I banditi galluresi
di Francesco De Rosa
Quando un Gallurese commette o viene imputato di un’azione criminosa che lo potrebbe portare in prigione, rammentando il vecchio adagio – “È meglio uccel di bosco che di gabbia” – piuttosto che essere arrestato e perdere quella libertà che gli è così cara, batte la campagna contento (preferendo vivere all’aperto esposto alle intemperie, all’imperversare delle tempeste, al furioso scatenarsi dei venti, al cader delle piogge e delle nevi e ai cocenti raggi del sole estivo; spesso privo di nutrimento e d’un misero giaciglio in cui possa riposare; lontano dai vecchi genitori e dall’affettuosa e dolce compagna della sua vita magari sposa da poco; dai teneri suoi figli, tanto bisognevoli d’aiuto e di protezione; ramingo e perseguitato senza tregua alcuna dalla fazione nemica e dalla pubblica forza).
Non si creda però che egli, appena messosi al bando della legge, si dia ai furti o al mestiere infame del sicario: perché meglio si accontenta d’andare incontro alle più desolanti privazioni ed alla stessa morte che torcere un capello a persone contro cui non abbia ragione di rivalersi.
È vero infatti che egli ama la libertà più di ogni altra cosa, ma al di sopra della libertà ama la nomea di bandito onesto e cortese come lo furono tutti gli altri della Gallura, per cui non c’è pericolo che si renda colpevole di azioni biasimevoli per avidità di danaro o per farsi vile strumento dell’altrui vendetta o prepotenza.
Per altro, chiunque egli sia, ben pochi sono i suoi bisogni durante la latitanza: a lui è sufficiente per sopravvivere un tozzo di pane o di focaccia (il mangiar pietanze è per lui rarissima cosa) e un po’ d’acqua bevuta alla fonte, e come giaciglio un sottile strato di foglie secche nel cavo di qualche grotta, nelle spaccature delle rupi, sulle cime inaccessibili dei monti o nel covo abbandonato di qualche animale selvatico. E ciò che non gli dà generosamente la natura, se i parenti non sono in grado di aiutarlo, egli lo chiede all’amicizia ed alla carità dei pastori, contento di supplicare e di stender la mano invece che di allungarla per impossessarsi col furto o con la rapina della roba altrui.
E non solo egli non commette azione criminosa e riprovevole che non sia a scopo di vendetta o di legittima difesa, o per castigare meritatamente un infame delatore, nei quali casi è implorabile ed efferato; ma non permette neppure che altri si attentino di commettere, nelle cussorge, o nei pressi ove dimora o si trova di passaggio, crimine o delitto che possa venire a lui addebitato, e se qualcuno ardisse farlo sa egli costringerlo a restituire il mal tolto ed a fargli pagare in modo più spiccio e grave il prezzo della sua scellerataggine.
E come non vuole che si attenti alla vita e alle sostanze altrui, così nemmeno tollera che ne sia macchiata la fama e l’onoratezza con le calunnie o col venir meno alla parola data da qualcuno ai parenti d’una fanciulla di farla sua sposa; ché se ciò facesse si prende egli l’incarico di riportare alla ragione l’imprudente e di far accordare all’offeso la dovuta riparazione.
Nelle contestazioni territoriali o di privato interesse i banditi la fanno da giudici o arbitri, per lo più richiesti dalle stesse parti, le quali volentieri si affidano al loro giudizio retto ed imparziale, e fanno da pacieri quando insorgono questioni personali capaci di mettere in pensiero o in pericolo la concordia delle famiglie e la tranquillità dei cussorgiali. E la loro intromissione è così autorevole che di rado avviene di non ottenere lo scopo prefisso, poiché ognuno teme guastare i rapporti con una persona tanto temuta e rispettata con la quale è meglio averli invece sempre buoni.
Grande è perciò l’autorità, il rispetto e la venerazione che s’acquistano i nostri banditi in Gallura ed altrove: cosicché i pastori, non solo si sottopongono a volontario tributo per provvedere al loro mantenimento, ma cercano di eludere con ogni mossa «la gjustizia» e la parte avversa, per non privarsi di siffatti uomini che sono per essi la benedizione di Dio: pertanto, durante la presenza dei banditi, stanno al riparo da ogni possibile attentato contro la loro vita e le loro sostanze.
Ecco perché, quando un bandito si reca a qualche festa dove (come nei passati anni a S. Paolo di Monti) è sicuro di non imbattersi nella forza pubblica, moltissimi si recano per conoscerlo o rivederlo e soprattutto per smania di farselo amico. Allo stesso tempo, se un bandito si reca ad un villaggio in salvacondotto, vi va accompagnato da un numeroso seguito di parenti ed amici, mentre i paesani escono ad incontrarlo brigando tra loro per aver l’onore di ospitarlo o di averlo almeno per commensale.
La simpatia e la venerazione che inspira indistintamente nell’animo di tutti è la causa prima per cui difficilmente cade nelle mani della forza pubblica: cosicché, non appena è prescritta l’azione penale nei suoi confronti, i “protettori” si danno essi stessi in mano alla giustizia sicuri di esser rimessi in libertà o di venir prosciolti dalle corti. Cause secondarie sono l’indomito coraggio dei banditi, la precisione del loro tiro che non sbaglia ed il terrore che incutono ai più volgari delatori, i quali sono certi che prima che la forza pubblica riesca a uccidere o catturare i fuorusciti, tempo un solo giorno ed essi, maledetti ed esecrati da tutti, cadrebbero sotto i colpi del («povero») bandito tradito.
L’ultimo dei banditi Galluresi fu il pastore terranovese Lodovico Roglia, famoso per la sua astuzia e temerarietà, il quale da una quindicina d’anni batteva la campagna, senza che si sapesse mai dove si fermasse. Egli, se si eccettuano le stragi dei carabinieri e dei delatori, da lui fatte per difesa personale, poteva dirsi il tipo del galantuomo che l’avverso destino più che la malvagità dell’animo aveva posto al bando della legge.