I paesi del sughero

La patria del sughero, si può dire, senza tema d’ingannarsi, è la Sardegna, la bella isola ferace, che da pochi anni solamente s’incomincia a conoscere e ad apprezzare; il paese di produzione e lavorazione maggiore è Tempio, il capoluogo dell’antichissimo Giudicato di Gallura, la Gallura selvaggia, racchiusa entro le sue montagne, solitaria e fiera. E quando da Monti, nella piccola ferrovia secondaria, dalla macchina sbuffante ci si inerpica lentamente per le propaggini avanzate del Limbara, s’incominciano a scorgere le prime quercie, i primi elci.

Poi, sempre più in su, sempre su, tra massi di basalto e di granito scintillanti sotto il sole, è una lunga teoria di sughereti che gettano sulle montagne aspre una nota uniforme d’un verde cupo che sfuma gradatamente verso la pianura.

I sugheri, il quercus suber, quell’apprezzata qualità delle ghiandifere, mostrano in gran parte il tronco polito, liscio, d’un colore che va dal roseo a un rossastro cupo, acceso, in una interminabile scala di gradazioni e sfumature.

La scorza è stata già tolta da abili operai, da quegli operai Galluresi cosi svelti, ricordati anche da Baldassarre Luciano, un viaggiatore piemontese che, in un suo libro sulla Sardegna edito a Torino nel 1843 dallo Schiepatti, ci offre un frammento di dialogo improvvisato tra due Tempiesi che appunto divergono in simile guisa la monotonia dei lavori campestri e in specie quelli del raccolto del sughero:

Dimmi tu, Pietro D’Achena
Un’inchiesta ti vo far
Se non ho di che campar
E rinvenga che pigliar
Prender posso senza pena?

e il compagno prontissimo risponde:

Se t’affidi al mio parlare
Un parer ti vo’ donar
Qual tu sei senza mangiar
Se ne trovi dei pigliar
O per matto vuoi passare.
consiglio è ottimo…. ma…..
Bello è inver questo tuo dire
Ma rimango un po’ imbrogliato
A colui che avrò rubato
Tutto il ben da me pigliato.
Dovró quindi restituire?

e il compagno chiude con un’efficace massima….. comunista:

Tal pensier se ti tormenta
Star digiun molto dovrai
Che in bisogno, in fame, in guai
Ogni ben comun diventa!
Pazzo sei, se ancor non sai

Sughero di Gallura

Il panorama che si svolge abbastanza lentamente è oltremodo pittoresco. È la lunga catena del Limbara, una catena aspra e frastagliata…. tutta enormi massi di granito azzurrognolo, lucente, il migliore dell’isola, accatastati bizzarramente, che si puntellano a vicenda, in bilico su un piccolo piedestallo, sospesi nel vuoto assumendo posizioni strane e curiosi profili di animali antidiluviani, e pare che a un tratto debbano cedere e rotolare con fragore immane sulla via.

Il Limbara, dopo il Gennargentu, è la maggiore altitudine dell’isola; e dalla sua cima più elevata, il picco Balestreri, che si perde in un velo di nubi, qua e là squarciato dai raggi del sole, si scorge lontana la punta meridionale della Corsica, La Maddalena, Caprera e il Mediterraneo azzurro…

I monti sorgono quasi per incanto dai fitti sughereti che attorniano Nuchis, Calangianus, Luras, nei cui dintorni si rinvengono dei pregevoli nuraghi pedras fittas e delle caratteristiche sepolture dei giganti, sepolturas de paladinos, e alfine, nella ricca vegetazione, alle falde del Limbara, accerchiato dai monti Spina, Pulchiana, Bandiera, si stende Tempio, tutta edificata in granito, le cui case basse si confondono con i monti bigi.

La Sardegna produce annualmente 30.000 quintali di sughero. E non c’è di che stupirsi osservando i sughereti che dilagano giù, giù sino ad Aggius, un caratteristico comune ai piedi dei suoi monti granitici, e che si inoltrano sin nell’Anglona e agli estremi limiti della Gallura dove – scrive il general La Marmora nel suo Viaggio in Sardegna – immensi vivono gli alberi ghiandiferi, e dove furono istituiti i primi saggi dell’utilizzare in commercio i sugheri, a tanti scopi destinati.

E a Bortigiadas, piccolo paesello oltre Tempio, tale è l’abbondanza delle quercie che i tetti delle case sono in gran parte ricoperti di sughero, e dal sughero, appunto, chiamato «oltigin» e quindi corrotto in «oltigiada», ha preso nome il paese.

I «suarari», gli abili operai, Galluresi in gran parte, distinguono, dal colore del tronco, che varia dal roseo al nerastro, da quanto tempo sia stata tolta la scorza, perchè, per poter dare tempo all’albero di rimettere la sua veste protettrice, le quercie non si scorzano ogni anno, ma solo ogni tre anni.

Verso luglio, agosto, le corteccie rudi, nerastre, viaggiano accatastate sui carri trainati dai piccoli buoi sardi, tanto resistenti e vigorosi, verso Tempio.

Vengono quindi pesate, esaminate; la corteccia migliore è la meno porosa e la più compatta, e si lasciano nei cortili, esposte per lunghi mesi all’aria. Lu suaru viene allora immerso a più riprese nelle lapie, caldaie ripiene d’acqua bollente, ove certo non vi consiglierei un bagno turco, e poi, per meglio liberarlo dalla scorza e renderlo pulito, viene passato e ripassato sul rasciadori, un raspo tutto punte e chiodi.

Il sughero è pronto per la lavorazione; con «lu farru», coltello speciale, affilatissimo, vien tagliato in fette, e quindi ridotto in quadretti di tutte le dimensioni, dai quali, a mano, o con macchine speciali, si ricavano i turaccioli, di cui si fa annualmente uno straordinario consumo.

Per i turaccioli a mano, l’operaio, seduto su un banco, tiene nella sinistra il coltello, a lama larga, affilata, e con la mano destra fa ruotare un quadretto su sè stesso, aderente alla lama: l’operaio aumenta o diminuisce la pressione del quadretto contro la lama a seconda che il sughero è più o meno duro, ed è perciò che i turaccioli a mano sono preferiti, in commercio, a quelli fatti con le macchine; un buon operaio riesce a ricavare circa 1500 tappi al giorno.

Oltre i turaccioli, gli «uppu», le «nарpedde», piccole coppe, ricavate dai nodi degli alberi, i cappelli, i vasi da fiori, il materiale per la pesca, i piccoli tappeti, abili operai costruiscono pazientemente con sughero di ottima qualità, cornici, scatole, cofanetti… e molti, credo, ricorderanno aver ammirato all’Esposizione di Milano del 1906 il bellissimo mobile, intarsiato e lavorato con fregi e statuette, che conteneva il campionario di una delle più importanti fabbriche di turaccioli di Calangianus.

Inoltre col sugherone, qualità di scarto, si costruiscono mobili rustici, e la polvere di sughero che si ricava mediante macchine perfezionate, serve ottimamente per la conservazione della frutta e delle uve.

Sughero di Gallura

Ciò che ha nociuto all’isola, e di cui si risentono adesso i danni, è stato l’eccessivo diboschimento. Anche il Baldassarre, il quale percorse l’isola nel 1840, e cioè quando Carlo Emanuele, prima, e di poi Carlo Alberto, quest’ultimo forse dopo la sua visita a Tempio nel 1835, concedevano le prime riforme, lo nota, e scrive… «Un imponente quadro presentano le foreste che coprono la sesta parte dell’isola; in esse contemplasi una natura vergine abbandonata a sé stessa. Miransi popolate nel centro di alberi superbi di varii secoli, assisi vicino ad altri giovani, impediti nello sviluppo dalla moltitudine che li circonda. Le piante appartengono quasi tutte alla quarta specie di quercie, roveri, lecci, sugheri».

 E deplora che…. «Sventuratamente i contadini e i pastori invece di procurarne il miglioramento, le guastano e le danneggiano in mille guise» e tosto soggiunge: «Disposizioni severe vennero già emanate dal governo, e giova sperare che in avvenire si rallenteranno almeno i guasti arrecati alle foreste, che ne annullano tanti prodotti, quali principali i legnami da costruzione e l’esportazione delle corteccie di sughero».

A poco valsero, però, quelle leggi, chè delle foreste intere, di alberi secolari, le cui radici sono tuttora piantate nel terreno, vennero abbattute e carbonizzate, non solo dai pastori ignoranti, ma anche dagli industriali per ricavare legna da ardere e da costruzione.

Oggi, però, mediante nuove disposizioni legislative e nuovi saggi criteri impartiti ai contadini, si procede simultaneamente a un adeguato rimboschimento e alla distruzione di varii insetti quali il Coraebus bifoscatus e l’Ocneria dispar, terribili parassiti del sughero.

Ormai la Sardegna si è liberata, in gran parte, dei falsi pregiudizi e delle leggende che l’avvincevano: viene visitata ed amata, i suoi prodotti si esportano convenientemente e si apprezzano anche all’estero; auguriamoci dunque che questo risveglio economico e industriale, che si accentua sempre più, debba segnare il primo passo dell’arduo lavoro che ancora si deve compiere nell’interno dell’isola.

Sughero di Gallura

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