Carattere fisico-morale dei Terranovesi [Olbiesi]

di Francesco De Rosa

I Terranovesi, generalmente parlando, sono di media statura, belle forme, colorito tendente al bruno e costituzione così forte che resistono, senza per niente risentirne, alle più aspre fatiche. Soprattutto le donne, di carnagione chiara o bruna che siano, sono aggraziate e di aspetto simpatico; cosicché può dirsi che fra esse non ci sia nessuna brutta e antipatica a vedersi.

Raramente avviene d’incontrare uno che abbia imperfezioni fisiche e tanto meno chi abbia facoltà intellettuali menomate. Forti e coraggiosi, d’un coraggio che rasenta la temerarietà, non guardano a pericoli quando per necessità o fatalità vi si vedano esposti.

Puntigliosi, caparbi, litigiosi, attaccabrighe, vendicativi, diedero origine a odi implacabili e a inimicizie spesso secolari. Tuttavia si mostrano ragionevoli e di cuore magnanimo, capaci di riconoscere facilmente il proprio torto e di perdonare i nemici e gli offensori, quando gli si porgano le scuse direttamente o indirettamente.

Poco ambiziosi, non s’abbassano ad accattare croci e titoli: per cui a Terranova non vi sono, quantunque essa per molti secoli sia stata capitale del giudicato di Gallura e sede vescovile, cavalieri né altri titolati.

Si mostrano poco inclini ai severi studi e poco industriosi e intraprendenti: sia per naturale ignavia causata dalla dolcezza d’un clima inebriante, sia perché non hanno cuore di lasciare, neppure per brevissimo tempo, un paese a cui sono teneramente affezionati.

Inclinano alla galanteria ed alle mode che seguono oltre i limiti del possibile e del convenevole, e si mostrano golosi ed eccessivamente ghiotti presi dall’oggi e noncuranti invece del domani. Predisposti al dolce far niente al pari dei popoli orientali, sono dediti ai giochi, ai passatempi, frequentando il teatro, i balli ed ogni intrattenimento privato e pubblico, purché vi sia l’accesso libero e vengano o trovino modo di venirvi invitati. Fanno pure frequenti scampagnate, gozzovigliano spesso ed accorrono volenterosi ai caffè ed alle taverne.

Hanno il culto dell’ospitalità come sacro retaggio, non badando a sacrifici di sorta per accogliere convenientemente un amico o chiunque cerchi momentaneo ricovero nelle loro case. Prediligono il forestiero, sempreché non abusi della stima e della fiducia in lui riposta. Sono però estremamente gelosi, e non perdonerebbero facilmente un affronto che venisse fatto al loro onore: chiunque osasse pagherebbe cara la sua imprudenza ed audacia.

Sono indifferenti in materia religiosa, poco teneri verso i sacerdoti che non lasciano bazzicare nelle loro case perché non conquistino troppa rilevanza («per non averli in odore di santità»): cosicché, all’infuori del popolino, è raro vedere in chiesa persona benestante – eccetto che non sia un giovane o una fanciulla attiratavi da un pensiero gentile o da una passione immorale – e vi sono delle donne che stanno decine e decine di anni senza varcare la sacra soglia.

Amanti della perfetta uguaglianza, oggi non ammettono caste o ceti diverse fra le persone (circa cinquant’anni fa tale distinzione era invece ancora così marcata che la conservavano, per volere dei superstiti, anche dopo la morte). (8).

 (8). Fino al 1835 i morti si seppellivano nella parrocchia di San Paolo; i sacerdoti nelle cripte del presbitero; i Putzu in quella della cappella della Vergine delle Grazie; gli Usai e i De-Sara o Azara in quella di San Giovanni Battista, i De-Rosa in quella di Sant’Agostino; i Lupaciolu e gli Spano in quella del Purgatorio; i Bardanzellu e i Brandanu in quella del Cristo risuscitato; i De-Jana e i De-Cortes in quella del Rosario; i De-Thori i Giua o Jua, gli Spensatellu i De-Serra, gli Asteghene, i Careddu, i Tamponi e i Farina nella cripta esistente in mezzo alla chiesa.

Si mostrano ubbidienti e riverenti verso le autorità pubbliche che ritengono meritevoli del mandato loro affidato. Rispettano le proprietà altrui ed è raro che un Terranovese si renda colpevole di furto o appropriazione indebita. Amano la patria comune, l’Italia, pronti a sacrificare per essa vita e sostanze, venerano i grandi che vollero e conseguirono l’indipendenza italiana, e vogliono tenerne alti i destini, come stimano quelli che si elevarono nel campo delle scienze, delle lettere e delle arti.

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