del luogo considerate importanti per il progetto;

– morfologia del terreno e pendenze: è analizzato il terreno dal punto di vista altimetrico e geologico;

– viste: sono esaminate le qualità visuali dalla e verso l’area di progetto;

– vegetazione e sistema idrografico: riguarda la struttura e tipologia del verde, e la conformazione dei canali idrici.

Oltre a quelle più comuni se ne aggiungono altre, come per esempio la descrizione dell’orientamento solare e dei venti riportate nell’annesso V che ricoprono un ruolo importante in aree turistiche costiere come il caso della Costa Smeralda.

CONDIZIONI DEL SITO

La presente analisi mette insieme gli elementi caratteristici del sito considerati rilevanti per la definizione delle aree di alta qualità, e pertanto determinanti per lo sviluppo futuro. Riunisce in un solo studio diversi elementi, in certi casi sostituendo le singole analisi, partendo sempre dalla base topografica del terreno.

I tre casi presentati possiedono ciascuno un livello di dettaglio distinto: nel caso di Multalonga il territorio è osservato da vicino e descritto in modo approfondito anche dal punto di vista grafico; nel caso di Walden si tratta di uno schema diagrammatico che individua areali e vettori, mentre nel caso di Kohala Coast la scala territoriale porta ad individuare degli elementi generali d’interesse.

Nel caso della lottizzazione Multalonga (Fig.131) vengono indicati quegli elementi caratteristici che non solo aiutano a definire la fattibilità tecnica della costruzione, ma che per la loro tipicità o bellezza devono essere salvaguardati. Tali elementi sono sia di natura fisica che immateriale: tra gli elementi fisici troviamo le pareti rocciose e le rocce che affiorano in superficie, che se da una parte rendono difficoltosa l’edificazione, dall’altra possono essere approfittate come sculture naturali per le particolari forme che il granito genera (si arrivano ad indicare le forme antropiche o animali).

Un altro elemento importante è rappresentato dalla vegetazione da salvaguardare, o perché già di una certa dimensione come le querce, o perché tipica mediterranea, come i cisti e ginepri.

L’elemento immateriale segnalato è relativo alla presenza di punti panoramici, generalmente individuati in punti rocciosi o dalle piattaforme più elevate.

L’elemento visuale riveste nei progetti di Sasaki un ruolo centrale, e viene considerato un punto a favore dell’alta qualità spaziale del sito, come evince da ciascuno dei progetti presentati.

Negli altri progetti sono valutate aree ad alta qualità le piattaforme verdi e quelle aree in cui la topografia crea contrasti netti, quali creste dei rilievi e depressioni del terreno.

MORFOLOGIA DEL TERRENO/PENDENZE

La morfologia del terreno è analizzata a partire da informazioni basiche di diverso tipo e con diversi metodi di rappresentazione, dalle curve di livello ai piani altimetrici elaborati con la precisione di sistemi informativi.

L’analisi delle pendenze è quella che maggiormente influisce sulle scelte relative alla distribuzione dell’edificato: a determinati intervalli di percentuale di pendenza corrisponde la maggiore o minore capacità di sviluppo e costruzione sul terreno.

In particolare a Multalonga gli intervalli sono definiti nel seguente modo:

-0-20% urbanizzabile;

-20-33% difficile da urbanizzare;

-33-50% molto difficile da urbanizzare;

-oltre 50% non urbanizzabile;

Nella maggior parte dei casi le categorie sono tre, come nel caso di Cochiti Lake -pendenza lieve, pendenza moderata e pendenza scoscesa- e sono messe in relazione con il sistema dei bacini idrografici. Nello stesso progetto si analizza anche l’altimetria del territorio circostante l’area d’intervento, per fornire ulteriori suggerimenti sulle aree più facilmente urbanizzabili.

Un altro approccio, legato alla necessità di definire non solo le aree urbanizzabili, ma anche un sistema di spazi aperti, è quello seguito nel progetto di Kohala Coast, dove il territorio viene suddiviso in aree in funzione della topografia e della presenza di vegetazione: topografia discontinua con scarsa o nessuna presenza di alberi; topografia discontinua con alberi sparsi o ubicati in zone di drenaggio; lieve contrasto topografico con scarsa o nessuna presenza di alberi; lieve contrasto topografico con alberi sparsi; lieve contrasto topografico con alberi fitti; vallate con canali di drenaggio piantumati.

VISTE

Lo studio delle visuali rappresenta un’analisi comune a vari progetti di Sasaki, e occupa un ruolo centrale specialmente nei progetti turistici, per i quali il godimento della vista panoramica diventa prioritario.

Ancor più nel caso di costruzioni sviluppate in pendenza, la vista verso il mare o il paesaggio circostante determina il valore stesso delle costruzioni.

L’aspetto innovativo è che non solo è valutata l’esperienza visuale dall’edificato verso il paesaggio circostante ma viceversa si tiene conto di come l’ambiente costruito è percepito dall’esterno. Nel caso della Costa Smeralda la visione del territorio dal mare e dalla strada panoramica influirono sulla scelta della distribuzione dell’edificato e degli spazi aperti non urbanizzabili.

Ancora una volta ci troviamo di fronte ad analisi a diversa scala: nel caso di Baywood (Fig.140) si indicano in modo schematico i vettori panoramici, che vanno in linea generale dalle zone più elevate verso le vallate o le zone pianeggianti, indicando alcuni punti strategici con vista speciale.

Nel caso di Del Mesa Carmel (Fig.141) si individua un margine visuale in funzione della presenza o meno di vegetazione, inserendo come punto di vista iniziale il futuro sviluppo.

Il piano di analisi visuale realizzato per la lottizzazione Multalonga è ancora una volta quello maggiormente dettagliato: in esso è indicato in modo meticoloso non solo l’oggetto della vista panoramica, ma anche l’apertura angolare della stessa. La visuale viene considerata eccellente quando consente di osservare il mare da diverse angolature.

La distanza serve a definire la qualità visuale, classificata secondo le seguenti categorie individuate dai punti e campi visuali:

– vista discreta ma distante;

– vista distante sulla strada provinciale;

– vista distante al mare;

– vista primaria.

Essendo la lottizzazione di Multalonga ubicata nella zona più ad ovest del territorio del CCS, la maggior parte dei punti possiedono una vista distante al mare. La vista primaria è quella non ostruita da ostacoli orografici.

Oltre ai punti principali, con degli areali vengono identificate quelle zone che possiedono una vista contenuta, perché concave o nascoste dalle rocce, e quelle che invece sono percepite in modo piacevole dall’esterno.

L’analisi delle visuali influirà la scelta di distribuzione dell’edificato in pendenza, in modo da evitare la reciproca ostruzione della vista da parte degli edifici stessi.

IDROGRAFIA E VEGETAZIONE

Lo studio della vegetazione e del sistema di acque sommerse e superficiali costituisce un’ulteriore informazione indispensabile per la successiva fase progettuale. Rispetto agli altri elementi analizzati, questi sono i meno suscettibili di interpretazioni: lo dimostra il fatto che i piani non sono

accompagnati da alcuna legenda o successiva elaborazione che indichi una manipolazione dei dati di base. Tuttavia potremmo affermare che la vegetazione e la presenza di corsi d’acqua sono utilizzati spesso come vincolo alla costruzione.

L’analisi della vegetazione viene affrontata in due modi diversi: nel progetto di Carmela Real ciò che interessa è l’identificazione delle diverse tipologie di vegetazione, mentre nel caso di Kohala Coast è la struttura stessa della vegetazione ad assumere un ruolo nel progetto. Essa, che si riflette nell’assetto idrologico, si insinua nel territorio con un sistema ramificato e capillare.

La gerarchia dei corsi d’acqua viene messa in evidenza anche nel progetto di Cochiti Lake, dove vengono segnalati i torrenti principali e le ramificazioni, oltre alle creste dei rilievi.

[55]  Morgan Wheelock conferma nell’intervista che, sebbene il topografico dei primi anni ‘60 eseguito dallo studio tecnico Bianchi fosse accuratamente dettagliato, mancavano delle analisi sistematiche del territorio che furono costretti ad eseguire previamente alla redazione del Master Plan.

4.2.3. IL MASTER PLAN COME RISULTATO DELL’ANALISI DEL TERRITORIO

La definizione del progetto finale, spesso denominato master plan, deriva dalla sintesi degli elementi analizzati, che a seconda dei casi assumono un ruolo principale o secondario. Ciò che accomuna tutti i progetti è il processo progettuale che parte dall’analisi generale, a volte a scala regionale, e porta successivamente a restringere il campo fino ad arrivare alla definizione delle linee guida o del master plan. In esso sono indicati i principali usi del suolo e la distribuzione delle densità, fino alla definizione delle volumetrie e la distribuzione della vegetazione a scala di quartiere o di lottizzazione.

I progetti presentati, riassunti nella Fig. 146 in un catalogo di progetti, partono da analisi diverse per arrivare a diversi livelli di definizione del risultato finale.

I casi di Baywood e Walden (1,3) possiedono entrambi una dimensione nel territorio limitata, pertanto il risultato che emerge è in entrambi casi direttamente un planivolumetrico che definisce la distribuzione e forma dell’edificato, oltre agli elementi urbani che compongono il complesso.

Nel caso di Baywood, a partire dall’analisi, saranno la topografia e il sistema di viste a definire il futuro sviluppo, lasciando libero l’oggetto della vista panoramica, ovvero la vallata, e costruendo invece nelle pendenze minori e nelle piattaforme elevate.

Nel caso del progetto di Walden dall’analisi dei fattori critici del sito emerge l’importanza dell’acqua come futuro elemento strutturante. I 4 specchi d’acqua presenti determinano 4 regioni che suddividono l’area d’intervento, e intorno a quelli si svilupperà l’edificato. La vegetazione diventa invece l’elemento di unione e contemporaneamente separazione delle diverse aree.

La capacità d’interpretazione del territorio a partire dall’analisi ambientale è visibile soprattutto nei progetti a scala più ampia, come nel caso di Cochiti Lake e Kohala Coast Resort (5,6): entrambi assumono il sistema idrografico e morfologico come base per determinare il Master Plan.

Nel caso di Cochiti Lake, a partire dall’analisi delle pendenze e dell’altimetria, si definiscono le densità della futura costruzione. La logica seguita è simile a quella della Costa Smeralda, in cui la densità maggiore è prevista nelle zone più pianeggianti e in prossimità in questo caso del lago, in Costa Smeralda del mare, mentre la bassa densità è prevista nelle aree più elevate e in terreni moderatamente irregolari e pendenti.

La forma dei singoli agglomerati deriva direttamente dalla conformazione del terreno e dall’analisi idrologica: l’edificato è distribuito in sacche lungi formi in una mappa che risulta il negativo del sistema ramificato di drenaggio (Fig. 147). Tali sacche, di forme organiche ma con una struttura capillare, pendono dall’infrastruttura diramandosi. Il sistema di spazi aperti, che coincide con il sistema ramificato di drenaggio, si insinua quindi nell’edificato, costruendo una trama alternata di paesaggio naturale/costruito (Fig. 148).

Lo stesso campo da golf, incluso tra gli spazi aperti, è ubicato in un canyon, allo stesso tempo principale canale di drenaggio e area più depressa dell’intero territorio.

Altrettanto interessante risulta il progetto di Khoala Coast Resort, dove dall’analisi emerge un sistema intrecciato e allo stesso tempo capillare: il sistema ambientale individuato dai percorsi imbriferi e dalla vegetazione definisce un tessuto intramato che si inserisce dalla costa nel territorio interno. Da questa trama vengono identificati dei patterns utilizzati per definire i distinti usi del suolo.

Il sistema capillare dell’assetto idrologico si riflette nel progetto urbano, come emerge dalla Fig. 150, in cui una delle aree residenziali annesse al campo da golf rivela anch’essa una struttura ramificata. Dall’infrastruttura principale pendono le vie secondarie e l’edificato è mimetizzato nel paesaggio grazie ad un sistema di vegetazione a grappolo.

Come nella Costa Smeralda, il mantenimento della visuale verso il mare è garantito dalla disposizione in pendenza dell’edificato tale da assicurare a ciascun edificio una visuale libera (Fig. 149).

Nel caso della lottizzazione di Multalonga l’identificazione delle aree ottimali per l’urbanizzazione è il risultato della somma delle analisi sulle pendenze, la vista e il tipo di suolo. Si individuano quindi diverse categorie, dove le aree privilegiate sono quelle con buona vista, una pendenza tra lo 0% e il 30%, e l’assenza di vegetazione e di elementi rocciosi.

Le aree marginali sono invece quelle con scarsa visuale, poco accessibili per la loro pendenza, e in cui la presenza della vegetazione diventa limitante perché da proteggere.

In conclusione, dai progetti analizzati emerge il ruolo centrale dell’analisi nei progetti di Sasaki. Gli elementi del territorio scelti per l’analisi diventano determinanti per la definizione del progetto stesso.

 4.2.4. IL MASTER PLAN DI SEA PINES PLANTATION COME MANIFESTO DELLA SOSTENIBILITÀ NEGLI ANNI ‘50

L’importanza della natura e del terreno costituiscono per Sasaki il punto di partenza del processo progettuale e contemporaneamente finalità del risultato, definito dal Master Plan con le relative linee guida d’intervento.

In questo processo l’analisi del territorio e delle sue componenti ambientali riveste un ruolo fondamentale (vedasi par. 4.2.2).

L’attività progettuale svolta da Sasaki e dai suoi soci interessa diverse scale e campi d’intervento. Nonostante la firma si sia resa nota negli Stati Uniti soprattutto grazie ai progetti di campus universitari, durante il primo periodo numerosi furono i progetti turistici, di nuove comunità residenziali e aree ricreative, dalla scala territoriale a quella architettonica.

Ciò che accomuna tutti i progetti di larga e media scala è la presenza di un Master Plan, risultato di una metodica analisi del territorio, che definisce delle regole a partire dal contesto globale, per poi calare sino al dettaglio urbano e architettonico.

Secondo Sasaki, il “masterplan stabilisce un quadro progettuale con il quale l’architetto e il paesaggista può in seguito dettagliare il lavoro. L’architettura, l’uso dei materiali e il trattamento del paesaggio richiedono una più sottile scala di pensiero e progetto che è possibile in un piano di sviluppo generale” (Shmertz, 1966).

Si riscontra nella teoria e pratica di Sasaki un largo anticipo rispetto ad alcuni principi di sostenibilità e sensibilità ambientale, che sebbene oggi siano ormai insiti nella pratica della progettazione contemporanea, erano pionieri nell’America del secondo postguerra: nel rapido processo di urbanizzazione delle campagne e la diffusione del real estate, Sasaki riconosceva un pericolo d’invasione del paesaggio che la moltiplicazione di aree suburbane avrebbe provocato. La monocoltura residenziale che stava caratterizzando le periferie americane costituiva un pericolo per la disponibilità di risorse naturali, tra esse l’acqua e il suolo (Sasaki, 1959).

L’importanza dell’ambiente naturale spiega l’affermazione di Peter Walker[56] in merito all’ottica neo-olmstediana di Hideo Sasaki: egli pare ereditare da Olmsted la visione della terra come elemento quasi sacro, che è necessario conoscere a fondo per capire la capacità del paesaggio di ricevere i cambiamenti imposti.

Il terreno non può essere considerato una semplice superficie adattabile a qualsiasi intervento umano imposto, ma al contrario è l’azione umana a dover cambiare in funzione del paesaggio circostante. La relazione tra ambiente costruito e territorio naturale circostante è fondamentale per creare armonia nel paesaggio, ed è visibile tanto in Olmsted quanto in Sasaki, tradotto nella semplicità dei gesti dei paesaggisti: Olmsted arrivó ad eliminare nei parchi da lui progettati tutti gli elementi artificiali quali statue neoclassiche, fioriere, gazebi per commerci, o a concentrarli in un’area, poiché tali elementi non erano in armonia con quelli naturali propri del parco. Un secolo più tardi e in un clima architettonico differente, Sasaki criticava l’architettura monumentale che spesso pretendeva essere un oggetto straordinario, ma che poi risultava fuori scala rispetto al paesaggio circostante, e senza nessuna relazione con esso.

L’ottica sostenibile di Sasaki è riscontrabile in uno dei suoi progetti più noti e riconosciuti dalla critica,[57] che si presenta in questo paragrafo perché racchiude i principi del paesaggista riguardo i progetti turistici in aree di alta valenza ambientale. Il progetto realizzato per Sea Pines Plantation, un resort nell’Hilton Head Island, esemplifica alla perfezione come la natura venga fortemente valorata.

Sasaki realizzò il Master Plan di Sea Pines quasi contemporaneamente alla Costa Smeralda. La località turistica, grazie non solo ai pianificatori, ma anche alla capacità del suo promotore Charles Fraser, rappresenta un caso unico di sensibilità ambientale nell’ambito della costruzione turistica balneare negli Stati Uniti. Era un momento in cui l’uso dell’automobile stava cambiando le vacanze familiari, indirizzate dal mercato turistico verso le alte concentrazioni costiere di alberghi a più piani allineati lungo la costa, e come in Europa verso un turismo massivo e concentrato esclusivamente sull’attrattiva balneare.

Una delle ragioni per cui a Sea Pines si è mantenuto il livello di qualità ambientale previsto è che sin dall’inizio è stato istituito un regolamento con dei patterns di pianificazione definiti, e delle linee guida che supportano la visione originale di Fraser, non lasciando adito a reinterpretazioni future.

Questo aspetto è uno degli elementi che accomuna il progetto di Sea Pines a quello della Costa Smeralda. Rigidi regolamenti si focalizzavano sullo sviluppo del resort per quanto riguarda il contesto, l’estetica e l’ambiente: questi dettavano l’illuminazione esterna, la segnaletica, la protezione degli alberi, il disegno architettonico e la vegetazione (Cfr. par. 2.4.2 e 4.3).

La presenza di un regolamento comune imposto dall’alto e un sistema di controllo efficiente impediscono il deterioramento della qualità generale dell’operazione nel tempo.

La località doveva sorgere in un’area vergine costiera, caratterizzata da sistemi dunali dietro i quali si alternano zone umide e foreste. Nell’incontaminato assetto naturale si prevedeva di inserire residenze, servizi ricreativi, campi sportivi tra cui campi da golf e piccoli porti per l’uso delle barche.

In un contesto ambientale estremamente delicato, l’obiettivo del Master Plan era quello di integrare il più possibile l’edificato con il paesaggio circostante, e che quest’ultimo non fosse degradato dall’intervento artificiale (Fig. 151).

Per raggiungere tale obiettivo, l’idea dei pianificatori e paesaggisti era quella di evitare la pratica diffusa della costruzione lineare a ridosso della spiaggia a formare uno strip[58] continuo, che avrebbe danneggiato il luogo non solo da un punto di vista ambientale ma anche economico, producendo uno scompenso elevato di valore tra i terreni in prima linea e quelli interni al territorio.

Da una parte quindi viene ostacolata la costruzione nelle aree retrodunali e paludose mantenendo una profonda fascia di rispetto che è invece destinata a spazio aperto, e dall’altra si inserisce una pratica nuova in quell’epoca, oggi diffusa, che consiste nel posizionare le aree residenziali affacciate sui campi da golf. Questi ultimi erano localizzati nelle aree ambientali meno fragili, e irrigati da un’infrastruttura di lagune e sistemi di raccolta di acqua piovana.

In questo modo si assicurano le viste panoramiche anche per l’edificato più interno: l’elemento visuale, che ritroveremo ampiamente nel Master Plan della Costa Smeralda, è uno degli elementi innovativi del progetto di Sea Pines, e consiste nell’assicurare una vista panoramica a ciascun edificio verso gli spazi aperti o specchi d’acqua.

In questo modo anche i territori interni attirano l’attenzione degli acquirenti, e con l’aiuto degli scenari naturali e altre attrattive turistiche, la pressione sull’area costiera viene ridotta.

Con l’uso di uno stile identificato come “camouflage contemporaneo” (Danielson, 1995), si crea un’integrazione armoniosa tra le strutture artificiali e le aree altamente naturali.

Si ribadisce che in un’epoca di accanita promozione immobiliare quando gli stessi regolamenti pubblici in aree ambientali fragili erano ridotte al minimo e i promotori immobiliari non subivano alcuna pressione per agire in modo rispettoso da un punto di vista ecologico, la preoccupazione per l’integrazione con il paesaggio non era prioritaria per molti.

Nel caso del promotore Charles Fraser, come per l’Aga Khan nella Costa Smeralda, la preoccupazione per la natura veniva ovviamente anche da considerazioni economiche, avendo compreso che il danneggiamento del paesaggio avrebbe nel tempo sfavorito l’investimento perdendosi il principale elemento di attrazione, ovvero il godimento del paesaggio.

Il concetto del master plan prevede che la natura deliberatamente prevalga sulla mano dell’uomo. L’uso del suolo viene assegnato in proporzione alla potenzialità del paesaggio di assorbire il carattere e la densità del programma proposto.

Gran parte delle lottizzazioni residenziali sono pensate con una densità pari a 1 abitazione/acro su quasi la metà del territorio di Sea Pines, mentre il resto è destinato agli spazi aperti quali spiagge, parchi, campi da golf, aree naturali protette e aree umide. Il territorio è ritmato da viali alberati che alla maniera olmstediana si insinuano nel paesaggio, evitando la rigida griglia urbana che caratterizzava la maggior parte delle località turistiche costiere (Hough, 2011).

L’unica porzione disegnata in modo formale è la Marina di Harbortown, che con il suo faro iconico rappresenta il cuore del resort.

L’idea d’ispirazione mediterranea del villaggio centrale come fulcro della comunità, tanto per la vita sociale che per le attività commerciali, è la stessa che poi verrà riproposta in Costa Smeralda con Porto Cervo.

I due villaggi rappresentano la vetrina reale e metaforica dell’intero complesso (Figg. 152-153): tanto a Sea Pines come in Costa Smeralda il principale punto di arrivo non era la terra, bensì il mare, essendo la barca o lo yacht i principali mezzi di trasporto previsti. Pur essendovi differenze dovute alla diversa conformazione naturale del luogo, che nel caso del porticciolo di Porto Cervo è ricavato da un’insenatura naturale, i due villaggi conservano le stesse caratteristiche relazionate alla fruizione, soprattutto pedonale, del villaggio. Piccoli sentieri interni collegano le varie zone del centro in una maglia viaria fitta e intervallata dalla vegetazione.

Approssimativamente 1400 acri dei 5200 totali sono vincolati attraverso delle norme di protezione degli spazi aperti, oltre a 600 acri delimitati che divennero la riserva di Sea Pines.

La pianificazione, la conservazione e un restrittivo uso del suolo erano la chiave per attirare una clientela di un certo livello, sensibile al paesaggio e in cerca di un contatto con la natura e il riposo.

[56] Intervista a Peter Walker pubblicata in Simo, op.cit.

[57] Il master plan di Sasaki per Sea Pines Plantation ottenne il premio Land-use planning dall’ASLA nel 1959 e l’Heritage Award for Excellence dall’Urban Land Institute nel 1994, divenendo un modello per gran parte delle comunità-resort negli Stati Uniti.

[58] In Italia negli stessi anni assistiamo all’occupazione lineare della prima linea costiera, nelle regioni quali la Liguria, il Lazio, la Toscana, dove il fronte mare viene fortemente privatizzato e costruito. Tale fenomeno, oltrechè generare l’alterazione dei sistemi ambientali costieri, ha provocato cambiamenti nel mercato dei prezzi dei terreni e una forte dipendenza dalla rendita fondiaria.

4.3 IL MASTER PLAN DELLA COSTA SMERALDA DALL’ANALISI AL PROGETTO

Il Master Plan realizzato dal gruppo di architetti del paesaggio statunitensi risulta di notevole interesse per il suo carattere innovativo rispetto al resto d’iniziative che si svolgevano in quegli anni nelle coste italiane.

L’originalità del piano nell’ambito del Mediterraneo non si riferisce soltanto al tentativo di salvaguardare il paesaggio, ma soprattutto all’approccio al progetto territoriale, basato su un metodico schema di analisi ambientale che induce a definire l’uso del suolo, densità e funzioni delle nuove costruzioni, e in particolare a porre divieti alla costruzione.

Il Master Plan di Hideo Sasaki per la Costa Smeralda è datato 1969, ossia lo stesso anno in cui Luigi Vietti presentò alla Regione per conto del Comune di Arzachena una bozza del PdF, che verrà respinto per le eccessive volumetrie previste. Non è chiaro se Vietti e l’équipe americana lavorassero in parallelo per la parte relativa alla Costa Smeralda, tuttavia il Master Plan ha le caratteristiche di una consulenza privata e non possiede alcun valore legale.

Nel seguente paragrafo si descrive il Master Plan sulla base del Design and Planning Summary,[59] corrispondente alla relazione che accompagna le tavole del piano (Annesso VI).

Il rapporto è articolato in cinque parti: un’introduzione al Master Plan; il programma e gli obiettivi; analisi e prima fase, seconda e terza fase; controllo di qualità. Ci si è concentrati sull’analisi critica dello stato di fatto al momento dell’affidamento dell’incarico, e sulla sezione in cui si descrivono gli interventi previsti dal Master Plan, suddiviso in tre fasi di realizzazione (corto, medio e lungo termine).

Le indicazioni del piano ruotano intorno a 4 elementi, che diventano discriminanti per le scelte adottate: l’edificato (land use plan), la circolazione veicolare (vehicular circulation plan), gli spazi aperti e lo svago (open space and recreation plan).

4.3.1 ANALISI DEL TERRITORIO DOPO I PRIMI ANNI DELLA COSTA SMERALDA

Dalla prima analisi effettuata sul territorio, l’équipe di consulenti mette in evidenza tre fattori che caratterizzano la Costa Smeralda dopo i primi anni dalla sua nascita:

1) La frammentazione del territorio turistico dovuta in parte a questioni fondiarie, in parte all’eccessiva centralità assunta da Porto Cervo, che non consente agli altri nuclei in crescita (Romazzino, Cala Volpe e Pitrizza) di contribuire a formare un’immagine complessiva del territorio. La frammentazione porta a eccessivi costi di sviluppo e difficoltà di controllo del territorio nella sua globalità.

2) Il mercato turistico è limitato a una determinata fascia di clientela.

3) Un processo di sviluppo della Costa Smeralda per fasi non era stato pensato, né il mercato era stato quantificato e i mezzi di attrazione definiti.

Da queste prime considerazioni emergeva che la priorità fosse quella di trasformare la Costa Smeralda in un resort unitario dall’immagine globale e complessiva.

L’adozione di un Master Plan diventa per i progettisti indispensabile per evitare la frammentazione del territorio, il disordine e la devastazione del paesaggio che ha colpito altre località turistiche.

Come in tutti i progetti finora analizzati, anche nella Costa Smeralda viene effettuata l’analisi sulle principali componenti ambientali del territorio: topografia, idrografia, clima, vegetazione, mare.

– TOPOGRAFIA. Dall’analisi emergono tre caratteristiche che influiscono sul progetto: la prima è la presenza di numerose baie nella costa circondate da lievi pendenze, che creano un orizzonte visuale e contengono i nuclei come unità separate. Queste aree saranno le prime a dover essere sviluppate per la loro diretta relazione con il mare e la loro potenzialità di accogliere servizi e attrezzature turistiche.

La seconda caratteristica è la presenza di colline che dai terreni costieri arrivano ai piedi delle montagne. Essendo adiacenti alle baie, queste colline rappresentano lo sfondo dello sviluppo più denso. Queste aree sono preservate per spazi aperti e per una densità residenziale medio-bassa.

Il terzo elemento che compone il paesaggio sono le montagne circostanti dove si prevede uno sviluppo minimo, per la loro importanza visuale come spazio aperto e alternativa al mare.

La topografia, analizzata in particolare secondo le percentuali delle pendenze, è messa in relazione con lo studio delle visuali per definire il grado di fattibilità dello sviluppo (Fig.155).

– CLIMA. Il clima della Costa Smeralda è caldo e arido, con una percentuale minima di piovosità concentrata nei mesi invernali; quando ciò occorre tuttavia provoca flussi elevati e una profonda erosione delle vallate.

Il clima è mite da fine aprile a metà settembre, e in certe zone orientate a sud da fine marzo sino a ottobre.

Nonostante in estate il clima sia caldo arido, vi è spesso la presenza del vento fresco maestrale, che può durare fino a cinque giorni, durante i quali molte attività marine diventano difficoltose senza protezioni adeguate.

– IDROGRAFIA. Il terreno della Costa Smeralda è prevalentemente roccioso e pertanto l’assorbimento dell’acqua è minimo. La percolazione è quasi assente, da cui risulta uno scolo dell’acqua prevalentemente in superficie. Tali fattori, oltre al sovrautilizzo delle terre per pascoli, rendono il terreno molto fragile, e pertanto il naturale scolo delle acque dovrebbe essere rispettato dove possibile o accompagnato da opere di stabilizzazione per prevenire l’erosione.

– VEGETAZIONE. Nelle aree adibite anteriormente a pascolo, il manto vegetale è rado e composto principalmente da arbusti di ginepro e ginestra, mentre è scarsa la presenza di alberi, che si concentrano nelle aree meno ventilate e in quelle inaccessibili ai pascoli. Oltre alla vegetazione autoctona, altre specie possono crescere nella Costa Smeralda con il fine di aumentare la quantità e varietà del verde.

– MARE. È l’elemento chiave della Costa Smeralda. Da un punto di vista scenografico, il colore e la trasparenza dell’acqua sono uniche e costituiscono la principale attrattiva della località. La presenza di diverse tipologie di spiagge – sabbiosa, rocciosa, cala – favorisce il loro uso per diversi scopi, dalle attività sportive all’attracco delle imbarcazioni.

Per il suo carattere unico il mare deve essere protetto dall’inquinamento che l’eccessivo carico antropico nei nuclei potrebbe provocare, principalmente attraverso un accurato controllo dei canali di scolo.

Essendo il mare e le spiagge le principali attrazioni della località, è fondamentale garantire l’accesso al pubblico, contrariamente ci sarebbe una perdita d’interesse da parte di possibili acquirenti.

A scala più generale, la linea di costa vissuta dal mare è fondamentale per fornire un’idea unica e globale del territorio. Per questa ragione, il progetto suggerisce l’adozione di politiche di spazi aperti per evitare una costruzione continua e mantenere una certa articolazione del territorio.

A partire dall’analisi delle componenti ambientali, sono introdotte le 4 componenti antropiche che diventeranno i quattro ambiti d’intervento del Master Plan:

A) Edificato Esistente

La costruzione esistente in Costa Smeralda al momento dell’affidamento del Master Plan include due villaggi preesistenti, Liscia di Vacca e Abbiadori, un resort in fase di costruzione a Porto Cervo, e più piccoli nodi a Liscia di Vacca, Romazzino e Cala di Volpe (Fig.154).

Questa dispersione frammentata sull’intera area è in contrasto con una crescita organica, e si riconosce come il maggior problema dello sviluppo esistente della Costa Smeralda.

Ciò ha causato non solo una spesa smodata per la realizzazione delle infrastrutture, ma ha inoltre portato ad una duplicazione e dispersione di strutture di sostegno in una fase della costruzione in cui si considerano necessarie la concentrazione e la moderazione. Una costruzione frammentata può risultare in termini di costi di mantenimento molto più dispendiosa rispetto ad una concentrata.

Un secondo aspetto della costruzione esistente secondo lo studio di Sasaki, descritto in termini vantaggiosi, è lo stile architettonico e il carattere dell’intero resort che da esso risulta. Il consiglio dei consulenti è che il Regolamento Edilizio continui a incoraggiare lo stile locale ma allo stesso tempo una maggiore flessibilità.

Visti gli impegni già presi dai promotori con alcune lottizzazioni, emerge dall’analisi l’urgenza di completare prima possibile i centri già avviati, quali Porto Cervo, Piccolo Pevero, Romazzino e Cala di Volpe. Con l’eccezione di Cala di Volpe e il Campo da Golf, non era necessario avviare nuove aree in quel momento, e le aree sopra citate non avrebbero dovuto espandersi oltre i limiti indicati nel Master Plan. L’obiettivo di tale politica è intensificare l’edificato esistente e rinforzare l’immagine dell’intera area.

Sono inoltre enfatizzati due aspetti aggiuntivi: la condizione fisica e la manutenzione. Il rapporto “Raccomandazioni per il recupero del Paesaggio” (Annesso VIII) evidenzia l’urgente bisogno di implementare un attento mantenimento dei servizi e delle aree danneggiate.

A questo proposito i consulenti raccomandano che il promotore consideri di elevata priorità la regolazione delle politiche di gestione, e che un controllo venga effettuato annualmente con lo scopo di migliorare lo status quo e mantenere sempre un alto livello di qualità.

Come primo passo è stato specificamente raccomandato che alcune aree a Porto Cervo siano completate e mantenute come “standard di eccellenza”.

B) Infrastruttura viaria

Il sistema di circolazione veicolare riflette il sistema disperso dello sviluppo esistente e di conseguenza il suo impatto sul paesaggio. I principali elementi di questo sistema sono la “strada panoramica” attraverso l’area costiera più a sud, e la strada statale per Liscia di Vacca.

Queste strade vengono utilizzate tanto dai conduttori dell’orientale regionale che dai residenti locali. La loro ubicazione è generalmente interna al territorio, ad una distanza tale dalla costa da permettere l’edificazione dei vasti lotti fronte mare senza una rottura tra questi e il mare.

Le altre strade secondarie esistenti collegano i centri in costruzione alla strada panoramica e a quella statale, e consentono l’accesso pubblico, ovvero non sono riservate ai residenti delle lottizzazioni.

Il sistema stradale può essere considerato il mezzo attraverso cui si è introdotti al resort, e grazie al quale si riesce a coglierne immediatamente l’immagine, il carattere e la varietà. L’allineamento stradale deve permettere al visitatore l’opportunità di godere della vista panoramica dell’area senza che questa interferisca con la sicurezza alla guida. Il sistema viario deve essere inteso dal promotore come opportunità di fornire al visitatore un tour guidato; un attento allineamento può offrire viste, spazi aperti, scorci e le qualità naturali che sono parte fondante dell’assetto della Costa.

Lo studio propone una gerarchia di strade definita da diversi trattamenti, includendo pavimentazione, controllo della velocità attraverso un minimo e massimo grado di curvatura, larghezza, piantumazione, illuminazione e uso della segnaletica. Nello studio del Master Plan, comunque, i Consulenti si limitano alla definizione della gerarchia stessa di strade.

  1. Si propone l’estensione della strada regionale ad ovest di Liscia di Vacca.

I Consulenti raccomandano un preferibile allineamento a sud attraverso la valle, con lo scopo di fornire un’espansione della costruzione più privata a sud ovest del Pitrizza e proteggere l’isolamento di Porto Quato e Isola Grande ad ovest.

  1. Estensione del nuovo ingresso a Porto Cervo a nord dalla strada regionale.

I consulenti consigliano che questa estensione sia fatta immediatamente ad ovest di Porto Padda eliminando la curva nella strada a nord. La strada regionale sarà da orientare a nord verso Porto Cervo dirigendo il traffico nell’area di sviluppo.

  1. La strada di collegamento a Cala di Volpe via Abbiadori.

L’espansione di Abbiadori è anticipata in una direzione più a sud. Poiché questo villaggio possibilmente crescerà considerevolmente e per il fatto che l’esistente collegamento tra la strada regionale e la panoramica attraversa il villaggio con curvature pericolose, i consulenti propongono un nuovo collegamento a sud di Abbiadori seguendo la vallata, ben separata dal villaggio, in allineamenti più sinuosi. Questo comporterà ridisegnare l’intersezione tra la strada panoramica e la strada d’ingresso a Cala di Volpe, ma fornirà un allineamento più appropriato per questo importante collegamento.

  1. Completamento della Strada Statale dal Pevero al Romazzino.
  1. Il corretto mantenimento delle strade esistenti e future è un problema ricorrente al quale deve provvedere il Consorzio, nonostante sia responsabilità dello Stato o della Regione. Il mantenimento include riparazione, controllo dell’erosione, riforestazione, rifacimento della superficie, riparazione dei danni causati dal vandalismo, incidenti, vecchiaia e usura, così come un ordine generale, pulizia delle strade e assi stradali.
  1. I Consulenti raccomandano una politica di spazi aperti legati alle strade principali, e la regolamentazione degli usi collegati ad esse. La costruzione nelle connessioni di servizio dovrebbe essere ridotta al minimo per preservare la bellezza naturale dell’area e proteggere il residente o il visitatore dalla pubblicità generalmente associata a questi usi, quali cartellonistica e insegne luminose.

    C) Spazi Aperti e Svago

    Con la decisione di sviluppare la Costa Smeralda, si riconobbe la potenzialità di questo grande spazio aperto. L’obiettivo dello studio di pianificazione è quello di impostare lo sviluppo sulla valorizzazione di quel potenziale, dato che la distruzione delle risorse naturali provocherebbe la perdita dell’attrattività della località turistica.

    Il corretto utilizzo dello spazio aperto è la migliore garanzia contro le azioni o politiche distruttive da parte dei proprietari terrieri adiacenti. Nelle zone semi-selvagge, il turista non deve riconoscere nessun confine o linea di proprietà. Si dovrebbe pensare di estendere un vincolo di protezione degli spazi aperti con uso di svago, anche sulle aree oltre i legali confini del CCS.

    Con lo scopo di conservare le peculiarità dell’area, alcune aree dovrebbero essere preservate mantenendo il naturale contrasto tra le aree costiere e le montagne, in modo da rinforzare l’attrattività del resort attraverso l’uso degli spazi aperti.

    L’attività ricreativa è considerata la chiave per il successo del resort. A questo scopo, il tipo di servizi offerti dovrebbe essere vario, come già avviato con la costruzione del campo da golf. Le maggiori attrazioni dell’area sono chiaramente legate all’acqua, tra cui marinas, spiagge, barche, diving, etc.

    Questi tipi di facilities dovrebbero essere diversificati in modo da favorire i bisogni dell’intera gamma di persone che saranno attratte in Costa Smeralda.

    [59]  Il documento, redatto in inglese, è firmato dalla Associazione di Consulenti composta da: Sasaki, Dawson, DeMay Associates; Harman, O’Donnell & Henninger Associates; Interplan Planning Organition Company.

    4.3.2. IL MASTER PLAN E LA PIANIFICAZIONE IN FASI DALLA SCALA TERRITORIALE ALLA SCALA URBANA

    Concept e pianificazione preliminare.

    Gli obiettivi del Master Plan e l’approccio al Piano rispecchiano le considerazioni generali sulla struttura della Costa Smeralda.

    La distribuzione dei villaggi si basa sul principio della concentrazione della popolazione turistica in diversi insediamenti o clusters di medie dimensioni piuttosto che su una o due concentrazioni massive, o ancor peggio su uno sprawl generale. Tale principio era derivato dall’analisi della natura del suolo e dalle infrastrutture inerenti.

    L’obiettivo è quello di creare un resort che sia economicamente efficace, ma che conservi la bellezza naturale e l’unicità del territorio. Il Master Plan illustra questo concetto suggerendo l’approccio ottimale per raggiungere questo obiettivo.

    Mettendo in relazione le qualità visuali di ciascuna area con l’analisi delle caratteristiche fisiche del terreno, tra cui la topografia, la vegetazione, il tipo di suolo, l’umidità, il clima e il vento, si determinano la relativa densità edilizia e l’uso più idoneo per ciascuna area.

    In conseguenza dell’analisi effettuata, si raccolgono le considerazioni generali nel piano Design Concept[60] (Fig. 156) a scala 1:10000, comprendente l’intero territorio della Costa Smeralda. Il piano indica in modo generale la distribuzione dell’edificato già approvato e quello previsto, insieme ad alcuni disegni concettuali che aiutano ad identificare il tipo di costruzione auspicato. Seppure non specificato, emerge dal Piano un sistema di spazi aperti composto dalla fascia costiera e da una serie di frange ortogonali che dalle montagne si infiltrano lungiformi verso il mare.

    Al Piano di intenzioni segue il Preliminary Master Plan (Fig.157), che fornisce una prima definizione approssimata della forma che i nuclei previsti assumeranno, identificandoli ancora una volta per tipologia turistica prevista (hotel, appartamento, casa, villa) e definendo quindi implicitamente la distribuzione delle densità.

    La scelta di determinate tipologie ricettive deriva dalla seguente considerazione: mentre i primi frequentatori della Costa Smeralda domandavano principalmente ville individuali o alberghi di lusso, nel momento in cui il resort si espande si ricerca una più ampia gamma di profili. Per attirare una fascia più ampia di clientela, occorre aumentare le unità ricettive di tipo familiare a prezzo moderato, da ubicare in lottizzazioni residenziali più dense rispetto a quelle costruite fino a quel momento.

    L’uso intensivo di porzioni limitate di territorio è auspicabile anche dal punto di vista economico, in quanto permette un ritorno più alto dell’investimento eseguito.

    Le aree ricreative previste forniscono i servizi commerciali e di svago necessari per supportare l’urbanizzazione, mentre gli alloggi residenziali danno una densità di popolazione all’area.

    La concentrazione delle densità nei clusters offre la possibilità di preservare gli spazi aperti intermedi mantenendo quindi intatte le qualità uniche del territorio.

    L’utilizzo del Master Plan fornisce al promotore una base e una guida con cui valutare gli sviluppi individuali in relazione alla globalità.

    La principale preoccupazione è infatti quella di fortificare l’immagine del resort come un organismo complesso ma unitario allo stesso tempo, in modo che ciascun nuovo sviluppo possa fortificare l’attrattività e l’immagine della Costa Smeralda. Essendo il paesaggio naturale il principale motivo di attrazione della Costa, sarà necessario imporre dei vincoli per evitare l’eccessiva costruzione o l’installazione di servizi che possano compromettere le singole aree o l’intero territorio.

    La costruzione fine a sè stessa non è sempre nei migliori interessi della Costa Smeralda. Un resort vende immagine e atmosfera oltre che beni immobili.[61]

    Programmi e Distribuzione.

    I piani successivi sono quelli che definiscono l’uso del suolo nella sezione Land Use del Master Plan: le linee guida sono di carattere generale e riguardano l’intero territorio della Costa Smeralda anche se in certi casi si suggerisce il controllo del territorio oltre i limiti del Consorzio per evitare una rottura dell’immagine globale.

    I piani che compongono il Master Plan esprimono il grado di attività prevista, la densità insediativa e l’uso del suolo. Definiscono inoltre l’infrastruttura, gli accessi, la distribuzione delle volumetrie e gli spazi aperti.

    L’uso del suolo di un’area specifica del territorio può variare fintantochè la densità globale e l’uso del suolo generale di quest’area rimangano conformi ai concetti illustrati.

    A partire dai piani a scala globale si passa al progetto a scala urbana delle lottizzazioni previste per fasi, con un dettaglio che arriva in certi casi alla scala 1:200. I piani volumetrici e le sezioni indicano le tipologie architettoniche consigliate, i parcheggi, i servizi, l’allineamento stradale e il verde urbano.

    Tali piani, seppur dettagliati, restano in realtà delle linee guida, in quanto il progetto architettonico sarà poi realizzato dai singoli architetti interni e non al comitato d’architettura.

    Il programma del Master Plan prevede 3 fasi di sviluppo, a corta, media e lunga durata.

    La Fase 1 del Master Plan, a breve termine, ha una durata di 5 anni ed è basata essenzialmente sulle proiezioni di vendita fino al 1973. In aggiunta alle vendite, per questo periodo sono stimate le realizzazioni degli alloggi del personale e il completamento dei centri esistenti.

    La programmazione per la Fase 2, a medio termine, copre un periodo di 15 anni e prevede la nuova costruzione di alloggi e servizi, così come è indicato nel piano dell’Uso del Suolo.

    La Fase 3, a lungo termine, è articolata sull’ipotesi che il programma a medio termine costituisca l’ultimo sviluppo possibile per la Costa Smeralda; definisce lo sviluppo delle politiche di controllo delle aree non utilizzate nel programma a medio termine.

    La Tabella 1 indica le proiezioni della costruzione durante le tre fasi.

    Master Plan Fase 1

    La fase 1 del Master Plan prevede il completamento delle costruzioni avviate a partire dal 1962, ovvero la densificazione dei centri già pianificati (Fig.158).

    In un primo momento ci sarà la vendita delle quantità previste fino al 1973, ma solo dopo potranno essere realizzate, quando vi sia l’effettiva richiesta di abitazioni.

    Nel frattempo verranno anche realizzate le residenze per i lavoratori, che saranno inserite nel contesto del resort.

    PORTO CERVO

    L’uso del suolo proposto per Porto Cervo è il seguente per le aree che circondano il porto: una maggiore densità è destinata alle aree localizzate in prossimità dell’acqua tra la strada principale e il porto. Gli usi comprendono hotel, condomini, commerci, ristoranti, club sportivi e attività d’intrattenimento. La zona della Cerbiatta, sviluppata con minore densità attraverso case individuali, costituisce un’eccezione.

    Tale concetto generale parte dall’intenzione di localizzare la più alta densità della popolazione intorno al punto di attrazione primario ovvero l’acqua.

    L’area ad alta densità è stata pensata attraverso una serie di strade pedonali per deviare il traffico veicolare nelle aree periferiche, riducendo il conflitto tra traffico pedonale e automobilistico.

    Le aree a bassa densità a Porto Cervo sono previste il più lontano possibile dalla Piazza e dall’area commerciale, a nord del porto e della penisola.

    Il terreno pianeggiante è l’unico ad avere orientamento sud e a offrire una buona vista dell’area più densa intorno al porto. Quest’area è destinata a grandi lotti da destinare a ville, molti dei quali già assegnati prima del 1968, e che tuttavia saranno incrementati per raggiungere una maggiore densità.

    Il molo nord è l’area alla quale viene destinata una concentrazione più elevata della densità (Fig.159). L’allargamento del molo è indispensabile per accogliere gli yacht più grandi. Sono inoltre previste attività commerciali e un cantiere navale le cui dimensioni non sono pienamente specificate.

    A causa dell’orientamento ed esposizione al maestrale nella parte posteriore del sito, si prevede un denso sviluppo di condomini a sud, conseguendo una protezione dal vento con delle corti interne e giardini.

    CALA DI VOLPE

    In questa fase per Cala di Volpe si prevede l’intensificazione di servizi ricreativi, orientati principalmente al golf, navigazione, nuoto, equitazione, tennis e altri sport. Inoltre una serie di attrezzature di supporto quali commerci, ristoranti e un centro congressi dovrebbero essere inclusi (Fig. 160). Gli edifici dovranno avere un uso misto commerciale e residenziale: tale decisione deriva in parte dalla forma del terreno, che non permetterebbe altrimenti la vista del mare se non nella prima linea di costa. In questo modo, elevando gli edifici e disponendo le abitazioni nei piani superiori, la vista panoramica sarà conservata. Degli spazi aperti sono previsti perpendicolarmente al mare, permettendo agli edifici di avere un’orientazione sud e ampie viste diagonali della baia attraverso questi spazi.

    Il volume di popolazione previsto per l’area di Cala di Volpe, una volta completato, supererebbe quello di Porto Cervo, in quanto i servizi servirebbero anche le zone del Pevero, Romazzino e Piccolo Romazzino.

    ROMAZZINO

    Per quest’area non sono previsti in questa fase numerosi cambiamenti, dovuto alle vendite dei terreni già approvate e all’infrastruttura. È proposto un beach club a nord dell’hotel Romazzino con servizi per la spiaggia e la balneazione.

    A sud est si prevede un’espansione dell’albergo con alcune unità bungalow.

    L’accesso e i parcheggi sono arretrati per preservare il paesaggio e la vista al mare.

    GOLFO PEVERO

    Considerate le caratteristiche topografiche e l’orientamento non favorevole, in quest’area non è consigliabile intraprendere uno sviluppo estensivo. Si dovrà invece trarre vantaggio dalla scala intima dell’area, realizzando un hotel alle spalle della spiaggia e un numero limitato di residenze nell’area più a nord e in quella più a sud della spiaggia.

    Un importante sviluppo è previsto per la congiunzione ad ovest del campo da golf fino alla spiaggia, con condomini e un albergo.

    [60]  I singoli Piani che compongono il Master Plan e che comprendono l’intero territorio della Costa Smeralda sono stati elaborati dai progettisti in scala 1:10000, ma senza un effettivo dettaglio appropriato a tale scala. In questo capitolo tutti i piani saranno riportati in scala 1:50000.

    [61]  Design and Planning Summary. Sasaki,Dawson, De May Associates. Principles of Development Concept and Approach.

    Master Plan Fase 2

    La fase 2 del Master Plan costituisce il programma completo di sviluppo nell’arco di 15 anni e l’adempimento delle proiezioni di vendita disponibili (Fig.161).

    Tale fase è divisa in due ulteriori parti: il programma di 5 anni che corrisponde a quello di vendita della Fase 1, e il programma di sviluppo in tutti i 15 anni. Non vi è un’ulteriore ripartizione durante gli ultimi 10 anni di sviluppo.

    Il Master Plan suggerisce il carattere della distribuzione dei nuclei e la densità di edificazione.

    I nuclei maggiori avviati nei primi 5 anni saranno rinforzati a Porto Cervo, Romazzino, Pevero e Cala di Volpe.

    Un nuovo centro è previsto nella porzione più a sud a Cala Razza di Giuncu.

    Questo ha molti dei vantaggi che Cala di Volpe ha a scala inferiore, tra cui un grande potenziale per la marina grazie all’esposizione più a sud, ampie colline sullo sfondo e un immediato accesso alle tre spiagge. Uno dei principali obiettivi del Piano è continuare l’estensione della stagione turistica attraverso la creazione di un nuovo nucleo turistico in questa porzione più meridionale del territorio.

    Quest’area non dovrebbe essere costruita finché Porto Cervo e Cala di Volpe non siano state completate e una revisione economica indichi che il mercato possa supportare un altro centro maggiore. Non si esclude che lo sviluppo di Cala Razza di Giuncu possa essere orientato verso l’attrazione di un turismo familiare a reddito moderato, che potrebbe dare al resort una più ampia base economica.

    1) Uso del Suolo

    La Fase 2 prosegue con il principio di localizzazione degli hotel e dei residence in siti strategici orientati verso il mare e che generino attività intorno ad essi.

    I siti costieri nelle cale e nelle zone di alta qualità ambientale sono riservati ad usi di svago o ad essere edificati con una densità maggiore. I terreni bassi o collinosi sono principalmente utilizzati per le ville.

    PORTO CERVO

    Il completamento di Porto Cervo si compirà con l’aggiunta dei condomini a nord del molo, un centro commerciale, unità condominiali e case supplementari ad alta densità nelle zone ovest e centrale, e la costruzione di strutture alberghiere dietro il molo esistente.

    La costruzione di strutture pubbliche ausiliarie sarà necessaria in questa fase, includendo cinema e parcheggi di supporto, tra cui quelli proposti dietro l’Hotel Cervo e i restanti beach club.

    Accettando i limiti massimi di altezza delle costruzioni di 2 o 3 piani, il completamento dell’intero sviluppo di Porto Cervo in questa fase giustificherà la costruzione di supporto di Cala Romantica immediatamente a Sud. Dato che questo sito è naturalmente contenuto dalla topografia, l’unico collegamento fisico realizzabile è con Porto Cervo.

    La generale configurazione dell’uso del suolo rinforzerebbe le linee guida architettoniche. La fase di questa costruzione dovrebbe seguire il completamento di Porto Cervo, che sarà densificato prima di espandersi ad altre aree nuove e visualmente isolate. Una volta iniziato lo sviluppo di Cala Romantica, sarebbe auspicabile l’uso dei terreni adiacenti a nord come spazio aperto permanente.

    Questa politica conserverà visualmente sia Porto Cervo che Cala Romantica e articolerà il contrasto tra il porto e la costa costruita da una parte, e l’aspra costa naturale dall’altra.

    GOLFO DEL PEVERO/CAMPO DA GOLF

    L’apertura di Porto Padda in questa fase costituirebbe un investimento rischioso per la possibile concorrenza nei confronti della zona più a sud, che invece necessita di catturare una più ampia e voluminosa sezione del mercato. Quest’intervento viene quindi posticipato alla Fase 3.

    Se non fosse per la sua prossimità al campo da golf, la stessa logica di sviluppo di Porto Padda si dovrebbe applicare al lato più orientale del Golfo Pevero. Tuttavia si intuisce che alla fine della seconda fase la domanda di condomini e strutture alberghiere vicine al campo da golf e al Pevero sarà talmente elevata, in ragione della scarsità di strutture comparabili, che questa lottizzazione verrà ampiamente giustificata. In aggiunta al condominio ad ovest e i complessi condominiali e alberghieri ad est, i Consulenti raccomandano la costruzione di 40 unità abitative aggiuntive di media densità a nord est con viste al Pevero Beach e al Campo da Golf.

    Il completamento dei lotti orientati al campo da golf a sud della strada statale è previsto nella prima parte di questa fase estendendo un accesso da est (Figg 162-164). Ciò potrebbe incrementare in quest’area la costruzione di ulteriori duecento ville orientate al campo da golf. Al momento del completamento di quest’area, l’immagine del Pevero sarà determinata dal campo da golf e dalla spiaggia – una differenza considerevole rispetto alla specializzazione commerciale e l’atmosfera urbana di Porto Cervo.

    Questo tipo di diversità nella Costa dovrà essere enfatizzata.

    ROMAZZINO

    Le aree di Romazzino e Piccolo Romazzino erano sostanzialmente già complete nella Fase 1, con l’eccezione di due aree destinate alla realizzazione di ville su grandi terreni e il complesso condominiale al limite nord dell’area.

    Le unità con più alta densità vicino al nucleo centrale (30 hotels e 60 condomini) potranno essere aggiunte all’inizio della Fase 2. Anche se quest’area è distante da Porto Cervo, si suggerisce che non siano installate in essa attività commerciali, ma che si faccia capo a un nuovo centro commerciale a Cala di Volpe.

    Tale scelta deriva dall’analisi di mercato, che indica nei successivi 15 anni una popolazione tale da supportare non oltre due aree commerciali nella Costa.

    CALA DI VOLPE

    Durante la Fase 2, a Cala di Volpe viene destinato il programma di crescita maggiore: lo sviluppo è concentrato nella baia e nel fronte mare a sud dell’hotel esistente (Fig.165).

    Novanta lotti per ville, 31 case e 84 unità condominiali, così come il golf club e il completamento dell’area a sud della principale strada d’ingresso, sono previsti a Cala di Volpe. Dietro la concentrazione ad alta densità nella baia è proposta una concentrazione di case a media densità vicino all’intersezione tra la strada panoramica e quella d’accesso. Le aree a sud di Cala di Volpe saranno sviluppate durante la Fase 2 per portare avanti gli stessi principi progettuali e politiche di spazio aperto applicate ovunque nella Costa: la baia di Cala di Volpe, Cala Liscia Ruia e Monte dell’Isola sono ricche di spiagge di alto valore ambientale e promontori in tutta la sua lunghezza. Se il mercato lo richiedesse, l’area potrebbe essere saturata da nord a sud con una costruzione del resort densa che non invada la spiaggia e interferisca la vista.

    I pianificatori, con l’applicazione dei principi progettuali stabiliti, cercano di raggiungere in quest’area diversi obiettivi.

    In primo luogo, il programma è organizzato in modo tale da articolare le bellezze caratteristiche della baia: Capriccioli e Monte dell’Isola sono protetti come spazi aperti permanenti per dare un senso al limite della costruzione a nord e sud.

    Cala Liscia Ruja è stata preservata, ed è stata messa l’enfasi sulla naturale armonia della sua relazione con la vallata e le montagne ad ovest.

    Questa relazione è preservata mantenendo uno spazio aperto ricreativo immediatamente alle spalle, risalendo la vallata verso la strada panoramica e le colline posteriori.

    La costruzione di hotel ad alta densità e unità condominiali è proibita per non bloccare questa relazione, anzi queste strutture sono localizzate in densi cluster a entrambe le estremità della spiaggia con accesso immediato. Basse densità a nord della spiaggia sono designate per creare un filtro visuale tra le aree ad alta densità all’estremità nord di Cala Liscia Ruja e il lato sudovest di Cala di Volpe. Ci sono tre aree dense previste lungo la spiaggia, ciascuna orientata verso le attrazioni commerciali o di svago della baia, in modo che venga raggiunto tra queste concentrazioni il senso di dominio dello spazio aperto.

    Il secondo obiettivo è quello di concentrare l’esperienza “urbana” in quelle aree in cui le attrattive naturali non sono abbastanza rilevanti, e lasciare libere dalla costruzione densa quelle aree di alto pregio ambientale.

    Ciò è raggiungibile attraverso la concentrazione della costruzione in capo alla baia di Cala di volpe, che fornisce un’esperienza urbana integrale. Le aree a sud, dove le attrazioni naturali hanno maggior valore, sono preservate come spazi naturali.

    Le regolazioni del Master Plan possono, in certa misura, variare; tali cambiamenti dovrebbero comunque essere effettuati solo con la consapevolezza dei rischi di distruzione del paesaggio a cui si va incontro con una costruzione eccessiva, che deve essere continuamente tenuta sotto controllo.

    Il terzo obiettivo è relativo al controllo del programma e alla saturazione della densità. Dal momento che quest’area è eccezionalmente ricca di risorse, dopo l’avvio della costruzione si potrebbe facilmente cedere alla tentazione di moltiplicare il programma consigliato per questa sezione della Costa.

    È importante quindi accettare che il mercato totale potenziale è limitato, e dipendente più da altri fattori che non dalla sua sola realizzazione. Il programma presentato dai consulenti per quest’area nella Fase 2 rappresenta una distribuzione che considera il benessere relativo delle aree a nord della Costa Smeralda.

    La parte meridionale della Costa Smeralda non dovrà essere avviata in modo estensivo per non dirottare tutto il volume al sud, a meno che i flussi di popolazione previsti crescano smisuratamente e non vi sia spazio sufficiente per accoglierli.

    Come norma generale, le densità minori sono localizzate nei terreni più elevati, mentre la costruzione densa viene concentrata a valle verso il mare.

    Una grande eccezione a questa regola è l’area localizzata ad ovest del Monte dell’Isola lungo la strada panoramica, destinata a case di media densità.

    Cala Petra Ruia riproduce a scala minore lo stesso trattamento di Cala Liscia Ruia. La spiaggia è protetta posteriormente attraverso uno sviluppo moderato di case, un hotel e piccole ville.

    L’area oltre Cala Razza di Giuncu è un’unità fisiografica i cui limiti sono creati dalle creste della penisola al nord e al sud. Per la loro conformazione, si prestano ad uno sviluppo contenuto, in cui le caratteristiche naturali servono da contorno.

    A Cala Razza di Giuncu i consulenti indicano la possibilità di far sorgere un piccolo villaggio dotato di un proprio centro commerciale, hotel e una nuova marina, ma solo nel caso in cui la domanda di mercato lo giustifichi. Secondo quanto richiesto dai committenti, la forma del villaggio segue il concetto e la scala di Port Grimaud in Francia, di cui mantiene la dimensione e il carattere di villaggio orientato al mare. Le unità condominiali del porto, con servizi individuali nel molo, circonderebbero gli ingressi dragati dalla palude esistente. A nord potrebbe sorgere un hotel orientato al porto e al molo, e alle sue spalle i condomini condividerebbero la vista più a sud e l’accesso alla spiaggia a nord a Cala Petra Ruia. A sud un secondo hotel potrebbe essere orientato direttamente al mare e adiacente alla spiaggia. Ancora una volta si accentua che quest’area è strutturata attraverso uno spazio aperto permanente ad ovest e aree ricreative dietro ciascuna delle spiagge, assicurando l’accesso pedonale diretto per i residenti. È importante che l’accesso sia garantito a sud in tutte le aree.

    2) Circolazione

    Il sistema di circolazione veicolare precedentemente stabilito in Fase 1, è stato esteso alle aree di sviluppo. Questi sono in genere cul-de-sacs o strade ad anello minori inserite nel contesto globale e strettamente collegate alla topografia.

    A sud di Cala di Volpe, dove si prospetta la nuova costruzione, sono consigliati due nodi stradali maggiori.

    Il primo anello connette il sud all’area di Cala Liscia Ruia attraverso la lottizzazione di Cala di Volpe, per poi rincrociare la strada panoramica ad ovest del villaggio proposto (Fig.166). Quest’anello ha meno strade d’accesso e un collegamento bisettore che fornisce una connessione alternativa verso la strada panoramica.

    Il secondo anello stradale serve Cala Petra Ruia e Cala Razza di Giuncu a sud (Fig.177). I seguenti concetti motivano il profilo di queste vie:

    – evitare la distrazione visuale quando si guarda al mare da quote più elevate;

    – l’integrazione delle strade con le caratteristiche topografiche, sia per ridurre i costi e le rotture che per enfatizzare la forma fisica del territorio;

    – la disposizione delle strade secondarie per favorire l’accesso al mare

    3) Svago

    Il sistema globale degli spazi aperti viene lasciata più ampiamente alla Fase 3.

    È comunque importante implementare le politiche degli spazi aperti e stabilire aree di svago nelle vicinanze delle nuove costruzioni della Fase 2.

    Il Land Use Plan illustra chiaramente quali sono le aree consigliate per l’implementazione degli spazi aperti durante questa fase.

    4) Riforestazione

    Il rapporto del team di consulenti denominato “Riforestazione della Costa Smeralda” presenta le raccomandazioni specifiche per un’azione di recupero e riqualificazione di quelle aree del paesaggio che sono state danneggiate dalla costruzione o dalla naturale erosione fino

    alla Fase 2. Nella Fase 3 i consulenti propongono approcci generali per il rimboschimento delle maggiori aree della Costa Smeralda e suggeriscono una politica globale nei confronti della piantumazione delle strade in relazione alla gerarchia proposta per l’infrastruttura.

    Master Plan Finale, Fase 3

    Questa sezione contiene le linee guida aggiuntive per l’uso del suolo, da applicare oltre i 15 anni di costruzione prevista nelle Fasi 1 e 2: questo piano è da considerare come la distribuzione finale della costruzione nella Costa Smeralda (Fig.169).

    Sono incluse nella seguente sezione del rapporto brevi descrizioni riguardanti: un ulteriore uso del suolo; la circolazione globale e la gerarchia di strade; la struttura di spazi aperti e svago tra cui una riserva di caccia, beach club e marine; politiche di riforestazione.

    1) Uso del suolo

    Lo sviluppo completo della Costa Smeralda mostra che la costruzione è stata concentrata nelle aree costiere, specialmente su tre zone specifiche (Porto Cervo, Cala di Volpe, e Cala Razza di Giuncu), partendo da una media verso una bassa densità nelle colline e bassipiani, e da una bassa densità alla costruzione diffusa nelle montagne.

    In questa fase, la costruzione è stata estesa per completare o aprire le seguenti aree che si prestano a una costruzione specifica di piccola scala, ma con alta densità: l’Hotel Pitrizza e l’estensione di case bungalow, la lottizzazione Cala Granu, Porto Padda, Cala Nibani e Porto Liccia.

    PITRIZZA/LISCIA DI VACCA

    L’urbanizzazione della Pitrizza mira ad estendere l’hotel in dimensione, e localizzarvi delle case che potrebbero usufruire dei servizi balneari e ristorativi dell’hotel.

    A causa dell’uso del suolo già stabilito, così come degli schemi di proprietà, questa estensione deve avere luogo a sud est della costruzione esistente.

    Il progetto architettonico dovrebbe permettere l’aumento delle unità per favorire la vista al mare.

    Il villaggio esistente di Liscia di Vacca è stato già pianificato nei documenti ufficiali del Consorzio, ma i consulenti propongono una modifica alla luce della necessità di alloggi per il personale in prossimità di Porto Cervo. Il Piano proposto orienta la più alta densità attorno alla chiesa esistente per estendersi all’esterno verso la strada regionale. Anche la costruzione di nuove abitazioni è spostata dal centro a sud.

    Il villaggio è circondato da uno spazio aperto permanente e proprietà di bassa densità; la scelta ha il fine di limitare la crescita di quest’area e mantenerla orientata almeno funzionalmente verso Porto Cervo per quanto concerne i suoi bisogni commerciali e di supporto.

    CALA GRANU

    L’area di Cala Granu può assumere un carattere più esclusivo, essendo protetta dalla costruzione intensa dell’intorno. La spiaggia è un focus eccellente e la sua conformazione naturale può fornire un’area per attraccare piccole barche. Oltre a fornire un insediamento unico per la costruzione, quest’area fornisce diverse conformazioni del terreno e diverse prospettive visuali, ripide pareti rocciose ad est e a nord, tavolati a dirupo che si affacciano al mare e bassipiani che scendono ad ovest e a sud.

    PORTO PADDA/CALA NIBANI

    L’area di Porto Padda è stata sviluppata ad est della strada regionale attraverso ville, case e un hotel. Le colline ad ovest possono essere costruite attraverso grandi proprietà ma si richiede una giustificazione di mercato per gli investimenti. Le case e le ville a sud della spiaggia sono disposte in una piattaforma a strapiombo e con vista al Pevero e alle isole Nibani.

    A Cala Nibani son previste case e condomini. I condomini ad ovest sono situati su viste elevate e protetti dal vento estivo, mentre le case sono ubicate nell’elevazione minore di Monte Zoppu orientate al mare. Le ville ad ovest sono disposte su un terreno piuttosto ripido e creano uno sfondo a bassa densità.

    L’insenatura è uno dei luoghi più attrattivi della Costa per la scala, la vegetazione e la conformazione rocciosa. Avendo l’area l’opportunità di creare un’immagine propria, è riservata per un’offerta turistica all inclusive, una sorta di club condominiale o un resort di qualche compagnia specializzata.

    Le case e i condomini di Porto Liccia sono circondati da proprietà e spazi aperti, e anch’essi fanno riferimento all’attività del Romazzino. Sono ubicati nelle colline a sud completamente protetti da indesiderabili elementi climatici. Il villaggio di Abbiadori, ad ovest di Cala di Volpe, è uno dei due nuclei locali in Costa Smeralda, già in crescita in risposta alla domanda locale dei sardi.

    È un segno positivo, anche se secondo i consulenti costituisce un problema per la Costa.

    Il villaggio è collocato nel maggior collegamento nord-sud tra Porto Cervo e lo sviluppo della Costa a sud. La strada esistente risulta scomoda e pericolosa.

    Essendo il futuro di Abbiadori fuori dal controllo degli accordi e delle convenzioni del Consorzio per l’uso del suolo, i consulenti consigliano la riubicazione di questo collegamento a sud, passando ad ovest alla strada regionale attraverso la vallata. Anche se il controllo non può essere esercitato, un uso del suolo suggerito, se accettato, può creare ad Abbiadori un attrattivo centro abitato in collina, visto dalla nuova strada più a sud. Tale trattamento potrebbe trasformare questo problema in un punto di forza per la Costa Smeralda.

    I consulenti suggeriscono una concentrazione di usi ad alta densità nella parte più alta del sito, occupato dal villaggio, e una futura espansione a sud in uno scenario a media-densità che circonda questo nodo.

    Nella fase 3 c’è ancora una riserva per un piccolo insediamento di media densità ad ovest della strada panoramica, con viste sull’intera area meridionale della Costa.

    Gli altri due usi del suolo indicati nella Fase 3 sono grandi tenute e spazi aperti.

    Questi usi sono in parte simili dal momento che la densità della categoria “tenuta” è talmente bassa da produrre un impatto visivo minore sul territorio.

    C’è, comunque, una differenza sostanziale in queste aree: i terreni destinati a spazi aperti non sono edificabili eccetto per attività ricreative. Queste aree includono creste, montagne, isolotti lontani dalla costa, viste panoramiche e importanti attrattive paesaggistiche che non devono essere intaccate dalla costruzione, che ridurrebbe l’attrattività del resort in generale.

    Le zone “estate” sono quelle in cui la topografia permette di costruire: generalmente, come nel caso delle aree vicino a Porto Padda, Monte Zoppu, Romazzino e Cala di Volpe, queste aree sono liberamente collegate alla spiaggia e ai servizi dell’area urbanizzabile che potrebbe fornire il punto centrale per la loro orientazione.

    2) Circolazione

    Il concetto alla base dell’infrastruttura veicolare è il disegno di un sistema stradale che dia agli utenti un chiaro senso di orientamento, un metodo di accesso funzionalmente soddisfacente, e una variata esperienza durante il movimento attraverso il paesaggio. Una strategia di progetto generale, evidente nello schema di circolazione, si basa sul fatto che le strade maggiori sono progettate per avere sempre la vista al mare e sono orientate verso di esso pur senza seguire il litorale, ma passando invece per le lottizzazioni. Questa strategia preserverà questi terreni per un uso migliore, pur non negando ai conducenti la vista verso il mare.

    Le strade sono state riadeguate per la sicurezza e il controllo della velocità, e disegnate in larghezza per i volumi di traffico previsti. Il trattamento delle vie è considerato in relazione alla loro importanza, sia che si tratti di una strada locale, sia di un collegamento tra le lottizzazioni, sia la strada regionale. L’implementazione di questo trattamento stradale risulterà in relazione gerarchica e ordinata, orientando progressivamente l’utente da una scala all’altra senza il bisogno di aggiunte ingombranti quali le segnaletiche.

    Il trattamento stradale varierà in accordo con la gerarchia stabilita, mantenendo in considerazione i seguenti aspetti: accesso, larghezza, adeguamento della curvatura (verticale e orizzontale), trattamento della pavimentazione, contenimento, illuminazione, segnaletica e trattamento del paesaggio.

    Lo specifico trattamento dovrebbe essere studiato in modo da stabilire degli standard stradali appropriati da rispettare in tutta la Costa, allo stesso modo che i consulenti hanno raccomandato studi per segnaletica e grafica, illuminazione e piantumazione.

    Attraverso il master plan è possibile stabilire la gerarchia di strade: il promotore dovrebbe riuscire ad applicare gli standards elencati sopra con il rispetto appropriato della gerarchia stabilita.

    Il Vehicular Circulation Plan (Fig.170) indica 4 livelli principali di infrastruttura viaria che percorrono la Costa.

    Il primo livello è costituito dalla strada regionale, così classificata perché è un alimentatore esterno per il resort.

    Le due strade regionali conducono da Olbia a San Pantaleo verso sud e a nord da Arzachena a Porto Cervo e a Liscia di Vacca. All’ingresso della Costa Smeralda il carattere di queste strade dovrebbe drasticamente migliorare, offrendo una sensazione di arrivo e di qualità.

    Il secondo e successivo sistema stradale è composto dalle strade primarie, totalmente contenuto all’interno dei limiti del CCS.

    Questo include la strada panoramica e la sua estensione proposta al sud di Abbiadori, raggiungendo la strada regionale ad ovest.

    Il Vehicular Circulation Plan mostra che il trattamento nell’intersezione con la strada esistente a Cala di Volpe potrebbe risultare un’intersezione a T, chiaramente stabilendo la strada panoramica primaria come dominante.

    L’esistente strada panoramica offre già interessanti viste al mare alle aree costruite, e una sequenza scenica di esperienze spaziali quando la strada corre attraverso il paesaggio.

    Il terzo livello di strade consiste in strade secondarie, tra esse le due strade ad anello di Cala di Volpe, la strada ad anello da Abbiadori a Cala di Volpe, Romazzino e Pevero, oltre all’esistente strada principale d’ingresso e quella nuova proposta per Porto Cervo. Lasciata la strada regionale o primaria, un’ulteriore differenziazione di scala dev’essere fatta in entrata e in uscita dalle urbanizzazioni. La piantumazione può essere più ricca e più esotica lungo queste strade nelle aree costruite, e elementi quali l’illuminazione, cordoli, marciapiedi e segnaletiche possono esservi introdotti.

    Questo è facilmente replicabile a Porto Cervo, ma meno nella Strada Statale a sud attraverso Romazzino, dove il trattamento dovrebbe variare tanto in aperta campagna come nei centri abitati.

    Le strade secondarie o residenziali si suddividono in tre classificazioni: connettori, anelli e cul de sacs.

    I connettori forniscono accesso alla lottizzazione distribuendo il traffico in uscita verso un’altra località oppure verso una strada primaria o secondaria. Gli anelli e i cul de sacs hanno origine e conducono a un’intersezione con la strada principale. A causa della topografia e dello sviluppo esistente, le strade residenziali mostrate nel grande piano di Porto Cervo sono generalmente connettori e cul-de-sacs, anche se nel Piano più dettagliato per le aree di sviluppo i sistemi ad anello sono proposti per il centro di Porto Cervo e nel Molo Nord.

    3) Spazi aperti e divertimento

    L’Open Space and Recreation Plan illustra lo spazio aperto permanente, le spiagge, marinas, piscine, aree sportive, i percorsi da fare a cavallo e a piedi, aree di divertimento generali e aree designate come potenziale riserva di caccia e di gioco (Fig.171).

    Spazio Aperto Permanente: quest’indicazione è stata data di proposito a tre tipi di situazioni.

    Le aree costiere sono le prime ad articolare l’immagine globale delle comunità protette nelle insenature, e sono quelle viste dal mare: includono le penisole e le pendici orientate al mare che circondano le aree costiere ad alta densità, le isole lontane dalla costa e le forme topografiche predominanti nell’entroterra come Monte Zoppu, Montilongo, e Monte Moru.

    Il secondo gruppo di aree circonda la strada panoramica e quella regionale per il mantenimento delle visuali, di un’esperienza spaziale, e dell’immagine generale dell’ambiente naturale, vitale per il resort. In queste aree è incluso l’accesso principale alla Costa Smeralda, che ha il ruolo di enfatizzare il passaggio ad un ambiente diverso rispetto alla campagna circostante fuori dai limiti del Consorzio.

    Il terzo tipo di situazione corrisponde ai terreni retrostanti in pendenza, destinati sia a spazio aperto permanente che a tenute di bassa densità.

    L’obiettivo di questo progetto è preservare il senso della natura, le montagne e il mare in tutta la Costa Smeralda, e permettere il predominio di questi elementi sulla costruzione umana.

    Spiagge.

    Esiste una grande quantità di spiagge lungo la Costa Smeralda che rappresentano la principale attrattiva di svago richiesta dal mercato turistico.

    Se ad esse viene sottratta l’accessibilità ai turisti, la capacità attrattiva del resort è automaticamente ostacolata.

    Già il fatto che nei primi anni della Costa Smeralda si sia permessa la vendita e la lottizzazione dei terreni dietro le spiagge, ha limitato l’accesso a queste spiagge da parte del pubblico. Questo permissivismo, anche se può portare un immediato ritorno economico dalla vendita delle proprietà, è distruttivo per la vendibilità futura del resort e deve essere interrotto.

    Si richiede un controllo per il godimento e la protezione di queste attrattive, perciò i Consulenti propongono beach club e comunità vicinali: i club possono operare con una tariffa giornaliera o stagionale per coprire il costo di mantenimento e la gestione. L’accesso a tutte le strade vicinali potrebbe essere gratuito per i residenti del vicinato, mentre un costo potrebbe essere applicato ai visitatori esterni. L’accesso a tutte le spiagge dovrebbe essere consentito ai turisti in modo da fornire una varietà e scelta.

    La capacità di trascorrere più giorni visitando differenti spiagge risulterebbe una grande attrattiva e stimolerebbe vacanze più lunghe. Dei limiti possono essere stabiliti sul numero massimo di persone che possono accedere alle piccole spiagge.

    Si propone anche la possibilità di aggiungere servizi di balneazione nelle spiagge rocciose in supplemento a quelle sabbiose, attraverso piattaforme che permettano l’accesso all’acqua.

    Questa pratica è raccomandata in aree come la profonda scogliera a Romazzino, dove esiste una concentrazione di costruzione ma non una vera e propria spiaggia; lo stesso potrebbe valere per Cala Romantica e Porto Liccia.

    Dalle indicazioni sulla popolazione prevista dall’Analisi di Mercato, questa non è una necessità globale se l’area prossima alle spiagge è abbastanza grande da garantire comodi servizi.

    Assumiamo una popolazione residente e turistica totale di circa 30000 persone nel giorno di maggiore affluenza e che il 50% della popolazione si trovi in spiaggia; con un totale di circa 120000 mq di spiaggia, ciò implica che spettano approssimativamente 8 m2 di spiaggia per persona, o 50 m2 per ciascun gruppo di 6 persone.

    Marinas.

    Si propongono in totale 4 marinas o servizi di attracco: due a Porto Cervo per grandi yacht; uno a Cala di Volpe per yacht più piccoli (massimo circa 20 m), barche a vela, e piccole barche; una futura struttura per grandi yacht a Cala Razza di Giuncu. Strutture minori di attracco esistono a Liscia di Vacca e Romazzino. In aggiunta a ciò, piccoli moli per barche sono stati proposti in ogni nucleo di sviluppo per prevenire la costruzione casuale di tali strutture lungo la Costa.

    Piscine.

    Le piscine progettate sono illustrate nel Recreation Plan. Sono previste numerose strutture lungo la Costa: particolarmente nell’area di Porto Cervo, dove la presenza del porto implicherà la impossibilità di balneazione, sono indispensabili servizi di natazione. Le piscine dovrebbero essere riscaldate e costruite per la protezione dai venti e con un’orientazione a sud per il nuoto, mentre le piscine coperte sono raccomandate per gli sport clubs a Porto Cervo e Cala di Volpe.

    Aree Sportive.

    Le aree sportive vengono ubicate a Porto Cervo, Romazzino, Golf Club, Cala di Volpe e nell’area di Cala Liscia Ruia. Si avverte un grande bisogno nella Costa di una diversità di servizi ricreativi, sia per l’interesse e l’attrattività in generale della località, che per necessità di offrire servizi alternativi in caso di maltempo.

    Le aree sportive a Romazzino e Cala Liscia Ruia sono strutture della stessa natura del Club di Porto Cervo e forniscono una combinazione di tennis, spiaggia, e attività di natazione nell’area locale.

    Lo sport club centrale a Cala di Volpe è concepito come una struttura globale che serve tutta la Costa Smeralda con strutture più intensive, varie e costose.

    Escursioni e Passeggiate a Cavallo, Club equestre.

    Il Recreation Plan indica una struttura per l’equitazione localizzata a Cala di Volpe come parte dello Sport Club. Quest’ubicazione è ideale tanto in termini della sua capacità di accogliere una struttura di questa dimensione, ma anche per la sua ubicazione adiacente al centro abitato.

    Un sistema di percorsi per escursioni a cavallo e trekking viene proposto rispettando gli elementi di progetto e l’uso del suolo già stabiliti.

    In aree limitate questi percorsi tracciano gli assi della costruzione residenziale.

    Nelle zone ad alta quota i percorsi si introducono liberamente nelle aree destinate a grandi proprietà, essendo l’uso compatibile con la bassa densità residenziale.

    Questo tipo di struttura ricreativa potrebbe risultare utile per prolungare la stagione turistica. Particolarmente in tarda primavera quando le condizioni per passeggiare sono ideali e il paesaggio è più confortevole, questa attrattiva sarà maggiormente richiesta.

    Potenziali Riserve di Caccia e Gioco.

    I Consulenti propongono diverse aree che potrebbero essere utilizzate per la realizzazione di riserve di caccia, dal momento che questa struttura potrebbe rivelarsi un’aggiunta appetibile per la Costa.

    Aree indicate dai consulenti pertanto si sovrappongono con altri usi del suolo, incluso lo spazio aperto permanente, la riforestazione, e gli usi per tenuta residenziale.

    Nelle prime due istanze non dovrebbe sorgere nessun conflitto, ma riguardo l’uso residenziale una priorità di uso del suolo dovrebbe essere data in funzione della richiesta temporale. Visto che le zone di proprietà per tenuta difficilmente saranno giustificabili anche dopo il completamento del Piano in 15 anni, i terreni nelle fasi di costruzione precedenti potranno essere adibiti a riserve di caccia e gioco.

    Ricreazione.

    In aggiunta alle varie attività ricreative elencate, il Recreation Plan indica delle aree per altri tipi di ricreazione generale. L’area più ampia è il Campo da golf, in quegli anni in costruzione.

    Gli studi di mercato indicano che la realizzazione di un secondo campo da golf non sarebbe giustificata dalla domanda, e dal momento che questo tipo di struttura implica un considerevole consumo di suolo, se ne sconsiglia la costruzione.

    Se in un futuro le indagini di mercato dimostrassero la necessità di costruire un altro campo da golf, questo dovrebbe essere previsto verso Arzachena, che nonostante le poche potenzialità di sviluppo, possiede una topografia gentile e disponibilità d’acqua, e le difficoltà di costruzione sarebbero minori rispetto ad altre zone della Costa.

    Altre aree ricreative non dettagliate appaiono nel piano nell’area a sud, situate dietro le spiagge e nelle vallate, dove penetrano nelle aree costruite dando ad esse una struttura e uno spazio verde immediatamente accessibile.

    In queste aree, le passeggiate possono essere intese come aree di sosta e di gioco per bambini.

    Con questo approccio, i Consulenti incoraggiano la disposizione di aree di sosta e di riposo in giardini spontanei nelle lottizzazioni, in particolare dove essi si collegano alle strade pedonali proposte e alle strutture generali del resort.

    ELENCO DELLE FIGURE

    (Non tutte le figure/immagini sono state riportate nei capitoli oggetto di questo estratto. Si pertanto rimando alla Tesi di dottorato integrale QUI ⇒)

    Figura 1. Luigi Vietti, Villa Il Ronco a Gravellona Toce (1930).

    Figura 2. Disegni di Vietti del 1928, in cui si manifesta la sua ricerca per alcuni elementi dell’architettura spontanea.

    Figura 3. Mario Ridolfi, dettaglio dei ringhierini dei balconi per il quartiere coordinato CEP a Treviso San Liberale (1959-1963).

    Figura 4. Mario Ridolfi, dettaglio dei ringhierini delle finestre per il quartiere coordinato CEP a Treviso San Liberale (1959-1963).

    Figura 5 (a destra). Mario Ridolfi. Prospetti degli appartamenti INA in Viale Etiopia a Roma (1951-1954).

    Figura 6 (in basso). Ludovico Quaroni, Mario Ridolfi. Planimetria definitiva del Quartiere Tiburtino a Roma (1950).

    Figura 7. Ludovico Quaroni, Mario Ridolfi. Prospetti del Lotto E del Quartiere Tiburtino a Roma (1949-1954).

    Figura 8 (in alto a destra). Veduta dei Sassi di Matera.

    Figura 9 (in alto a sinistra). Ludovico Quaroni, Planimetria del quartiere la Martella a Matera (1951).

    Figura 10 (al centro). Ludovico Quaroni, Progetto per la Chiesa del borgo la Martella a Matera (1951).

    Figura 11. (in basso). Ludovico Quaroni e altri. Borgo la Martella a Matera (1951-1954).

    Figura 12. Veduta di Ostuni.

    Figura 13. Schizzo dello skyline di Ostuni.

    Figura 14. Fotografia del complesso turistico Valtur.

    Figura 15. Skyline del complesso.

    Figura 16. Schizzo dello skyline del progetto, ad opera dei progettisti.

    Figura 17. Villaggio turistico di  Ostuni. Alla chiusura verso l’esterno, accentuata dalla quasi totale assenza di aperture, si contrappone un’apertura all’interno, dove gli alloggi si affacciano sugli spazi comunitari congiungendosi a essi.

    Figura 18. La planimetria del complesso di Ostuni mostra la compattezza nella distribuzione spaziale ricercata sin dal principio dai progettisti. Si rispetta l’allineamento lungo la strada poderale degli insediamenti agricoli del litorale.

    Figura 19. Planimetria del villaggio di Isola Capo Rizzuto nella sua versione definitiva. Tre accentramenti si articolano intorno al nucleo di servizi centrale.

    Figura 20. La planimetria nella sua prima versione più unitaria. Le costruzioni a gradoni verranno eliminate per questioni di stabilità del terreno.

    Figura 21. Fotografia di un blocco del complesso di Isola Capo Rizzuto.

    Figura 22. Località balneare nella costa laziale. Si crea un continuum costruito nella prima linea di costa e non viene stabilita nessuna connessione con il territorio interno.

    Figura 23-24. Studio BBPR, le due proposte per il progetto di sviluppo

    turistico di Capo Stella all’Isola d’Elba (1960).

    Figura 25. Schizzo prospettico di una strada di lottizzazione, dalla quale si ha la possibilità di godere del paesaggio grazie alla disposizione delle case a valle della pendenza e l’apertura del muro.

    Figura 26-27. Piante e prospettive delle case tipo “cometa”.

    Figura 28. Pianta e prospettiva di una casa a gradoni.

    Figura 29. Piano del comparto turistico elaborato dai tecnici della Società Punta Ala (1961-1963).

    Figura 30. Ludovico Quaroni, Piano della lottizzazione “Il Gualdo” (1961-63).

    Figura 31. Ludovico Quaroni, soluzioni per le residenze nel progetto delle barene di San Giuliano a Mestre (1958).

    Figura 32. Planimetria di un blocco condominiale del Gualdo.

    Figura 33. Fotografia di alcuni appartamenti del Gualdo.

    Figura 34. Ludovico Quaroni, Piano della lottizzazione “Poggio le Mandrie” (1961-1963).

    Figura 35. Prospetto di alcune ville di Poggio le Mandrie, di cui erano indicati in partenza la volumetria, i materiali e i dettagli minimi.

    Figura 36. Planimetria della prima proposta per Pineta di Classe, a cui partecipano principalmente Quaroni e Quistelli.

    Figura 37. Modello della seconda proposta a cui partecipa attivamente anche D’Olivo.

    Figura 38. Ludovico Quaroni, Piano d’insieme delle Barene di San Giuliano a Mestre (1958) .

    Figura 39. D’Olivo, Piano di sviluppo turistico di Manacore del Gargano (1959).

    Figura 40. D’Olivo, Piano particolareggiato (1960).

    Figura 41-42. Illustrazioni pittoresche. In alto: Capo Corso in Corsica. In basso: Nuraghe Santa Barbara a Macomer. Le illustrazioni dell’epoca sul territorio sardo sono significative dell’immaginario rurale che la Sardegna evocherà fino al XX secolo.

    Figura 43. Il paesaggio gallurese prima della costruzione della Costa Smeralda.

    Figura 44. Gli stessi elementi che caratterizzano il paesaggio sono quelli che formano l’immaginario paradisiaco della Costa Smeralda. Nella foto l’area di Romazzino.

    Figura 45. Carta dell’Isola e Regno di Sardegna, di Alberto Lamarmora (1845).

    Figura 46. Carta topografica anni ‘50 dell’area Costa Smeralda verso Arzachena.

    Figura 47. Altimetria del terreno e rete idrologica.

    Figura 48-49. Le rocce granitiche e i muri a secco sono una caratteristica del territorio di Arzachena; in questo caso la famosa roccia “Il fungo”.

    Figura 50. Strada rurale di accesso a Cannigione e parcellazione con i muri a secco.

    Figura 51. Curve di livello calcolate ogni 10 metri d’altitudine e rete idrografica. Il terreno va scendendo gradualmente verso il mare con la caratteristica conformazione della costa “a rias”.

    Figura 52. Segni dell’uso antropico del territorio alla fine degli anni ‘50. Il viario, gli stazzi e la suddivisione delle parcelle con i muri a secco costituiscono gli elementi che strutturano il territorio.

    Figura 53. I pastori difficilmente possedevano un mezzo di trasporto prima del boom turistico, e l’unico mezzo era il mulo o il carro a buoi.

    Figura 54. Terreno di vidazzone presso Muravera.

    Figura 55. Tancas sull’altipiano di Abbasanta.

    Figura 56. Organizzazione dei campi nelle pianure della Sardegna meridionale.

    Figura 57. Stazzo elementare.

    Figura 58. Stazzo comune nelle zone costiere collinari caratterizzate da rilievi granitici: le proprietà sono sottili strisce di terra, davanti allo stazzo un piccolo appezzamento con vigna e orto.

    Figura 59. Stazzo costituito da un un’unità edilizia principale e diversi annessi rustici di recente edificazione.

    Figura 60. Sovrapposizione dell’altimetria con le particelle che comporranno i circa 3000 ettari della Costa Smeralda.

    Figura 61. Carta originale della suddivisione originale dei terreni tra i soci fondatori e gli etablissement.

    Figura 62. Il gruppo di progettazione del Primo Piano di Sviluppo della Costa Smeralda (1962). Da sinistra: Arch.Raimond Martin, Arch.Michele Busiri Vici, Arch.Jacques Couelle, Miss Marise Rohan, Arch.Antonio Simon, Arch.Luigi Vietti, Arch.Giancarlo Busiri Vici, Arch.Leopoldo Mastrella.

    Figura 63. Gli arch. Busiri Vici illustrano ai soci fondatori (da sinistra René Podbielsky, Patrick Guinness, e il Principe Aga Khan) i primi piani di sviluppo (1962).

    Figura 64. Hotel Pitrizza in fase di costruzione.

    Figura 65. Schizzo della Pitrizza di Luigi Vietti.

    Figura 66. Hotel Pitrizza oggi.

    Figura 67. Couelle, pianta di una villa a Castellaras le Neuf (1963).

    Figura 68 (a sinistra). Planimetria tipo di una villa del Cala di Volpe di 124 m2.

    Figura 69 (in basso). Prospetti Hotel Cala di Volpe.

    Figura 70. La prima parte del Cala di Volpe è completata (1963).

    Figura 71. Fotografia di una maison paysage di Castellaras le Neuf di Couelle.

    Figura 72. Busiri Vici, planimetria di una villa di 120 m2.

    Figura 73. Busiri Vici, planimetria di una villa di122 m2.

    Figura 74-75. Antonio Simon Mossa, pianta e prospetto di un hotel (1962).

    Figura 76. Fotografia di due ville di Michele Busiri Vici.

    Figura 77. Schemi sulle planimetrie delle ville di Busiri Vici e Couelle.

    Figura 78. Presentazione del Primio Piano di Sviluppo della Costa Smeralda in presenza di vari onorevoli regionali e dello stesso presidente della Regione On. Sergio Corrias (1964).

    Figura 79. L’arch. Vietti illustra il piano di sviluppo di Porto Cervo (1962).

    Figura 80. Il plastico di Porto Cervo secondo il Piano di Luigi Vietti (1964).

    Figura 81. Plan d’ensemble di Porto Cervo.

    Figura 82. Piano di lottizzazione di Porto Cervo.

    Figura 83. Piano di Lottizzazione di Porto Cervo di Luigi Vietti, datato 1965 e controfirmato nel 1968.

    Figura 84. Dettaglio del Piano di Lottizzazione di Porto Cervo.

    Figura 85. Schemi di analisi sulla distribuzione della prima fascia definita “borghi residenziali”.

    Figura 86. Schemi di analisi sugli elementi chiave del Piano di Lottizzazione del 1965, dove si evidenziano gli elementi naturali e antropici preesistenti e la nuova suddivisione dei lotti.

    Figura 87. Distribuzione dei diversi ranghi di superficie dei lotti nel territorio.

    Figura 88. Sovrapposizione dei diversi elementi che compongono il Piano di Lottizzazione del 1965 di Luigi Vietti.

    Figure 89. Avanzamento della costruzione di Porto Cervo: è possibile individuare l’Hotel Cervo, la Piazzetta, il pontile e la banchina del porto. Sullo sfondo, vediamo che alcune ville sono già state completate, tra esse le case del Principe Aga Khan.

    Figura 90. La foto mette in evidenza lo stato di avanzamento della realizzazione dell’infrastruttura stradale. L’insenatura più profonda ospiterà successivamente il secondo porto.

    Figura 91. Cantiere del “centro di Porto Cervo”. L’impresa incaricata dell’esecuzione era di provenienza romana, in quanto le imprese locali si rifiutarono di associarsi per mettere insieme la manodopera sufficiente.

    Figura 92. Dettaglio del Piano di Fabbricazione del 1969 del Comune di Arzachena nella zona di Porto Cervo (Piano Vietti).

    Figura 93. Schemi esemplificativi della distribuzione delle densità nel Piano Vietti del 1969.

    Figura 94. Schema riassiuntivo della distribuzione delle densità nel Piano Vietti del 1969.

    Figura 95. Vista aerea degli anni ‘60 dell’area di Romazzino.

    Figura 96. Piano di Lottizzazione di Romazzino (1965).

    Figura 97-98. Tesi di laurea di Luigi Vietti. Pianta e prospetto del progetto per un complesso alberghiero sul Lago Maggiore (1928).

    Figura 99. Progetto “Genova 1950”. Zonizzazione.

    Figura 100-101. Esempi di distribuzione edilizia del progetto“Genova 1950”.

    Figura 102. Luigi Vietti. Prospettiva e piante dell’albergo Delfino (1937).

    Figura 103. Luigi Vietti. Piante e prospetto dell’albergo San Fruttuoso (1937).

    Figura 104. Luigi Vietti. Prospettiva e prospetto dell’albergo Nord-Est (1937).

    Figura 105. Plastico del progetto di una villa su roccia a sperone (1929-1932).

    Figura 106. Modello di villa su roccia a sperone. Pianta piano terra e piano primo (1929-1932).

    Figura 107. Foto della villa all’epoca della realizzazione.

    Figura 108. Versione definitiva della Villa la Roccia a Cannobio. Pianta piano terra e piano primo. (1936)

    Figura 109. Vista della villa verso il mare.

    Figura 110. Luigi Vietti. Villa di Ugo Nebbia a Mulinetti (1939). Pianta.

    Figura 111. Vista dal lago della Villa Wanda.

    Figura 112. Luigi Vietti. Villa Wanda a Stresa. Pianta piano terra e primo piano (1935-36).

    Figura 113. Luigi Vietti. Piano Regolatore Generale di Portofino.

    Figura 114. L’hotel Cervo appena costruito, prima dell’invecchiamento, nel suo colore bianco.

    Figura 115. L’hotel Cervo dopo la tecnica dell’invecchiamento.

    Figura 116-117. Elementi ricorrenti nel villaggio di Porto Cervo: archi, verande, balconi, sottopassaggi e passaggi sopraelevati, vialetti e portici.

    Figura 118. Planimetria del centro di Porto Cervo, composto dall’Hotel Cervo e la Piazzetta.

    Figura 119. Planimetria di Port Grimaud.

    Figura 120. Planimetria della località turistica Binibeca, Minorca.

    Figura 121. Veduta fotografica del villaggio Binibeca.

    Figura 122. Cartolina di Port la Galere.

    Figura 123. Port Grimaud.

    Figura 124. Portofino.

    Figura 125. Veduta di Porto Cervo.

    Figura 126. Schizzo diagrammatico che riassume il concept del master plan.

    Figura 127. Diagramma esemplificativo della strategia del master plan di Sasaki Associates.

    Figura 128. La mappa è l’unico documento pbblicato relativo al Master Plan di SDDA.

    Figura 129. Programma originale della presentazione dei lavori del corso di Landscape Architecture 1962-63.

    Figura 130. Programma originale del corso Collaborative.

    Figura 131. Piano di analisi “Site Features” del progetto Multalonga, Sardegna, 1978.

    Figura 132. Piano di analisi “Composite critical factors” per il progetto di una nuova comunità residenziale e Walden, Illinois, 1971.

    Figura 133. Piano di analisi “Site Features” per il progetto di un resort e aree ricreative a Kohala Coast Estate, 1968.

    Figura 134. Piano di analisi delle pendenze per il progetto Multalonga, Sardegna, 1978.

    Figura 135. Piano topografico per il progetto di una nuova comunità residenziale a Baywood, s.d.

    Figura 136. Piano morfologico per il progetto di una nuova comuntà residenziale e aree ricreative a Cochiti Lake, 1970.

    Figura 137. Piano altimetrico per il progetto di una nuova comunità residenziale e aree ricreative a Cochiti Lake, 1970.

    Figura 138. Piano di analisi delle condizioni del terreno. Progetto per un resort e aree ricreative a Kohala Coast Estate, Hawaii, 1968.

    Figura 139. Piano di analisi delle viste per il progetto di Multalonga, Sardegna.

    Figura 140. Piano di analisi delle viste per il progetto di una nuova comunità residenziale a Baywood, s.d.

    Figura 141. Piano di analisi delle viste per il progetto di una nuova comunità residenziale a Del Mesa Carmel Real, California, 1981.

    Figura 142. Piano di analisi della vegetazione per il progetto di una nuova comunità residenziale a Del Mesa Carmel Real, California, 1981.

    Figura 143. Piano di analisi della vegetazione per il progetto di un resort e aree ricreative a Kohala Coast Estate, Hawaii, 1968.

    Figura 144. Piano idrologico per il progetto di una nuova comuntà residenziale e aree ricreative a Cochiti Lake, 1970.

    Figura 145. Piano idrologico per il progetto per un resort e aree ricreative a Kohala Coast Estate, Hawaii, 1968.

    Figura 146. Nella presente pagina e in quella successiva si raccolgono in modo sequenziale alcuni dei piani di analisi dei progetti visti finora.

    Figura 147. Cochiti Lake, Master Plan di uso del suolo in relazione ai canali di drenaggio nel progetto.

    Figura 148. Cochiti Lake, definizione del sistema verde in un nucleo.

    Figura 149. Kohala Coast, sezioni che individuano la disposizione dell’edificato in pendenza per la conservazione della visuale.

    Figura 150. Kohala Coast, distribuzione di uno dei villaggi.

    Figura 151. Master Plan of Sea Pine Plantation, 1968.

    Figura 152. Planivolumetrico di Harbortown, 1968.

    Figura 153. Planivolumetrico di Porto Cervo, 1969.

    Figura 154. Piano degli insediamenti esistenti alla data del 1968.

    Figura 155. Analisi delle pendenze e visuali della parte sud della CS.

    Figura 156. Piano concettuale del Master Plan.

    Figura 157. Master Plan preliminare.

    Figura 158. Master Plan Fase 1.

    Figura 159. Piano di lottizzazione per Porto Cervo Marina.

    Figura 160. Proposta per il completamento dell’area intorno a Cala di Volpe.

    Figura 161. Master Plan Fase 2.

    Figura 162. Concept per la nuova area alberghiera e residenziale ad ovest del campo da golf tra Golfo Pevero e Cala di Volpe.

    Figura 163. Distribuzione delle superfici costruite, parcheggi e infrastruttura nella nuova area alberghiera e residenziale ad ovest del campo da golf tra Golfo Pevero e Cala di Volpe.

    Figura 164. Distribuzione del verde pubblico e privato nella nuova area alberghiera e residenziale ad ovest del campo da golf tra Pevero e Cala Volpe.

    Figura 165.Proposta non realizzata per l’espansione del nucleo di Cala Volpe.

    Figura 166. Ampliamento dell’infrastruttura nell’area di Cala di Volpe.

    Figura 167. Ampliamento dell’infrastruttura nell’area di Cala Razza di Juncu.

    Figura 168. Ampliamento dell’infrastruttura nell’area del Romazzino.

    Figura 169. Master Plan Fase 3.

    Figura 170. Piano della gerarchia dell’infrastruttura viaria.

    Figura 171. Piano degli spazi aperti e aree ricreative.

    Figura 172. Sovrapposizione dei muri a secco attuali e la suddivisione parcellare degli anni ‘50.

    Figura 173-176. Schemi rappresentativi dei vari tipi di muri a secco.

    Figura 177. Schemi rappresentativi della relazione tra l’infrastruttura viaria e i muri a secco.

    Figura 178. Fotografia di un muro a secco a originale.

    Figura 179. Fotografia di un muro a calce di nuova costruzione.

    Figura 180. Fotografia della compresenza di un muro a secco originale e un muro a calce di nuova costruzione nello stesso lotto.

    Figura 181. Schema sulla distribuzione dell’edificato nei promontori.

    Figura 182. Distribuzione dell’edificato in piattaforme topografiche a Porto Cervo Marina.

    Figura 183. Aggruppazione dell’edificato in bande visuali parallele alla linea di costa a Porto Cervo Marina.

    Figura 184. Distribuzione dell’edificato in piattaforme topografiche a Cala di Volpe- Pevero Golf.

    Figura 185. La fotografia mostra come gli edifici siano collocati sotto il livello stradale, in modo che dalla via non venga ostruita la vista panoramica e allo stesso tempo l’edificio non sia visibile ai passanti.

    Figura 186. Fotografia di Porto Cervo sud. Gli edifici sono disposti in diagonali visuali senza interferire tra loro.

    Figura 187. Sezioni del terreno.

    Figura 188. Relazione tra infrastruttura e morfologia.

    Figura 189. Analisi della gerarchia dell’infrastruttura.

    Figura 190. Distribuzione dei patterns viari nel territorio.

    Figura 191-193 (a destra). La vegetazione viene interpretata come strumento di apertura verso il mare o verso le viste panoramiche e come chiusura verso la strada.

    Figura 194 (in basso). Schema esemplificativo della distribuzione della vegetazione in due lotti.

    Figura 195-196. Vi è una sorta di dissonanza tra la vegetazione mediterranea disposta a ridosso degli elementi costruiti per mimetizzarli nel verde, e la vegetazione impiantata disposta nelle discese a mare.

    Figura 197. La pietra e la vegetazione sono affiancati come elementi scultorei e decorativi dei giardini.

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