[p. 10]. La farà arrostire al ristorante della stazione ferroviaria, dove starà benone in quanto a vino, che è buono in tutta l’isola, ma così così in quanto al mangiare.
[13. A Ozieri]. È proprio cosi, soggiunse egli, e ciò significa che adesso entriamo in una regione più fertile e più ricca, in quella di Ozieri. Però vedrà sempre pascoli e pascoli, non mai campi lavorati coi loro filari d’ alberi maritati alle viti, colle loro siepi educate con arte. Queste cose non si usano in Sardegna, dove l’agricoltura è in uno stato preadamitico, e dove non si curano che la pastorizia, un po’ la vite e il grano.
[pp. 18-19]. Indi il treno sbuffando, cigolando, sale, sale, lentamente, a stento, sul versante settentrionale della catena del Marghine e arriva finalmente alla sommità maggiore, alla stazione di
Macomer (650 m. sul livello del mare), dove palazzine eleganti e giardini e vigne ridenti rompono la monotonia dell’ alpestre paesaggio.
[p. 20]. A Oristano, era circa mezzogiorno, discendiamo per fare acquisto di provvigioni per la colazione in quel meschino caffè della stazione, dove trovansi sempre buone anguille arrostite, aranci stupendi e la vernaccia divina. Mangiammo, s’ intende, in treno, con un caldo indiavolato, chè più ci avanzavamo verso Cagliari, più si faceva soffocante. Dopo mi sarei dato volentieri in braccio a Morfeo, ché l’operazione del chilo e i fumi del vino invocavano commovente- mente; ma stetti sveglio, al mio posto di viaggiatore che vuole tutto vedere, tutto notare fino alla fine.
[p. 22]. Indi abbiamo a sinistra i monti di Uras e di Mogoro, estreme appendici della montuosissima regione della Barbagia, su cui si estolle il re dei monti sardi, il Gennargentu, e a destra l’immensa pianura del Campidano di S. Gavino, tutta campi, vigne e pascoli, spoglia addirittura di qualsiasi albero, eccetto che di qualche palmizio, alla quale servono di sfondo le metallifere montagne di Arcuentu, di Montevecchio, ed altre, ricche di ben avviate miniere.
[p. 37. Lanusei]. La principale, direi quasi l’unica coltivazione, cui attende con cura ed amore questa brava gente, è quella della vite.
Quindi tutto intorno al paese e giù nelle ridenti vallate non si vede che una successione continua di vigne rigogliose, le quali producono un vino eccellente e, per giunta, a buon mercato, il rinomato Ogliastra, che forma la più grande industria della regione ed è ricercato assai dai continentali, massime dai Genovesi, che l’apprezzano molto, specialmente pei due o tre battesimi cui può benissimo sottostare.
[p. 46]. Essi [i coscritti] arrivavano dai lontani villaggi a gruppi di venti o di trenta, a cavallo, spesso col sindaco o col segretario comunale in testa, e nel breve soggiorno a Lanusei tenevano un contegno calmo e dignitoso, senza abbandonarsi mai a canti od a schiamazzi, come non si usa fare dai coscritti di molte parti del continente, i quali per lo più dimostrano un’allegria ostentata, che spesso è effetto del vino e sempre di disturbo al prossimo.
[p. 72. Cagliari]. Entro sacchi, o ceste di vimini, vi sono pure, ravvolte nel mirto, le prelibatissime taccole, o grive, che son tordi lessati, e c’è dovizia d’ ogni specie di pesce, delle famose porchette, di uva da pasto bellissima, di mele di Sassari squisite …
[p. 79]. Anche in quanto a vita Cagliari può stare al pari colle migliori città del continente, avendo essa fatto molti progressi e abbandonate certe usanze, certe originalità,
certi sconci che scrittori di altri tempi non trascuravano di far notare.
Là voi, oltre al trovare ciò che volete circa al mangiare e al bere, col vantaggio di un vino che è sempre buono e di pura uva, trovate pure svaghi di passeggiate pubbliche amenissime, di ritrovi rallegrati da bande musicali, ed avete alberghi decenti, caffè bellissimi, in alcuni dei quali alla sera si tengono recite e concerti.
[p. 85]. Continuando la nostra strada e, man mano che i si avvicina ad Iglesias, si capisce che siamo a loca distanza da un centro di una qualche importanza. Per la campagna, tutta coltivata ad oliveti, a campi, messi a scacchiera, a mandorli, a vigne, ed a frutteti…
[p. 91]. La principale risorsa d’ Iglesias sono le miniere, dove lavorano tutti i giorni migliaia d’operai, di cui una parte sono continentali. Alcuni dicono che tante braccia levate all’agricoltura finiscono per essere un danno grave. Sia come si vuole. La cittadina ne risente vantaggio, perché li si spende molta parte del denaro di quegli operai. Del resto anche l’agricoltura non vi è abbandonata ed un’ altra risorsa degli Iglesienti è il vino squisito, abbondante.
[p. 116. Verso Ozieri]. Dalla stazione di Ozieri, guardando lungo un gran vallone formato dal Riu Mannu (Rio grande), vedo lassù in alto questa città accoccolata in una specie d conca, a cui fanno corona bei colli verdeggianti, che si staccano da quel gruppo montuoso, su cui sovrastano il Monte Rasu e i monti di Buddusò. Mi corico dentro uno dei soliti onnibus sardi e, salendo su per quella valle ridente, dal verde cupo di pascoli e di vigne rigogliose, rotto di quando in quando da campicelli di biade e da casette bianche di bucato, arrivo, dopo venti minuti circa, ad Ozieri.
[p. 123]. Luras, villaggio che si distingue dagli altri vicini per l’irrequietezza de’ suoi abitanti, i quali parlan perfino in modo un po’ diverso dagli altri Galluresi, e poi giungiamo a Nuchis, circondato da belle vigne, da campi, da frutteti, da castagneti, da pascoli e, dopo nove chilometri, trascorsi fra luoghi ameni, ben coltivati, ricchi di vegetazione, sparsi qua e là di stazzi e di nuraghi e famosi per frutta abbondante e squisita…
[p. 149. Porto Torres]. Molte di queste vedevo accoccolate sulla soglia di casa, intente a divorare un misero pranzo, composto di lattuga, senza condimento, e di pan nero.
– Ma mangiate soltanto questo? Domandai a qualcuna di esse.
– Sissignore, mi risposero, meravigliate per la mia meraviglia. E cosi è per tutto l’anno. È molto se qualche volta facciamo la minestra.
– E del vino e della carne non ne avete mai?
– Carne quasi mai. Il vino poi non sappiamo eppure cosa sia.
[pp. 177-78]. Circa al confortabile, vi sono alberghi passabili, le osterie, o bettole, poi se ne vedono anche troppe e, se si considera che ogni proprietario di vigna, per signore che sia, vende il vino in casa propria, facendo sporgere fuori della porta una banderuola, od una frasca. le quali si ritirano quando le botti restano vuotate del tutto, si può dire che in una casa si e nell’ altra si puossi andare a buffare, cioè a bere. Il mercato pubblico, un po’ modesto e rustico, con quella rozza tettoia da rimessa, è sempre abbastanza ben provvisto, e, ciò che più torna vi offre i generi, specialmente la carne di maiale ed pecora e il selvaggiume, fra cui spesso il cinghiale e il muflone, a prezzi molto miti.
[p. 179]. In Nuoro al solito caffè, che è riservato per donne, si preferisce il vino e invece della chicchera si offre all’amico, o all’ospite, il bicchiere ricolmo, col sacramentale invito: buffa! buffa! a cui sarebbe offesa il rifiutarsi.
[p. 183]. Nelle cerimonie di sponsali, le quali non sono più quelle così curiose, che si trovano descritte nei libri, e che si usavano forse in certi villaggi cento anni addietro, vidi che si mandavano alla sposa, agli amici e dai parenti, ceste piene di grano, come augurio di abbondanza, e che conficcate nel grano eranvi bottiglie di vino, spesso in tanta quantità da poter servire alla famiglia per un anno intiero.
[p. 188]. In Oliena, che ha i soliti tuguri raggruppati insieme ai piedi di un monte di granito, orrido ed a picco, tetro, minacciante rovina, fummo ricevuti in due case, dove ci fu offerto di quel vino sublime, la cui fama mondiale è veramente meritata.
[p. 192. Orgosolo]. Gatta ci cova e la sa lunga costui, pensai io, che sapevo già come quel prete non andasse mai d’accordo coi Brigadieri dei Carabinieri. Ma non feci motto. Egli continuò a parlare un po’ di tutto. Disse corna del sindaco, del segretario comunale, coi quali era sempre in lotta, si lamento delle tasse (qui aveva forse ragione) e parlò di miseria, di mancati raccolti, forse anche allo scopo di farsi perdonare un bicchier di vino che ci offri e che pareva aceto, dopo il quale, noi, dando un’occhiata alla camera attigua, dove si vedeva una bella tavola apparecchiata per la cena, alla quale, neppure pro forma, egli non c’invito, ci congedammo, andando, al solito, a mangiare e a dormire dai Carabinieri.
[p. 204]. In ogni modo io trovai in Orune tutti gli animi quieti e tranquilli, gli odii smessi, almeno apparentemente, e una vita e un benessere prima non mai veduti. Di ciò mi potei persuader meglio ad una festa campestre, a cui, gentilmente invitato, intervenni. Si trattava d’una delle prime vigne, che ivi si impiantavano. Il municipio, allo scopo di favorire l’agricoltura, per l’ addietro trascurata, aveva istituito un premio per chi piantava un dato numero di viti. Un proprietario, scelta la località, dissodato il terreno, raccolte le giovani viti, invitò molti amici ad aiutarlo a piantarle e ottenne che intervenissero pure tutte le autorità, compresi, s’intende, il brigadiere dei Carabinieri, e i principali abitanti del villaggio.
[p. 205. Nuoro]. Qua e là si vedevano barili di vino, cesti di pane, di formaggi, di frutta, utensili di cucina, carri …
[pp. 205-206]. Quando Dio volle, il pranzo fu pronto. Io fui destinato alla tavola, chiamiamola cosi, d’onore, fra il sindaco e il medico condotto. Eccettuati pochi, seduti su panche basse, improvvisate, tutti erano seduti per terra. Ci servivano alcune donne con una grazia, con un garbo, con sorrisi da far perder la testa. S’incominciò colla minestra di brodo di pecora, poi vennero l’eccellente porchetta e la tattalia. Ciò che assolutamente non potei mandar giù fu un certo dolce, detto, giuncato, o mediolatu, il quale, benché amaro, agro, fatto con panna inacidita, forma la delizia di quella gente. Si divorò ogni cosa, fra una grande allegria, che era favorita da un vino squisito, abbondante, di cui vi riempivano sempre il bicchiere. Venuta la stura dei brindisi, parlarono il sindaco, appartenente ad una delle famiglie che più hanno sofferto pel processo Satta-Musio, il medico condotto, alcuni pastori, che, con una facilità straordinaria, intavolarono dialoghi in versi estemporanei, ed io, che, con quei vapori alla testa, dissi non so quali corbellerie.
[p. 221]. Questo triste pensiero della malaria mi accompagnava sempre nelle mie gite che facevo in barca nel fiume, nelle quali potevo ammirare quella vegetazione lussureggiante, addirittura tropicale, quei bellissimi giardini di aranci e di limoni, quegli orti ricchi d’ogni ben di Dio, quei frutteti, quegli oliveti magnifici, quelle vigne rigogliose e tutto quel verde cupo, interrotto dal giallo degli agrumi, su cui ergevano maestosamente il capo superbi palmizi, che ti davano un’ idea di paese orientale. E lì, sotto quel cielo cosi bello, ai raggi di quel sole cosi splendido, cosi benefico, in quei luoghi cosi ameni, incantati, io non potevo comprendere come vi potesse essere mal’aria, mi pareva impossibile che quelle graziose villette anche, lì, fra la fitta verzura, rispecchiantisi nelle acque del fiume, non si potessero abitare di continuo quasi mai nelle più belle stagioni dell’ anno e di notte.