CAGLIARI

medaglione di città

di VICO MOSSA

in

LE VIE D’ITALIA

Rivista mensile del TOURING CLUB ITALIANO ⇒

Organo Ufficiale dell’ente nazionale per le industrie turistiche

Gennaio 1951

(pp. 36 – 44)

Un aspetto della città dalla terrazza Umberto I. Fot. F. Pasta.

Il lento corso dei secoli foggia il carattere alle città: per il loro continuo aggiornamento, si genera una stratificazione d’edilizia e d’arte con l’impronta di nuove civiltà, che le rende sempre più ricche e attuali. Cosi, anche Cagliari, “città storica”, con carattere definito, s’era andata acquistando, negli anni fra le due guerre mondiali, una fisionomia di grande città moderna. I massicci bombardamenti aerei del 1943 ruppero l’equilibrio che andava lentamente raggiungendosi tra vecchio e nuovo, con gli inevitabili compromessi comuni a tutte le vecchie città. La tragica vicenda risolvette, nel giro di pochi giorni terribili, buona parte di quanto gli urbanisti auspicavano per il risanamento igienico dei vetusti quartieri e per migliorare le condizioni al traffico crescente, sempre più congestionato.

Se il carattere delle strade strette, dalle case alte con sospesi balconcini barocchi in ferro battuto e panni al sole, ha perduto del suo fascino partenopeo, ne ha guadagnato di contro l’avvenire dei quartieri. Al primo sgomento, che aveva fatto disertare paurosamente la città, seguì una febbrile attività di ricostruzione, davvero imponente, ma senza una disciplina urbanistica che le avrebbe assai giovato.

Cagliari s’impernia tuttora su alcune impostazioni edilizie di fine e principio di secolo, che costituirono l’orgoglio della città umbertina e alle quali a torto o a ragione i cagliaritani sono più che mai affezionati. Essi chiedevano con apprensione, nel doloroso esodo, se “il Bastione” (quello di San Remy) avesse resistito alle bombe, se “il Mercato” fosse stato sventrato, se “il Municipio” mostrasse ancora il suo equilibrio statico: poiché i tre edifici, oltre ad imporsi per la mole e la singolare architettura, rappresentano la creazione del lungomare porticato, la via Roma, e del vasto largo Carlo Felice, simile a una rambla spagnola, e la sistemazione delle pendici sud orientali del vecchio Castello: i punti nodali, cioè, della Città. Se i secoli han dato a Cagliari una fisionomia che neanche le bombe sono riuscite a modificare sostanzialmente, a renderla grande e di sicuro avvenire è il mare.

Per la sua particolare posizione geografica nel Mediterraneo, essa ebbe fortuna fin dalla preistoria dell’Isola, e le varie dominazioni se la contesero allo scopo, quasi sempre, di neutralizzarne l’efficacia; con il ritorno alla madrepatria, riacquistò la sua importanza e i primi segni di prosperità furono appunto i rinnovamenti edilizi di fine secolo, dovuti ai traffici marittimi, soprattutto alla fiorente industria del sale.

A chi giunge dal mare, nell’incanto dell’ampia curva del golfo degli Angeli, appare il luminoso profilo della città: le case ricoprono le pendici del colle su cui s’erge il vecchio Castrum Kalaris, il Castello, con le superbe torri medievali dell’Elefante e di San Pancrazio, e la cupola barocca della Cattedrale. S’indovina, da lungi, il prodigioso sviluppo: il graduale abbandono del colle, il formarsi, dalle villae, dei quartieri di Stampace, di La Marina, di Villanova e dei nuovi grandi quartieri che hanno invaso le colline tutt’attorno, dall’antico borgo di Sant’Avendrace a Bonaria, a San Bartolomeo, fino alla spiaggia del Poetto. Questo tendere sempre più verso il mare e guadagnare spazio colle ampie colmate, dà subito l’idea esatta della città operosa, che trova nel mare il proprio benessere.

Quando il forestiero, raggiunto il punto più alto della città, dopo aver percorso le rumorose arterie che s’inerpicano, offrendo suggestive visioni scenografiche entra, da una piazzetta silenziosa all’ombra del torrione di San Pancrazio, nel famoso Museo Archeologico, ha il conforto di documenti plurimillenari alle sue fugaci impressioni; ed avverte, ammirando la cospicua raccolta dei bronzetti nuragici (che il mondo ha preso a conoscere e ad apprezzare, si può dire da appena un anno in mostre continentali) il singolare contrasto d’un mondo statico, diverso: Cagliari, cuore pulsante della Sardegna. è in contrasto ancora col suo retroterra, con l’Isola intera, in virtù del suo ruolo geografico. L’accentramento degli uffici a cui di recente si sono aggiunti quelli dell’Ente regionale le attività economiche, le numerose linee di comunicazione, fanno di Cagliari una città dinamica, vivace; le vie aeree transcontinentali descrivono oggi, sul suo cielo, stelle di operosa civiltà.

La terrazza del Bastione rappresenta il baricentro della città; tutt’attorno i quartieri: Stampace con le strade dritte e parallele, avente ognuna la chiesa da cui prende il nome, e il vecchio Borgo con le casette basse; il Castello con le serpeggianti vie spagnolesche; La Marina, conformata a scacchiera con un’abbozzata diagonal e le arterie basse popolate da chiassose osterie; Villanova, con la interminabile via San Giovanni e il nuovo rione di San Benedetto.

Le gradinate frequenti, le “scalette”, raccordano le strade a diversa quota, arricchendo le scenografie; di quando in quando appaiono i Bastioni, e la vecchia punta del Balice, che si spinge avanti a mo di prora, s’intravede spesso fra le case dirute.

Panorama verso il mare della città di Cagliari e del suo porto prima che i bombardamenti danneggiassero gravemente la città è chiaramente visibile lungo il mare la via Roma, e perpendicolarmente ad essa il viale Regina Margherita che giunge fin sotto alla terrazza Umberto I.

Pianta schematica di Cagliari e del suo porto. La città si formò per l’unione al Castello dei quartieri marinari e popolari che si stendevano ai suoi piedi, Villanova a est, Marina nel mezzo e Stampace a ovest.

Un aspetto della città dalla terrazza Umberto I prima dei bombardamenti. Fot. F. Pasta.

La città si è espansa adagio adagio dal Castello e in epoca moderna più marcatamente “a macchia d’olio”. Se fino agli ultimi decenni del l’Ottocento s’era conservata medievale, contando circa trentamila abitanti, ossia un quarto quasi della popolazione attuale, le cause sono da ricercarsi nei fattori storici che – come si è accennato – ostacolarono il suo moto naturale verso il mare. Alle casupole di artigiani e marinai succedettero i palazzi dei mercanti, man mano che i traffici progredivano. Le guerre di questo secolo hanno favorito l’operosità dei cagliaritani, e quella recente, che ha duramente sconvolto la città, l’ha paradossalmente avviata a maggior benessere, a diventare una delle più grandi città del Mediterraneo.

Il giocondo fischiettio dei facchini che spingevano carretti su i selciati striduli di La Marina, i frizzi spiritosi di “is piccioccus de crobi”, il frusciare delle sigaraie verso la Manifattura, o il raglio concorde dei numerosi somarelli che venivano avviati al Mercato sin dalle ore antelucane – macchiette inconfondibili, che contribuivano a caratterizzare la città nel suo primo risveglio operoso – sono stati sopraffatti dalle sirene delle navi e degli opifici, dallo stridere delle possenti gru del porto.

Cagliari è presa da uno spirito di adeguamento moderno nell’edilizia, ma è legata nostalgicamente al passato, all’epoca che ha segnato il suo rinnovamento economico. (È notevole l’attacca mento dei cagliaritani alla loro città, continua mente migliorata per l’interessamento di ottimi amministratori). Ai comuni edifici “commerciali”, che soffocarono certi bei palazzetti settecenteschi, e si moltiplicarono banalmente negli ultimi decenni, stanno oggi succedendo costruzioni di buona architettura. Le numerose case popolari nei quartieri periferici rappresentano la redenzione dei tristemente famosi “sottani”, demoliti dal piccone o dalle bombe. Case vecchie e case nuove sono chiare, luminose; quelle pietre vive, bianche o brune o nere, che danno l’impronta inconfondibile agli altri centri sardi, a Cagliari si vedono raramente. Gli intonaci, con le chiare tinteggiature, reagiscono all’annerimento dei vapori di jodio che s’innalzano in copia dal mare.

Il Castello è ancora il vecchio Palazzo di Città, ora sede del Conservatorio; fu abbandonato, perché angusto e in posizione eccentrica, e si costruì quello nuovo (1897) giù, a pochi passi dalla Stazione delle FF.SS. (Le Reali, come si diceva allora), di fronte al porto commerciale. Diede inizio, con la sua loggia, alla serie di palazzi porticati che formano la via Roma.

La bella passeggiata a mare, che gli amministratori del periodo umbertino sognarono, è già vittima dello sviluppo imprevisto del traffico portuale e regionale. Se il vecchio polverone (alle limpide, tepide giornate con cielo luminosissimo, si susseguono molte giornate ventose) è stato debellato con il vasto lastricato in granito della zona portuale, aggiungasi che la recinzione recentissima, nonché la distruzione, durante la guerra, della bella alberatura che formava la quinta verde verso il mare, hanno fatto perdere parecchio alla via del ruolo di classica passeggiata: come lo perdette in precedenza il vecchio corso Vittorio Emanuele, “la Passeggiata per antonomasia dei nostri nonni.

Si è teste ultimato di ripristinare il Palazzo Municipale, che si volle, come il gusto eclettico di allora esigeva, un palinsesto del le forme architettoniche dei principali monumenti medievali della città. Gli ampi saloni vennero decorati con opere significative di artisti isolani, che attorno agli anni della grande guerra, furono gli iniziatori del movimento artistico nell’Isola.

Le pitture del Figari, con lo sfavillare dei colori dei costumi, raccontano l’epopea e la vita del popolo sardo. A prescindere dall’impostazione urbanistica e dal gusto d’allora – che non collima certamente con quello attuale – il Palazzo Municipale di Cagliari resterà sempre un buon esempio di onestà costruttiva, e rappresenterà il simbolo dell’epoca del risveglio di Cagliari e della Sardegna tutta. Il largo Carlo Felice mostra ancora il monumentale Mercato di commestibili, che la guerra sembrava si fosse portato via. Anch’esso è una istituzione umbertina (1886): imponenti colonnati di granito e grandi tettoie vetrate.

E giustificato l’attaccamento a questo “tempio del ventre”, perché le esposizioni quotidiane dei prodotti sono veramente uno spettacolo: dai rari frutti di mare alle “grives”, ai tradizionali dolci di mandorle; tutte le qualità di carne, di pescato, di frutta e di verdura gridano gli spiritosi mercatini con la cadenza strascicata tipica della parlata dialettale cagliaritana.

I rivenditori gridano nel Mercato, non nelle strade: sono taciturni i polipari di Sant’Avendrace, le frittellare di via Garibaldi, i caldarrostari di via San Giovanni.

Uno spettacolo in un certo senso affine a quello del Mercato, ma drammatico, costituiva fino a qualche lustro addietro l’atto dell’imbarco del bestiame: sembrava di assistere a scene bibliche, quando i preziosi animali dai capaci barconi venivano immessi nelle stive delle navi.

Ora, con la chiusura del porto, sono andati perduti con questo tutti gli spettacoli che esso offriva. Il cagliaritano si sente come offeso dal provvedimento, che boccia tutta la sistemazione della via Roma. Sembra anche abbia perduta la sua canorità, manifestazione tipica delle città di mare.

La caratteristica via Manno, che s’inerpica a ghirigori, tutta densa di negozi, per la sua posizione di saldatura dei vari quartieri, continuerà per lunghi anni ancora ad essere la più viva delle strade di Cagliari, il vero centro cittadino.

Da essa, che inizia dalla parte più alta del largo Carlo Felice, si perviene a monte nella piazzetta Martiri e nella piazza Costituzione, ove è un’altra gloria dell’urbanistica principio di secolo: il Bastione San Remy, “il Bastione” per eccellenza, duramente colpito dalla guerra.

L’ampia Terrazza Umberto I forma di sotto la Passeggiata Coperta, che è anche la valvola di sicurezza della città: dopo ogni guerra si murano le arcate onde ottenere spaziosi locali, per una più pratica destinazione; anche perché come “passeggiata coperta”, tipicamente ottocentesca, è stata presto disertata.

Oggi si preferisce passeggiare all’aperto e, quando piove, sotto i portici di via Roma. Le belle passeggiate non difettano certamente: dalle magnifiche terrazze dei bastioni, il mare offre uno spettacolo grandioso, con i monti oltre il golfo; a sinistra, il Capo Sant’Elia, la Sella del Diavolo e la città balneare del Poetto, il colle di Monte Urpinu coperto di pini e, in primo piano, il colle di Bonaria con in cima il Santuario famoso non più solitario.

Verso Villanova lo sguardo spazia nel Campidano, limitato dai monti dei Sette Fratelli, con la costellazione di grossi villaggi che ormai son diventati i sobborghi di Cagliari: un punteggiare bianco di case, in mezzo agli orti e ai vigneti.

Dalla passeggiata del Terrapieno è una sequenza di piani interessanti: appare il Monte Claro e su, verso i giardini pubblici, il colle di San Michele, col vetusto Castello medievale sormontato dagli alti tralicci della radio. La salita al Castello è faticosa, ma mostra scenografie d’interesse per le pittoresche case sul roccione a strapiombo; il piccolo piazzale dell’Arsenale, diaframma dei due versanti, è un dolce riposo.

Pervenendo dalla Porta Cristina alla passeggiata del Buoncammino, l’occhio spazia nuovamente dal Campidano propriamente detto agli stagni e di nuovo al mare. Da essa si godono meravigliosi tramonti, arricchiti dalla presenza degli stagni. In primo piano, i tetti delle case, dalle più strane forme, le piccole costruzioni tipiche su le terrazze che non sono altane, ma casette più piccole, coperte a tetto a due falde; di quando in quando, cupo lette, campanili a torre e a vela fanno capolino.

Al di là degli stagni, in fondo, come strani villaggi, brillano al sole le grandi bianche piramidi di sale: esse denunciano la maggiore industria della città.

L’ottocentesco Palazzo Comunale sulla Via Roma riprende ecletticamente motivi dei monumenti medioevali. Fot. Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie della Sardegna.

Il Largo Carlo Felice dalla via Roma si prolunga fino ai piedi della collina su cui sorgeva il castello.

Un angolo della piazza venne con la colonna che segna l’inizio della strada che congiunge Cagliari con Porto Torres. Fot. Soprintendenza ai Monumenti Gallerie della Sardegna.

Dai primi doks che i Fenici quasi certamente istituirono e che i Cartaginesi incrementarono per i loro traffici, Cagliari subì le decisioni di molte dominazioni: romana, bizantina (dopo una parentesi vandalica e un’altra, successiva, non continua, araba), genovese, pisana, aragonese, austriaca, spagnola e sabauda.

Nel tessuto stradale e nelle architetture si avvertono tutte queste fasi. Il più incisivo segno della dominazione romana è l’Anfiteatro, scavato in parte in una collina, e la Tomba ipogeica di Atilia Pomptilla emana un soffio di poesia, espressa da esametri greci. Le zone archeologiche di Tuvixeddu e di Sant’Avendrace sono una immensa necropoli punico-romana nella nuda roccia calcarea, sulla quale le nuove costruzioni e sistemazioni stanno cancellando il caratteristico ma triste spettacolo delle grotte e rombe trasformate in abituri umani, che la guerra recente ha incrementato. Cagliari medievale fu una piazzaforte, un grande baluardo soprattutto.

L’architettura militare vi ha scritto delle pagine fra le più belle: dai baluardi pisani del XIII secolo ai bastioni cinque-settecenteschi.

La città antica è più conservata, nel quartiere di Castello e la nobiltà per questo preferisce ancora le sue strettoie. Vi è il Duomo, il vecchio Palazzo Municipale, il Palazzo dei Vicerè, palazzetti gotico-rinascimentali e fra i palazzi sei-settecenteschi, quelli dell’Università e del Seminario. Ancora: il Palazzo Boyl, di felice impostazione, la bella chiesa di San Giuseppe, in forme barocche romane. Le vie longitudinali, disposte a fuso, sono interrotte da piccoli spazi di riposo, da piazzette piene di fascino.

I vari dominatori vi portarono soldati e mercanti; l’arte vi prosperò poco, relegata quasi alle chiese: dovuto al fatto che lontano vivevano gli aristocratici feudatari. Cagliari, che possiede il monumento forse più interessante dell’Isola, la chiesa più antica della città, dedicata ai SS. Cosma e Damiano (che, colpita duramente dalla guerra, la Soprintendenza ai Monumenti sta restaurando con amore), non ebbe chiese medievali pari per splendore a quelle che ingemmano le altre contrade dell’Isola. Il Duomo fu più volte modificato, specie nel Sei-Settecento e l’attuale arbitraria facciata è stata eseguita da pochi decenni.

È più interessante la parte absidale, dal Terrapieno, fra le romantiche sistemazioni e soprastrutture sull’alto roccione. Esso accoglie, fra l’altro, il bel dono della Repubblica Pisana, il pulpito che Maestro Guglielmo aveva scolpito per S. Maria di Pisa. Della più bella chiesa di Cagliari, San Domenico, la guerra ha fatto uno scempio tale da non permetterne la ricomposizione (si sta procedendo alla conservazione delle strutture superstiti): del periodo gotico-aragonese, eccelleva per le superbe volte stellari. Non è più nemmeno la chiesa del Carmine, con alcune strutture del XV secolo.

Di questo periodo, rimangono le chiese popolari di Bonaria, di Sant’Eulalia, di San Giacomo, la piccola Purissima, bell’esemplare di gotico aragonese. Sant’Agostino è l’unico esempio di Rinascimento in Cagliari. Le chiese barocche sono le più importanti per numero e per carattere: Santa Caterina de’ Ge novesi è andata completamente distrutta; le più notevoli di questo tempo sono San Michele, con pregevoli marmi, già restaurata, e, in via di ricostruzione, San Giuseppe; infine, Sant’Anna, del periodo piemontese. Le altre chiese, numerose, interessano solo per qualche particolare o per l’arredo o per qualche tela o scultura.

Alla totale distruzione dei teatri, è seguita, dopo la guerra, una fioritura di moderni locali di ritrovo; ma la nostalgia per il teatro a ferro di cavallo per i cagliaritani che ne possedevano uno neo-classico, il Civico, e uno ottocentesco, il Politeama Margherita è grande come le altre nostalgie rimarcate. Il teatro con logge ricorda l’uso dei balconi (ogni finestra della vecchia Cagliari aveva un balconcino, dal quale le ragazze amoreggiavano) e il teatro è il tempio ufficiale per la registrazione dell’orecchio musicale, di cui i cagliaritani sono dotati. Il grande tenore Mario de Candia nacque a Cagliari, come il popolare Piero Schiavazzi, spentosi in questi ultimi anni.

Ai vecchi caffè ottocenteschi, lungo “La Passeggiata”, si sono sostituiti modernissimi bar per i frettolosi uomini d’affari; numerosi e assai frequentati, i cinematografi e i sodalizi. (La città, dall’immediato dopoguerra vanta una vita intellettuale intensa, soprattutto per merito del l’Associazione “Amici del Libro”). Restano, però, ancora, i salotti privati e per esservi ammessi, occorre un lungo tirocinio, che i forestieri, forse a torto, chiamano diffidenza.

La scarsezza di fontane monumentali rispecchia l’annoso problema dell’approvvigionamento idrico: da quando i Cartaginesi costruirono i cisternoni nel Castello, fino alle odierne “ore” di erogazione. Si fa uno sforzo per dotare di verde la città, che ha due bei polmoni ottocenteschi nei Giardini Pubblici, posti in località un po’ eccentrica, e nell’Orto Botanico. La guerra si è portata via, coi teatri e i balconcini di ferro, anche l’alberatura umbertina: i bei palmizi e i monumentali, superbi esemplari di areucaria.

I negozi sono stati novecentizzati, come i balconi delle case, ma la città è ancora legata al periodo pre-e-umbertino. Nei vecchi quartieri è ancora provinciale; vi permangono vecchie usanze: nelle strade tortuose avverti, per esempio, di quando in quando, ancora lo scampanio di un crocchio di ragazzi per rintracciare un bimbo smarrito.

Cagliari è rimasta ancora “monarchica, bigotta e festaiola”, come scherzosamente la cantò un poeta sassarese di quell’età felice? Ai re sono intitolate strade e bastioni. Le due piazze principali sono dominate da grandi statue: un re, Carlo Felice, sulla piazza Yenne, là dove parte la strada che percorre tutta l’Isola, fino a Porto Torres, e la Madonna del Carmine, nella omonima grande piazza ottocentesca, dirimpetto al trafficatissimo viale Trieste. La Madonna di Bonaria, Sant’Efisio, San Salvatore da Horta, Beato Fra Ignazio da Laconi sono i santi veneratissimi dai cagliaritani, nei loro frequentati Santuari. Appostati all’ingresso dei templi, trovi ancora i caratteristici mendicanti che offrono immaginette, veri “perdioseros” spagnoli.

I cagliaritani frequentano allegramente le feste popolari delle borgate e dei paesi viciniori, affollano specialmente Pirri per la solennità di Santa Chiara, e Decimo, per la sagra di Santa Greca. Ma è specialmente nella ricorrenza del primo maggio, per la processione tradizionale di Sant’Efisio (il glorioso guerriero-martire cagliaritano) che Cagliari tutta si scorda del suo avvenire di città moderna e fa volentieri un tuffo nel passato: vuol godersi la pittoresca cavalcata dei “Campidanesi” in costume, dei rossi “Miliziani”, della compassata “Guardiania” e dell’ “Alter-Nos”. La marea che si rovescia nelle strade di Stampace e di La Marina, fino a La Playa (la lingua di terra che separa lo stagno di Santa Gilla dal mare), lungo il percorso del singolare corteo, che accompagna il simulacro alla lontana solitaria chiesetta di Capo Pula, è costituito da quella borghesia, che è rimasta ancora umbertina, che ha sentito la geografia e ha voluto il mirabile sviluppo di Cagliari.

La cattedrale (Santa Cecilia) originariamente in forme romanico toscane ridotta barocca nel XVIII secolo, mentre la facciata è stata recentemente rifatta ispirandosi alle linee romaniche della costruzione primitiva. Fot. F. Pasta.

Chiesa S. Michele, bella chiesa barocca del XVIII secolo. Fot. F. Pasta e Soprintendenza ai Monumenti e Gallerie della Sardegna.

Le antiche case, impostate sul roccione del Castello, viste dal viale del terrapieno. Fot. soprintendenza ai monumenti e gallerie della Sardegna.

Cagliari è una moderna città la cui importanza come centro di commerci e nodo di comunicazioni cresce sempre di più. Essa però conserva in alcuni vecchi quartieri il pittoresco aspetto datole dalle sue tipiche architetture. Fot. F. Pasta.

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